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Autore: Lady Vibeke    01/03/2011    13 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I'm searching for answers
Not questioned before
The curse of awareness
There's no peace of mind
As your true colours show
A dangerous sign
It’s in your eyes

- A Dangerous Mind, Within Temptation -







 

 

 

 

PROLOGO

 

 

 

 

 

Somerge era un piccolo borgo all’estremo sud-est della Terra di Asante i cui abitanti, abituati alla serena tranquillità della vita campagnola, poco avrebbero gradito la presenza della alta sagoma nera che, le mani affondate in tasca, si aggirava indisturbata per le stradine del paese, fischiettando un motivetto sommesso nella caliginosa foschia notturna.

Non c’era nulla di strano in un ragazzo che camminava facendosi i fatti suoi, non fosse stato che il ragazzo in questione, oltre a un lungo pastrano di pelle – roba da loschi criminali, secondo l’opinione popolare – che contrastava vistosamente con il pallore del suo incarnato, sfoggiasse anche, e con un certo orgoglio, una lunga coda di capelli neri come la pece e una piccola zanna appuntita che gli pendeva all’orecchio sinistro. Il suo aspetto sarebbe parso bizzarro e vagamente minaccioso nelle maggiori città delle Sette Terre, figurarsi cosa ne avrebbero detto in un minuscolo villaggio come quello.

Un grosso corvo nero lo seguiva fedelmente, svolazzando da un davanzale all’altro, da un lampione all’altro, senza perderlo mai di vista. Di tanto in tanto, sfiorato dalla sua ombra che lo sorvolava, Lucius sollevava lo sguardo con un sorriso sbilenco, come per fargli capire che non si era scordato di lui, e poi lo riabbassava, proseguendo come nulla fosse.

Una volta sola Rok gli aveva risposto con una gracchiata di rimprovero, che era riuscita a strappargli una breve risata sommessa.

Se non fossero stati tutti addormentati nei loro letti, i benpensanti che abitavano le casupole in pietra che fiancheggiavano la stradina lastricata probabilmente lo avrebbero additato con orrore e accusato di essere un mercenario in cerca di rarità da rubare, o qualcosa di analogo. D’altronde non si sarebbero poi nemmeno sbagliati di molto. Una volta, mentre visitava in incognito una cittadina nelle terre degli umani, era stato apostrofato come figlio del demonio e aveva sorriso, interrogandosi su quale sarebbe potuta essere la reazione di quella gente nello scoprire che, in effetti, era lui stesso un demone.

Creature affascinanti, gli umani.

Le leggende sovrannaturali che sembravano tanto intrigarli, in fondo, erano nate così: qualcuno  aveva raccontato una storia – più o meno vera che fosse – e quella storia aveva viaggiato di bocca in bocca, acquisendo ogni volta nuovi particolari e finendo così per affermarsi tra le credenze popolari. Bastava un nonnulla, a volte, e la superstizione e il fanatismo facevano il resto. Alcuni ci credevano davvero, altri le ritenevano solo sciocche favole per bambini, ma quasi nessuno aveva una vera e propria idea di dove poggiassero le fondamenta di certe storie. C’era chi incontrava un demone o un angelo per strada, o in una taverna, e nemmeno se ne rendeva conto. Certo, era raro che qualcuno degli Occulti decidesse di fare spontaneamente visita alle zone di insediamenti umani al di là dell’oceano; quando capitava, si trattava per lo più di ricognizioni di qualche membro della Lega che andava ad assicurarsi che tutto fosse sotto controllo.

Senza saperlo, gli umani fantasticavano da sempre sul Mondo Occulto, congetturando di strabilianti poteri magici e guerre millenarie tra Bene e Male. Su alcune cose avevano avuto delle giuste intuizioni, su molte altre si sarebbero sbagliati di grosso fino alla fine dei loro giorni.

Pochi di loro – o più probabilmente nessuno – avrebbero creduto che quell’affascinante giovane che spesso appariva – come dal nulla – dalle loro parti fosse un demone di quarantasette anni in cerca di svago. A tutti gli effetti, la sola cosa che distinguesse Lucius da un comune mortale erano dei poteri sovrumani e una vita nettamente più longeva, più del doppio rispetto a quella media degli umani, che si aggirava attorno a sessanta miseri anni.

Molto volte Lucius, nel suo vagabondare, si era conquistato un’occhiatina di apprezzamento da parte di qualche fanciulla umana incrociata per strada, oppure aveva rimesso al suo posto qualche ubriacone molesto in vena di risse, e nessuno aveva mai sospettato niente. Gli piaceva stare in mezzo agli umani: avevano un modo del tutto diverso di vedere le cose, di abitare il mondo. Spesso si dimostravano ingenui, a volte anche patetici, ma nessuna era perfetto.

Di per sé, era sempre stato uno di poche pretese, ma soprattutto, e orgogliosamente, un inguaribile romantico. Amava le lunghe passeggiate notturne, sentirsi il cielo sopra la testa che contava i suoi passi mentre il buon profumo di freddo gli riempiva i polmoni. Riusciva persino a commuoversi di fronte alle gocce di rugiada che imperlavano le ragnatele sui cespugli di more nei boschi.

Nella sua pur giovane vita ne aveva viste di tutti i colori – e per lo più si era trattato di colori macabri e cupi, sporchi di crimini che preferiva non ricordare – ma non aveva mai perso la capacità di stupirsi e meravigliarsi davanti alla bellezza delle cose.

La Madre era come un immenso scrigno che custodiva tesori che la maggior parte delle creature che la abitavano non sarebbero mai state in grado di vedere veramente. Gli umani era troppo occupati a inventarsi nuovi modi per complicarsi l’esistenza e nuocere sempre più gravemente al ventre terreno che aveva donato loro la vita; le razze degli Occulti – angeli o demoni che fossero – erano invece divise tra coloro che lottavano quotidianamente per riparare ai danni causati dagli esseri umani, coloro che non se ne curavano minimamente e, ancora, coloro che procuravano danni persino peggiori.

Lui apparteneva attualmente alla prima categoria, e tuttavia non si era mai privato del sottile piacere di godersi un bosco in autunno, o un lungomare accarezzato dalle sfumature violacee di un crepuscolo, o semplicemente sedersi su un muretto a osservare la frenesia quasi ridicola delle grandi città, con i loro mercati, le osterie, le fiere per la vendemmia e il raccolto. Sotto certi punti di vista, gli umani rappresentavano un gigantesco, affascinante mistero, per lui.

La suola spessa dei pesanti stivali calpestava senza quasi fare rumore il lastricato umido, uno specchio sfocato che rifletteva fiocamente le luci gialle dei lampioni e delle lanterne delle abitazioni e la volta scura del cielo nuvoloso. L’odore intenso di pioggia che impregnava l’aria lasciava presagire un temporale imminente.

Non c’era anima viva, in giro.

Sporadicamente, in lontananza, si potevano udire i richiami acuti di qualche animale selvatico trasportati dal vento che serpeggiava tra gli alberi come una carezza incorporea, ma a parte quello, il silenzio era il sovrano incontrastato della notte.

La via principale aveva inizio nella piazzetta del Tempio, nel cuore del paese, e da lì scendeva gradualmente nel centro abitato, conducendo direttamente nell’aperta campagna, trasformandosi via via in un serpente di terra battuta che si perdeva tra i meandri del territorio.

La solennità della colline addormentate ricreava un’atmosfera lugubre, abbracciando ogni cosa in una fitta coltre di ombre nebbiose, e la valle, cullata dallo scorrere pigro del fiume, era immersa nella sua stessa tranquillità, racchiusa tra soffici mura verdi e scure.

La bruma dei boschi era densa e odorava intensamente di ghiaccio. L’inverno non era la stagione più adatta per godersi quella zona, soprattutto di notte, ma a Lucius non importava più di tanto.

I climi rigidi gli facevano tornare i mente luoghi e persone distanti ma a lui molto cari e di cui spesso, pur non rimanendone mai lontano molto a lungo, sentiva una mancanza fin troppo dolorosa.

Casa è dove lasci il cuore.

Chiuse gli occhi per un momento per scacciare quei pensieri. Non era il momento di perdersi nella nostalgia.

La  zona sembrava deserta, placida e quieta sotto a un cielo livido e gonfio di pioggia. A parte un frullio d’ali echeggiante nella lontananza, se c’era qualche rumore da sentire, il vento freddo lo copriva.

Appena uscito dalla fitta vegetazione del boschetto ai piedi della cittadina, Lucius si ritrovò a fronteggiare il pendio roccioso che si stagliava come una torre nel mezzo della pianura: la ripida parete, ricoperta di arbusti selvatici e sterpaglie, saliva in un profilo discontinuo fino alla cima, quella notte completamente inghiottita da basse nuvole fumose. Era lassù che si trovava: la Corte, dimora e quartier generale della più grande organizzazione criminale del Mondo Occulto, e forse dell’intero pianeta.

Appariva agli occhi degli abitanti delle campagne circostanti come un vecchio rudere in rovina e i sigilli che lo proteggevano facevano sì che a nessuno potesse anche solo venire il mente di tentare di avventurarsi fin lassù. La mancanza totale di vie d’accesso tra le rocce scoscese e di nascondigli, inoltre, scoraggiava qualunque potenziale scocciatore dal tentare di avvicinarsi. Non che non ci fossero altri modi meno scontati di passare inosservati: semplicemente, nessuno che sapesse cosa l’aspettava, lassù, era così stolto da voler capitare nei pressi della Corte di Ganus Desmond.

Lucius, in ogni caso, non si considerava un qualunque potenziale scocciatore: più di una volta, in passato, gli era capitato di varcare i confini di quel luoghi, e quel poco che aveva avuto modo di vedere gli era bastato per una vita intera.

C’era un detto che da secoli circolava su quel luogo: se riuscivi a entrare alla Corte, o ne uscivi che non eri più lo stesso, o non ne uscivi affatto.

Si fermò in mezzo al sentiero, restando in ascolto: il silenzio era tanto e tale da essere inquietante.

Molte volte gli era capitato di perlustrare quell’area, per dovere o per piacere personale, ma mai aveva trovato quella calma surreale. I suoi sensi non percepivano altro che inquietante immobilità.

Qualcosa non andava.

I suoi occhi vagarono ovunque alla ricerca di qualche segno, di qualcosa di anomalo, senza trovare alcunché di sospetto. Se voleva vedere oltre le nubi, doveva avvicinarsi di più.

Con un balzo deciso atterrò su una sporgenza di roccia e con un secondo giunse fin sopra lo spiazzo erboso che circondava la Corte. Non accadde nulla.

Erano anni che non si avvicinava tanto al confine segnato da potenti sigilli attorno al perimetro del maniero. Normalmente, un intruso avrebbe risentito degli influssi del sortilegio difensivo già ai piedi della rupe. Se lui era giunto fin lì, ci doveva sicuramente essere da preoccuparsi. Si sollevò lentamente in piedi, scrutandosi intorno con circospezione attraverso i densi banchi di nebbia, il fruscio delle ali di Rok alle sue spalle. Non un rumore, non una voce, non un sussurro. Risoluto, protese una mano verso il cielo e chiamò a sé il soffio del vento, il quale in pochi secondi, vorticando attorno a lui e per tutta la vetta, spazzò via le nuvole, spalancandogli davanti una visuale perfetta sotto ai raggi lunari. Quello che Lucius si ritrovò di fronte, però, non era ciò che si era aspettato.

Rimase a bocca aperta.

Dove una volta c’era stato il maestoso castello antico, ora non restavano che ruderi e macerie, spazzate da deboli aliti di vento: enormi blocchi di pietra scura ricoperta di muschio giacevano sul prato attorno a un esile scheletro di arcate e scalinate, uniche parti superstiti dell’intera, gigantesca struttura. Era come se il castello fosse stato assediato e distrutto da interi eserciti. Un intenso odore di morte incombeva su quello spettacolo raggelante.

Ferro, acqua, e vita evaporata.

Lucius sapeva che da una parte avrebbe dovuto esultare: in secoli di storia, nessuno era mai riuscito a distruggere o anche solo intaccare quella fortezza, custode di orrori e crudeltà che la maggior parte della gente non avrebbe nemmeno potuto immaginare, ma proprio qui si presentava il rovescio della medaglia: chi poteva mai essere tanto potente da radere al suolo uno dei siti più inviolabili che fossero mai esistiti?

Rabbrividì. Decise che si sarebbe curato in un secondo momento dei come e dei chi, e soprattutto dei perché.

Si avvicinò con cautela al cumulo di macerie. Sotto al manto di velluto grigio scuro della notte, tutto era immobile, prigioniero di una stasi che faceva ghiacciare il sangue nelle vene. Qualcosa di terribile si era consumato lassù, non molte ore prima.

Si avvicinò ancora e studiò meglio la situazione: nel buio denso riuscì a individuare corpi privi di vita scacchiati tra i macigni, orbite rovesciate in un’agonia sgomenta. Era accaduto tutto all’improvviso, intuì. Erano stati colti tutti di sorpresa.

Chissà se Desmond si trovava là in mezzo, sepolto assieme ai suoi, o se invece aveva scampato la tragedia, in qualche modo.

Lucius si disse che l’ipotesi più probabile era la seconda: i peggiori erano i più duri a morire e Desmond trascorreva lunghi periodi lontano dalla sua Corte, per controllare da vicino le cellule della sua congrega o alla ricerca di fonti di potere da fare proprie, a qualunque prezzo, con qualunque mezzo. Era fortemente probabile che nemmeno fosse a conoscenza dell’accaduto, e, in quel caso, avrebbe fatto meglio ad avvertire immediatamente il quartier generale. Non era nemmeno prudente rimanere lì da solo, senza rinforzi.

Stava per girare sui tacchi e tornare da dov’era venuto, quando qualcosa attirò la sua attenzione: alla luce improvvisa di un lampo, distinse una grossa macchia rossa sul bianco opaco di una lastra di marmo.

Osservò meglio: adagiato a peso morto sulla pietra c’era un corpo, ricoperto di polvere e sangue. Sembrava molto giovane – una ragazza – ed era senza dubbio un demone, anche se Lucius non aveva mai visto nessuno come lei.

Si accostò con cautela e si inginocchiò. I lunghissimi capelli, sparsi tutt’intorno a lei, erano di un colore innaturale, un rosso intenso e vivo, identico a quello del sangue che le rigava il viso e le mani e le impregnava i vestiti: la macchia rossa che aveva attirato la sua attenzione. Era pallida, così pallida da non lasciare dubbi se potesse essere ancora viva. Aveva gli occhi aperti, sbarrati, colmi di un’emozione violenta che Lucius non riuscì a distinguere. Erano grandi, a mandorla, anch’essi di una tonalità innaturale, verdi e luminosi, eppure inspiegabilmente adombrati. C’era qualcosa di umano nel dolore che riflettevano.

Con tutti quei cadaveri, pensò, i Liberatori avrebbero avuto un gran bel daffare, non appena la Lega fosse stata informata dell’accaduto.

Mosso a pietà, si avvicinò, chinandosi per chiuderle le palpebre, quando all’improvviso una goccia di pioggia cadde sul viso cereo della ragazza e lo solcò lenta, tingendosi di rosso mentre le moriva sulle labbra. Fu allora che si accorse della debolissima condensa di vapore che si sollevava dalla sua bocca. Sussultò, sorpreso: era viva, allora. Le appoggiò due dita sulla giugulare e la osservò con più attenzione: era gelida e immobile, ma il suo cuore, seppur quasi impercettibilmente, batteva ancora.

– Mi senti? – le disse, scostandole una ciocca di capelli dal viso incrostato di sangue. Lei non rispose né si mosse, ma nel suo sguardo si accese qualcosa. Nervoso, Lucius si accertò che non avesse ferite particolarmente gravi o ossa rotte, poi la sollevò delicatamente tra le proprie braccia. Era esile, leggera. Non era il tipo da fidarsi senza sospetti di una situazione così singolare, a maggior ragione visto il luogo in cui si trovava, ma la purezza – l’innocenza – che scorgeva sul volto di quella giovane lo convinsero che portarla in salvo fosse la cosa giusta da fare.

Stava per rialzarsi in piedi, quando all’improvviso si vide comparire la punta di una lama affilata al di sotto del mento.

– Fossi in te la lascerei dov’è – disse una voce roca e profonda.

Lucius sollevò lentamente la testa: sopra di lui torreggiava una figura scura e massiccia, un uomo che vestiva insegne mai viste lo fissava calmo ma minaccioso, il volto pesantemente sfigurato da bianche cicatrici. Una gli attraversava obliquamente l’occhio destro, di un azzurro lattiginoso e vitreo, privo di pupilla.

– Non cercare di fare l’eroe per salvare una vita già segnata. Lascia la ragazza e vattene, è un consiglio da amico. –

Chiunque egli fosse, sembrava avere intenzioni tutt’altro che amichevoli.

– Vi ringrazio per il consiglio, amico, ma non mi sembrate un tipo affidabile – un piccolo sogghigno ironico. – Con permesso. –

Fece di nuovo per alzarsi, ma l’uomo gli puntò la lama dritta nella carne, lacerando superficialmente la pelle.

– Non osare muovere un altro passo! – tuonò l’uomo. – Non ti voglio uccidere, la tua vita non mi interessa. Dammi la ragazza, o sarò costretto a usare la forza, e, credimi, non ti piacerà. –

La mano sinistra di Lucius, nascosta alla vista dello sconosciuto, si mosse lesta fino all’elsa della spada che portava legata alla cinta. Le dita scivolarono sul metallo intarsiato, afferrandolo saldamente.

– Credo che sarà uno spiacevole scontro per entrambi, allora. –

Con uno scatto rapido, lasciò la ragazza e si sollevò in piedi, sguainando la spada.

Approfittò dell’istante di smarrimento dell’uomo per affondare contro di lui, ma questo si riebbe immediatamente e schivò con agilità, affondando poi a sua volta. Lucius balzò di lato e parò all’ultimo momento. Aveva scampato per un soffio un colpo che lo avrebbe ferito molto seriamente al fianco.

Stava iniziando a piovere, per di più. Il terreno si sarebbe fatto presto fangoso e sdrucciolevole e combattere sotto all’acqua non era la cosa più semplice, con un’innocente priva di sensi alle spalle da proteggere. Non doveva rispondere solo ai colpi rivolti a lui: il suo avversario stava facendo di tutto per riuscire ad allontanarlo dalla ragazza ed avere campo libero su di lei, ma Lucius non glielo avrebbe permesso. Solo si chiedeva quanto avrebbe resistito. Avrebbe dovuto ricorrere alla magia, ma aveva come la sensazione che anche su quel versante lo sconosciuto gli avrebbe dato del filo da torcere.

Doveva trovare il modo di uscirne alla svelta, o avrebbe avuto la peggio. Era un bravo spadaccino, ma quel guerriero era troppo superiore a lui in tecnica. Per quanto coraggio e quanta avventatezza ci fossero in lui, non gli sembrava il caso di farsi uccidere così.

– Dammi retta, ragazzo – sentenziò l’uomo mentre le loro spade si incrociavano per l’ennesima volta in uno stridio di lame. – Non ne vale la pena. –

Lucius sferzò l’ennesima parata stentata contro un colpo degno dei migliori maestri che avesse mai incontrato.

– Grazie del parere – ansimò.

Il clangore delle spade che si aggredivano gli risuonava acuto nelle orecchie, mentre la pioggia, fitta e pungente, lavava lo scenario circostante dalle macchie rosso scuro che lo tingevano macabramente. Anche il fetore acre della carne morta si stava attenuando, coperto dall’odore della terra fradicia e dell’erba calpestata.

Lucius era abituato ai lunghi duelli, ma un conto era un’ora di puro e semplice allenamento, un altro era battersi contro un avversario così capace in uno scontro reale. Non avrebbe resistito a lungo.

L’unica speranza era riuscire a raggiungere il Portale. Se fosse riuscito a sbarazzarsi di quel tizio per almeno qualche secondo, forse sarebbe stato in grado di portare in salvo sé stesso e la ragazza.

Da solo non ce l’avrebbe mai fatta, ma forse non tutto era perduto.

Proprio mentre la speranza già prendeva forma nella sua mente, l’avversario riuscì a coglierlo in fallo su una mossa particolarmente azzardata e la sua lama penetrò la difesa con un assalto a tradimento, trafiggendogli la carne sul fianco destro. Anche se superficiale, lo squarcio gli causò una violenta fitta di dolore acuto che si propagò fino al petto, costringendolo a soffocare un urlo in un semplice gemito.

Non si fermò nemmeno a riflettere. Anziché contrattaccare, Lucius balzò agilmente di lato, fiotti di sangue che gli grondavano dalla ferita, evitò con una capriola il secondo attacco e, con una mossa non proprio leale, fece perdere l’equilibrio all’uomo, che, colto di sorpresa, rovinò a terra con un’imprecazione furiosa.

Lucius fu lesto: si precipitò dalla ragazza, se la strinse al petto ignorando il terribile pulsare bollente nel fianco, poi sollevò lo sguardo verso il cielo e chiamò con tutta la voce di cui disponeva:

– Rok! –

Dopo un fugace istante di smarrimento, il guerriero si era rialzato in piedi e già si preparava a una nuova offesa, l’occhio perlaceo che brillava in modo innaturale accanto al buio in cui si celava l’altro. Un urlo rabbioso si levò dalle sue labbra nel partire alla carica con la lama sguainata.

Lucius tenne la mano sinistra ben salda attorno all’elsa della propria spada, pronto a difendersi, ma proprio mentre l’uomo stava per abbattersi su di lui, qualcosa di nero sfrecciò nell’aria tra di loro e si avventò sul volto dell’uomo come una furia.

Le grida piene di dolore dello sconosciuto si persero nel cielo aperto, mentre il grosso corvo beccava e graffiava su di lui, senza pietà. Rivoli di un rosso acceso presero a colargli sulla pelle martoriata.

– Grazie, fratello! – boccheggiò Lucius, che aveva quasi temuto di essere spacciato.

Il corvo rispose con un gracchiare deciso, che a stento si udì nel mezzo dei lamenti dell’offeso.

Senza perdere tempo, Lucius rinfoderò la spada e prese in braccio la ragazza, correndo verso l’orlo del precipizio.

Come aveva fatto per salire, in due salti di disumana estensione raggiunse la pianura e da lì, senza guardarsi indietro, corse verso il fitto del bosco.

– Coraggio, resisti – sussurrò alla ragazza, che gemeva debolmente tra le sue braccia. – Ora ti porto al sicuro. –

 

 

Gli alberi cavi erano i suoi portali preferiti, secondi solo a quelli subacquei.

Quando Lucius uscì dalla vecchia quercia sgangherata, era pieno di tagli e ferite e i suoi vestiti grondavano acqua e fango, ma perlomeno era in salvo.

La ragazza dai capelli rossi giaceva inerte tra le sue braccia, priva di sensi. Le sue ferite erano serie e la vita che scorreva in lei si faceva più fioca di momento in momento. Doveva fare presto.

Avanzò per qualche decina di metri nella selva lungo un sentiero che, anche nell’oscurità, sapeva percorrere con la stessa sicurezza con cui si muoveva alla luce del sole.

Arrivò in una grande radura che lambiva il dorso della montagna. C’era una statua di pietra, in un angolo, seminascosta dalle sterpaglie: era un angelo dalle ali completamente avvinte dall’edera, annerito dal tempo e dalle intemperie, una benda sottile a coprirgli gli occhi. Teneva un libro stretto al petto con la mano destra, mentre la sinistra era protesa in avanti, il palmo aperto rivolto verso l’osservatore, in un gesto che si sarebbe potuto interpretare come un ordine di fermarsi.

Ma Lucius, che conosceva bene quella statua e il suo significato, non si fermò.

Si avvicinò, e quando fu giunto al cospetto dell’angelo gli si accostò, fino a che la mano protesa finì per toccare il lato sinistro del suo petto. Angina non avrebbe potuto trovare una protezione migliore per l’ingresso al suo covo: un incantesimo che leggeva le intenzioni del visitatore direttamente dal suo cuore.

Inizialmente non accadde nulla, poi l’edera che ricopriva il fianco della montagna iniziò a sostarsi delicatamente, e man mano che questa si apriva, nella nuda roccia si disegnava la cornice intarsiata di un arco a ogiva.

Lucius attese pazientemente che il varco si spalancasse completamente su un caldo bagliore luminoso, poi finalmente entrò. Immediatamente, dietro di lui la roccia si rinsaldò e l’edera tornò al proprio posto, occultando ogni segno dell’esistenza del passaggio.

La dimora di Angina e dei suoi era scavata nel ventre della montagna, diverse centinaia di metri al di sotto del suolo, un’immensa caverna naturale creata nei millenni da un fiume sotterraneo e dotata di infinite minuscole gallerie che fungevano da canali di aerazione. Dall’ingresso, c’era un lungo e stretto corridoio che si inoltrava nella montagna, illuminato a intervalli regolari dalle molte torce che erano state affisse alla parete umida.

Lucius percorse il tragitto senza esitazioni, svoltando al momento giusto, senza farsi ingannare di molti bivi posti ovunque come trabocchetto. Nessuno era mai riuscito a entrare là dentro senza essere invitato, ma se mai qualche malcapitato ce l’avesse fatta, di sicuro non sarebbe più stato in grado di uscirne vivo.

Terminato il dritto cunicolo in piano, iniziava un’interminabile serie di scalini da scendere, scolpiti direttamente nella pietra e resi scivolosi dalle infiltrazioni acquifere presenti ovunque. Faceva sempre più freddo man mano che si scendeva in profondità. Era una via tortuosa e scomoda, ma del resto era fatta apposta per confondere chi vi aveva accesso. Ci vollero almeno quindici minuti per raggiungere la zona centrale del rifugio, e Lucius cominciava a sentirsi affaticato. La ragazza era leggera, ma era pur sempre un peso morto che gli impacciava i movimenti.

L’odore di muschio e di umidità si mescolava con l’acredine degli stoppi ardenti, saturando l’aria di alcuni tratti fino a renderla a malapena respirabile.

Finalmente, dopo quasi cinque minuti di cammino, il corridoio sfociò sull’atrio principale. Si trattava di un enorme camera circolare, alta una trentina di metri e ampia almeno due volte tanto. Il soffitto era completamente ricoperto di bianche stalattiti calcaree di ogni dimensione su cui riverberava la luce delle fiamme che ardevano negli enormi bacili disposti a cerchio lungo il perimetro della sala.

– Chi va là? – tuonò una profonda voce da uomo non appena Lucius discese l’ultimo gradino. Da lontano, vide due degli uomini di Angina, armati di spada, che si avvicinavano rapidi.

– Sono io – annunciò. – Ho una ragazza ferita, qui. –

– Lucius – disse uno dei due, che lui riconobbe immediatamente come Kael, il braccio destro di Angina.

Il suo sguardo si posò sulla giovane, soffermandosi sugli abiti laceri e sudici che essa portava con una certa apprensione. Apprensione che mutò in diffidenza quando lo sguardo si spostò sui suoi capelli.

– Lei chi è? Cos’è successo? –

– Non so chi sia. È una lunga storia. –

Kael lo occhieggiò sospettoso.

Era un uomo robusto, con un viso aperto e una lunga barba bionda intrecciata, i modi spicci di chi agiva pensando già al passo successivo.

– Ha bisogno di cure – Gli disse Lucius con urgenza. – Ti spiegherò poi, adesso dobbiamo aiutarla. –

Kael valutò rapidamente la situazione, poi annuì e si voltò verso il compagno:

– Elath, va’ a chiamare Venena. Avremo bisogno di lei. –

Venena, un’erborista le cui immense conoscenze la rendevano esperta tanto nel curare i mali quanto nel causarli, fredda e apatica, non rientrava nelle più grandi simpatie di Lucius.

L’uomo obbedì e si congedò con un saluto marziale, sparendo poi oltre uno dei tanti cunicoli che si dipanavano dall’antro.

– Tu vieni con me – disse poi Kael, facendo cenno a Lucius di seguirlo. – Angina non c’è, ma dobbiamo sistemare la tua amica. La vedo piuttosto malconcia. Dove hai detto di averla trovata? –

– Tra le macerie della Corte. –

Tra loro cadde un attimo di significativo silenzio.

– La Corte?  – Gli occhi azzurri di Kael si sgranarono nella sorpresa. – Intendi quella Corte? –

– Sì – Confermò Lucius.

Snocciolò i dettagli fondamentali lungo la strada.

Kael non fece altre domande. Lo condusse verso il lato Sud della caverna – il Dedalo, come lo chiamavano i suoi abitanti – dove si trovavano la Farmacia, le serre e la Biblioteca.

– La Corte di Desmond in macerie… – borbottò Kael fra sé. – Chi diavolo può avere fatto una cosa simile? –

Era terrificante soltanto pensarci: quello che per secoli era stato teatro di innominabili torture e esperimenti che costituivano veri e propri abomini contro la natura era andato completamente distrutto in una notte.

– Non ne ho idea, ma credo che forse lei possa saperlo – Rispose Lucius, abbassando lo sguardo sulla ragazza.

La sua espressione sofferente lo portò a domandarsi chi fosse e cosa ci facesse là, nel luogo peggiore dove chiunque potesse capitare.

– La Lega cosa ne dice? – indagò Kael.

– È per questo che sono qui. Dovete occuparvi di lei, io devo fare immediatamente rapporto. –

La stretta scalinata si interrompeva direttamente davanti a un pesante portone di legno massiccio. Kael vi appoggiò una mano sopra, ma prima di spingere si voltò con aria seria:

– Cosa sta succedendo là fuori, Lucius? –

Lui chinò il capo, impotente, le ossa dolenti, i muscoli stanchi. Di qualsiasi cosa si trattasse, il Mondo Occulto doveva prepararsi ad affrontarlo.

– Vorrei tanto saperlo anch’io. –




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A/N: questa storia è nata più di un anno fa, da un'idea improvvisa che per scherzo ho iniziato a mettere per iscritto, pezzo per pezzo, man mano che l'ispirazione mi dettava qualcosa. Ad oggi, sono quasi giunta al termine della stesura e tra tre o quattro capitoli potrò finalmente scrivere la parola fine. La speranza è di vedere un giorno questa mia piccola creatura pubblicata e distribuita nelle librerie e non appena sarà ultimata, tenterò la fortuna mandando il manoscritto a qualche casa editrice. Chissà.
Per ora ho deciso di iniziare a postare qui su EFP, tanto per vedere cosa ne può pensare la gente. Non ho mai pubblicato, qui, storie originali a multicapitolo (e vi avverto già che di capitoli pronti ne ho già 26), quindi non so bene cosa aspettarmi. Non so quanta gente legga questa sezione, non la conosco molto bene, ma spero che se qualcuno passerà di qui e leggerà, vorrà quantomeno lasciare due righe di commento, almeno per aiutarmi a capire se quello che sto scrivendo ha qualche speranza di incontrare il gradimento di un eventuale pubblico.
Luoghi e personaggi sono ben chiari nella mia testa e magari più avanti, se a qualcuno interesserà, condividerò con voi i volti e i paesaggi che mi hanno ispirata e tuttora mi ispirano quando scrivo di questo mondo.
Al prossimo capitolo!
   
 
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