Storie originali > Generale
Segui la storia  |      
Autore: CheshireClown    02/03/2011    0 recensioni
Non c'è un motivo, non c'è un ragionamento dietro, c'è solo puro istinto. Ciò che ci fa stare bene, ciò che ci libera da ciò che più ci opprime a volte è la cosa più semplice ed istintiva che possa esistere. Il problema è: gli altri sono pronti ad accettare la soluzione che abbiamo trovato?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
make you feel better 1 Trovare un motivo convincente non è mai facile.


-Perché l’hai fatto?-
Sempre la stessa domanda.
Per ventisette anni gli avevano posto sempre lo stesso identico quesito.
Qualsiasi motivazione trovasse, a loro non andava bene.
-Allora?-
Rimase in silenzio.
Non aveva voglia di faticare per trovare un motivo convincente.
Tanto lo avrebbero sbattuto in cella lo stesso.
-Ti avverto, se non rispondi a breve sarò costretto ad abbandonare le buone maniere. –
Sempre la stessa minaccia, non cambiavano mai le persone.
Poteva anche abbandonare le buone maniere, lui non gli avrebbe risposto.
Anche con le cattive, la sua motivazione non sarebbe stata accettata.
L’uomo davanti a lui sbuffò, sollevando le mani dal banco su cui erano appoggiate. Cominciò a camminare per la grigia stanzetta, forse pensando a una nuova strategia d’attacco.
Con lo sguardo lo seguiva svogliatamente Vincent, quasi gli scappava un sorriso. Il suo silenzio aveva messo in difficoltà il tenente, eppure era una semplicissima assenza di parole.
Il tenente camminava avanti e indietro e ritorno, sbuffando di tanto in tanto. Il suo assistente, seduto vicino alla porta, seguiva la vicenda con aria spaurita.
Sembra un coniglietto, pensò Vincent e per poco non scoppiò a ridere.
Quella situazione gli pareva divertente e se qualcuno gli avesse chiesto il perché, la sua motivazione molto probabilmente non sarebbe andata bene.
-Te lo ripeto un’ultima volta, perché?-
Il tenente si era fermato e ora lo guardava fisso negli occhi, la mano destra che lenta accarezzava il mento.
Un’ultima volta, aveva detto…
Vincent ora sì che avrebbe voluto ridere. L’ultima? Per carità, non ci sarebbe mai stato un ultimo perché, un’ultima domanda senza una risposta adatta.
Quella serie infinita di quesiti tutti uguali si sarebbe ripetuta all’infinito nella sua vita, sembrava inevitabile.
Una maledizione che lo accompagnava sin dalla nascita.
Aveva dovuto vivere qualche anno e ricevere qualche schiaffo prima di capire che l’unica sua arma di difesa sarebbe stata il silenzio.
E così, con la bocca ben chiusa, Vincent continuava a fissare il tenente, le labbra inconsciamente stirate in un sorrisetto beffardo.
L’uomo a sua volta sosteneva lo sguardo indecifrabile del giovane seduto dinanzi a lui, scervellandosi per capire come far parlare quel dannatissimo teppista.
Come se non bastasse il suo sottoposto era dietro di lui, attento osservatore di quella patetica scena. Era conscio della misera figura che stava facendo e ciò lo irritava ancora di più.
Raccolse i fogli sul tavolo e li sfogliò distrattamente, fingendo di riflettere prima della domanda decisiva, quella che avrebbe incastrato quello stronzetto.
Quei fascicoli li aveva letti così tante volte che ormai li conosceva a memoria, riga per riga. A ogni rilettura si innervosiva sempre di più.
Sbuffò sonoramente,  posando malamente i fogli sulla scrivania e rivolgendosi nuovamente a quel ragazzetto.
Sperò che il suo sguardo fosse abbastanza cattivo da intimidirlo.
- Vincent  , ha volontariamente appiccato un fuoco nel terrazzo del suo vicino, provocando un incendio che si è propagato nel resto dell’appartamento. E’ solo per grazia divina che l’inquilino  non fosse in casa in quel momento, se invece per disgrazia ciò fosse successo tu ora ti ritroveresti con una pena sicura e un lungo soggiorno gratuito in prigione. –
Elencare i crimini commessi spesso aiutava a far sentire in colpa il criminale.
Sfortunatamente Vincent non era così facilmente influenzabile.
- Hai la possibilità di trovare un buon motivo e ridurre la pena. L’importante è che tu mi dica la motivazione che ti ha indotto a compiere un gesto simile. -
Vincent lo guardò in silenzio, come aveva continuamente fatto dal momento in cui aveva messo piede in quella stanzetta.
La sua mente era affollata da tante possibili risposte.
Perché ero disgustato dalla faccia soddisfatta e goduriosa del mio vicino mentre, in vestaglia e ciabatte, innaffiava le sue dannatissime piante.
Come motivo non andava bene, lo avrebbero definito mentalmente instabile, nascondendo l’imbarazzo che provavano accorgendosi che anche loro odiavano per lo stesso motivo il loro vicino.
Perché le voci nella mia testa me l’hanno suggerito.
Sarebbe stato divertente usarlo come motivo, ma avrebbe sicuramente ricevuto un pugno.
E poi c’era quella solita, vecchia motivazione.
Per Vincent la più sincera fra tutte e al contempo la meno credibile secondo l’opinione altrui.
Perché ne avevo voglia.
Perché quel giorno volevo vedere quelle dannatissime piante disperarsi nelle fiamme, volevo godermi quel rosso spettacolo di distruzione con un sorriso soddisfatto sulle labbra, volevo gustarmi l’espressione del mio adorato vicino al suo rientro a casa.
Quella era la sua verità, ma per quanto potesse ripeterla non gli avrebbero mai creduto.
Tanto valeva allora rimanere in silenzio a fissare il tenente che piano piano cominciava ad agitarsi sempre più e il suo assistente a mostrare un’espressione sempre più spaurita.
-In questo modo stai aggravando la tua posizione, lo sai ragazzino? –
Un altro tentativo fallito del tenente.
Parlando avrebbe peggiorato ancora di più la situazione.
Lo sapeva bene, lo aveva imparato in quei lunghi anni passati assieme alla sua famiglia.
Era sempre la stessa solfa. Si cacciava in qualche guaio, anche il più stupido, e subito sua madre lo scopriva.
Passava così dieci minuti buoni ad ascoltare passivamente sua madre che sbraitava e gli chiedeva il motivo del suo gesto. E da bambino ingenuo, rispondeva sempre dicendo la verità.
‘Perché ne avevo voglia’ .
La verità, purtroppo, in pochi la accettano.
Sua madre non era fra questi.
Uno schiaffo seguiva sempre la sua risposta, lasciandolo senza cena e con la guancia in fiamme.
Col tempo aveva imparato a rimanere in silenzio davanti a quei continui perché.
Per lo meno rimaneva solo senza cena con la guancia ancora intatta.
Piano piano aveva capito che bastava fingere di ascoltare tutte le urla di sua madre e aspettare pazientemente che questa si stancasse e lasciasse perdere.
Così quello era diventato il suo metodo per mettere la parola fine a quelle inutili discussioni senza uscirne con danni maggiori.
Certo, a volte rimanere a fingere d’ascoltare buoni buoni era noioso e gli capitava di distrarsi fissandosi su qualche particolare.
Per esempio il tenente dinanzi a lui aveva dei folti baffi che ogni volta che parlava si muovevano in modo buffo.
Sembravano uno spazzolone che avanzava e retrocedeva continuamente, spazzando la superficie invisibile davanti alla bocca dell’uomo.
A Vincent sembrava un personaggio dei cartoni animati e lo divertiva, ma se fosse scoppiato a ridere sarebbe stato come dare in risposta una delle sue motivazioni.
E non sarebbe andata bene.
Alla fine dei conti nessuna motivazione sarebbe stata valida: il tenente voleva incastrarlo, buttarlo in cella con violenza e fare bella figura davanti al suo sottoposto.
Ecco, il suo silenzio dava una motivazione all’uomo per procedere con le cattive maniere.
Era molto ironico, così ironico che quasi metteva tristezza. Quel circolo vizioso sarebbe continuato in eterno, a meno che…
Perché ne avevo voglia.
Se questa motivazione fosse stata accettata, tutto sarebbe finito.
Trovare motivazioni complicate ed argomentate è difficile, fa male alla testa tanto ci fanno pensare e ci sarebbe sempre stato qualcuno a cui quel motivo non andava bene.
Perché ne avevo voglia, questa era una motivazione universale. Ogni nostra azione è fatta perché lo vogliamo, per farci sentire meglio.
Vincent sorrise fra sé e sé: aveva trovato la risposta teorica alla sua dannazione. Purtroppo, però, non era ancora arrivato il momento di attuarla. Non c’erano le condizioni, sarebbe stato un tentativo vano.
Così, mentre il tenente continuava a sbraitare, alzando sempre più il tono della voce, e il suo sottoposto nell’angolo si faceva sempre più piccolo; Vincent nella sua mente giocava con una frase, facendola rotolare da una parte all’altra della mente, accarezzandola e avvicinandola alla bocca, per poi ritrarla velocemente.
“L’avresti fatto anche tu.”


 


****

Scritta un bel po' di tempo fa (quest'estate all'incirca), l'ho portata a termine solo ora.
Dovrebbe essere una raccolta di storie autoconclusive incentrate su ciò che ci fa stare bene ("Make you feel better", appunto), che sia lecito o meno, e sulle conseguenze o le cause che ci portano al momento in cui diciamo "faccio questo perché ne ho voglia, punto". E' difficile da spiegare, dovrebbe rappresentare il punto di rottura, in cui seguiamo l'istinto e ci liberiamo di ciò che ci opprime in un colpo solo.
Il titolo è ispirato all'omonima canzone dei Red Hot Chili Peppers, ma non ha niente a che fare con il testo.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: CheshireClown