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Autore: Claudia    04/03/2011    3 recensioni
Dopo la guerra si anela alla pace, alla serenità. Ma questa serenità, per essere raggiunta, richiede un'attesa forse lunga anni.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Note ad inizio pagina – Attenzio

Note ad inizio pagina – Attenzione, questa storia è stata idealmente concepita nel febbraio 2006 e terminata cinque anni dopo. Non tiene conto degli eventi degli ultimi libri; non è niente di simile al canon. Va oltre il fanon, addirittura. Tratta di una coppia al giorno d'oggi assurda, alla quale sono particolarmente affezionata (e per cui non intendo arrendermi). Qualsiasi commento che esplichi l'assurdità della situazione, della storia in generale sarà semplicemente commentato con un “Ne sono a conoscenza”. Sappiatelo, nel caso in cui vi apprestiate a leggere. Conclusa per il challenge THE COW-T: The Clash of the Writing Titans @ Maridichallenge per il prompt settimanale Attesa.



 

Waiting for the Sun to Rise Again

 

Into a strange new world, into the after

all your tears might find you've fallen too far
take another look, take another ride
can't we make them leave the hate behind

(Believe in Nothing ~ Nevermore)

 

 

Guardo ciò che sta davanti ai miei occhi e mi domando per quanto tempo abbiamo continuato a fingere che tutto andasse bene, che tutto andasse esattamente come noi volevamo che andasse. Mi domando, ancora, se questo è davvero la concretizzazione dei nostri ideali, ciò a cui abbiamo aspirato a lungo e, forse, per troppo tempo.

Come l’ultima pagina di un libro, anche un ciclo della nostra vita ha trovato una sua conclusione: amara per alcuni, felice per altri. E adesso, che riesco finalmente a guardarmi attorno con occhi diversi, mi accorgo di non sapere affatto come è stata la mia conclusione. Vedo persone abbassare stancamente lo sguardo, crogiolandosi in ciò che è stato e che mai tornerà ad essere. Vedo persone dai sorrisi spezzati, incerte o meno se essere felici.

Presuppongo che tutto questo sia normale, in un modo o nell’altro, so perfettamente che qualcuno deve pur addossarsi il dolore degli altri. Esistono persone che sopportano il dolore meglio di altre. Io, probabilmente, sono una di queste. Ho sempre mal sopportato di piangere sulle spalle di coloro che mi circondano e non per orgoglio, semplicemente perché mi dispiace addossare a qualcun altro preoccupazioni che non lo riguardano.

Osservo le gocce d’acqua scorrere sul vetro. Scivolano sinuose, evitandosi a vicenda o fondendosi le une con le altre, ipnotizzando gli sguardi, svuotando le menti. E’ una danza che incanta, quella delle gocce. A cinque anni le fissavo, tracciandone la scia con un dito della mano. A dieci anni le guardavo con tristezza perché mi impedivano di andare a giocare all’aperto. A diciassette non vi prestavo più attenzione. Mentre adesso… adesso, di nuovo, tutto è cambiato.

Punto una di esse, straordinariamente immobile, ma dall’equilibrio precario.

Mi somiglia, è il primo pensiero che azzardo. Mi stringo nelle spalle, aderendo meglio il mantello color blu notte che indosso. Ho abbandonato il cappuccio sulle spalle e ne percepisco il tepore sotto la ruvida stoffa. Abbozzo un sorriso, osservando il mio respiro condensarsi sul vetro, appannandolo fino a quando non decido di fare un passo indietro.

"Questa casa è invivibile."

Sento la mia voce uscire come un sibilo, mentre serro di nuovo le labbra per il freddo. Lo stesso freddo che ti penetra nelle ossa e che ti congela il sangue nemico addosso. Abbasso lo sguardo, mentre sento il mio volto attraversato da una smorfia di ribrezzo. Adesso è secca, ma una macchia rossa e vivida imbratta senza alcun pudore una manica del mio mantello. E per quanto provi disgusto o cerchi di dimenticare, tale macchia rimane lì, come a volermi ricordare ciò che ho commesso.

"E fa troppo freddo." Tengo a precisare, per quanto possa essere necessario.

Fuori continua a piovere, mentre alcuni lampi di tanto in tanto illuminano il cielo in lontananza. Vivono per pochi secondi, infine si spengono, rigettando la città nella luce al neon dei suoi lampioni. Londra appare oramai come una città fantasma, i suoi palazzi racchiudono schiere di Babbani terrorizzati ed impauriti che si rifiutano anche solo di mettere piede ben oltre i loro portoni. E come biasimarli, quando fuori infuria qualcosa a loro del tutto sconosciuto. Perché i Babbani non hanno mai saputo niente della Guerra che da anni ha sconvolto il nostro mondo e che solo ieri sembra aver trovato una conclusione.

Essi vivono nella costante convinzione di sapere tutto, mentre, invero, non sanno niente. Si scansano, quando qualcosa che non possono e non riescono a concepire blocca loro la strada, ostinandosi a trovare una risposta a tutte le domande che rimangono, a scapito loro, insolute. Gli basterebbe guardare un po’ più lontano, un poco oltre il loro naso per vedere qual è la vera realtà dei fatti. E probabilmente, nonostante tutto, non vi crederebbo, chiusi nella loro ostinazione di un mondo perfetto.

L'ennesimo lampo mi strappa dai miei pensieri, riportandomi in quella casa, così fredda e scarsamente arredata.

L'unica prova del mio tradimento è seduta a pochi metri da me, su una poltrona ricoperta da un lenzuolo bianco e colmo di polvere. Sento il suo respiro divenire sempre più rumoroso, come se l'aria attorno a lui fosse così preziosa da mancare all'improvviso. D'istinto vorrei andare da quella figura, ma la ragione mi suggerisce tutt'altro; non si può consolare qualcuno che non vuole essere consolato. Qualcuno che non accetta la pietà – benché sincera – di altri.

“Non so per quanto dureranno le ricerche,” Sospiro. “Ma immagino che questo posto sia l'unica possibilità che ti rimane. Ho fatto diversi incantesimi per nascondere questa casa agli occhi di tutti. Si tratta solo di attendere qualche giorno.”

“Qualche giorno.” Lo sento ridere, sprezzante. “Qualche giorno? Questo inferno mi accompagnerà per tutta la vita.”

“È un inferno che hai voluto.” E nel quale mi stava trascinando.

“Non ho avuto la possibilità di scegliere, Ginevra.” Pronuncia il mio nome come un sibilo.

“Forse. O semplicemente non ne hai avuto il coraggio.”

Lo vedo portarsi in piedi velocemente, quasi dimentico delle ferite che ha sul corpo. Prima di parlare, mi rivolge uno sguardo colmo di aspettativa, di rabbia frustata. Sono l'unica persona di cui può fidarsi, sono l'unica persona che è rimasta dove altri sono fuggiti. In questo momento, sono l'unica persona che – volente o nolente – è in grado di comprenderlo. E lui lo sa.

“Non parlare come se sapessi, perché tu non sai niente.” La velocità con la quale si avvicina e mi afferra il volto mi sorprende, per un attimo i miei polmoni non respirano ed il mio cuore batte velocemente. Sento le sue dita gelide bruciare contro la pelle delle mie guance; non c'è dolore in quella leggera pressione.

“Domani potrò portarti più notizie. Nel mentre, ti conviene rendere questa casa un luogo più vivibile.” Non parla, ma continua a fissarmi. “Draco?”

“A me non importa niente, non credo a niente.” Sussurra. “Ma tu. Tu stai mettendo a rischio molte cose. Non sono sicuro, un giorno, di riuscire a compensare ciò che inevitabilmente perderai.”

“Non pretendo che tu lo faccia.” Sussurro, sfiorando una mano con la sua. “ È una mia libera scelta. Nessuno la comprenderà, ma non mi interessa.”

“Prima che tutto finisca... potrebbero volerci anni.”

“Aspetteremo.”

“Perderai gli affetti, Ginevra. Benché suoni ridicolo, io so cosa vuol dire.”

“Non li perderò.” Cerco di sembrare sicura. “Troverò il modo per riaverli. Li riavrò, includendo te.”

“Quando parli così ho come l'impressione che l'assurdo divenga normale. Ma non c'è normalità in tutto questo. Mi sto comportando da egoista.”

Sorrido, incredula a quelle parole. “Lo sei sempre stato, in realtà.”

Abbozza un sorriso. “E non so quanto meriti tutto questo.”

Non rispondo, mi limito ad abbassare le braccia. “Credo che sia il momento di andare. Domani tornerò, ti porterò dei cambi e qualcosa da mettere sotto ai denti. Per stanotte, credo tu debba trovare una soluzione di fortuna.”

Si volta ad osservare il salotto completamente rivestito di lenzuoli bianchi. “Mi arrangerò.”

“Bene, allora, a domani.” Sospiro, sistemando le pieghe del mantello.

“A domani.” Il suo saluto è colmo di un sentimento che non comprendo.

Agito la bacchetta, sento lo strappo attorno alla vita e poi vedo i volti di tutti i miei cari, che, sorridenti, si avvicinano per abbracciarmi. Le loro parole non si mettono in gioco, ma i loro sguardi mi davano per scomparsa. Il sangue rappreso nei loro vestiti esala un odore di ruggire e sale. Osservo le lacrime di mia madre, sento il senso di colpa affacciarsi timidamente in un angolo del mio cuore; lo ricaccio indietro.

Sarà una lunga, lunghissima attesa.
 

  
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