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Autore: crimsontriforce    05/03/2011    0 recensioni
Se fu una Volontà, e non la sorte, a condurre queste vite in fondo al loro sentiero dolente, potrebbe un tempo avere scritto questi epiloghi e poi, giudicandoli inutili o ingiusti per chi continuava a sperare, averli cancellati alla maniera dei libri D'ni, come si addiceva loro: con sette raggi a coronare un cerchio.
Prima fine: In differenza. Gehn attendeva quel momento da trent'anni. Un dialogo generazionale fa quello che ai dialoghi generazionali riesce meglio.
Seconda fine: Vacuo in blu. Da quando Eti l'ha condotta via dalla sua prigione e attraverso una Riven in bilico, straziata dalla Fessura, la tensione che animava Catherine è svanita. Rimane il nulla, che già nei mesi di lotta si affacciava nei suoi sogni.
Terza fine: Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani. Non-una-fine, ma stress da lavoro, tendenze innate al pessimismo e una caverna buia possono far vedere il futuro più nero di quanto già non sia... what kind of fool are YOU.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '2. In cerchio attorno a una voragine di stelle'
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IL DIALOGO, BUON UOMO. IL DIALOGO.
“Attesa” @COW-T, terza settimana, nonché la spiegazione spiegata del motivo per cui, col senno di poi, ritengo ridicolo il finale melodrammatico emo negativo senza la pagina bianca.










Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani





Scrive. Scrivo pur'io, finché non terminerò le pagine di questo taccuino.
Non ho ancora trovato il coraggio di porgergli le mie scuse: mi dico che ormai non fa differenza che spieghi o meno come fu un gesto sciocco e liberatorio, quel mio toccare il libro dopo che l'ebbi sentito parlare. Ero solo sollevata e lo consideravo la cosa più preziosa che avessi trovato sull'isola, così accadde che, nel gesticolare... Non fa più differenza quanto rivanghi l'errore, ma il mio tacere resta un atto di codardia. Mi dico che tacendo non lo disturbo, ma la verità resta meno nobile.

La stanza in cui siamo reclusi è alta e buia, con un soffitto che va perdendosi nella roccia viva di una caverna. Non ci troviamo sull'isola di Myst – tanto almeno ho imparato – e mi sorprendo spesso a chiedermi che genere di mondo circondi questa prigione. Alle risposte cui non so giungere provvedono i miei sogni.
Una serie di lampade delimita oasi di luce in quest'antro, ravvivando il rosso di ogni serie di colonne e i gradini che le dividono. Ciononostante, capita di rado che io mi allontani dalla pila di detriti che gli fa da scrittoio: la luce aggiunta della sua lampada da tavolo è rassicurante e, più ancora, la Sua stessa presenza è l'unico sostegno che mi abbia ancora permesso di conservare il senno.
Vorrei, solo, poterlo chiamare amico, come fece quando si rivolse a me la prima volta. Temo di averne perso il diritto. È gentile quando mi si rivolge – giungo a dubitare che sia capace del contrario – ma la delusione che gli ho causato è troppo grande. Resta curvo e fragile sul suo tomo, un pallido ricordo dell'uomo che doveva essere prima della reclusione, e tutto quel che ho fatto è stato privarlo dell'unica speranza di tornare a casa. Continua a scrivere. Lo vedo nutrire le pagine di una devozione incessante che mi spaventa. Dice di essere intrappolato da mesi e mi trovo incapace di immaginare una concentrazione sì duratura. Lo consuma.

Dal canto mio, attendo. Sembrerà sciocco, ma non voglio accettare del tutto l'idea che un singolo errore (un atto di gioia! Una carezza a quel maledetto libro!) ci condanni entrambi senza possibilità di redenzione. Dopo le meraviglie che ho vissuto, devo forse credere che non esista uscita? Mantengo viva la speranza, se lui sembra averla abbandonata del tutto.
Non è un'attesa passiva. Ricordo distintamente ogni momento di risoluzione, da quando sono giunta su Myst fino allo strisciare dentro al caminetto. Ricordo che l'impressione era quella di un'idea perfettamente formata che dall'alto mi aprisse la testa e vi entrasse, e si può dire che sia questo l'attimo che aspetto, ma la realtà era fatta di piccoli indizi che andavano a sommarsi fino a quell'unica combinazione plausibile. Così, da due giorni, osservo.
Mi ha sconsigliato di perdere tempo con porte: le ha già forzate trentatré anni addietro, senza trarne benefici. Dev'essere stato poco più che un bambino, in allora, e nell'immaginarlo il mistero delle origini di questa prigione s'infittisce, ma ogni domanda sul suo passato mi muore in gola quando alzo lo sguardo a incontrare quello di un uomo sconfitto.
“Troveremo un'uscita”, gli dico a volte. Annuisce triste, ma non mi crede.


“Che cos'è quello?”
Sono ben strane conversazioni, queste che intratteniamo. Dilatate. Minuti interi di silenzio fra una frase e l'altra, giacché tutto passa per la scrittura cui è incatenato e di cui non riesco a desumere il motivo. Se solo sapessi___
Ecco, pochi istanti fa mi ha risposto. Ma quel che offre è solo una domanda improvvisa, come pescata dall'aria: “Dove hai trovato la via per Myst?”
Mi ha dedicato d'un tratto l'attenzione più assoluta. Cosa l'abbia portato a una tale sequenza di pensieri, però, mi resta ignoto. Che speri che qualcun altro trovi il Libro e sia meno stolto? Ah, ma i fratelli sono quasi liberi: se così è, ci resta da confidare in un giudizio ben fine.
Per terra, gli dico, vicino al campo dove conducevamo degli scavi. Ma il libro già reclama le sue cure.

Non passa molto prima che ceda alla stanchezza e crolli sulle braccia conserte, trovando appena la forza di levarsi gli occhiali dal naso. Chiede di non lasciarlo dormire più di un'ora: che almeno sia un buon riposo, mi dico, così mi alzo ad accostargli sulle spalle la coperta ripiegata sul vicino scaffale. L'hanno mai fatto, i suoi figli? Sento un impulso a proteggere quest'uomo riservato, tanto indeciso nel parlare quanto garbato in punta di penna.
“Raccontami di casa”, chiede con gli occhi già chiusi, strascicando le parole. Casa sua, Myst? No, la mia. E potrei fargli mille nomi, quello della patria lontana, poi il viaggio, Nueva España, i compagni, i viaggi, le ricerche, ma temo che non direbbero nulla a un alieno, di un altro mondo. Così gli parlo del deserto che sento essere la mia vera casa e, se i suoi mondi hanno mai contemplato anche un solo deserto, capirà perché. Gli parlo della linea azzurra delle montagne e dei dipinti di crepe sul terreno, del vulcano che domina sul paesaggio piatto, punteggiato da arbusti, e dei fiori effimeri sorti la mattina dopo l'unico temporale che io abbia visto graziare quella terra assetata.
Non so cosa ho toccato con il mio racconto, ma nel dormiveglia ha accennato un sorriso.

Ho svegliato un uomo nuovo, pare.
Ancora non si confida, ma ha scoperto in sé una forza nascosta. Chiedo se c'è un'uscita (mi chiedo cosa l'abbia portata, se non il mio racconto e, se sì, in quale imperscrutabile modo, ma non oso ancora valicare il suo riserbo).
Annuisce.
“Un tempo”, dice, ponderando ogni parola fra un guizzo d'inchiostro e il successivo, “solevo dire che la fine non è ancora stata scritta.”
Sento un peso scivolare dal cuore. Mi rimetto al suo inaspettato ottimismo e attendo.
Solo: chiedo conferma delle mie speranze. Quello che sta scrivendo
“È un Libro. E, nel Libro, una voragine di stelle...”

























...e oltre le stelle, casa. Senza il Libro di Myst, imho Riven può accadere uguale con l'unica differenza che, alla fine, si buttano tutti e tre giù per la Star Fissure. Arrivano nella Cleft con un dieci anni di anticipo, Myst ancora raggiungibile (il Libro è lì nel deserto da qualche parte) e D'ni... pure, se Atrus si ricorda la strada. A smenarci probabilmente è solo Saavedro, che alla fine s'è salvato per una certa serie di coincidenze. E Chroma'agana non verrà mai scritta, ma dubito che all'Era freghi molto. Gli altri avvenimenti importanti dovrebbero poter proseguire con aggiustamenti minimali...
“Siamo rinchiusi qui per seeeeeempreeeeeeeeee!!!11!”, sì Atrus, certo Atrus. Hai un Libro di Collegamento in mano, Atrus.
E io scriverei di scene a K'veer in cui lui e la mia Straniera scoprono di venire dallo stesso mondo da qui a fine tabella.
Note:
@ titolo: “Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani, imbecille”, a dirla tutta. Sotto le sue mani chiaramente c'è il Libro di Riven.
@ bad ending ottenuto per caso: la mia Straniera non è cretina, se l'uomo dice “porta la pagina bianca o gtfo” lei porta la pagina bianca o gtfo fino a nuovo ordine. Ma è anche una gran smanacciona. Mi sembra l'unico modo plausibile per farla finire a K'veer senza pagina...
@ senso dello scambio “Cos'è quello” / “Dove hai trovato la via per Myst”: il passaggio mentale di Atrus è stata la Star Fissure. Più in dettaglio, qualcosa come: “Cos'è questo? Che domande idiote, è un Libro di Collegament... oh wait. Bah, ma è un Libro di Collegamento inutile, porta a un'Era prigione in dissoluzione: rimarremmo sempre senza una via d'uscita. Ah no, c'è la Star Fissure. Che però non so dove porti. Ma c'è finito dentro il mio Libro di Myst ed è sbucato in qualunque Era abbia dato i natali a 'sta tizia, quindi porta in un posto abitabile e abitato. Tizia, dove hai trovato il mio libro?” Solo dopo approfondisce la domanda chiedendole di casa. Qualunque mondo lei avesse descritto avrebbe costituito comunque una via d'uscita e un modo per tornare a Myst... ovviamente il fatto che sia la Terra facilita molto la questione!
   
 
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