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Autore: Flaminia_Kennedy    07/03/2011    2 recensioni
Anno Domini 1191.
E' l'epoca delle Crociate, la Terza per essere precisi.
Riccardo ha con sé una giovane donna, che cambierà per lo più il destino del Re inglese e quello di un uomo, le cui ali spezzate riprenderanno a volare in alto, retto dal credo degli Assassini.
"Nihil est reale, licet omnia...o come dici nella tua lingua -Niente è reale, tutto è lecito"
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cavalcammo per tutta la giornata e il sole aveva poco a poco iniziato a intensificare il suo calore mentre ci allontanavamo da Acri.
Quando quello terminò il suo quotidiano viaggio e si trasformò in un disco rosso sangue, l’Assassino si voltò verso di me e diede un piccolo strattone al cavallo per farlo fermare: eravamo giunti a un paesello probabilmente senza nemmeno un nome.
Capii i suoi motivi -stavo ciondolando sulla sella e i miei occhi facevano fatica a stare aperti-, ma se fosse stato per me avrei continuato fino a notte fonda, finché non fossi caduta da cavallo “potremmo continuare…posso andare oltre” dissi all’uomo, che mi fissò oltre il cappuccio bianco “tu puoi continuare a cavalcare con tutte le probabilità che al tuo cavallo spuntino le ali e inizi a parlare. Ci fermeremo qui” disse serio, per poi scendere dall’animale e portarlo verso una mangiatoia sgangherata.
Il cielo viola iniziò a pesare sulle mie spalle, segno che l’Assassino aveva perfettamente ragione. Dovevo fermarmi o sarei finita per rompermi l’osso del collo.
Eppure mi premeva arrivare quanto prima ad Arsuf, dire a mio padre che tra le sue schiere c’erano dei cospiratori, che avrebbero potuto ucciderlo.
Un pensiero mi trapassò come una lama mentre scendevo dal cavallo, con un piede ancora nella staffa: e se fosse già accaduto?
Nel caos della battaglia il corpo del mio genitore sovrano avrebbe potuto comparire tra quello degli altri soldati, come se fosse morto in azione…ma se invece un coltello fosse spuntato dietro la sua schiena?
Un’uccisione a tradimento, come successe a Cesare Imperatore?
Scossi la testa, i capelli corti che stavano leggermente crescendo, per togliermi quelle nefaste domande dalla mente: dovevo solo pensare a riposarmi e ripartire al galoppo, il più veloce che potevo.
Avevo visto l’Assassino scomparire oltre la mangiatoia, nella piccola piazza del paesello e ci misi parecchio per scorgere il suo cappuccio bianco in mezzo alle poche persone che sostavano sulle panche lì sparse.
Era quella l’abilità principale degli Assassini, pensai, scomparire alla vista.
Lo raggiunsi e presi posto sulla panca accanto a lui, guardando le stelle e la luna che stavano iniziando a spuntare poco a poco che il cielo scuriva; se non fosse stato per la sua troppa immobilità, avrei pensato che si fosse addormentato, così con i gomiti appoggiati alle ginocchia “ripartiremo quando la luna sarà alta. Vedi di riposare quanto possibile” disse prima di ripiombare nel suo silenzio.
Lo guardai e annuii “parlami di questa tua setta” dissi io.
Ricevetti un leggero movimento delle mani intrecciate in risposta.
La luce della luna appena sorta illuminò il moncherino del dito mancante nella sinistra, prima che quella venisse nascosta nel palmo dell’altra mano come in preghiera “perché dovrei?” “siete nemici di Riccardo?”.
Quella domanda era sbocciata sulle mie labbra senza passare dalla testa, dopotutto dovevo sapere se stavo portando un pericolo al campo oppure no “Sono nemico dei Templari” un’altra risposta criptica.
Quell’uomo avrebbe resistito alle peggiori torture, me lo sentivo, pur di proteggere chi serviva “chi sono i Templari?” domandai a catena e lo sentii serrare un po’ di più i denti con uno scricchiolio “i nostri nemici. Ora dormi” e dalla sua gola non uscì più la voce bassa e arrogante che mi aveva tenuto compagnia fino a quel momento.
Lo accontentai, appoggiando la schiena al muro di una casupola in argilla e chiusi gli occhi, sentendo il nero dell’incoscienza macchiarmi le palpebre in pochi schizzi.
Quasi subito le prime immagini di un sogno iniziarono a vagarmi nella mente, come fantasmi che avevano perso tutti i loro colori ma non i loro contorni.
Vedevo città impossibili, palazzi ricoperti di vetro scintillante che quasi sparivano in mezzo alle nubi, persone in groppa a cavalli di metallo che viaggiavano più veloci di una freccia o carrozze senza animali al traino.
L’aria lì era irrespirabile, dal cielo cadeva una pioggia fatta di piombo e dalle strade salivano miasmi velenosi.
Quello non era un sogno, era un incubo!
Tante persone camminavano tra quei fumi bianchi e vaporosi, senza morirne, e correvano.
Correvano per ogni dove e non si fermavano mai.
Solo una macchia era ferma in mezzo a quell’andirivieni di vestiti scuri o multicolori: una macchia bianca e stoica, che mi fissava.
Lo riconobbi, ma non mi diede il tempo di dire qualcosa che già se ne correva via in mezzo alle persone, lasciandomi sola in quella terra strana e sconosciuta.
L’avrei rincorso, se solo non avessi aperto gli occhi e avessi visto la piazzetta vuota di quell’anonimo paesello.
In quei pochi attimi in cui ringraziavo il cielo di esser tornata a respirare l’aria pulita e un po’ calda di quel posto, il sogno scivolò via e ricordai che l’Assassino era seduto accanto a me.
Perché avrei dovuto inseguirlo, se non scappava?
Voltai la testa e lo guardai, non aveva cambiato posizione, ma i suoi occhi scuri mi osservavano pungenti attraverso le ombre del suo cappuccio.
Quello sguardo mi mise in imbarazzo, era come se mi avesse strappato di dosso i vestiti e la pelle, guardandomi attraverso fino all’anima “è tempo di ripartire” disse lui.
La luna era alta nel cielo e l’Assassino non mi aveva concesso un minuto di più su quella panca un po’ sbilenca.
Si alzò per andare a recuperare i cavalli e io rimasi a guardare le sue spalle allontanarsi, in un angosciante senso di abbandono.
Perché, poi? Era solo un uomo arrogante e maschilista -che termine era, poi, quello? Mi era uscito nella testa all’improvviso- che camminava come se tutti avessero dovuto baciare il suolo dove camminava.
Eppure scoprii, sotto i molteplici e disidratati strati del cuore umano, che una piccola e rigogliosa piantina era sbocciata, il verde brillante delle foglie mi sussurrava una parola che non riuscivo a percepire.
Mi alzai e raggiunsi la mangiatoia, i cavalli…e l’Assassino.

[Avanzamento rapido a un ricordo più recente]

Ero stata forzata a seguire l’Assassino -ancora il suo nome mi era sconosciuto e me ne rammaricavo- fino alle porte di Masyaf, una cittadina pacifica dove la setta degli Assassini organizzava le sue battute.
Non mi aveva detto perché doveva recarsi dal suo Maestro così urgentemente, ma non ottenni il permesso di entrare nel villaggio.
Rimasi a cavallo, mezzo miglio dalla porta cittadina, con alcune guardie incappucciate di grigio che mi osservavano con occhi taglienti.
Mi sentivo abbastanza fuori luogo e avevo voglia di girarmi e andarmene: perché non farlo, mi chiesi? Stavo meglio, la spalla era solo un po’ indolenzita e potevo benissimo cavarmela da sola, fino ad Arsuf.
Eppure mi sembrava di disobbedire a un ordine diretto di mio padre, nonostante quella sottospecie di ordine fosse venuto fuori dalla bocca arrogante di un Assassino a cui mancava un dito.
Sbuffai in silenzio, sentivo la mancanza della mia divisa, della sciarpa di maglia per nascondere le mie labbra femminili e l’elmo per coprire i capelli scuri e scompigliati, corti rispetto a quelli delle dame che ero stata abituata a vedere.
Mi mancava avere al fianco il peso di un’arma, anche se la spalla non avrebbe retto più di un paio di colpi “oh al diavolo” mugugnai, tirando le redini del mio cavallo e schioccando la lingua contro i denti per farlo voltare e iniziare un piccolo trotto verso la piccola strada che portava fuori dalla gola in cui era incastrata Masyaf.
Che l’Assassino facesse quello che doveva, anche io avevo un lavoro da fare: avvertire mio padre che poteva venir tradito.
Alcune persone mi guardarono confusamente, si chiedevano se io fossi un ragazzo molto giovane o una donna volitiva, ma non ci feci caso; sentivo che Arsuf era sempre più lontano e inesorabilmente ad ogni schiocco secco degli zoccoli del mio cavallo, il cuore mi sprofondava tra le costole.
Avevo paura di dover tornare solo per accendere una pira sotto il corpo del mio regnante genitore.
Dovevo smetterla con quelle stupidaggini: mio padre era un abile combattente, così come lo era Roberto e sapevo che lui lo avrebbe protetto sempre, fino a che avesse avuto fiato in corpo.
Ero quasi arrivata al limite del terreno di Masyaf, quando il rumore vibrante di un cavallo in corsa mi fece voltare: l’Assassino era dietro di me e si stava avvicinando “la fretta fatta donna” mi disse in modo presuntuoso, una volta che mi ebbe raggiunto e affiancato “potrei dire lo stesso” risposi dando un colpo di tacchi al mio cavallo per iniziare un galoppo veloce e sostenuto…e dando inizio a una gara tra me e l’uomo.
I due cavalli si pareggiavano sia in velocità che in agilità, ma il poco di vantaggio che mi ero presa con l’effetto sorpresa venne annullato da un abile salto della bestia montata dall’Assassino, che atterrò davanti alla mia cavalcatura facendola impennare.
L’Assassino non si fermò, ma rallentò soltanto in modo da farsi raggiungere “se solo ci fosse Roberto, vedrebbe quanto poco c’è da scherzare in una guerra” mormorai al cavallo per tranquillizzarlo “perché non ho ereditato la forza di mio padre? Vorrei esser nata uomo” aggiunsi afferrando meglio le redini e usandole come frustino improvvisato per impartire l’ordine al cavallo di trottare e galoppare in direzione di Arsuf.
Solo quando il rossore del cielo diventò come quello del sangue versato sul campo di battaglia, mi permisi di rallentare, accomodarmi meglio sulla sella e appoggiarmi al collo del mio destriero, chiudendo gli occhi. Avrei dormito un paio di ore, giusto il tempo di riposarmi e ritrovarmi abbastanza attiva da non dimenticare le tante cose che avevo da dire a Riccardo e a Roberto.
L’Assassino, per contro, sembrava non aver bisogno di dormire: prese le redini del mio cavallo e lo condusse sempre al trotto, sotto il cielo che si stava scurendo.
Perché era così gentile? Avrebbe dovuto lasciarmi morire -o peggio, in mano a Sibrando- molto prima, ad Acri.
Qualcosa muoveva il suo animo a non fermarsi mai, qualcosa che andava oltre la cieca riverenza verso il proprio Credo: forse era curioso di sapere, forse voleva finire il prima possibile per allontanarsi da me.
Questa evenienza non mi piacque affatto, ma non la cancellai dalla lista delle ipotesi.
Non dovevo farmi illusioni di alcun genere.


Altro capitolo, altre novità anche se mi rammarico di aver visto solo un paio di recensioni molto accette. Speriamo in un capitolo più fruttifero.

BumBj: Ahahah Che si sappia Altair non uccide nessuna donna -a parte le mendicanti con cui a volte mi lascio scappare la mano XD- Beh Malik arriverà un po' più avanti, ma arriverà a salvare la situazione XDD Mi stava sulle balle all'inizio del gioco, ma poi si è riscattato ed è diventato il mio Amicone-Senza-Braccio xD

Zazzy: Ueeeei non si tocca Altair xD Se fosse ganzo come Ezio non sarebbe Altair, dopotutto...e poi dai, l'uomo altero e irraggiungibile fa gola! XD Contenta che ti sia piaciuto il capitolo ^^
   
 
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