Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Lena1897    07/03/2011    2 recensioni
Tre storie assolutamente diverse.
Tre episodi con soggetti e personaggi diversi.
Unico comune denominatore, avere un collegamento con le bambole.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
IL DIARIO
 
Quel libro, vecchio di secoli stava tranquillo sullo scaffale, accanto ad una raccolta dei “Dialoghi” di Platone, fermo in quella libreria da svariati anni, e custode di segreti e della vita di una donna. In effetti non era un vero e proprio libro, ma un diario. Fu Barbara a ridestarlo dal suo sonno, togliendogli la compagnia del buon filosofo. Spostò la bambola di ceramica con le fattezze di una strega, bella però. Le mani bianche scorrevano sulla copertina di cuoio accarezzandola con un certo senso di riverenza. Aprì la prima pagina, ingiallita su quale c’era il nome della proprietaria – Virginia Sawart Fortness – scandì a voce bassa. Cominciò a leggere la prima pagina, ma poco comprendeva delle avventure della protagonista, che non aveva concesso ai suoi lettori il beneficio di un’introduzione, ma li catapultava direttamente dentro la sua vita, forse certa che oltre lei, nessuno avrebbe mai letto quelle pagine.
L’insaziabile curiosità di Barbara non trovò tuttavia quello stile come un ostacolo, anzi al contrario lo vide come uno stimolo, che la spingeva a voler scoprire di più, per questo si recò da zia Elena, la depositaria dei misteri di quella antica casa.
L’anziana professoressa come sempre se ne stava seduta in veranda a gustare il suo tè freddo, così da mitigare il caldo incalzante dell’estate alle porte. Come sempre così assorta nei suoi pensieri da non udire altro che non fosse quel flusso astratto che nella sua mente prendeva corpo, ogni qualvolta che una parola, o un profumo glielo permettevano. Fu per questo che non udì i tacchi di Barbara, che veloce le si parò davanti.
- Raccontami la storia di Virginia.
- Che? – chiese la signora ridestandosi dalla trance. Fu allora che la ragazza le mostrò il diario, come muta risposta alla sua domanda – Ah! Il diario di Virginia. Bè leggilo come hai fatto con gli altri libri, io che devo dirti?
- Zia, ci ho provato. Ma non so cosa è successo prima, non capisco nulla. Mi racconti la sua storia?
- Cosa ti fa pensare che io ne sappia qualcosa? – chiese stizzita.
- Zia Elena tu sai tutto, sei più informata di un archivio storico.
- Si, va bene… ma dovresti usare meno irruenza ragazzina, porta rispetto per la tua povera zia malata.
- Ma tu sei sanissima! - Sbottò la ragazza, prima di cominciare a sorridere furbesca e avvicinarsi alla vecchia, per poi sedersi per terra poggiando la testa sulle ginocchia della zia. Fingendo, come spesso le capitava, di fare le fusa, per ingraziarsi la donna.
- Perdonami zietta, lo sai quanto ti voglio bene, potresti raccontarmi una storia come quando ero bimba? Magari la storia di Lady Fortness…
- Oh, sei davvero una creatura terribile Barbara. Ventiquattro anni, laureata in lettere classiche e ancora fai queste sciocchezze - Sbuffò contrariata - Comunque… va bene, te la racconto. Ma per l’amor del cielo mettiti su una sedia come le persone civili! - Altezzosa, per pura vanità. Il sorriso della ragazza, pienamente consapevole, si fece più ampio mentre, senza alzarsi, agguantava un’altra delle sedie e vi ci si arrampicava per accomodarsi. I capelli grigi di Elena venivano mossi ritmicamente da destra a sinistra, accompagnando il capo che veniva scosso con dissenso. Quando finalmente narratrice e ascoltatrice furono pronte, cominciò il racconto.
- E’ una storia, di tanto tempo fa che si svolge in Inghilterra. In una tenuta di campagna, negli alloggi della servitù di un signorotto locale venne al mondo Virginia. La madre era la cuoca della casa e poco o nulla aveva come tempo da dedicare alla figlia, delegata per lo più alle cure delle cameriere che s’alternavano nei turni. Era difficile dormire in sette in uno stanzone, maschi e
femmine tutti insieme, con il giardiniere che russava e che sembrava voler tirare giù la casa. Così appena la bimba fu cresciuta ed ebbe circa sei o sette anni, nelle notti serene usciva fuori,
sgattaiolando dalla cucina e se ne andava a zonzo per le colline familiari. Capitò un’estate che il padrone della tenuta avesse dato asilo ad una carovana di zingari che passavano di lì. Fino a notte fonda si sentiva ridere e cantare e Virginia attratta da quel mondo così libero e colorato passavaspesso le notti in compagnia degli stranieri, rientrando all’alba e prendendosi spesso le strigliate della madre, che le dava della selvaggia. Ma a lei non importava aveva stretto amicizia con le ballerine gitane e con i chitarristi andalusi. Una vecchia zingara, Mama Lucia, le aveva insegnato a leggere le carte e le aveva pronosticato un futuro segnato da una sfavillante luce. Capitò a fine stagione che gli zingari se ne dovessero andare. Lei avrebbe tanto voluto seguirli, ma non poteva di certo scappare e far accusare gli amici di averla rapita. Li avrebbe messi nei guai. Così avvilita si rassegnò al vederli partire, salutandoli con la manina e le lacrime agli occhi. Memore però della promessa di Mama Lucia che aveva giurato che sarebbero tornati a prenderla e nessuno lo avrebbe impedito.
Elena fece una pausa, non potè non notare come il sole si riflettesse sui capelli dorati di Barbara, e sulla sua guancia sinistra, dandole un aspetto angelico. Come per magia le riapparve davanti agli occhi l’immagine di Evelina, sua sorella, così rassomigliante alla nipote. Ritornarono alla sua mente i ricordi di quando erano ragazze, e di quando anche lei le chiedeva sempre di raccontarle le storie che aveva letto, perché era troppo pigra per farlo da sola. Gli occhi dell’anziana prof si velarono di lacrime, e le labbra si serrarono per alcuni minuti, sino a quando passata la crisi di nostalgia non riprese a dare attenzione a Barbara, china su di lei, che a quanto pare la stava chiamando già da un po’.
- Zia Elena, tutto bene?
- Oh sì cara, meravigliosamente… sai, noi bilance ci perdiamo nelle astrazioni mentali di tanto in tanto.
- Si… e a noi altri viene un colpo!
- Oh suvvia che melodrammatica sei! Dove ero rimasta?
- La promessa degli zingari. Sicura di stare bene?
- Sto benissimo. Dunque, tutto procedeva in maniera assai noiosa e prevedibile. Virginia era diventata a sua volta cameriera per il padrone di casa e svolgeva il suo lavoro con puntualità,
nonostante ogni tanto sembrasse assente. Una notte Virginia si svegliò di soprassalto al suono delle grida di sua madre. Quando saltò giù dal letto e corse fuori dalla propria stanza, si rese conto che la tenuta era in fiamme. Le fiamme sono una costante nella vita della nostra protagonista… cerco di raggiungere l’esterno. Sentiva urlare, ma quelle grida disperate erano coperte dal crepitio del fuoco. All’improvviso due braccia la cinsero forte. Juan, un gitano, la afferrò per trascinarla via. Lei voleva restare, cercare aiuto salvare sua madre e tutti gli altri. Lo zingaro la fece voltare con la forza “non c’è più nulla da fare, per loro” sentenziò. A quel punto comparve Mama Lucia. Le bastò guardarla ogni resistenza cessò. Una solitaria lacrima cadde dagli occhi verdi della fanciulla, che mesta seguì gli zingari. Viaggiò con loro per più di sei anni. Per tanto tempo evitarono l’Inghilterra, spaventati forse che Virginia volesse restarvi una volta tornata. Così fu infatti. Non appena sbucarono fuori da un battello su cui si erano imbarcati clandestinamente, lei ormai esperta di fughe scappò verso il centro della città. Si rifugiò prima nella cattedrale, ma non trovò alcun conforto in Dio, nonostante i buoni frati l’avessero accolta e sfamata. Dalle finestre della chiesa osservava l’edificio dirimpettaio. Un grande e sontuoso teatro. L’antro dell’inferno e della perdizione, lo additavano i sacerdoti. Il tempio dell’arte lo chiamavano i fedeli che si recavano a confessione e con cui aveva occasione di parlare. Curiosa, un giorno decise di entrarvi. Una volta salita sul palcoscenico si sentì profondamente sopraffatta da un senso di torpore, piacere e sbigottimento. La vide la direttrice del teatro, in ginocchio sulle assi e le chiese chi fosse, che volesse “Solo restare qui. Ve ne supplico, Madame. Sarò la vostra serva. Fatemi restare sul palco. Per la prima volta nella mia vita mi sento a casa!”
esclamo sincera, con le lacrime agli occhi. La direttrice colpita la assunse come sua domestica dapprima, poi la istruì all’arte, tanto brava e portata era per la recitazione che in breve divenne
attrice di punta della compagnia di quell’incantevole teatro. Ebbe anche modo di sposarsi ed avere un figlio. Credo che questo ti basti per capire il contenuto del diario. Elena finì il suo racconto. Barbara, che era rimasta imbambolata attenta alla storia, si ridestò tornando alla realtà. Tra le mani ancora il diario, che adesso veniva accarezzato con maggior cura,
ancora più riverenza di quanta già non ve ne fosse prima. Dopo aver ringraziato la zia per il racconto, la ragazza rientrò in casa tornando nello studio. Si sedette alla scrivania e cominciò a
sfogliare il diario leggendolo con avida curiosità. 

 
In questo giorno i sogni s’infrangono, la tranquillità del mio animo è scossa, so che la fine è prossima.
Ci hanno scoperti a Beltane, alti i roghi si alzano, le fiamme divampano su innocenti curiosi,
ma anche sulla nostra congrega, già la metà di noi è stata imprigionata.
Processata, Camille ieri è stata bruciata in piazza e non potevamo nemmeno piangere.
Non potevamo piangere nostra sorella. Io sono stata convocata alla gendarmeria. 
La morte giunge su rapide ali, le sento pesanti come quelle di un corvo che mi fa da duce nel mio ultimo viaggio.
Non rinnegherò la mia religione, andrò a testa alta in contro al mio destino, qualunque esso sia. E se le fiamme
danzeranno sul mio corpo, sarò lieta di ricongiungermi alla mia Dea.
Sento dei colpi alla porta, è sciocco farsi prendere già ora dall’ansia ma so
che presto saranno qui. Tanto presto. Li ho visti in sogno. Li ho visti un’ora fa
allo specchio. La madre mi avverte che il nostro incontro è prossimo.
Queste pagine testimoniano che ho pianto, che ho gioito, che ho amato, che
ho vissuto. L’ignoranza mi toglierà la vita… ma io sono lieta di ciò che sono.
Bussano alla porta. So che sono loro. Lo so con la stessa certezza con cui so
che io sono Virginia, sacerdotessa dell’antica religione, che tra tre giorni
brucerà sul rogo per un peccato che non esiste.
Andrew una volta mi disse che un imperatore romano, Marco Aurelio,
concluse la sua vita con una frase ad effetto. Mi colpì quella frase, è adatta a me
“Il mio spettacolo volge al termine miei signori, se l’avete gradito, 
applaudite”.
 
Così terminava il diario di Virginia, poche pagine in realtà, molte erano state strappate, alcune bruciate, altre riempite d’inchiostro e rese illeggibili. Solitaria e lieve una lacrima solcava la guancia di Barbara. Due o tre ore erano trascorse, da quando si era seduta nello studio, il sole cominciava a declinare dietro le colline. Lei richiuse il libro, e lo ripose là dove lo aveva preso, accanto a Platone, al suo legittimo posto, con la bambola strega a farle da custode. Chissà quante altre mani avevano sfiorato la copertina, le pagine ingiallite e fragili, quanti altri occhi avevano scorso i pensieri dell’antica dama. Lenta e pensierosa tornò in veranda, dove Elena stava ancora seduta assorta nei
suoi ricordi.
Certo era una storia carina, infinitamente triste e drammatica. Non una di quelle letture leggere che ti porteresti durante una vacanza. Ma era una storia piena. Carica di sentimento, struggente proprio perché l’autrice aveva pianto su quelle pagine, ma chi era l’autrice? Sorrise Barbara, indugiando sulla figura della vecchia e saggia zia.
-Potevi dirmelo che la nostra eroina era una strega - La anziana signora si voltò a guardare la ragazza. Nei suoi occhi un dolore antico, una consapevolezza ancestrale, la sicurezza che era giunto il momento, finalmente. Si alzò con estrema grazia, lisciando l’abito grigio, elegante e sobrio, come lei. Si affiancò alla nipote, indicando con lo sguardo la sedia.
- Non ci sarebbe più stato il gusto della scoperta.
- Già, ne ha passate tante.
- Era forte abbastanza da affrontare tutte le sue prove.
- Io avrei scelto Andrew - commenta relativamente ad un dilemma della protagonista.
- Tu non hai mai amato veramente allora.
- Perché?
- Andrew sarebbe stata la scelta più facile e ovvia. Ma l’amore non è mai ovvio. E di certo non è mai facile.
- La mia appassionata zietta - la schernì la ragazza.
- La mia cinica nipote - rispose lei altrettanto sarcastica.
- Potevi dirmi che quel diario è un falso – disse sorridendo, ma ancora segnata dalla storia di Virginia. Tutta l’attesa, il racconto, l’averla spinta alla lettura, avevano uno scopo, ed era quella frase.
- Non è un falso, Barbara. Siediti… parliamo, è tempo che tu sappia chi sei e da chi discendiamo.





Note dell'autrice: Ecco la Shot che chiude la raccolta, ancora streghe come avete potuto notare. Grazie a chi ha letto e a chi ha trovato il tempo di recensire.  Un saluto, Lena!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Lena1897