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Autore: Angorian    07/03/2011    7 recensioni
"Con dita tremanti sciolse i nastri di raso che legavano la maschera al suo viso, e la lasciò cadere.
«Non puoi essere tu »Mormorò.
Sentì lacrime calde premere per uscire.
Lui prese la mano che lei aveva abbandonato ai suoi fianchi, e se la portò alle labbra. Le baciò la punta delle dita, il palmo.
« Potrai mai perdonarmi per averti fatto attendere tanto? »"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Helios/Pegasus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Un sogno meraviglioso.
 

“La solitudine
rinnoverà
pensieri celati”
Byron

 
 
 

« Non ti dimenticherò mai »

 
Un antico specchio dalla cornice brunita rifletteva i timidi raggi della luna, illuminando dei suoi bagliori bianchi un viso dall’espressione malinconica. La superficie riflettente aveva catturato la sua sagoma, restituendo un’immagine che per secoli era rimasta immutata; capelli chiari si arrotondavano in morbide volute del colore del fumo, attorno ad occhi di brace, unico indizio della sua vera età.
Non aveva mai smesso di custodire i sogni preziosi e fragili che il suo sovrano gli aveva affidato; ma da qualche tempo, soltanto i sogni di una persona gli erano cari quanto Elysion stessa. Sfiorò con la punta delle dita la gelida superficie, e questa si increspò come acqua.
Il suo volto venne sostituito da un altro, più sottile, ma amato e rimpianto a lungo, nelle silenziose notti di solitudine.
Lunghe code sinuose seguivano l’andamento della giovane donna che, delicatamente, si chinava a deporre un bacio sulla fronte di una figura pallida, distesa su un altare di cristallo.
La crudele bellezza di quel gesto lo fece vacillare.
« Chibiusa »
 
*
 
C’era una volta una principessa.
Ogni fiaba che si rispetti comincia da qui; ma talvolta capita che la principessa in questione scompaia, lasciando dietro sé soltanto il vuoto.
C’era una volta.
Anche se una volta è un intervallo di tempo vago, sfuggente, irreale. Come se lei non fosse mai davvero esistita, effimera.
Ma io l’avevo vista, l’avevo conosciuta, l’avevo amata.
C’era.
Sì, c’era. Era stata reale, concreta, calda d’amore. Avevo potuto conoscere la dolcezza delle sue mani bianche sulla mia pelle, avevo visto il mio riflesso nello specchio chiaro delle sue iridi azzurre.
Un uomo che non avevo mai visto prima parlava di lei, vestito di scuro. La sua voce rimbombava tra le pareti di cristallo della cattedrale, mentre parlava solenne dal suo pulpito bagnato dei raggi del sole.
Pronunciava una nenia di epiteti, chiamandola amica, moglie, regina, senshi.
Frammenti di lei, pezzi di un puzzle più grande e complesso, dimenticandone uno: madre.
Forse non sarebbe stato il motivo per cui l’avrebbero ricordata e amata nei secoli futuri; non sarebbe stato per questo che avrebbero scritto di lei nei libri di storia. Ma era il motivo per cui io l’avrei ricordata, e amata.
Il vestito nero che indossavo pungeva, soffocava.
Merletti cui non ero abituata lambivano il collo e i polsi, sfregando sulla pelle come una corona di spine.
A lei non sarebbe piaciuto; avrebbe arricciato il suo delicato naso all’insù, piegando i lati della bocca in una graziosa smorfia.
- Chibiusa, è così cupo! Indossane un altro, no?-
Io avrei sbuffato, e lei avrebbe sorriso.
Aveva un modo di sorridere che spezzava il cuore.
E mentre cercavo di non pensare ai nastri che mi seviziavano i capelli, volsi lo sguardo sulle senshi al mio fianco.
Piangeva la bella Minako, la dolce Ami, la combattiva Makoto; persino la guancia di Rei era attraversata da una lacrima solitaria, preziosa e salata d’amore.
Non erano le uniche: nobili più o meno sinceri nascondevano il volto contro fazzoletti di lino bianco, ascoltando silenziosi le parole di quell’uomo irritante che continuava a cianciare di lei, arrogandosi il diritto di giudicare la sua vita, pretendendo di conoscerla; l’aveva definita forte, coraggiosa.
Mi venne da ridere.
E piagnucolona, e goffa.
Ma lui non lo disse, tratteggiando la sua Queen Serenity, non sapendo che in lei c’era molto di più.
Ero stanca; se solo avessi potuto vederla, mi sarei concentrata sul suo viso, dimenticandomi delle parole vuote che risuonavano nella loro eco priva di significato tra le pareti trasparenti della chiesa.
Ma lei era rinchiusa in una bara bianca, ed io non avrei più visto l’oro dei suoi capelli rifulgere al sole.
Avrei voluto piangere.
Ma i miei occhi erano asciutti, aridi.
Rimasi a testa alta durante tutta la celebrazione.
C’era una volta una principessa.
 
*
 
« Mio signore »
Sfiorai con le dita il velluto rosso di una delle mie rose, assaporandone la voluttuosa bellezza.
Prima di voltarmi e affrontare colui che stava disturbando il mio esilio interiore, mi chiesi dove avessi già sentito quella voce, inspiegabilmente fidata.
Riemergeva lenta dalle nebbie della memoria, venata di malinconia, facendo riaffiorare dolorosi ricordi di tempi perduti, in cui Usagi era ancora Usagi, e il mio nome era ancora Mamoru.
Incontrai lo sguardo del ragazzo che aveva parlato; immobile sulla soglia della mia serra di vetro, mi scrutava con quello sguardo antico e segnato da un dolore simile al mio.
Perdita.
« E’ passato molto tempo, Helios »Mormorai.
Lui chinò il capo in cenno d’assenso, e prima ancora di iniziare a chiedermi il perché della sua venuta, sulla punta della lingua conobbi il sapore della risposta.
E’ passato così tanto tempo.
Si avvicinò a me, e senza sciogliere il suo sguardo dal mio si inginocchiò sulla ghiaia.
« Vi ho servito a lungo, mio signore. Ho cercato di adempiere il compito che mi avete affidato, ma adesso non sono più in grado di farlo. Da anni il mio cuore non è più ad Elysion »
Lo disse con franchezza, senza esitazioni.
Mi chiesi quando ero diventato il crudele Endymion che aveva separato Usagi e Mamoru nel passato, per mettere alla prova il loro amore. Mi ero ripromesso che mai più mi sarei sollevato a giudice di sentimenti come l’amore, eppure eccomi ancora una volta lì; avevo allontanato Helios da Chibiusa, contando sull’onore del primo, e sulla tenera età della seconda, curioso dell’influsso del tempo in quel sentimento acerbo.
Chibiusa era solo una bambina, allora.
« Se è quello che vuoi, sei assolto dall’incarico » Affermai, voltandomi ancora una volta verso le mie rose, dal profumo nostalgico di avventure ormai vecchie, che avevano il sapore del racconto.
« Lei è cambiata molto »
Non riuscii a trattenermi dal dirlo, ma Helios era già scomparso, per rivendicare qualcosa che gli era stato promesso.
Sospirai.
Immaginai le braccia bianche di Usagi cingermi la schiena, il suo profumo dissetare i miei polmoni.
Lei non aveva mai dubitato dell’amore.
 
*
 
Poco dopo i funerali mi allontanai dai convenevoli, cercando rifugio nel giardino.
Mi chiesi dove potesse essere mio padre, isolatosi nel proprio dolore, e sentii gli occhi pungere, e nuovamente desiderai poter piangere.
Sola, ero sempre stata sola.
E adesso che lei mi aveva abbandonata, avrei dovuto ricevere il potere dei Cristallo d’argento, lo stesso gioiello che aveva consumato mia madre, e le altre regine prima di lei.
Ad una regina ne succedeva un’altra, stava nell’ordine delle cose. Ad una luna nuova, seguiva un piccolo spicchio, che avrebbe dovuto farsi largo nelle tenebre dello spazio infinito.
Rabbrividii.
Passeggiai a lungo, finchè non mi accomodai su una vecchia sedia a dondolo intrisa di ricordi. Mi accoccolai stringendo al petto le gambe, e chiusi gli occhi.
Non sarei mai stata come mia madre. Non sarei mai stata pura e genuina come lei, non avrei mai posseduto la sua forza di sentimenti. Io, che con quell’abito scuro somigliavo terribilmente alla Lady Nera che non avrei mai voluto essere.
Mi morsi le labbra, e annegai nelle mie lacrime asciutte.
 
*
 
Una luce soffusa da candelabri di bronzo illuminava di bagliori dorati l’ampio salone del Palazzo di Cristallo, dove giovani dame e cavalieri danzavano un valzer silenzioso. Non c’era musica ad accompagnare i loro passi aggraziati, nessuna melodia per quelle mani inguantate di bianco, che si allacciavano e si slacciavano disegnando arabeschi in continua evoluzione. Soltanto il fruscio del tessuto sul pavimento di marmo spezzava quel silenzio, e le maschere dei cavalieri sembravano richiamare un’epoca passata di cui loro non erano che fantasmi.
« Volete ballare, principessa? »
Una voce morbida la raggiunse, e soltanto allora si accorse dell’uomo al suo fianco. Una maschera bianca copriva parte del suo viso, lasciando intravedere solo le belle labbra, piegate in un accenno di sorriso.
« Ma non c’è musica » Rispose, titubante.
Lui le porse la mano, e senza pensare Chibiusa l’afferrò.
Il suo cavaliere la condusse tra le altre coppie, e cingendole la vita con una mano l’avvicinò a sé.
Quando cominciarono a danzare, la musica che fino ad allora era mancata le invase la mente, percuotendo il corpo, lo spirito. Era una melodia delicata, che sembrava provenire dalle pareti, da lei stessa.
« Adesso riesco a sentirla! »Esclamò, gioiosa.
Il ragazzo sorrise, e Chibiusa sentì una morsa allo stomaco, ben poco gradevole, sconosciuta.
Il tenue bagliore delle candele era riflesso dai capelli di lui, così chiari da sembrare bianchi, del colore delle stelle.
« Bisogna solo cambiare prospettiva »Commentò lui, gli occhi del colore della brace morente.
« Siete un principe? »Chiese Chibiusa, e sentì le dita di lui stringersi più forte intorno alle sue.
« No, non lo sono »Rispose.
Uno sconosciuto, dunque.
Ma quelle dita erano così delicate tra le sue, e quegli occhi gentili sembravano risvegliare in lei ricordi sopiti, vecchi desideri, attese infinite.
« Qual è il vostro nome? »
Un’onda di dolore sembrò infrangersi nei suoi occhi, e Chibiusa sentì il desiderio di sollevare la maschera da quel viso.
« Dunque avete dimenticato, principessa? »
Attesa, dolore, sogni divenuti polvere e spazzati dalla corrente, come foglie d’autunno. Come poteva quella voce risvegliare in lei tutto questo?
Sfilò la mano dalla sua presa, e lui si fermò.
Con dita tremanti sciolse i nastri di raso che legavano la maschera al suo viso, e la lasciò cadere.
« Non puoi essere tu »Mormorò.
Sentì lacrime calde premere per uscire.
Lui prese la mano che lei aveva abbandonato ai suoi fianchi, e se la portò alle labbra. Le baciò la punta delle dita, il palmo.
« Potrai mai perdonarmi per averti fatto attendere tanto? »
Il suo respiro le solleticò la pelle.
« Questo è un sogno, vero? »Chiese, cominciando a capire.
Era un’altra illusione. Un sogno meraviglioso dal quale si sarebbe svegliata, che l’avrebbe spezzata.
Lui non rispose, ma le accarezzò i capelli, la guancia, le labbra.
« Se non mi hai dimenticato, al tuo risveglio sarò con te. Ma se è troppo tardi, se c’è qualcun altro, dillo adesso, e giuro che scomparirò dalla tua vita, e dai tuoi sogni »
Profumo di rose, di passato. Sogni che sapevano d’amore, bramosie nascoste, notti passate a rigirarsi tra le lenzuola attorcigliate tra le gambe, cercando di contrastare l’inconsolabile bisogno della sua presenza.
« Prima mia madre, adesso questo »Mormorò Chibiusa, barricandosi dietro al proprio dolore, alla solitudine che l’aveva avvolta.
« Chibiusa, fidati di me »
I suoi occhi trasudavano promesse, e Chibiusa si chiese quanto avrebbe sofferto se le avesse accolte, se per un istante si fosse lasciata andare.
Ma aveva perso troppo.
« Lasciami andare »
Cercò di liberarsi delle sue mani, ma queste si strinsero più forte intorno ai suoi polsi.
« Perdonami, Chibiusa, mio amore »
E fu tra le sue braccia, come aveva desiderato, sognato, pregato.
Le barriere dell’indifferenza e dell’apatia si incrinarono sotto il suo calore, e Chibiusa finalmente seppe di poter piangere.
Strofinò il viso sulle sue vesti bianche, inalando il suo profumo.
E singhiozzò.
Pianse la perdita di sua madre, la paura delle responsabilità, la lontananza di suo padre. E pianse lui, l’unico, il suo amore di bambina che aveva cercato di soffocare, e le attese trascorse col sapore di un bacio sbiadito.
Lui la strinse a sé con tenerezza, baciandole i capelli.
« Non ti lascerò, Chibiusa. Te lo prometto »
Ma lei non rispose.
*
 
Mi svegliai con il sapore del sale sulle labbra.
Mi ero addormentata, e avevo pianto nel sonno; sembrava incredibile che fino ad allora avessi trattenuto le lacrime. Adesso, stranamente spossata, mi sentivo più calma, lucida.
« Ti sei svegliata »
Mi irrigidii al suono di quella voce.
Sentii il suo profumo e il suo calore contro di me, e mi chiesi se dopotutto non fosse un residuo crudele del sogno.
Alzai il capo ad incontrare i suoi occhi, segnati da un’infinita malinconia, profondi d’amore.
« Sei qui »
Aveva mantenuto la parola.
Mi strinse a sé, baciandomi la fronte.
« Avevi bisogno di me »
Il mio orgoglio protestò, ma lo misi a tacere in fretta. Era qui.
« E non te ne andrai più? »
Sentii una piccola trafittura alla base dello stomaco, e mi sentii spaventosamente fragile.
« No, non me ne andrò più »
Mormorò, accarezzandomi il viso, la punta del naso, l’ombra scura sotto gli occhi, ingordo della mia presenza quanto io lo ero della sua.
Un peso che non sapevo di avere sul petto si sollevò, e mi sembrò di potere nuovamente respirare.
« Hai molte cose da farti perdonare »
Commentai, e non potei fare a meno di sorridere, beata di quell’istante di felicità.
Lui sembrò voler dire qualcosa, poi tacque.
Chinò il viso sul mio, e mi baciò, lento, sensuale.
Poi appoggiò la sua fronte contro la mia.
« Ho molto tempo per farlo »
 
**
 
Note: E’ la mia prima storia su questo fandom, ed è chiaramente una schifezza, ma spero di migliorare! xD
Ho notato che ci sono poche storie su questo pairing, e mi è dispiaciuto moltissimo, visto che l’ho sempre adorato..
Spero di avergli reso almeno un po’ di giustizia, e che voi vogliate farmi sapere cosa ne pensate. Un bacio!
   
 
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