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Autore: controcorrente    08/03/2011    15 recensioni
"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." Questa è una nuova storia nella quale trovere una protagonista un po'insolita ma che secondo me merita attenzione. Auguro a chi volesse darci un'occhiata, buona lettura.
STORIA CONCLUSA
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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Benvenuti cari lettori e lettrici. Questa è una nuova storia che ho deciso di scrivere. So di averne molte da portare a termine ma non ho potuto fare diversamente. L'ispirazione è tiranna almeno nel mio caso. Per quanto riguarda le altre storie che ho scritto per questa sezione, sappiate che sto scrivendo il nuovo capitolo per "Il sonno della ragione" che, vi confesso è piuttosto impegnativo.

Il personaggio della fic che state per leggere invece e che svolgerà un ruolo da protagonista è già comparso nella mia raccolta "Maternalia" e generalmente è sempre stato ai margini. Cronologicamente però, posso dire che questo racconto deve collocarsi poco dopo la Presa della Bastiglia. Per quanto riguarda l'età però non mi pronuncio e mi affido alla vostra immaginazione. Ulteriori informazioni le darò alla fine del capitolo. Grazie a tutti e Buona Festa della Donna!

 

LA CANNA E LA QUERCIA

Prologo

Il paesaggio scorreva lentamente davanti ai suoi occhi, un mare di linee dolci ed armoniche, intervallate qua e là da piccoli paesini, di cui ignorava il nome, tanto erano simili gli uni agli altri. Il tempo non era molto favorevole. Diverse nubi si addensavano all'orizzonte, senza che si potesse prevedere se nel giro di qualche ora avrebbe fatto la sua comparsa uno scroscio di pioggia, oppure no. Era tutto molto incerto, come la piega che la sua vita avrebbe avuto da quel momento in poi. Con la mano, scostò leggermente la tendina per poter vedere meglio la campagna silenziosa, ancora immersa nel torpore di Morfeo.

"C'è molto silenzio, madame" osservò una donna giovane e dal fisico morbido, seduta davanti a lei "ma vi prego di non farvi vedere troppo. Non è molto sicuro."

"Se è per questo, Marie" replicò la dama,liberando la finestra da quel velo coprente di stoffa "non sarei nemmeno dovuta venire qua. Sto disobbedendo per la prima volta nella mia vita. Permettimi di godere di questa mia piccola ed insignificante ribellione."

La donna si guardò allora attorno, con fare guardingo, stringendo allo stesso tempo il rosario che teneva tra le mani. Non si sentiva alcun rumore particolare, eppure l'aristocratica poteva vedere la sua accompagnatrice sobbalzare per ogni fruscio, ogni schiamazzo di qualche animale e per qualsiasi altra cosa che potesse turbare il silenzio. Era molto tesa e spaventata.

All'interno della carrozza, risuonavano, come un brusio sommesso, le sue preghiere biascicate in latino, nel tentativo di trovare nella Fede, forse mai avuta, un po' di quella sicurezza che in realtà non possedeva al momento. Troppa era infatti la paura che provava, non senza ragione per giunta. Madame però non prestò più attenzione alle sue parole. La mente era rivolta altrove, immersa nella nebbia del passato che si mescolava alle preoccupazioni presenti. I ricordi della sua vita a Versailles si mischiavano alle terribili notizie degli ultimi avvenimenti di Parigi, che l'avevano spinta a lasciare il suo alloggio.

"Madame" sussurrò improvvisamente la serva, tenendo la testa bassa "pensate che sia stata davvero una buona idea lasciare il convento delle Carmelitane in Normandia?"

"Non posso fare diversamente, Marie" rispose la dama "Rimanere in quel luogo, per quanto pieno di pace e serenità, non era una buona idea. Devo assolutamente tornare a casa. Alcune notti fa, ho avuto uno spiacevole incubo, al quale non riesco a fare a meno di pensare."

"Che cosa vi ha turbato il sonno, madame?" chiese la serva con fervore, un po'per reale curiosità, un po'per non pensare ai pericoli che vedeva in ogni angolo.

L'aristocratica tacque per qualche momento, volgendosi verso la sua accompagnatrice. Sembrava molto giovane e dall'aspetto grazioso: un viso dai tratti quasi fanciulleschi a forma ovale, sul quale erano incastonati due grandi occhi grigi non perfettamente allineati, che le davano un'aria sognante e distratta. Alcuni ciuffi color nocciola uscivano dalla cuffietta che ancora si ostinava a portare, pur non trovandosi più nella serena sicurezza del chiostro. "Marie" fece la dama "sei sicura di voler portare ancora quella cuffia da novizia? Non sei più in convento."

La giovane si bloccò improvvisamente e la tensione che prima attraversava il suo volto scomparve. "Non dovete preoccuparvi per me, Madame. Questo ornamento non mi dispiace e vi confesso che mi sento più sicura indossandolo." mormorò, senza guardarla negli occhi.

L'altra non rispose, limitandosi ad osservarla per qualche istante, poi, senza fare altri commenti, ritornò a contemplare il paesaggio leggermente illuminato dalla nebbia lattiginosa dell'alba. Non le dispiaceva lasciare il convento, dove si era rifugiata, poco dopo la nomina della sua ultimogenita al titolo di Comandante della Guardia Metropolitana di Parigi. Aveva bisogno di riposo e di quiete, elementi che la sfarzosa corte di Versailles non poteva offrirle.

Per questo si era recata in un convento benedettino in Normandia. Là immersa nel clima pacato e immobile della clausura, aveva avuto modo di rilassarsi e riflettere sulla sua vita. Non poteva dire di amare il clima di moderazione e penitenza praticato all'interno dell'ordine, eppure sentiva che quella forzata modestia non poteva farle altro che bene. Aveva vissuto per anni, immersa nel lusso più sfrenato, assistendo impotente alle numerose vicende che avevano scosso il suo mondo e la sua famiglia. Era rimasta per tutto quel tempo testimone passiva delle decisioni prese da altri sulla sua esistenza, senza che lei potesse levare la voce per protestare. Aveva permesso che le sue figlie sposassero uomini a loro estranei, così come era capitato a lei in passato.

A quel pensiero, carico di rassegnazione e fastidio, la dama aggrottò la fronte.

La serva si accorse subito del turbamento della donna che stava davanti a lei ma il naturale riguardo che nutriva da sempre nei confronti di quell'aristocratica dal viso pacato e vagamente triste, le impedì di parlare. Per questo, si limitò a lanciarle uno sguardo fuggevole, prima di ritornare a contemplare la campagna circostante.

"Madame" chiese improvvisamente Marie "quanto manca ancora prima di raggiungere la vostra residenza?"

La dama scrutò pensosa il paesaggio fuori dalla finestra. "Se la memoria non mi inganna, Marie" disse, alzando gli occhi al cielo per vedere il tempo "ancora tre ore."

La serva si aggiustò la cuffia che portava sulla testa e che raccoglieva i suoi capelli. Non le piaceva mostrarli, così come non amava che qualcuno guardasse il suo viso. Sembrava quasi che ne provasse vergogna.

L'altra però sembrava non volerle domandare il perché di un simile comportamento. Non era un suo compito. Aveva imparato dalla vita che esistevano dei limiti oltre il quale non era lecito andare, fossero convenzioni sociali, morali o naturali. Era una verità alla quale si era subito dovuta adeguare e, se non aveva mai fatto troppe storie a riguardo, ciò era dovuto al suo carattere profondamente flessibile che le permetteva di adattarsi subito alla nuova situazione. Il silenzio, per nulla forzato e tutto sommato consono al carattere delle due viaggiatrici, iniziò dopo qualche tempo a starle stretto. In circostanze normali, avrebbe resistito stoicamente a questa quiete ma non in quel momento: troppe erano le preoccupazioni che la stavano affliggendo per poterle permettere di mantenere quello stato di cose.

Per questo, senza che la serva lo chiedesse, iniziò a parlare.

"Alcune notti fa" fece la donna "ho fatto un sogno. Ero nella casa di mio marito, da sola. Non so dirti come vi entrai ma, come spesso accade, le vie del sogno sono qualcosa di impossibile da spiegare razionalmente. Prima di iniziare a raccontarti della causa del mio turbamento però, vorrei chiederti se te la senti di ascoltare quanto sto per riferirti. Non vorrei arrecarti disturbo, dal momento che durante la mia permanenza in convento ho potuto godere della tua compagnia, forse approfittandone senza volerlo."

Marie depose il rosario che teneva tra le mani, con gesti delicati, frutto dell'abitudine. Osservò la dama di fronte a sé, studiandone i tratti. Pur non essendo più giovanissima, era ancora piuttosto gradevole d'aspetto. Nemmeno il severo abito color cenere che indossava, riusciva a guastare i lineamenti raffinati e gentili.

Spostò allora la sua attenzione sugli occhi, come era solita fare. Aveva il vizio di fissare gli estranei negli occhi, contravvenendo alla buona educazione che la badessa e le altre religiose le impartivano severamente. Le iridi erano lo specchio dell'anima, o almeno così aveva sentito dire, e quelli di madame erano chiari e limpidi, dotati di una sincerità talmente disarmante che la proprietaria era spesso e volentieri costretta a nasconderli, abbassando il volto. Inspiegabilmente, provò una strana inquietudine: quell'azzurro era così trasparente da renderle possibile vedere tutti i turbamenti soffocati presenti e passati,della donna che le stava davanti in una posa composta ed elegante.

"N-no, Madame" disse leggermente a disagio e con gli occhi fissi a terra "voi...voi non mi disturbate. E'un onore per me...un onore che voi mi rendiate partecipe delle vostre confidenze"

La dama sorrise, vedendola così impacciata. Marie era una ragazza molto timida e modesta che si sentiva a disagio nell' interagire con il prossimo. Quando si trovava in difficoltà, iniziava subito a balbettare, non riuscendo ad alzare lo sguardo dal pavimento. Le monache criticavano questo suo difetto ed erano convinte che una ferrea disciplina potesse correggere un simile tratto. Le percosse, gli ammonimenti e i digiuni forzati tuttavia non facevano altro che aggravare l'insicurezza cronica della giovane che spesso e volentieri preferiva il silenzio alle parole.

Forse aveva fatto bene a chiedere alla badessa di portarla con sé.

Marie non usciva dal convento da quasi undici anni e doveva vedere il mondo, prima di poter pronunciare i voti, giuramento che ancora non si era decisa a fare. Ogni volta, infatti, quando era sul punto di abbracciare la vita monastica, ritornava sui suoi passi, con gran disperazione e fastidio da parte delle monache. Si chiedevano che cosa aspettasse a diventare suora. Non aveva più nessuno al mondo ed era povera, quindi il velo appariva agli occhi delle religiose, l'unica strada dignitosa possibile. Poiché la ragazza non aveva ancora espresso la decisione di consacrare la sua vita a Dio però, era stata impiegata nello svolgere gli incarichi più umili, affinché non fosse solo una bocca in più da sfamare.

Madame l'aveva incontrata durante il suo soggiorno. La ragazza era intenta a prendersi cura delle piante officinali mentre l'aristocratica era uscita nell'orticello del convento per prendere una boccata d'aria pulita, convinta che il clima salubre della Normandia potesse giovare alla sua salute. Iniziarono casualmente a conversare sulle proprietà dei vegetali coltivati in quel fazzoletto di terra e da quel momento passarono molto tempo insieme. Si era così abituata alla sua presenza silenziosa da non averci pensato due volte a chiedere, o meglio pretendere, dalla badessa il permesso di portarla con sé. La guida del convento, da parte sua, non aveva rifiutato la sua richiesta, anzi. Non aveva smesso di sorridere mentre dichiarava di essere disposta a provvedere per la preparazione di tutto l'occorrente per il viaggio.

Tutta quella generosità mise in allarme la dama e le fece capire quanto in realtà quella giovane fosse poco accetta dalle suore. In fondo, pensò con un sorriso sarcastico, non aveva vissuto tutta la vita a Versailles ignorando le nobili arti dell'ipocrisia e della dissimulazione. Lei stessa, dietro la facciata docile, era in grado di riconoscere a pelle la menzogna dalla verità.

Naturalmente, non poteva dire di non essere rimasta delusa da quella suora. Credeva scioccamente che, lontano da Versailles, vi fosse meno egoismo ma si sbagliava. Forse era un male innato negli uomini, impossibile da debellare completamente e dal quale non era possibile fuggire, nascondendosi dietro una semplice cinta di pietra o una tonaca religiosa.

A quel pensiero non poté fare a meno di sospirare rassegnata.

"Sai Marie" disse improvvisamente "quando ho lasciato il convento ero piena di nuovi propositi, eppure non posso fare a meno di avere paura."

La ragazza la guardò perplessa, invitandola tacitamente a continuare.

"Mi chiedo" disse la dama esitante "mi chiedo se...se lui sia ancora lì ad aspettarmi e se sia disposto ad ascoltare le mie parole. Per tutta la vita, non ha fatto altro che trincerarsi dietro le sue convinzioni ed io non ho potuto fare nulla per aiutarlo. Spesso non so di cosa sentirmi più in colpa, se della mia incapacità di oppormi o della paura di andare contro le regole."

Marie gettò un'occhiata al cielo. Non accennava a rasserenarsi ma non sembrava così prossimo alla pioggia. Con un po'di fortuna, avrebbero raggiunto la loro destinazione senza bagnarsi.

"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." disse pacata.

La dama a quelle parole rimase in silenzio.

Non sapeva che cosa dire, era confusa.

Il discorso di Marie però la rincuorava. Forse non era tutto vero quanto aveva appena detto, eppure non era così difficile credere il contrario. In fondo, le ultime vicende avevano messo in crisi molte sue convinzioni, tanto da renderla incerta, indecisa sul credere o meno a quanto aveva ritenuto inoppugnabile fino ad allora. Paradossalmente la mancanza di sicurezze rafforzò i suoi progetti e quella nuova determinazione che giorno dopo giorno era sbocciata in lei.

Sì, doveva tentare.

Questo è il primo capitolo della storia. Francamente non so se vi piacerà ma fatemi comunque sapere cosa ne pensate. Immagino vi starete chiedendo chi sia questa donna...vi ho dato qualche indizio ma la vedrete più chiaramente nel prossimo capitolo. Il titolo si ispira all'omonima favola del La Fontaine e, per la cronaca, sappiate che anche se non sembra, questa fic parla di Lady Oscar. Vi ringrazio per aver letto le mie storie e per la gentilezza e pazienza con cui seguite queste mie follie scrittorie.

Auguro nuovamente a tutte Buona Festa della Donna!

cicina

   
 
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