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Autore: Gringoire    13/03/2011    9 recensioni
Vide la mamma avvicinarsi, come sempre, tenendo fra le dita una delle sue sigarette alla menta.
Sospirò rassegnato, osservando i cocci di vetro a terra. Non aveva fatto apposta a rompere il vaso, ma lei non lo avrebbe ascoltato, come tutte le altre volte.
Alzò la maglietta, vedendo la donna a pochi passi da lui.
Se la portò sulla testa. Dopo tutti quegli anni aveva capito come nasconderle le lacrime ed evitare così la doppia punizione.
Si morse il labbro quando, dallo specchio, la vide allungare la mano. Portò la maglia a coprirgli completamente il viso. Era pronto. Quella volta sarebbe riuscito a non urlare e forse anche a non piangere.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1. O'children

Boulevard of broken dreams

1 – O’children

Vide la mamma avvicinarsi, come sempre, tenendo fra le dita una delle sue sigarette alla menta.
Sospirò rassegnato, osservando i cocci di vetro a terra. Non aveva fatto apposta a rompere il vaso, ma lei non lo avrebbe ascoltato, come tutte le altre volte.
Alzò la maglietta, vedendo la donna a pochi passi da lui.
Se la portò sulla testa. Dopo tutti quegli anni aveva capito come nasconderle le lacrime ed evitare così la doppia punizione.
Si morse il labbro quando, dallo specchio, la vide allungare la mano. Portò la maglia a coprirgli completamente il viso. Era pronto. Quella volta sarebbe riuscito a non urlare e forse anche a non piangere.
Sussultò violentemente quando la mano di sua madre, dalle unghie laccate, gli strinse il fianco per impedirgli di muoversi.
E poi lo sentì.
Il fuoco gli bruciava la schiena, penetrandogli nelle viscere e portandogli via gli ultimi residui dell’infanzia come una colata di lava distruttiva.
Si morse a sangue il labbro, già costellato di cicatrici. Non doveva urlare. Non doveva assolutamente.
Gli sembrò che quella tortura durasse secoli, ma finalmente quella mano gli abbandonò il fianco, lasciandolo libero di fuggire in camera. Non si preoccupò nemmeno di abbassare la maglietta, permise a malapena agli occhi di sbirciare dal bordo del colletto per evitare di rompere qualcos’altro ed ottenere una nuova punizione. La sua schiena ne era già costellata a colpa della sua maledettissima goffaggine.
Chiuse la porta della stanza alle sue spalle e si sfilò lentamente la maglia, rabbrividendo dal dolore quando il tessuto ruvido gli sfiorò il livido fresco appena dietro la spalla, dove nessuno poteva notarlo per sbaglio. Li sceglieva bene i posti dove ferirlo. La schiena in particolare era la zona preferita, ma quando combinava qualcosa di grosso poteva arrivare a ferirlo anche sulle braccia, le gambe – l’inguine particolarmente, diceva che poteva sentire meglio il dolore in un posto tanto delicato -, il busto. Un paio di volte in viso, costringendolo ad inventarsi una caduta dalle scale particolarmente violenta.
Ma le sue punizioni preferite rimanevano sempre le bruciature di sigaretta. O sigaro. O qualunque cosa infuocata.
Si portò davanti allo specchio come ogni volta che lo feriva alla schiena, a fare la stima dei danni.
Quasi non sentiva nemmeno più il dolore atroce che aveva provato la prima volta. Talmente intenso da fargli desiderare di morire.
A otto anni.
Trovò la nuova bruciatura, rosso ardente, sotto alla scapola destra, lontana un paio di centimetri da quella di sigaro risalente ad un paio di settimane prima, quando aveva sporcato il tappetino d’ingresso di fango.
Era stata una giornata orribile, quella. Aveva piovuto ininterrottamente per quasi due giorni e a scuola i compagni gli avevano rubato le scarpe di ricambio, così che, giunto a casa bagnato fradicio – “Un po’ d’acqua non ti farà certo male.” Gli aveva risposto sua madre la prima ed unica volta che le aveva chiesto un ombrello – e pieno di fango fino nei capelli, non aveva potuto indossare le scarpe pulite per entrare in casa.
Aveva provato ad entrare in punta di piedi, muovendosi il meno velocemente possibile per evitare che anche una minuscola goccia di fango cadesse sul pavimento immacolato.
Ma la fortuna non era dalla sua parte.
La cagnetta di sua madre era sbucata all’improvviso, azzannandogli come solito il polpaccio e facendolo inciampare e finire lungo disteso.
Aveva avuto paura persino a muoversi ed era rimasto fermo là, tremando come una foglia, finchè sua madre ed il suo nuovo fidanzato – “E’ molto ricco, tesoro. Cosa ne dici di chiamarlo papà?” – non erano accorsi.
Il sigaro di lui – forse il più grosso che avesse mai visto – gli era penetrato a fondo nella pelle, facendolo gridare come non mai.
Ma fortunatamente era riuscito a non piangere. Se solo sua madre si fosse accorta di una lacrima, per quanto piccola e ben nascosta, le bruciature sarebbero moltiplicate immediatamente.
“La vita fa schifo, Jude. Devi imparare a sopportare il dolore, gli uomini non piangono.” Lo ammoniva ogni volta, prima di lasciargli un nuovo segno.
Sgattaiolò in bagno e si chiuse a chiave, pregando che sua madre non lo avesse visto.
Non voleva – e a ragione - che andasse in giro senza maglia, chiunque avrebbe potuto vederlo. Notare le cicatrici, i lividi, le bruciature che aveva sul corpo.
Strappò un paio di pezzetti di carta igienica e li bagnò sotto al rubinetto. Torse leggermente il busto fino a riuscire ad osservare il punto ferito nello specchio a figura intera appeso alla porta. Allungò il braccio il più possibile, arrivando a sfiorare con la pezza bagnata la bruciatura fresca.
Strizzò gli occhi.
Non era doloroso come appena fatto, ma non era nemmeno piacevole.
La inumidì completamente, dopodiché gettò i residui di carta nel water e tirò lo sciacquone.
Rinfilò la maglia, di nuovo cercando di non sfiorare la ferita fresca e serrando gli occhi dal dolore quando invece il tessuto, quasi beffandosi delle sue paure, gli strisciò pesantemente sulla bruciatura.
Sapeva di meritarsi ogni singola punizione, ma diamine, quanto faceva male.
Aprì lentamente la porta del bagno, tentennando, sperando che sua madre non fosse appostata lì fuori, testimone oculare del fatto che avesse percorso il corridoio a petto nudo e quindi pronta ad un nuovo rimprovero. Per una volta, la fortuna lo strinse tra le sue braccia effimere, mostrandogli una via di fuga completamente libera.
Ritornò in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Si guardò attorno, in cerca di un modo per passare il tempo quantomeno fino a lunedì, fino al suo ritorno a scuola. I compiti li aveva fatti quella mattina, quando si era svegliato, qualche minuto prima del sorgere del sole. La notte soffriva di incubi tremendi, non appena riusciva a svegliarsi fuggiva dal letto, da quella stretta che rappresentavano i lenzuoli e le coperte. Aveva paura del giorno in cui non si sarebbe risvegliato da quegli incubi che gli facevano trattenere il fiato, che gli impedivano di riaprire gli occhi.
Trovò il libro che aveva preso in prestito dalla biblioteca tra il diario ed il quaderno di matematica, nascosto perché sua madre non lo vedesse e, in un impeto di pazzia, lo gettasse nel cestino. Lo estrasse dal suo rifugio, cercando di non far crollare i libri sopra al diario e ritornò con la mente al mattino precedente, in cerca del segno.
Pagina 112.
Lo aprì e provò a stendersi sul letto, ma rimanere sdraiato di schiena in quella condizione era una cosa impossibile e si voltò di pancia.
Riuscì a leggere appena un paio di pagine prima di sentire la porta della stanza di sua madre sbattere e le molle del letto cigolare sotto il suo peso. Doveva essere arrivato il suo fidanzato.
Sospirando rassegnato chiuse il libro – pagina 115, cercò di tenere a mente – e lo mise di lato, portando le mani a coprirsi le orecchie. L’ultima volta aveva sentito ogni cosa e le urla di piacere di sua madre erano il ricordo che nessun bambino vorrebbe avere.
Prese a fissare l’orologio sul comodino, seguendo con lo sguardo il ticchettare della lancetta dei secondi, sperando che girasse più in fretta.

 

 

Spazio autrice:
Una nuova long, già ._.
Aspettate almeno il prossimo capitolo, prima di uccidermi per averne cominciata un’altra, per favore T____T
Comunque *mette le mani avanti, in caso* ho già un paio di capitoli pronti ed un’ispirazione folle, perciò spero di non farvi dannare per gli aggiornamenti e, per dimostrare il fatto che vengo in pace, a breve arriverà anche un nuovo capitolo di Lollolandia, perciò risparmiatemi, grazie ù_ù
Dimenticavo: il titolo della fic è preso – come immagino tutte saprete – dalla canzone dei Green Day, anche se la versione che ho usato e che, siete pregate di non etichettarmi come eretica, mi piace di più, è quella dei Gregorian; mentre il titolo del capitolo è preso dall’omonima canzone di Nick Cave, presente anche in Harry Potter. Se riuscite ascoltatevele entrambe, meritano *O*
Direi che ho detto tutto ù_ù
A presto.

-J

   
 
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