Dunque, da dove esce questa shot?
Bella domanda.xD
Fondamentalmente è stato un flash. Un'immagine che mi ha
martellata per giorni, fino a che non ho deciso di buttarci giù qualche
riga...! Ho cambiato tante cose in fieri e altre ne ho aggiunte, ma infine
eccola qui. Oltre al capitolo di Gabrielle, questa settimana di vacanza mi ha
dato modo di riuscire a sfornare anche un altro paio di cose che avevo in serbo
da tempo.*w* *si sente operosa*
Perciò, dopo una discreta dose di fatica, eccola qui. Come
sempre a me non convince e potrei trovarci mille errori per ogni volta che la
rileggo, ma spero siano solo le mie paranoie da fanwriter.xD
Non c'è molto più da dire, credo.x3 Solo augurarvi buona
lettura e sperare in tanti bei commenti.♥
Mar :3
I promise you
there will come a day...
Butterfly Fly Away.
(Butterfly
- Filastrocca)
Le
notti a Dallas profumavano di vaniglia, in quel periodo dell'anno. L'aria era
calda e dolciastra sulla pelle, premeva i vestiti addosso e scompigliava appena
i capelli. Nicholas pizzicò le corde della sua vecchia acustica, tamburellando
appena sulla superficie ormai consunta: c'erano dei piccoli graffi sul legno e
la copertura era scollata, proprio vicino al manico.
-
Soffri anche tu gli acciacchi dell'età, eh, Calliope..? - Piegò le labbra
morbide in un piccolo sorriso, mentre immagini sfocate di troppi anni prima
correvano nella sua mente.
Il
sole era rosso - di quel rosso intenso che ricordava di aver visto solo in
Texas - anche allora, disegnava la stessa lunga parabola sopra il tetto di
ghisa e spariva giù, oltre la siepe incolta. I grilli frinivano allo stesso
modo: li guardava saltare con i suoi grandi occhi di bimbo, mentre Joe
scorrazzava sul prato nel goffo tentativo di acchiapparli al volo. Kevin,
invece, era silenzioso. Seduto su quella veranda bianca, con la chitarra fra le
mani ed un libro di spartiti aperto sulle gambe... Aveva smesso di suonare e si
passava le dita fra i ciuffi piastrati che gli davano
quell'aria così buffa. Nick ricordava
bene come si era alzato in piedi - scavalcando veloce le ginocchia sbucciate di
Joseph, di nuovo a terra - e lo aveva raggiunto. Posandogli delicatamente lo
strumento fra le mani.
Paul
aveva regalato al figlio maggiore una Gibson
bianca nuova di zecca, esattamente il giorno dopo: Kev
si era diplomato alla scuola media con ottimi voti da nemmeno un mese e
meritava un premio. Ma a Nicholas non importava della nuova arrivata - non si
incapricciava come Joe, perchè gli fosse concesso di
strimpellarla -, lui aveva quella bella acustica di legno rossiccio con cui suo
fratello aveva imparato a suonare. E che ora era tutta sua.
-
Che razza di nome è "Callipsope"...?-
-
Lascia perdere. -
Joe
aveva arricciato il naso ed era scoppiato in quella sua risata sguaiata, senza
nemmeno accorgersi del suo sciocco errore.
- Ce ne
siamo passate tante insieme, io e te. - Mormorò, prima di provare un accordo.
La
cassa echeggiava di un suono limpido, anche dopo anni. Accelerò il ritmo e
chiuse gli occhi: si lasciò guidare dalla musica, abbandonandocisi
come aveva sempre fatto... Il tempo perdeva di consistenza e sembrava fermarsi,
poi scorrere veloce. La sensazione di vuoto fu improvvisa. Le ciglia morbide vibrarono contro la guancia un
momento più a lungo del previsto, gli occhi faticarono ad aprirsi e mettere a
fuoco i ciuffi d'erba irregolare. Le dita della mano sinistra abbandonarono le
corde e si piantarono con forza sul gradino bianco, a fare da leva.
- Merda...! - Il mondo vorticava come
impazzito, troppo veloce. Respira,
Nicholas. Respira.
Un
minuto, o forse un millennio dopo, la staccionata sbieca della villetta accanto
riacquistò i suoi contorni regolari e vividi. Si rimise dritto e lasciò cadere
la chitarra sul prato umido: Calliope si lamentò con
un cupo rimbombo scordato, ma in quel momento Nick non poteva. Sentiva ancora la gola bruciare ed il respiro faticare a
tornare regolare. Si morse il labbro: era parecchio che non aveva quelle
vertigini. Faceva caldo, la t-shirt verde bottiglia era appiccicata alla sua
schiena e i jeans strappati al ginocchio grattavano fastidiosamente addosso. Si
torturò un ricciolo scomposto sulla fronte: chiunque si sarebbe sentito
indebolito, con un clima del genere. Nulla di cui preoccuparsi...! Non più del solito. Sospirò ed allungò la mano in
direzione dello strumento, ma un guizzo bianco lo bloccò, attirando
improvvisamente la sua attenzione. Si congelò in quella medesima posizione e
strizzò un poco gli occhi.
- Ehi.
- Gli angoli delle sue labbra si piegarono appena verso l'alto, mentre
inquadrava il profilo familiare di un paio d'ali dalle esili venature bianche e
nere.
La
piccola farfalla a puntini scuri svolazzò a pochi millimetri dal suo naso,
prima di andare coraggiosamente a posarglisi sul
dorso della mano. La osservò e corrucciò leggermente le sopracciglia: fletteva
appena le punte delle ali, ma rimaneva immobile. E dire che - forte delle sue
dimensioni decisamente vantaggiose - avrebbe potuto farle qualsiasi cosa: scontro impari, si disse. Ma non aveva
alcuna cattiva intenzione, nei confronti di quella creaturina.
Il suo
cervello scattò nuovamente all'indietro, come una specie di assurdo flasback, ma si
fermò all'inverno dei suoi tredici anni - quel
fottuto inverno -, nel giorno del compleanno di Kevin*.
C'era trambusto in casa: al piano di sotto una decina di liceali si era accampata
sui divani bianchi di Denise con grossi bicchieri di carta ed un mucchio di
chiacchiere rumorose, mentre l'impianto stereo diffondeva un pezzo rock piuttosto
soft. I bassi ronzavano ritmati attraverso il pavimento e solleticavano le
orecchie di Nicholas, sdraiato sulle lenzuola fresche di bucato. Cacciò via il
plaid blu scuro e lo accartocciò coi piedi nudi contro la sponda del letto. Pizzicava.
-
Come stai, microbo?-
Joe
ficcò la testa oltre la porta socchiusa e ghignò nella sua direzione, prima di
avvicinarsi. Saltò sul piumone stropicciato e gli si allungò accanto, fissando
Nick con aria fin troppo convinta. Il fratellino avrebbe voluto obbiettare che
- secondo i suoi calcoli - non avrebbe dovuto stare lì, ma di sotto. A
piantonare la madre, nel tentativo di strapparle per sfinimento il permesso di
partecipare alla festa... Ma, in un primo momento si limitò a farsi un po' da
parte, in modo che stessero entra mbi comodi.
- Credevo
volessi stare coi "grandi". -
-
Quella Lilibeth era già pazza di me!
Eravamo praticamente già sposati. Ma, sai,
credo che Kevin abbia una specie di cotta per lei.
E'
pur sempre il suo compleanno: non ho voluto umiliarlo...!-
-
Immagino. -
Scoppiarono
a ridere, mentre Joseph biascicava qualcosa su come, poco prima di andarsene,
stava stabilendo se "Arthur"
fosse un buon nome per il primogenito. Tradotto ad una visione più semplice e
realistica delle cose, Kevin doveva averlo sbattuto fuori - prima che mettesse
in ridicolo entrambi, facendo il cascamorto con le sue compagne di classe toppo
più grandi di lui. E comunque erano due giorni che suo fratello non lo perdeva
d'occhio per più di una mezz'ora consecutiva... Sembrava come avesse maturato
improvvisamente un'insana, folle paura di vederselo sparire sotto il naso da un
momento all'altro: Joe era un concentrato di adrenalina pura, un movimento
perpetuo e la malattia - in qualsiasi forma - gli faceva terrore, davvero. In ospedale era stato - se possibile - ancora più
pallido e nauseato di lui, che era quello bloccato a letto con una sfilza di
tubicini piantati addosso. A Joseph serviva tempo. Per accettare e per cancellarsi dagli occhi quella umida sfumatura cupa,
ogni volta che lo guardava.
- Cos'è...?
-
-
Ma non lo so. Frankie deve averlo lasciato in giro. -
Fissò
la vecchia spilla saltare fra le dita agili di Joe. La lanciava ritmicamente
verso l'alto per poi riprenderla al volo, con un sordo rimbalzare di paillettes
l'una contro l'altra. Per un momento lo sfiorò il ricordo di un sè stesso più piccolo e paffuto che stringeva il gioiello
fra le mani e scrutava la luce guizzare sulla superficie cesellata. Doveva
essere stato di Denise, prima che il gancio sul retro si spezzasse e diventasse
un giocattolo buffo.
- Le
farfalle sono tristi. -
Strinse
le labbra, tornando a guardare la farfalla - quella vera - poggiata sul suo
polso. Le estremità delle ali luccicavano proprio come quella clip. Bianco e
nero, screziato di blu. Non solo suo fratello, tutti trovavano quegli animali
incredibilmente belli, quanto infelici: era come guardare una ragazza splendida
- la più incantevole, piena di vita e di prospettive che si possa immaginare -
con la consapevolezza che poi sarebbe svanita nel buio della notte, per sempre.
- Non
è vero. -
-
Non fanno quasi in tempo a vivere... A vedere davvero il mondo. -
Il
problema era che le persone - spaventate, superficiali - riuscivano a vederne
solo la fine: avere una prospettiva
di esistenza circoscritta nel tempo faceva tanta paura. Schiantava addosso la certezza
di avere dei limiti. Di non poter
fare tutto. Per Nicholas era diverso: non osservava quella farfalla da fuori,
lui era quella farfalla. Forse per
questo non giudicava, la malattia gli aveva insegnato a guardare la vita in
modo differente. Nemmeno lui sapeva quanto a lungo sarebbe durato il suo giorno,
ma potenzialmente poteva terminare in qualunque momento... Per questo, lui
doveva volare. Volare e non fermarsi.
-
Il cielo è grande, tu ed io lo sappiamo bene. - Sorrise, prima di raccogliere
delicatamente l'insetto fra i palmi socchiusi l'uno sull'altro.
La
lasciò scivolare, senza quasi sfiorarla: una volta Denise gli aveva raccontato
che - secondo una vecchia leggenda - se qualcuno toccava le ali ad una farfalla,
quella non poteva più spiccare il volo. Era come una condanna e diceria o meno,
da quel momento in poi ci era sempre stato molto attento. Si alzò, tenendo ben
ferme le mani e alzò lo sguardo alle nuvole.
- Però
assaporano l'esistenza fino in fondo. Hanno un motivo reale, per dire
"grazie". -
Nick
era sempre stato un bambino riflessivo, di pensiero svelto e occhio acuto. Fin
da piccolissimo, aveva imparato a non fermarsi all'apparenza delle cose, lui ci
rifletteva su fino al punto di consumarsi i pensieri, pur di capire. Ecco perchè
Non gli importava di avere un limite che agli altri non era imposto, non aveva
paura di morire. Invece era grato di essere, in qualche modo, costretto a non
trascurare mai niente. Lui esercitava
quel suo sguardo diverso e più profondo su ogni cosa e se lo teneva stretto,
come il più incredibile dei privilegi.
Nick era pieno di speranze... sogni, idee, talento
così come poteva esserlo un meraviglioso ragazzo di diciotto anni con sottili
iridi color mogano e una cascata di setosi ricci scuri. Nella sua perfetta
imperfezione, aveva tanto da donare alla vita. E la vita aveva tanto da dargli
in cambio. Nick non poteva rimanere fermo a terra, c'era un cielo immenso solo
per lui.
- Non
puoi perdere più di così. - Mormorò, sorridendo appena.
Dischiuse
le dita e diede una piccola spinta verso l'alto alla farfalla. Quella svolazzò
placidamente nell'aria immobile poi sparì, all'inseguimento di un riflesso
lontano, quasi fosse essa stessa un pensiero appena nato e già libero. Tornò a
sedersi sul portico e poggiò delicatamente la chitarra agli scalini. Abbandonò
la spalla contro uno dei pilastri, sfregando la fronte calda sul legno. Era
stanco e - improvvisamente - le palpebre erano diventate troppo pesanti, le
ombre troppo difficili da mettere a fuoco. Strinse le labbra in un mugolio
silenzioso e lasciò che il suo respiro si acquietasse. Il chiasso di freni
sulla ghiaia del vialetto e le voci concitate dei suoi fratelli gli arrivarono
come un eco lontano, gli strapparono un sorriso quasi incosciente... Sentiva
già Joe correre rumorosamente nell'erba.
- Ehi,
Nicky, guarda qui! Ho preso un grillo...! -