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Autore: Mayo Samurai    15/03/2011    12 recensioni
Tutti noi abbiamo un angelo custode, che veglia su di noi, che prega per noi.
E anche se non ne siamo a conoscenza o non ci crediamo, lui c’è e continua ad osservarci e a proteggerci.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alfred si svegliò lentamente.
Aprì un occhio e poi l’altro, tranquillamente, mentre stirava le gambe intorpidite e le braccia si stendevano ritte ai lati, verso la parete.
Poggiò il braccio sinistro sul materasso con la sensazione di dover incontrare qualcosa, prima delle lenzuola. Rimase perplesso quando non percepì l’ostacolo, si voltò, trovando il letto vuoto.
E che voleva trovarci?
Sbatté gli occhi confuso, perché aveva pensato che ci fosse qualcuno?
Si mise a sedere, guardando fuori dalla finestra, come se potesse dargli una risposta, ma di nuovo, non c’era nessuno.
Guardò la sveglia: ”8:16” lesse a sé stesso, per poi riguardare con più attenzione i numerini, sbigottito.
Ma da quando si svegliava così presto!? Era in vacanza!
Boccheggiando si alzò, per verificare che non fosse finito in un’altra dimensione.
Sbirciò nella stanza degli zii, trovandola vuota come doveva essere, leggermente rilassato andò in cucina, per guardare il calendario.
“12 Giugno.”
Sospirò sollevato, non sembrava fosse cambiato nulla.
Si preparò la colazione, dopo qualche secondo di smarrimento, nell’attesa che arrivasse qualcuno a prepararla. Si cambiò in fretta come se ci fosse qualcuno che lo aspettava.
Arrivò davanti alla porta di casa con chiavi, cellulare, soldi e I-pod, ma nessun programma.
E ora?
Che fare?
Si sentiva un po’ solo, anche più delle altre estati.
Solitamente usciva con gli amici, tentava di andare a trovare Matthew (soldi e organizzazione, mancavano, per non parlare del coraggio), o passava le giornate per la città, bighellonando annoiato.
Sospirò per l’ennesima volta e decise di uscire lo stesso, magari avrebbe incontrato qualcuno.
 
 
 
A metà mattina si sedette al tavolino di un bar.
Accaldato e annoiato sbuffò, accasciandosi sul piano di fresco metallo del tavolo.
Si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi, una luce così forte per i suoi occhi chiari era una tortura. Mugolò infastidito e quando abbassò le mani, dopo un battito di ciglia, scorse una figura candida di fronte a sé.
Stordito sbatté gli occhi di nuovo, ma non c’era nessuno.
Si mise gli occhiali e spaesato si guardò attorno, nella speranza di vederla ancora, sembrava così vera poco prima…
Si alzò senza nemmeno ordinare e notò che sulla sedia accanto c’era una piccola piuma.
La prese e sentì che era tiepida, sembrava fremere tra le sue dita. Rimase pochi secondi in contemplazione, poi, con un gesto veloce se la mise in tasca.
Continuò a bighellonare per la città senza incontrare nessuno e continuando a guardarsi attorno, sperando di rincontrare la figura bianca.
“magari è un alieno!” pensò mentre addentava il pranzo.
Verso le due tornò a casa, il sole di mezzogiorno lo aveva cotto abbastanza, frastornato si ficcò sotto la doccia fredda, rilassando i muscoli accaldati e il cervello affaticato.
Si lasciò cadere sul letto, con i capelli ancora umidi, e sospirò pesantemente, annoiato al massimo.
Rimase immobile mentre fissava fuori dalla finestra, scrutando il cielo, come se da un momento all’altro dovesse apparire un UFO.
E senza accorgersene si addormentò.
Sognò di trovarsi in una stanza scura, completamente nera. Si guardò attorno spaesato, dove si trovava?
All’improvviso scorse tre figure che lo guardavano amorevolmente, riconobbe i suoi genitori  e suoi fratello, ancora giovani, come l’ultima volta che li aveva visti.
Fece un passo verso di loro, tendendo le braccia, ma quelli rimasero immobili, sorridendo.
Cominciò a correre, cercando di raggiungerli, ma ogni passo diventava sempre più corto e si accorse che il suo corpo era rimpicciolito, fino a ritornare alle dimensioni di quando aveva sei anni.
Osservò spaventato le mani paffute e i piedini scalzi, alzò lo sguardo e notò con terrore che la sua famiglia era scomparsa.
“mamma? Papà? Matthew? D-dove siete?” pigolò facendo qualche passo.
A un certo punto vide qualcos’altro e si avvicinò.
Vide con stupore che si trattavano di ali, grandi, belle e gonfie di piume, incuriosito si avvicinò, dietro doveva esserci qualcuno, sentiva un debole respiro e si muovevano dolcemente.
Le sfiorò, ma non appena le sue piccole mani vennero a contato con le piume, quelle cominciarono a cadere e a vorticare attorno a lui, impaurito si mise le braccia davanti al viso, per coprirlo, tentò di urlare ma il timore che le piume gli finissero in bocca gliela fece tener ben chiusa.
Inciampò nei suoi stessi passi e cadde.
Si svegliò di soprassalto, con la sensazione di cadere ancora addosso.
Si resettò i capelli e notò, oltre che era pomeriggio inoltrato, che tra le mani stringeva una piccola piuma.

Passò il resto del pomeriggio a guardare film su film, senza seguirli veramente, la sua attenzione era riservata alle piccole piume che aveva messo in un barattolo, per paura che volassero via col minimo movimento.
Quando le mise sulla scrivania, prima di andare a dormire, si accorse che brillavano al buoi e gli facevano da lanterna.
Il giorno seguente si sentiva carico e sereno, scoccò un’occhiata alle piume, al sicuro dentro al barattolo, e scese per fare una veloce colazione e fiondarsi fuori, alla ricerca di quella strana figura che lo tormentava.
 


Prima tappa: Central Park.
Teoricamente non aveva nessuna meta, ci era finito lì trasportato dai suoi piedi, quasi contro la sua volontà.
Si inoltrò tra le vie alberate del parco guardandosi in giro insistentemente, non credeva che trovare una persona, almeno così gli sembrava che fosse, in mezzo a New York fosse semplice, ma ci volle provare lo stesso.
Fece un giro molto strano, passò davanti alla maggior parte dei musei del parco, statue o sculture, rimanendo a guardarle anche per qualche minuto, tentando di ricordare qualcosa.
Percorse il parco in lungo e in largo, scrutando attorno con meticolosità, avendo timore che ogni minimo particolare potesse sfuggirgli.
Per pranzo si fermò al ristorante di Feliciano e Lovino, dove chiese ai due fratelli se avessero visto aggirarsi per il parco, magari di sera, una figura bianca.
Feliciano lo aveva guardato spaventato mentre Lovino aveva borbottato qualcosa a riguardo dei “fantasmi” e “leggende metropolitane”.
Giusto, la teoria del fantasma non era ancora stata presa in considerazione pensò, mentre pranzava scarabocchiava sul tovagliolo, ritrovandoselo pieno di disegni stilizzati di ali: “come mai ce l’hai tanto con le ali?” gli chiese gentilmente Feliciano quando lo servì.
“a-ah… di preciso non lo so neppure io… è da ieri che mi sento strano… come se stessi dimenticando qualcosa!” l’altro lo guardò comprensivo: ”capita spesso anche a me! Lovino dice che per trovare una cosa basta tornare sui propri passi! E vedrai che la troverai subito!”
Alfred lo guardò pensieroso: ”ma io non ricordo nemmeno dove sono stato con la cosa che ho perso!” esclamò offeso e imbarazzato.
L’italiano scrollò le spalle: ”sforzati, il mio nonno diceva che se una cosa non ti riesce vuol dire che non i impegni abbastanza!”
“… ma tu parli solo con frasi già dette?”
“ahaha, è bello ricordarsele, possono tornare molto utili…” disse enigmatico sparendo dalla vista dell’americano.
Alfred rimase lì lì, a ripensare alle parole di Feliciano, forse suo fratello non aveva tutti i torti: ”tornare sui propri passi… tornare… sui… propri.. passi… mmmm” finì in fretta di mangiare pagò il conto e uscì, un’idea che si ingranava in testa.
 
 
 
Si mise di fronte all’entrata del parco più vicina a casa sua, espirò a fondo e chiuse gli occhi, lasciando che fossero i suoi passi e la sua memoria a guidarlo.
Non fece caso alle voci dei passanti (le facce naturalmente non poteva vederle) mentre avanzava tranquillo, con mani di fronte a sé per qualsiasi evenienza, per le vie del parco.
Si fermò solo quando sentì l’aria cambiare di temperatura, e si rese conto di essere davanti alla piscina.
Socchiuse gli occhi alla luce pomeridiana, scrutando l’acqua, ma niente piume né figure bianca.
Scoraggiato si avvicinò al cancelletto di entrata e lì la vide, una piuma molto più lunga delle altre se ne stava incastrata tra il filo metallico, fulmineo la prese e se la mise in tasca, allontanandosi euforico.
Per la seconda volta si fece guidare dei suoi piedi, che si fermarono di fronte al museo di storia naturale e lì tra le briglie della statua del cavallo c’era un’altra piuma.
Fece una fatica del diavolo per prenderla e non farsi scoprire dalle guardie di fronte al museo, fortunatamente era pieno zeppo e con un paio di tentativi, riuscì ad issarsi da una zampa ed afferrare con la punta della dita la piuma, prima che le guardia potessero capire che stava facendo.
Provò a farsi riaccompagnare dei propri piedi, ma nulla, sembravano scarichi, provò anche a riposarsi ma ancora  niente, tentò anche di imporre alle gambe di muoversi  ma si rese conto che così non era più naturale.
Sospirò e guardò le piume che poggiavano leggere sul suo palmo, erano tiepide e sembravano vive, e poteva scommetterci, brillavano al buio.
Si consolò del fatto che erano già quattro, e che se continuava così magari la figura era sempre più vicina.
 
 
Si buttò sul letto quando ormai era calata la sera, il suo stomaco brontolò adirato, mangiare solo panini veloci girando senza sosta per la città, non rientrava tra le cose abitudinarie.
Si sfregò la fronte, gli stava venendo un malditesta con i fiocchi a correre sotto il sole, lo sguardo gli cadde sul calendario.
Si alzò è lo studiò attentamente, forse poteva trovarci qualche indizio della sua amnesia.
Notò che nessun giorno speciale era segnato, neanche quello di fine scuola: “strano” mormorò:”di solito mi segno le date importanti”
Lo guardò meglio e mentre se lo avvicinava al naso, sentì un fruscio leggerissimo e due piume, una lunga e l’altra piuttosto piccola, gli caddero sui piedi.
 
 

Passò il resto della settimana alla ricerca delle piume, si accorse che erano tutte i posti a lui familiari. giovedì le trovò addirittura nel bicchiere, mentre mangiava dai fratelli italiani, che erano diventati ormai i suoi messaggeri, qualunque cosa accadesse nel parco gliela riferivano: ”sembra molto un poliziesco!” esclamò Feliciano elettrizzato, mentre gli snocciolava il solito resoconto: nessuna figura misteriosa.
Le trovò a scuola, incastrate in una mattonella sul retro.
Ripeté l’esperimento dei piedi, chiuse gli occhi e si fece guidare, si mise l’I-pod per sembrare meno suonato, ma non fece qual gran lavoro.
Le gambe lo portarono all’ospedale, si preoccupò un po’ che abbia fatto qualche incidente e non mi ricordi niente? pensò mentre saliva le scale magari sono stato così grave che gli altri hanno preferito tacere… rimuginò mentre aspettava che l’infermiera gli desse informazioni.
“no, spiacente, nessun Alfred F. Jones è stato ricoverato qui.” disse, per precauzione si era ricordato di chiedere di lui in terza persona.
Sai che figura, andare all’accettazione e dire: ”salve! Sono mai stato operato qui?”
Sospirò e ringraziò l’infermiera, che tornò al proprio lavoro, ma perché i suoi piedi l’avevano portato lì? si chiese premendo il bottone dell’ascensore, aveva camminato abbastanza per quella settimana, aveva le vesciche ai piedi per la fatica fatta.
Camminò frettolosamente nel vialetto, per allontanarsi il prima possibile e le vide, due piume che galleggiavano leggere nella fontana.
Si guardò attorno, e non vedendo nessuno sospirò, pronto a un bagno fuori programma.
 
 

Era riuscito miracolosamente a sfuggire alle guardie, che lo avevano visto proprio mentre usciva dalla fontana. Fradicio e piuttosto nervoso fece di corsa il bel pezzo di strada che lo divideva da casa.
Si fiondò dentro, chiudendo la porta con un tonfo e accasciandocisi sopra, esausto.
Non ce la faceva più, era tutta la settimana che continuava a trovare piume su piume, ma senza arrivare a niente.
E la figura non si era più fatta vedere.
Sospirò e si tirò su a fatica, barcollò in cucina dove si preparò un piatto veloce, anche lo stomaco sembrava molto contrariato, e mandò giù a stento il cibo.
Andò a dormire presto, e sotto le lenzuola fresche rimirò il suo piccolo tesoro: quattordici (le aveva contate) piume candide, che fremevano tra le sue dita e che brillavano al buio, come tante piccole lucciole.
“una cosa così bella deve per forza appartenere a una cosa altrettanto bella…” sussurrò rimirandole.
Provò ad associare le piume a qualche creatura mitica, dopo vari tentativi appurò che piume così bianche dovevano appartenere solo ad un angelo.
“un angelo?” si chiese mentre sentiva un formicolio alle mani.
Improvvisamente senza fiato si alzò e prese in mano il barattolo, guardandolo come se lo avesse visto solo adesso. Boccheggiò, spaventato dal suo stesso comportamento e si impose di calmarsi, che gli prendeva tutto ad un tratto? Perché gli si era mozzato il respiro all’improvviso?
Si portò una mano al petto e sentì che il cuore batteva all’impazzata, si sedette sul letto, frastornato, e lentamente si accasciò sul materasso, stringendo ancora il barattolo.
Si bagnò le labbra secche e pian piano si accorse che la vista si offuscava e capì di stare piangendo solo quando sentì le lacrime scorrere sulle guancie, e bagnare il cuscino.
“c-cos’è… che dimentico?” sussurrò a sé stesso: ”p-perché… mi sento… t-triste?”  pigolò stringendosi.
Cercò di calmare il respiro, ma senza risultati, si morse il labbro, soffocando i singhiozzi.
“p-perché mi sembra… di dimentic-are qualcosa d-di importante? Uhg!” nascose la faccia nel cuscino singhiozzando forte e stringendo il barattolo, mentre lentamente scivolava tra le braccia di Morfeo.
 
 
 
Si svegliò intontito, si mise seduto e sbadigliò rumorosamente.
Scoccò un’occhiata al barattolo, prima di alzarsi ed avviarsi verso la porta.
Gli sorse un dubbio quando fu a metà stanza, si voltò e guardò meglio il barattolo. Era vuoto.
Si fiondò sul letto, spostando freneticamente le lenzuola: ”dove sono!? Maledizione dove sono!?” urlò sollevando anche il cuscino, il barattolo cadde a terra senza rompersi.
Appurando che il letto fosse vuoto si mise alla ricerca delle piume per la stanza.
Dopo aver strisciando in ogni angolino scese di sotto, magari gli erano cadute la sera prima…
Guardò attentamente anche in salotto, senza trovare niente.
Si lasciò cedere sul divano con un gemito: ”dove sono?” pigolò con il viso nascosto fra le mani.
Sentì un leggero sbuffo di aria che gli solleticava il viso, alzò la testa e vide che la finestra era aperta.
Il folle pensiero che le piume erano là fuori, a vorticare nel vento, lo fece rabbrividire. Si alzò, trovando molto stupida la speranza che fossero incastrate da qualche parte in giardino.
Si affacciò e vide il gatto dei vicini giocare con qualcosa, la faceva balzare tra le unghie, senza toccarla veramente.
Alfred divenne dello steso colore della piuma con cui stava giocando il gatto, si precipitò fuori e con poca grazia scacciò il felino, che contrariato gli soffiò contro.
Afferrò con dita tremanti la piccola piuma, rimasta illesa.
Notò la secondo proprio in fondo al vialetto, si avvicinò, iniziando così un lungo percorso.
Le trovava a intervalli irregolari, sempre più lontane l’una dall’altra, camminava curvo, scrutando attentamente la strada, timoroso di perderne anche solo una.
Si fermò quando la quattordicesima piuma non si trovava, e si accorse di essere finito in un piccolo parco. “abbandonato” gli dicevano le piccole altalene e lo scivolo arrugginito.
Si guardò attorno e riconobbe il parco in cui lui e la sua famiglia andavano il pomeriggio: ”è molto più sicuro che Central Park” diceva sua madre, rivolta a  un gruppo di signore che annuivano concordi.
Quante volte si erano sbucciati le ginocchia in quel parchetto, tutta colpa di un sasso nascosta tra l’erba. Lo schifoso se ne stava lì e faceva inciampare tutti, compreso il padre di Alfred, che cadde, scatenando l’ilarità di tutti, lui compreso.
Avanzò tra gli arbusti secchi, guardando il terreno ricoperto da spaurite chiazze di erba gialla, che lo facevano sembrare la testa di un uomo calvo. La giostra cigolava sinistra ad ogni soffio d’aria, e gli animali dondoli lo guardavano inespressivi, con i loro occhi neri, opachi e consunti.
Deglutì incerto sul da farsi, improvvisamente si rese conto di non riuscire a sentire più il rumore delle auto, nemmeno quello degli uccellini.
Camminava lento, guardandosi attorno nervoso e non si accorse del solito sasso, il quale ci aveva inciampato più volte.
Si ritrovò a terra senza accorgersene e in quel momento, lì da solo, sotto il sole e con delle semplici piume nascoste nelle tasche, gli venne voglia di piangere. Si trattenne dal farlo e si alzò in fretta, rimirandosi le mani sbucciate che bruciavano dolorosamente.
Cercò una fontana, si ricordava che era vicino alle panchine, che non erano molto lontane.
Si fece strada tra i cespugli spogli, mentre pian piano la sua memoria sembrava sbloccarsi.
Ora cominciava a ricordare, si ricordò della volta che era andato a Disneyland, e di quando aveva fatto il bagno a Central Park e anche di aver visitato i musei adiacenti, la cosa strana è che gli sembrava di essere in compagnia di qualcuno, di qualcuno a cui teneva…
La testa sembrava alleggerirsi, come se i grossi lucchetti che bloccavano i suoi ricordi fossero svaniti, e mentre si avvicinava alle panchine, non si spaventò minimamente della figura che vi era seduta.
Era di schiena, e riuscì a vedere solo una cosa, una chioma biondo chiaro.
Si fermò quando era un metro e rimase immobile, in silenzio.
“ce ne hai messo di tempo…” disse la persona seduta, alzando lo sguardo verso il cielo.
Alfred rimase zitto.
“credevo fossi più sveglio… bhe, vuol dire che ho fatto un buon lavoro con la tua memoria” continuò, mettendosi a fissare il terreno.
“come mai così silenzioso?” lo riprese.
Alfred si fece avanti, silenzioso e rapido, abbracciando il biondo.
Arthur sorrise debolmente e passò una mano nei capelli biondo cenere di Alfred, con dolcezza: ”dispiace anche a me.” sussurrò.
“s-sei una bastardo!” disse Alfred, con voce soffocata dalla miriade di lacrime che cadevano e dalla pelle chiara dell’altro.
“forse…”
“no! Forse un cazzo! Sei un bastardo punto e basta!” urlò l’altro alzando la testa, per dirgliele in faccia, mostrando i suoi grandi occhi turchesi limpidi come pozze e rossi ai lati.
Arthur sorrise ancora, carezzandogli il viso dolcemente: ”non volevo andarmene, è stata dura anche per me.” sussurrò a fior di labbra, facendo naso-naso con Alfred, che tirò sul col naso.
“p-perché!? Perché te ne sei andato!?” mormorò rosso e affannato.
Il sorriso di Arthur si spense: ”ho dovuto affrontare una prova…” disse, facendo posto ad Alfred, che si sedette accanto a lui: ”una prova di fedeltà…” continuò: ”solo chi aveva qualcosa per cui vivere riusciva a sopravvivere…” concluse guardando con amore il ragazzo accanto a sé.
Alfred rimase sbigottito: ” h-hai sofferto così tanto… solo per me?” pigolò guardandolo con gli occhi che ricominciavano a pizzicargli.
Arthur annuì e Alfred si sentì uno schifo: ”m-mi dispiace… è-è tutta colpa mia…” disse con voce rotta, chinando la testa.
“assolutamente no, è una prova che tutti gli angeli custodi devono fare, per vedere se sono degni di insegnare a qualcun’altro, e se non fosse stato per te, ora io non sarei qui.” disse tranquillamente Arthur, spazzandogli via i capelli dalla fronte.
Alfred alzò la testa, guardandolo sorpreso: ”e perché sei tornato? Per dirmi che non puoi rimanere? Che i tuoi doveri da angelo ti impediscono di restare con me!?” urlò isterico: ”io comunque non ho alcuna intenzione di lasciarti andare!” sbraitò guardandolo con avidità: ”n-non voglio! As-“
Il suo sfogo venne interrotto da Arthur che gli tappava la bocca con una mano: ”stai calmo! Non ho alcuna intenzione di andarmene! E anche se volessi non potrei!”
“uhpm? Prfè?” borbottò Alfred dietro alla mano dell’altro.
“ho rinunciato alle ali per stare con te.” disse semplicemente.
Tolse la mano, lasciando cadere la macella di Alfred, che lo guardava come se avesse appena detto una grossa parolaccia: ”che cosa?” sussurrò stupefatto.
Arthur scrollò le spalle con noncuranza: ”non è nulla, molto meglio stare qui, che starmene lassù guardandoti andare avanti senza di me…” questa volta il tono era basso, con un’evidente nota di rammarico: “non voglio più stare senza le persone che amo” sussurrò stringendo i pugni, facendo sbiancare le nocche.
Alfred lo guardò pieno di gratitudine e amore, si perse in quei grandi occhi verdi, resi ancora più belli dalla luce del sole, che ci giocava come se fossero stati pezzi di vetro, dandogli miliardi di sfumature diverse di verde. Erano così belli da far impallidire qualsiasi smeraldo, così lucidi da-
“smettila di fissarmi come un’ebete!” sborrò Arthur, facendolo sobbalzare, si morse anche la lingua per la sorpresa, e imprecare contro il suo adorato ex-angelo.
“non ho la faccia ebete!” ribatté mentre passava la lingua sul palato, sperando di non essersela tagliata.
Arthur sbuffò e poi scoppiò a ridere allegramente, trascinando con sé un offeso ma molto felice Alfred, che scoppiò a ridere più forte di lui.
Quando riuscirono a calmarsi rimasero a guardarsi un attimo, prima di annullare finalmente la distanza tra loro.
Baciare Arthur era un po’ come tornare indietro nel tempo, che passarono sotto le palpebre chiuse tutte le immagine dei momenti passati insieme.
Si staccò quasi subito, il piangere lo aveva lasciato senza fiato, Arthur gli fece un dolce sorriso, avvicinandosi a lui e carezzandogli la guancia affettuosamente.
“mi sei mancato.” sussurrò Alfred.
“come facevi? Ti avevo cancellato la memoria.” chiese incuriosito Arthur mentre si sistemava meglio sulle sue gambe.
Alfred scollò le spalle: ”lo sapevo e basta, sentivo di dimenticare qualcosa… qualcosa di dannatamente importante…” rispose abbracciandolo stretto.
L’altro arrossì e ricambiò l’abbraccio, carezzandogli la nuca.
“c’è una cosa che non capisco” disse ad un tratto Alfred, guardandolo negli occhi.
“huh? Cosa?”
“perché… continuavo ma trovare queste?” chiese tirando fuori dalla tasca le piume.
“oh! Ma queste sono le mie vecchie piume!” disse sorpreso Arthur, afferrandole.
“e tu come fai a saperlo?”
“le piume per gli angeli sono come le strisce per le zebre, tutte diverse per ognuno.”
Alfred ci pensò su un attimo: ”mmm però non ci posso far niente, perché le trovavo allora?”
L’altro scrollò le spalle: ”non so, e non è vero che non puoi farci niente.” disse accartocciandole nei palmi.
“no! Fermo! Nooo!!” urlò Alfred tentando di fermarlo, con tutta la fatica fatta per tenerle in ordine!
“tranquillo.” disse Arthur aprendo le mani, mostrando una piccola pallina informe, ne staccò un pezzo e cominciò modellarlo.
Le dita sottili scorrevano esperte andando a formare una lunga catenella, poi con l’ultimo pezzo rimasto ci fece una stella cerchiata, che attaccò con un minuscolo gancio alla catenina.
Alfred rimase a bocca aperta, mentre l’altro gli legava al collo il ciondolo.
“ecco, si possono modellare.” disse sorridente: ”sono molto resistenti, ma se fai le cose con gentilezza si lasciano modellare…”
Prese il pezzo di pallina rimanente, iniziando a modellare anche quello, fino a formare una rosa: ”m-mi piacciono tanto” disse rosso mentre si allacciava al collo il ciondolo.
“brillano al buio e sono… come dire… legati, perché provengono dalle stesse piume.” borbottò accarezzando le sue opere.
Alfred gli afferrò il ciondolo e con l’unghia ci incise una piccola “A” un po’ storta, ma leggibile.
“eeeh!? Che fai!?” sbottò Arthur, guardando contrariato la rosa ormai graffiata.
“incido la mia iniziale!” rispose l’altro allegro.
Arthur storse il naso e afferrò il ciondolo dell’altro, incidendo a sua volta una “A” questa molto elegante e ben disegnata: ”fatto!” esclamo soddisfatto.
“così saremo ancora più uniti eh?” chiese Alfred facendo un enorme sorriso.
Si baciarono di nuovo, questa volta con più veemenza, stretti l’uno all’altro. Si staccarono solo quando l’aria era diventata indispensabile.
“andiamo a casa?” sussurrò Arthur a fior di labbra, Alfred sorrise e si alzò annuendo, gli tese la mano, che l’altro non tardò a stringere.
Mentre si avviavano tra le sterpaglie Arthur alzò la testa e gli chiese: ”hai progetti per quest’estate?”
Il ragazzo scosse la testa: ”no… cioè… in teoria si… ma non ne ho il coraggio” borbottò guardando a terra.
“il coraggio di fare che?”
“… di andare a trovare Matthew…”
Arthur si fermò, costringendo anche Alfred a fare lo stesso: ”… e che aspetti!? Che arrivi un aereo dal cielo? No carino, ora so cosa fare! Sbrigati, che se siamo fortunati mentre due giorni saremo da tuo fratello!” esclamò riprendendo a camminare così improvvisamente che Alfred venne strattonato.
“h-hey! Fermo! Non sono io che dovrei decidere se andare o no!?” sbottò imbarazzato.
“sono pur sempre il tuo angelo custode! Almeno in parte.” disse Arthur avanzando a grandi falcate verso casa.
Alfred borbottò qualcosa contrariato.
“se saremo insieme sono sicuro che ce la farai.” intervenne l’altro, facendogli scivolare per la schiena una miriade di brividi.
Insieme…
Guardò la propria mano stretta attorno a quella di Arthur e sorrise, si, aveva ragione, insieme avrebbero potuto affrontare qualsiasi cosa.
 
 
 
Tutti noi abbiamo un angelo custode, che veglia su di noi, che prega per noi.
E anche se non ne siamo a conoscenza o non ci crediamo, lui c’è e continua ad osservarci e a proteggerci.
 
 
 
Finittoooooooooo!! Waaaa! M i sento realizzata per esser riuscita a concludere questa fic! Solitamente scrivevo solo drabble (o bocconcini di storie, come dico io) e riuscire a completare una fic di ben 7 cap è davvero tanto per me, riuscire a metter in piedi una storia, e farla anche piacere, èp davvero bellissimo.
E questo non sarebbe stato possibile senza di voi, lettori, che commentavate quello che scrivevo, ad ogni recensione ero sempre più felice, grazie, grazie di cuore, veramente.
Forse per voi non sarà molto,. Ma per uno scrittore, anche se alle primissime armi, è sempre bello ricevere commenti, anche negativi, perché aiutano a crescere, e l’indifferenza è uan cosa molto brutta.
Quindi ancora grazie di cuore a tutti quelli che hanno recensito: Konoha_Hellsing_94, la mia “sorellina”, la quale non perdeva occasione per farsi soilerare XD, Usuk_love autoproclamatasi mia fan ^///^, Ivan_Kirklad che mi ha seguito per bene fino in fondo,  _Moon molto partecipe anche lei, Libby_Red grande fan del Britannia Thunder, che purtroppo non è più ritornato(ad Alfred rimarrà per sempre la fobia però!) Fuiuki, SabakuNoKatrine, hanon993, Revy21 e tutti quelli che hanno letto e si sono divertiti leggendo.
Spero di riuscire a crearne ancora così, di riuscire a migliorarmi sempre più! Fino a rendere perfetto il mio modo di scrivere, sono cresciuta molto dalla prima fic che ho pubblicato, e ne vado fiera, perché pian piano sto crescendo, grazie a tutti voi, che commentate, sia in positivo che in negativo.
Grazie infinite.
 
 
 
E come per ogni capitolo che scriverò: commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!
  
   
 
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