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Autore: Many8    16/03/2011    2 recensioni
OS vincitrice delle "Menzioni d'onore" del concorso "A spasso nel tempo con Edward e Bella" di Stupid Lamb, Federob e Lele Cullen.
E seconda classificata e "Miglior Love Story" al concorso "Historical Contest di tikei_chan
In una valle odorosa di ciliegi, a pochi passi da Gerusalemme, Bella ed Edward si innamorano. Un unico, piccolissimo dettaglio, ma che fa da ostacolo al loro grande amore; lei è israeliana, lui palestinese. Non potrebbero vivere in due mondi più diversi. AH- OOC- Rating Giallo.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Questa OS è stata scritta per il concorso "A spasso nel tempo con Edward e Bella" organizzato da Stupid Lamb, Lele Cullen e Federob.*
Potete visitare il forum, leggere tutte le OS partecipanti ed, infine, votare quella che più vi ha colpito, fateci un salto, le storie sono davvero molto carine. 

*Edit 24/12/11 la storia ha partecipato anche al contest «Historical Contest» di tikei_chan.

Buona lettura.
Primavera 1949.
"Farei di tutto perché potessimo amarci senza ostacoli." La sua bocca è vicina al mio orecchio e sussurra parola dolci.
Siamo seduti sull'erba, sotto un grande albero di ciliegie. Esposti al caldo, rilassante e confortevole sole primaverile, sembra quasi che sia tutto normale, quando non lo è, e non lo è mai stato. È passato poco da quando in quelle limpide giornate il rombo dei motori degli aeroplani squarciavano l'aria, quando la paura ti sopraffaceva, facendoti cadere nel panico più totale, offuscandoti la mente; quando le sirene spiegate suonavano l'allarme, avvisandoti che da lì a poco qualche bomba palestinese sarebbe esplosa su territorio israeliano, quello che secondo i primi sarebbe stato rubato.
"Sarebbe troppo bello per essere vero, no?!" rispondo, chiudendo gli occhi e abbandonandomi alle sue braccia. Edward mi bacia un orecchio, ricominciando a parlare.
"Io ho trovato il modo-" Lo fermo prima che possa continuare, prima che un'altra lite ne possa scaturire dalle parole che pronuncerà.
"Lo sai, non se ne parla. Non potrei mai lasciare i miei genitori, Edward. Non voglio che soffrano, e lo devo fare anche per mia sorella, lo devo fare per Alice," inizio dire, sento un suo sbuffo di disapprovazione, è sempre così. "Lasciare tutto non è una soluzione. Scappare non è una soluzione." mi sistemo meglio contro il suo petto, facendo aderire ancor di più la mia schiena al suo busto. "Vorresti che i tuoi genitori ti sapessero disperso? Magari penserebbero che sei stato ucciso in qualche attacco terroristico, li faresti disperare inutilmente. E poi, emigrare non sarebbe una buona idea, dove potremmo andare?" termino; la soluzione estrema di Edward non mi piace per nulla, ma d'altronde ha ragione, cosa potrebbero fare un'israeliana ed un palestinese insieme nella terra pretesa da entrambe le etnie?
Siamo nemici, non dovremmo amarci.
Ed invece è accaduto, ci siamo innamorati l'uno dell'altra, su un prato fiorito la prima volta dopo anni di bombardamenti.
"Tu sei più importante dei miei parenti, loro non capirebbero mai, come i tuoi genitori, e lo sai, Bella."
"Sì, lo so," Loro non capirebbero mai. "Lo so." ripeto laconica. "Ma in qualunque caso non sono pronta, non sono pronta psicologicamente. Dovrei lasciare la mia città, dove sono nata, anche se ho conosciuto cosa significa aver timore che un parente non ritorni a casa, e rimanga coinvolto in uno dei tanti attentati, anche se lo stress è sempre a livelli estremi, ed è difficile continuare a sostenere questa situazione: non sono pronta." La paura di non veder ritornare un amico, un marito, o qualsiasi parente a casa è la paura che accomuna tutti: palestinesi ed israeliani; quest'ultimi hanno paura per l'incolumità dei propri cari, hanno timore che quando escono di casa per prendere una pagnotta di pane sia l'ultima. Abbiamo imparato ad ascoltare il telegiornale via radio in ogni ora della giornata, attenti ad ogni notizia, avendo costantemente il batticuore e l'ansia.
Non è affatto facile vivere in questo mondo. Ma ci siamo abituati, è stupido, ma è così.
"Quando sarai pronta, io sarò qui, ad aspettarti." dice al mio orecchio. Ha preso un fiore bianco dall'erba, uno dei tanti che cadono dal grande albero sopra di noi. È delicato, profumato.
Lo gira e rigira per il minuscolo stelo tra le dita, stiamo in silenzio per un po' osservando quel piccolo fiore di ciliegio.
Improvvisamente si blocca, portando la sua mano sui miei capelli, e lasciando lì, l'oggetto della nostra osservazione, porto una mano a carezzarlo, sembrano quasi impercettibili i movimenti, i polpastrelli sfiorano appena i soffici petali. Richiudo gli occhi, quando Edward inizia a baciare il mio collo.
Dopo le nostre discussioni sul nostro rapporto mi sento sempre scombussolata, triste, malinconica, e credo che anche per lui sia lo stesso; non poter dire a nessuno che frequento (o meglio che sono fidanzata) con un ragazzo è quasi deprimente, quando una donna è innamorata vorrebbe gridarlo al mondo, ma noi non possiamo, la nostra relazione è un segreto e deve rimanere tale. Immagino la faccia dei miei genitori se gli dicessi che il mio fidanzato è un palestinese. Mi impedirebbero di uscire, di vederlo, mi allontanerebbero da lui, ed io non potrei mai sopportare una cosa simile. In quei momenti, fugaci, ma concreti, penso all'alternativa che mi ha offerto tante volte Edward, quella di scappare da questo mondo, nel quale un territorio è più importante del resto, dove le idee, la cultura, le abitudini sono così diversificate, contrapposte, che un'unione non potrebbe mai esistere.
Edward mi accarezza le spalle nel momento in cui riapro gli occhi, mi volto verso di lui, inginocchiandomi. I suoi capelli ramati risplendono ancor di più al sole, rendendoli più chiari, lo stesso gli occhi color verde. É favoloso, meraviglioso da togliere il fiato.
Mi avvicino baciandolo, il contatto è dolce, lungo, passionale. Le mani di Edward si muovono lungo la mia schiena, su e giù per tutta la durata del bacio, mille brividi mi percorrono la lunghezza del dorso inseguendo i movimenti del mio fidanzato; le mie mani, invece, sono nei suoi capelli, li tirano leggermente senza, però, fargli male.
Quando ci allontaniamo, abbiamo entrambi il fiatone, appoggio la mia fronte alla sua, e cerco di focalizzare la mia vista nei suoi occhi. Vanamente.
Vorrei che lo conoscessero tutti, Edward è una persona buona, speciale come poche, vorrei che le barriere create dalle nostre etnie non ci fossero, che ci lasciassero liberi di amarci come si deve, come succede in occidente, dove si sa, amare è molto più facile, di certo non devono combattere giornalmente contro tutti, per prevalere. Loro non devono farlo. Noi, sì, purtroppo.
Ritorniamo alla posizione di poco prima, Edward poggiato al tronco dell'albero, ed io sul suo busto. Guardando la posizione del sole mi accorgo di quanto sia tardi, è trascorso tanto tempo da quando sarei dovuta ritornare a casa.
I miei occhi si sgranano, il mio cuore inizia a battere velocemente per l'ansia. Il pensiero va ai miei genitori che sono sicuramente preoccupati del mio mancato rientro; mi alzo immediatamente da terra, pulendomi con le mani il vestito tradizionale ebreo che porto, dai residui di erba e terriccio. Mi segue anche Edward, che mi guarda preoccupato.
"Cosa succede?" domanda, confuso, mi alza il mento con l'indice, portando i suoi occhi nei miei. Non posso non perdermi nel mare verde.
"Devo andare," dico, divincolandomi dalla sua presa, e prendendo la mia borsa da terra. "E' tardi," continuo, indicando con una mano il sole."Devo tornare a casa, prima che mi mettano in punizione." Ansimo.
"Vai," sussurra, schioccandomi un bacio sulle labbra."Ti aspetto domani. Alla stessa ora."
Mentre lo dice sto già correndo via, mi volto per un'ultima volta, sorridendo e salutando una una mano. Percorro tutta la distanza che mi divide dall'insediamento israeliano, quello in cui abito da quasi un anno.
La guerra, teoricamente, sarebbe terminata da quasi dodici mesi, ma non è così; gli ebrei e gli arabi combattono ancora per cacciare gli altri dal territorio che ognuno pensa che gli appartenga, ci sono ancora kamikaze per i piccoli centri abitati israeliani: arabi che per la propria religione sono pronti a morire e far morire tantissime persone, per un unico fine: un territorio.
Noi ebrei in pochi anni abbiamo conosciuto tantissime cattiverie, prima i tedeschi che hanno incominciato lo sterminio contro la mia razza (ma fortunatamente, non sono mai arrivati in medio oriente), poi il conflitto arabo-israeliano che non accenna a risolversi.
Tutti parlano della pace, ma pace non significa aver paura, no?!
Pace non significa armi, non significa brutalità, né tanto meno assassini.
Ed invece nella nostra terra, condivisa da ben tre popolazioni (cristiani, mussulmani ed ebrei) c'è anche questo, ed è all'oscuro delle altre nazioni.
L'insediamento ebreo in cui abito è stato conquistato dagli israeliani da circa due anni, è uno dei tanti territori strappati dalle mani degli arabi; è circondato da una grande distesa d'erba, e al di là della distesa d'erba ci sono le città mussulmane.
Percorro gli ultimi metri che mi dividono dal filo spinato, e dai muretti: ho il fiatone per la corsa ed inizio a sudare per lo sforzo. Attraverso un varco, tra un muretto ed un altro riesco ad entrare nel mio "quartiere", dove posso ritenermi al sicuro.
Salgo velocemente una stradina che porta su una collinetta, ed infine alla mia abitazione. La mia mano tocca la fronte completamente bagnata dal sudore che cola dalle tempie e dall'attaccatura dei capelli. Pochi metri più avanti ci sono dei cancelli, e ai lati di quest'ultimi due guardie; stanno lì ventiquattr'ore al giorno, ovviamente a turni, per controllare che nessun arabo entri nel nostro territorio (malgrado loro, molte volte ci siamo trovati qualche nemico nel campo), fa paura solo guardarli, con la divisa militare, e pistole in ogni angolo del loro corpo.
Saluto in fretta Jacob; credo che lui abbia una cotta per me, è un bel ragazzo, occhi scuri, capelli dello stesso colore, alto e muscoloso, ma cosa più importante mi fa entrare e uscire dai confini senza fiatare; con le altre guardie è molto più difficile, poiché potrebbero dire a chiunque ciò che faccio, e cosa che mi spaventa: potrebbero seguirmi.
"Ciao, Jacob." accompagno il tutto con un frettoloso gesto della mano, lui mi sorride, e sussurra, balbettando, qualcosa di incomprensibile.
Inizio di nuovo a correre, sento il fiato mancarmi, le gambe molli, il mio corpo è al massimo dello sforzo.
Finalmente, riesco a vedere la porta di casa e dopo pochi secondi ho sbattuto una spalla contro la grande entrata in legno.
Mi ricompongo, asciugandomi la fronte, e busso. Sono intimorita da ciò che potrebbe succedere.
Sicuramente c'è mio padre in casa, quindi le urla saranno doppie.
"Bella!" sbraita mia madre, appena mi vede.
"Scusa, mamma, per il ritardo." dico, cercando di essere più onesta possibile. Mi viene naturale, essendo realmente dispiaciuta.
Apre la porta in modo tale che io possa entrare, con passo lento avanzo, intimorita dal suo sguardo. Mio padre mi aspetta sul divano con le braccia conserte al petto, le sue sopracciglia sono corrugate, è sicuramente infuriato, come poche volte nella sua vita; Alice, invece, la mia cara sorellina di appena quattro anni è seduta su un grosso tappeto e gioca, spensierata. Come vorrei essere lei in questo momento.
"Buongiorno," sussurro a mio padre, con la testa bassa, nella sua direzione. "Scusate per il ritardo non avrei mai voluto mancarvi di rispetto."
"Bella," inizia mio padre. "Con chi sei stata?" si alza dal divano, venendomi incontro, il suo tono è autoritario, serio. Il mio cuore batte ancora velocemente, sia per la paura che per la corsa di poca prima.
Non posso rispondere alla domanda che mi è stata posta; le mie paure di quasi un anno si stanno avverando. Non posso mettere nei guai Edward, non posso mettermi, io stessa, nei guai.
Edward è la mia vita, lo desidero più di quanto non ami e desideri gli altri, non possono impedirmi di vederlo, le nostre famiglia non possono, come la cultura e la religione.
Non è colpa nostra se siamo diversi, non è mica colpa nostra se siamo nemici fin dalla nascita?
Mi guardo intorno, e non alzo lo sguardo sui miei genitori. L'aria è tesa, mia madre a qualche passo da me, lo stesso mio padre che mi sta davanti, perfino Alice si è accorta del cambiamento, guarda noi, non più i suoi giochi.
I suoi occhioni azzurri mi osservano confusi ed impauriti, come se sentisse le mie emozioni.
"Bella, ho chiesto dove sei stata." ripete in tono ancor di più autoritario. Esige una spiegazione, ed in fretta.
Prendo fiato, che, gli individui davanti a me scambiano per un tentativo di risposta.
"Allora?" continua, chiudo gli occhi quando sento un spostamento d'aria, men di un secondo dopo una mano colpisce il mio volto.
I miei occhi restano chiusi, anche quando mio padre mi ordina di andare in camera mia, e non uscirne finché le mie idee non saranno più chiare, con l'intenzione di dire la verità.
Mentre salgo al piano di sopra, ho gli occhi di tutta la famiglia puntati su di me mi osservano andare via a testa bassa, guardo Alice, e le sorrido tranquillizzandola, ha gli occhi sbarrati dalla paura, sembra che trattenga quasi il respiro.
Percorro il piccolo corridoio, e apro la porta della mia camera (e quella di mia sorella), tolgo la borsa, scaraventandola a terra, il tonfo è forte, ma viene coperto dai miei singhiozzi, mi stendo a letto, continuando a piangere.
Supina, metto le mani nei capelli (al di sotto del velo che ricopre la mia capigliatura), le lacrime scendono copiose sulle mie guance, non uscirò dalla camera per nessun motivo al mondo, posso morirci qui dentro, ma di certo non dirò mai ai miei genitori di Edward.
Capisco la preoccupazione dei miei genitori; mio padre è lo stesso che la mattina, lavorava, il pomeriggio aiutava i suoi concittadini a togliere i corpi dei morti dai campi, dove morivano per qualche bombardamento (rischiando anche lui la vita, talvolta) ed infine la sera ricominciava ad essere padre, di due bambine Isabella, quindicenne e Alice poco più di un anno.
Dopo tre anni, cioè oggi, non deve stare più a contatto con i morti, con coloro che sono stati uccisi come bestie, ma deve solo sfamare una famiglia, essere padre e marito.
Mia madre non è cambiata molto da quando la guerra è terminata, continua ad essere ansiosa, attenta a tutto e tutti, non vuole, ovviamente, che uno suon parente venga coinvolto in una strage, come accade in questi ultimi giorni. Come darle torto.
Cerca in tutti i modi di tenerci più tempo possibile in casa, al sicuro con lei.
Ma per tutte le ragioni del mondo non possono impedirmi di vedere Edward, non possono.
Le lacrime percorrono le mie gote, velocemente ed inarrestabili. Una mano, tremante, raccoglie le tante goccioline d'acqua salata, cercando di interrompere il flusso. Senza successo.
Vorrei Edward, adesso, vicino a me. Vorrei che mi consolasse, che riuscisse a togliermi dai guai, vorrei che non fosse palestinese, ma come me.
Vorrei vivere in un'altra epoca, in un'altra parte del mondo, ma non posso. Siamo nel 1949, io sono israeliana, lui palestinese.
Non c'è nulla che possa aiutarci.
In questo mondo ci sono bombe che scoppiano, kamikaze che camminano fra la folla, pronti ad uccidere, donne che vengono sottomesse dai mariti, e non possono fare null'altro che subire, che tacere e aspettare che la morte soccomba su di loro. Perché la morte in questo mondo è l'unica alternativa di pace, di tranquillità. Tantissime donne muoiono annualmente per sfuggire alla furia dei loro mariti. Matrimonio, in questo mondo, vuol dire: sesso, abusi e sottomissione.
Un mondo da cui tutti vorrebbero scappare, ma in cui tutti devono e sono costretti a vivere.
Io non voglio un marito che faccia sesso con me solo per procreare, non voglio da parte sua negazione per ogni cosa, non voglio essere, semplicemente, un oggetto.
Voglio Edward, voglio lui perché mi ama, perché insieme potremmo vivere felici, potremmo imitare le fiabe, il loro finale. Il loro "e vissero felici e contenti".
Ma ancora una volta tutto ci è sottratto.
Continuo a piangere per l'impossibilità dei miei sogni, piango per l'infelicità, piango perché mi sento tanto vicino al mio più grande sogno, ma allo stesso tempo mi sembra così tanto lontano, da non poterlo mai raggiungere.
Mi avvolgo nelle coperte, anche se non fa freddo, cerco calore, quello che potrebbe darmi Edward; e lo immagino accanto a me, ne sento quasi il profumo, anche se la stanza puzza di muffa, sento ancora il calore del sole sulla pelle, di poco prima, ma è tutto un'allucinazione. Le finestre sono chiuse, ci sono dei sacchetti di sabbia ad ostacolare il passaggio della luce. Sono stati messi quando siamo arrivati qui, la mia camera dà la vista sul terreno dove con Edward restavamo ore ed ore. Quando ci siamo trasferiti non siamo stati accolti nei migliori dei modi, palestinesi che entrati nel nostro insediamento continuavano a lanciare pietre, ne sono entrate molte in camera, ci sono ancora i segni sul pavimento dei sassi atterrati.
Gli stessi ragazzi che un mese dopo hanno cercato di farmi del male.
E' così che ho conosciuto Edward, mi ha salvato dai ragazzi che mi hanno aggredito, undici mesi fa. Quei ragazzi palestinesi parlavano solo arabo, e non riuscivo a capire cosa volessero, avevo tantissima paura, tremavo come una foglia, volevo solo scappare, ma non ci sono riuscita. Poi... poi è arrivato Edward. Sembrava un paladino della giustizia.
È riuscito a mandare via quei due ragazzi, e ci siamo rivolti per la prima volta la parola in quel momento. E soprattutto in quella situazione così, tanto, ambigua. Mi ha detto tante volte che non era sicuro per me stare lì, ma benché lo ripetesse i nostri sentimenti sono stati più forti della paura.
Parliamo entrambi inglese, e riusciamo a capirci nella maggior parte dei casi.
Se non ci fosse stato lui, sicuramente non sarei tornata a casa integra quel giorno, e da quel momento ci siamo visti sempre più spesso. Si sono susseguiti tanti bei avvenimenti; il nostro primo bacio sotto l'albero di ciliegie, quello è diventato il nostro posto speciale, in cui ci rifugiamo nei momenti più difficili, quando abbiamo bisogno di stare con la persona che si ama.
Chiudo le mani a pugno, nascondendo il fiore di ciliegio. Quello che ho portato con me, che ho sfilato dai capelli mentre salivo la collinetta. Le lacrime si sono arrestate, una sensazione di sconfitta, rabbia, angoscia si diffonde in me, non facendo altro che rendermi ancora più triste e sconsolata.
Mi sento una nullità, mi sento debole, troppo fragile per continuare la battaglia. Una battaglia persa dal principio.
Mi metto in posizione fetale, con le gambe al petto, e il volto nascosto nelle coperte; l'unica cosa che penso e che vorrei che fosse un sogno, vorrei sfuggire da questa triste realtà.
Ma l'unica cosa che posso fare è pensare. Penso ad Edward, al suo alito caldo, che riesce a tranquillizzarmi, immagino le sue mani nei miei capelli, quando in quei pochi minuti ci vediamo, toglie sempre il mio velo. Dice che i miei capelli sono magnifici e che non devono essere nascosti.
Ed in questo momento faccio come mi dice sempre, tolgo il velo, facendo ricadere i miei boccoli castani sul letto.
E non posso far altro, rimango in trans per alcune ore finché non sento qualcuno entrare. È mia madre, con mia sorella, Alice.
Alzo il capo e svogliatamente la guardo, non ho deciso nulla, non posso mostrarmi debole o pentita. Porta mia sorella in braccio, sul fianco. Mi guarda con compassione, i suoi occhi sono lucidi, fanno intendere tutta la sua sofferenza e fragilità.
"Bella, non hai cambiato idea?" domanda, i suoi occhi sono sempre più tristi, delusi.
Scuoto il capo, nascondendo nuovamente il volto nelle coperte.
Si siede sul letto, con ancora Alice tra le braccia, che calma ha poggiato il suo piccolo faccino sulla spalla di mia madre. Sento quest'ultima sospirare, afflitta.
"Lo sapevo," sussurra. La sua voce fa male, mi fa male. "Sapevo che ti vedessi con qualcuno da tempo, ma ho voluto mentire a me stessa," la sento muoversi, si sistema meglio sul letto, poggiando la schiena al muro. "Pensavo che fossi responsabile, Bella. E mi dispiace non averti fermata prima. Ma potresti dirmi chi è? Come si chiama, cosa avete fatto insieme..." lascia la frase in sospeso, non ha voglia, né la forza di continuare.
Continuo a stare male, sia per me, che per lei.
Ho deluso lei, e, sicuramente, anche mio padre.
Non vedrò Edward domani, e deluderò anche lui.
Non faccio altro che rovinare la vita agli altri.
Vorrei dirle tutto, ma non posso; vorrei spiegarle cosa ho fatto insieme ad Edward, e smentire le sue supposizioni. Per gli ebrei la purità è la prima cosa.
Mia madre sospira, aspettando una mia risposta, che sa non arriverà mai.
Restiamo in silenzio alcuni minuti, minuti che gravano sulle mie spalle come un macigno immenso, che, malgrado la sua grandezza, è fragile. Devo stare attenta a non romperlo.
Le lacrime tornano ai miei occhi, ma cerco di trattenerle, o almeno di nasconderle.
"Mamma!" ad interrompere il silenzio è Alice, che strepita il suo nome, sicuramente in cerca di qualcosa.
"Bella," inizia, mia madre ignorando le lamentele di mia sorella. "Io vado, metti tu a letto Alice, per favore?"
Annuisco, e per la prima volta mi muovo, per tutta la durata della conversazione (anche se ha parlato solo mia madre) sono rimasta immobile, come se parlasse con una roccia.
"Buonanotte, amore." sussurra a mia sorella, prima di alzarsi e posarla sul mio letto. Sento i suoi passi allontanarsi, e chiudere la porta alle sue spalle.
Appena è andata via, mi metto seduta sul letto, e stringo Alice al petto.
È lei che mi dà la forza ogni giorno di ritornare a casa, è per lei che non ho scelto di andare via con Edward, di scappare.
È lei che mi fa sorridere più spesso, è lei che mi tiene incatenata alla famiglia.
Le do un bacio sulla fronte, e mi guarda confusa, sembra più piccola della sua età, è minuta, esile.
"Bella?"
"Sì, amore?" le rispondo continuando a sorridere. Non c'è bisogno di sforzarmi per sorridere, con lei è semplice, naturale.
"Stai male? Perché sei sempre a letto?" domanda, dolcemente. Come ogni bambino della sua età è ingenua, estremamente dolce. Completamente differente da me. È estroversa, riesce ad chiacchierare con chiunque, è vivace e piena di vita.
"No, non sto male. Ho solo bisogno di pensare." le dico, sperando che capisca. Credo che abbia capito, quando scrolla le spalle, mi schiocca un bacio sulla guancia e va verso il suo letto. La seguo, aiutandola a mettersi sotto le coperte, le rimbocco fino al suo viso dai tratti delicati.
"Buonanotte, cucciola." La guardo dormire, seduta accanto al suo letto, la luce è fioca, proveniente da un unico lume su un mobiletto di legno.
Vorrei anche io essere una bambina, sognare come fa lei in questo momento. Vorrei essere spensierata, felice per ogni piccolezza. E pensando a questo riesco ad addormentarmi, con la testa accanto a quella di Alice, le braccia a farmi da cuscino, seduta a terra.
I miei sogni sono tormentati, bombe, spari, urla.
Come ogni notte, la guerra mi perseguita anche nei sogni, e non sono in grado di allontanarla.

 

Il giorno dopo mi sveglio con la schiena a pezzi, i muscoli di tutto il corpo intorpiditi per la posizione scomoda che ho assunto per tutta la notte.
Alice dorme ancora, ne approfitto per andare in bagno, al di fuori della casa. Scendo velocemente le scale, che scricchiolano al mio passaggio. Mia madre è nel "salotto", una piccola stanza all'ingresso della casa, accenna un sorriso, non le do il tempo di abbozzarlo che sussurro:
"Vado velocemente in bagno."
Esco fuori, il bagno è in comune con tutti, ogni cinque unità familiari hanno un loro bagno, composto dai sanitari (tre per la precisione).
Mi lavo la faccia con acqua fresca, raccolta nei pozzi e messa in vasi che servono per le cinque famiglie che usufruiscono del bagno.
Esco nuovamente all'aria aperta, il sole è alto, caldo, come il giorno prima, sono tentata di proseguire verso la distesa di terra verdeggiante, ma non lo faccio.
Farò avere mie notizie ad Edward, in qualunque modo. Anche se non so come, nessuno accetterebbe di parlare con un palestinese.
Rientro in casa, non prestando attenzione ai miei genitori seduti a tavola, per fare colazione. Il mio stomaco brontola per la fame, ma non mi avvicino a loro, salgo in fretta le scale, arrivando in camera. Devo essere orgogliosa, decisa, non devo sottostare ai loro voleri.
"Bella!" esclama Alice, appena mi vede rientrare.
"Ti sei svegliata?"
"Non riuscivo a dormire bene, ho fame, mi accompagni giù?" chiede, si strofina gli occhi con i pugnetti, sbadigliando. Scende dal letto, avvicinandosi a me.
"No, non posso, vai da sola, ok? Ci vediamo dopo, ti aspetto qui." le dico, abbassandomi alla sua altezza e dandole un bacio sulla fronte.
"Devi ancora pensare?" domanda."Ma hai già fatto colazione?" continua, corrugando le sopracciglia. Le si formano delle fossette sulle guance.
Sorrido alle sue parole. "Sì, devo ancora pensare, e adesso scendi, o altrimenti la colazione si fredda."
Annuisce, le do una leggera pacca sul sedere per incitarla a muoversi. Apre la porta ed inizia a correre verso la sua meta.
Appena esce la malinconia ritorna ad impossessarsi di me, ritorno a stendermi sul letto (una benedizione per la mia schiena a pezzi), e aspetto.
Aspetto che il tempo passi, e che la malinconia si allontani.
Aspetto qualcosa che, forse, non arriverà mai.
E mentre aspetto, cerco di prendere forza dal fiorellino che ho ancora tra le mani, che ho lasciato pochissimo tempo da ieri. È la forza che mi manca, e che un tenero, inerme fiorellino non potrà mai donarmi.
Ed inizio a piangere perché tutto sembra andare nel modo sbagliato, perché sono troppo debole per combattere contro gli altri, da sola.
La testa nelle lenzuola, candide e profumate, metto un braccio che mi sostiene la fronte, e l'altra mano chiusa a pugno, che batte contro il letto. Per sfogarmi, per sentirmi svuotata dalla rabbia.
Non so quanto tempo piango in quel modo, non so per quanto tempo i singhiozzi mi perforano il petto, ma improvvisamente sento una piccola mano carezzarmi i capelli, una voce dolce sussurrare il mio nome, spaventata, afflitta quasi quanto me.
"Bella! Sht-sht," dice, imperterrita, Alice. L'unica che abbia sentito il bisogno di consolarmi, l'unica che mi consola in questo momento.
"Per favore non piangere," continua, anche la sua voce è rotta dalle lacrime. È mia... è mia sorella.
Mi alzo, e senza darle il tempo per vedere i miei occhi rossi per il pianto l'abbraccio. La stringo a me, respirando il suo profumo, che sa di buono, di dolcezza.
Le bacio il collo, continuando a respirare il suo odore.
Le mie mani la stringono spasmodicamente, e forse le faccio del male, ma non si lamenta, tace e in questo modo mi consola.
Ma, soprattutto, mi dà la forza, quella necessaria per decidere.
Con le mani tremanti asciugo le mie guance, cerco di ignorare il bruciore agli occhi, e guardo nei suoi.
Sono profondi, diversi da quelli di un bambino della sua età. È più matura, e delicata.
"Alice, ti voglio tanto bene, lo sai vero?"
Annuisce, le sue mani si spostano sulle mie guance e raccolgono qualche lacrima.
"Non voglio che tu pianga. Non devi stare male. Io voglio vederti felice." dice, triste.
"Ti voglio tantissimo bene, Alice, non dimenticarlo mai."
Annuisce di nuovo, adesso le mie mani sono sulle sue guance. Le ambiscono, percorrono i suoi lineamenti, li immagazzinano.
Il suo piccolo naso, i suoi occhi, i tratti delicati.
"Sarò felice." ripeto più a me stessa, che a lei.
Mi guarda sempre più confusa, mentre le mie mani ritornano sulle sue spalle.
"Sarò felice, e voglio che tu lo sia," ripeto, guardandola dritta negli occhi. "Alice, combatti sempre per la tua felicità, non farti sottomettere da nessuno. Fatti valere," le bacio la punta del naso. "Me lo prometti?"
"Cosa?"
"Mi prometti che lotterai per essere felice? Anche..." mi schiarisco la voce. E continuo. "Anche se io non ci sarò?"
Annuisce sempre più confusa.
Scuoto la testa. "No, devi dirlo, ripeti con me. Prometto di combattere per la mia felicità."
E lo fa: "Prometto di combattere per la mia felicità."
"Così va meglio." le dico, portandola a sedere accanto a me.
Ho ripensato alle parole di Edward, al suo modo di sistemare le cose. Semplice, sbrigativo.
Ho pensato, come mai prima d'ora, che la sua idea non è tanto male. È realistica, fattibile.
La mia mente è in contrasto con il cuore. La prima mi sussurra di restare, di risolvere tutto nel miglior modo possibile, il secondo invece, mi dice di ascoltare e seguire i consigli di Edward, di andare via da questa terra con lui.
E così ho deciso per il mio cuore. Devo essere felice. Allora posso esserlo solo con lui.
Trascorro tutta la giornata in compagnia di mia sorella, gioco con lei, l'aiuto a disegnare con dei carboncini. Le disegno (nei migliori dei modi) me e lei. Insieme, mano nella mano.
Ed infine, mentre lei è a cena le scrivo una lettera, una per lei, ed un'altra per i miei genitori.

Cara Alice,
ti starai chiedendo dove sono, in un posto dove posso essere felice, con la persone che amo e che mi rende felice.
Ho seguito il tuo consiglio, 'voglio vederti felice' e adesso lo sono.
Leggerai questa lettera milioni di volte, lo so, ti chiederai dove io sono, con chi sono e perché abbia scelto di abbandonarti; starò sempre vicina a te, con il pensiero, non dimenticherò mai la mia piccola sorellina che mi ha aiutato a trovare la forza per fare questa scelta, dolorosa per te.
Forse non mi vorrai più vedere, forse porterai rancore nei miei confronti, ma capirai, un giorno capirai cosa mi ha portato a fare ciò.
Ricorda sempre la promessa che mi hai fatto ' Prometto di combattere per la mia felicità', porta a termine questa promessa, non dubitare mai delle tue forze, non lasciar perdere, combatti sempre a testa alta, con orgoglio, con passione per tutto ciò che ti circonda. Io non sono riuscita ad esaudire i miei desideri, non sono riuscita a prevalere, la fuga non è la miglior cosa, non è da eroi, ma da codardi. Ma se, essere codardi porta alla felicità, sii codarda.
Io ho esaudito il mio sogno, e voglio che tu esaudisca tutti i tuoi desideri.
Ed un'ultima cosa: non dimenticarti di me, perché io non lo farò; ritornerò un giorno,quando non lo so, tra un anno, tra dieci, forse di più ma te lo prometto.
Sarò da te, non ti riconoscerò perché sarai cresciuta, ma forse ti ricorderai me, della tua sorellona.
Ti voglio tanto bene, Bella.

 

Le lacrime mi solcano il viso, mentre scrivo, la carta si bagna, la mano trema.
La piego per bene e la metto sotto il suo cuscino, insieme a quella per i miei genitori. In quest'ultima ho detto di essere bravi genitori per Alice, come lo sono sempre stati per me. E che saranno sempre nei pensieri, ed infine che la mia fuga non dipende da loro (o almeno non esclusivamente), ma che la mia fuga è un allontanamento da questa terra, dalle bombe e dai kamikaze. Anche a loro ho promesso che sarei tornata, un giorno.
Spero solo che mi accettino, quel giorno.

 

Alice torna in camera mezzora dopo, tra le mani ha una panino che mi porge.
"Grazie," riesco a dire prima di avventarmi sul cibo.
"L'ho nascosto per te, non mangi da troppo." esclama prima di scrollare le spalle.
"Grazie." ripeto, tra un morso ed un altro.
Ho già preparato la borsa, i miei vestiti, le cose più importanti e personali.Mentre mangio il panino continuo a guardare mi sorella che si infila la camicia da notte, i suoi movimenti sono lenti, ma allo stesso temp
o esperti.

Si infila sotto le coperte, mentre lo fa mi fissa, e sorride. Sembra un angelo, la sue pelle candida e pallida, le sue guance paffute, tinte di rosso, le sue piccole labbra rosa.
Mi si stringe il cuore, pensare di non poterla più rivedere, non c'è una soluzione meno drastica?
Una soluzione che mi permetta di continuare a stare con lei?
No, non c'è.
Due scelte: Edward, o la mia famiglia.
Mi avvicino al suo letto, mandato giù l'ultimo pezzettino di pane, è distesa supina, con le braccia fuori dalle coperte.
Mi sporgo, fino a darle un bacio sulla fronte, e sistemarle le braccia al caldo.
"Ti voglio bene, Alice. Non dimenticarlo mai." sussurro.
I suoi occhi sono chiusi, è già nel mondo dei sogni, spero per lei che siano belli, proprio come dovrebbero essere quelli di un bambino.
Aspetto che anche i miei genitori siano andati a letto, prima di aprire la porta, con lo zainetto in spalla, dare un ultimo sguardo alla mia sorellina, che dorme beata, e sgusciare fuori.
Percorro sulla punta dei piedi il corridoio, prima di arrivare alle scale in legno.
In casa non c'è nessun rumore, se non il russare di mio padrescendo lentamente i gradini, attenta a non farli scricchiolare sotto il mio peso.
Il cuore mi batte a mille, sento le mani tremare e farsi sempre più gelide, lo stomaco contorcersi, ed i piedi diventare budella.
Il mio respiro è affannato, finché non esco di casa. Mi sembra che il salotto non sia poi così piccolo mentre mi dirigo verso la porta.
La brezza primaverile non potrebbe non essere rilassante, ma in me effettua l'esatto opposto. Mi sento rabbrividire, e una scarica di adrenalina mi corre nelle vene.
Il primo passo è andato, adesso non mi resta che arrivare alla grande distesa.
Cammino frettolosamente fino ad arrivare ai cancelli, nessuno mi ha vista, ma la prova più difficile è questa: oltrepassare i cancelli senza essere vista dalle guardie; le stesse che continuano ventiquattr'ore al giorno di assediare i confini del "quartiere".
Mi accorgo che c'è Jacob, dell'altra guardia neanche l'ombra. È seduto con la testa poggiata su un palo, sonnecchia.
Mi avvicino piano, sento il cuore pompare sangue velocemente, nella cassa toracica, lo sento perfino nelle orecchie. Ed ho paura che quel rumore, così maestoso per me, possa svegliare Jacob. Ma non lo fa. Gli passo accanto, il tempo di vedere le sue labbra aprirsi e chiudersi, in una specie di sorriso; vado avanti sorridendo, più tranquilla.
Scendo la collinetta, sempre più euforica, più felice.
Non so cosa mi dice che lì troverò Edward, ma lo so.
È una sensazione strana, di sicurezza, come non lo è mai stata.
È il suo "Quando sarai pronta, io sarò qui, ad aspettarti."sussurrato all'orecchio che mi dice che ci sarà, che in questo momento mi sta aspettando sotto l'albero di ciliege, il nostro posto speciale.
Riesco a scavalcare il filo spinato, l'impazienza aumenta di secondo in secondo, all'idea di poterlo di nuovo stringere, e stare insieme.
La luce della luna riesce ad illuminare abbastanza bene l'immenso prato, riesco a vedere dove mettere i piedi, anche se quella terra la conosco a memoria; il passo sostenuto inizia a diventare sempre più veloce, fin quando mi ritrovo a correre. Vedo in lontananza il grande albero, quello che ci ha protetti dagli sguardi indiscreti, dalle giornate estive troppo calde, che ci ha fatti sognare, che ha creato un mondo parallelo, dove vivevamo solo io e lui, dove i nostri abbracci le nostre carezze non avevano mai fine.
E poi lo vedo.
Vedo lui, il suo ciuffo mosso dal vento, lo vedo osservare la luna, distratto, tanto che non si accorge del mio arrivo.
È seduto sulle grosse radici, con le braccia conserte al petto.
"Edward," basta un mio sussurro e lui sobbalza, voltandosi verso di me.
Riesco ad intravedere un grosso sorriso, mentre, si alza e mi viene incontro.
Allarga le braccia, e mi tuffo immediatamente sul suo petto, fra le sue braccia che mi stringono, il suo odore che inebria i miei sensi.
"Sono venuta, e sono pronta," inizio a dire. Ho gli occhi chiusi, la faccia premuta nell'incavo del suo collo. "E tu sei qui."
"Ti ho aspettata, sapevo saresti venuta, ci ho sperato tanto." Mi bacia il capo, dolcemente, sul velo che copre i miei capelli.
"Possiamo andare, non mi importa dove-" mi ferma, baciandomi con passione, entusiasmo, impazienza.
"L'importante è che ci sia tu." riesco a dire infine, ansimando.
Perché l'amore riesce a travalicare barriere e ostacoli. Basta essere in due, basta poter contare sull'altro.
Mi stringe ancora al petto. Vorrei che questo abbraccio non finisse mai.
Vorrei che il nostro amore non finisse mai.
E continuiamo a baciarci, sotto l'albero.
Una raffica di vento si alza, come se fossero coriandoli veniamo investiti da fiori, stupendi, meravigliosi fiori di ciliegio.

 

FINE

Risultati: 
La menzione d'onore va a "Fiori di ciliegio"di Many8


 

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Con le seguenti motivazioni:

Lele Cullen: "Di questa OS mi ha colpito immediatamente l'ambientazione e l'idea così originale: questi Edward e Bella, così diversi ma così innamorati, che scappano dalle loro rispettive vite per andare incontro al loro amore sotto un'albero di ciliegio. Assistere alla presa di coscenza di Bella e vederla prendere una decisione così difficile è stato davvero emozionante, e la lettera alla sorellina mi ha commossa tantissimo. Un finale bello, ma non per questo scontato o facile. Lo stile lineare e scorrevole rende la storia assolutamente piacevole da leggere . Insomma, una storia che meritava assolutamente un posto tra i vincitori di questo contest  "


Stupid Lamb: "Il viaggio nel tempo che questa OS consente di fare è intenso e lascia il segno. Bella e Edward decidono di lasciare tutto e tutti, pur di poter essere felici. Ho trovato particolarmente commovente il rapporto di Bella con la sua famiglia, in particolare con Alice. Ho trovato romantiche e allo stesso tempo disperate le parole di Edward, il suo promettere a Bella che l'avrebbe aspettata, sempre e comunque.
Many8 ha saputo racchiudere, in questa one shot, sentimenti, originalità, delicatezza e realismo. Complimenti."


Federob: "Tra tutte le storie lette, questa è la OS che mi ha colpito di più. Non soltanto per la scelta dell' ambientazione, che di per se è molto interessante, ma anche perchè sei riuscita a descrivere questo amore proibito tra Bella ed Edward in maniera veramente toccante. La scelta difficile che Bella ha dovuto prendere tra la sua famiglia ed il suo vero amore è stata descritta in maniera stupenda. Leggere le parole di Bella scritte per la sorella mi ha commosso. Per questo motivo credo che questa storia meriti un premio insieme alle altre bellissime OS che hanno vinto questo contest."


 

Edit 24/12/11: risultati al contest «Historical Contest»:

2° CLASSIFICATA : Many8 - Fiori di ciliegio (Punteggio 21.75/ 25)

GRAMMATICA E FORMA/STILE (3 + 4.25 punti): 
Ci sono molti errori, più che altro di battitura, che purtroppo penalizzano un po’ la storia, per cui ti consiglio una rilettura più attenta. 
D’altro canto lo stile è buono, semplice e scorrevole. 
TRATTAZIONE DEI PERSONAGGI E ORIGINALIT À (4.75 + 4.75 punti): 
Trovo che i personaggi siano coerenti, sia per come agiscono all’interno della storia, sia in relazione a quelli della Meyer. 
Devo farti i complimenti per l’originalità dell’ambientazione storica che hai scelto; era difficile, a mio parere, renderla bene, ma ci sei riuscita in pieno. 
IMPRESSIONE PERSONALE (5 punti): 
Una bella One Shot, che mi è piaciuto leggere. La trama è quella del tipico amore impossibile alla Romeo e Giulietta, rivisitata e posta in un contesto nuovo; è molto romantica, a mio parere non potevo non assegnarti il PREMIO MIGLIOR LOVE STORY! :) 

Ed, infine, i bellissimi banner creati da tikei_chan:
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