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Autore: Piccola Ketty    18/03/2011    1 recensioni
Autoscuola.
Un istruttore bellissimo, dieci anni più grande della sua allieva.
Kate e Mirko.
Una storia strana, un gioco di sguardi che porterà tutti e due in un vortice chiamato amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I breathe your moments








11.
 
Ci sono delle cose che ad un certo punto vanno fatte e basta. Senza pensarci, senza rimuginarci troppo, perché altrimenti diventeranno soltanto dei rimpianti.
Ci sono poi, delle persone, che bisogna tenere sempre strette.
Ci sono i familiari, a cui non bisogna chiedere niente, loro ci saranno sempre, a prescindere da tutto.
Ci sono gli amici, che vanno trattati come oro, perché ci staranno sempre vicini, nella gioia e nel dolore, come citano le parole del prete.
Poi, alla fine, ci sono loro, gli angeli. I ragazzi, quelli che ti dicono “ti amo” ma che nel frattempo pensano a tutt’altro.
Quelli che pensano soltanto ad una cosa, e quelli che invece ti dicono la verità, ma tu sei troppo cieca per capirlo, e te li lasci sfuggire.
Quello era successo a me.
Ed infatti, stavo proprio andando a rimediare il danno che avevo causato con la mia impulsività e testardaggine. Ero sull’autobus, e non era quello che mi avrebbe portato a casa mia.
C’ero stata una volta sola, in quel posto, e sperai davvero, con tutto il cuore, di non aver sbagliato strada. Pioveva a dirotto, l’ombrello si era ovviamente rotto, e faceva un freddo cane. Se non avessi avuto un buon pretesto per andarci, non mi sarei mai avventurata.
Sospirai, spostandomi per far passare una vecchietta che doveva scendere. Mancavano pochissime fermate, poi teoricamente, avrei dovuto suonare al suo campanello ed aspettare che lui mi venisse ad aprire.
Sicuramente avrei dovuto dire qualcosa tipo “ciao Mirko”, oppure “ehi Mirko”, qualunque cosa, ma non una scena muta come invece – haimè – sapevo che avrei fatto.
Volevo parlargli, spiegargli che ero una bambina infantile che si era preoccupata del parere degli altri, e non aveva seguito il suo cuore, facendolo soffrire.
Ero alla fermata, e mentre stava arrivando il mio autobus, un’idea malsana mi era passata per la testa, facendomi restare ferma, senza salirci sopra. Avevo così aspettato l’autobus dopo, che mi avrebbe portato vicino a casa sua. Certo, non avevo preso in considerazione l’idea di trovarlo in casa con quella donna, e non ci avrei fatto di certo una bella figura, ma non mi interessava più niente. Ero andata lì per lui, non per lei.
Lui doveva sapere cosa provavo, poi, avrebbe reagito a modo suo, ma almeno io ero stata sincera, gli avrei aperto il mio cuore. Prenotai la fermata, sentendo le gambe molli.
Non cedete, no. Restate con me, sorreggetemi.
Tutto andrà bene. Tutto andrà bene.
Tremavo, e non per il freddo.
Scesi dall’autobus, raggiungendo subito un portone, rannicchiandomi sotto di esso. Provai a riaprire l’ombrello, fallendo miseramente. Ormai la fortuna non mi seguiva da un po’ di tempo. Guardai la strada, intravedendo il portone della casa di Mirko. Avrei dovuto correre, bagnandomi come un pulcino, ma l’avrei raggiunto in poco tempo. Cosa sarebbero state due gocce, in confronto a ciò che mi aspettava lì dentro?
Il gioco valeva la candela, quindi, con un po’ di coraggio presi a correre, sentendo l’acqua entrare nel colletto della giacca, bagnandomi completamente. I capelli erano zuppi, nonostante tenessi l’ombrello malmesso sopra la testa per ripararmi un po’.
Dovetti aspettare una macchina per attraversare, ma alla fine riuscii ad arrivare al portone tanto agognato, con il fiatone ed il cuore che batteva come un tamburo impazzito.
Ecco, ora non riesci a suonare il campanello.
“Non fare la scema, suvvia Kate. Sei venuta fino a qui, prendendo più acqua che dentro ad una doccia, ed ora non riesci a suonare quel campanello? Scherzi vero?”, mi guardai intorno, sperando di non avere nessuno che potesse sentire i miei schizzi mentali.
Sospirai quattro o cinque volte, sentendo poi la serratura del portone aprirsi. Mi spostai velocemente, uscendo allo scoperto e prendendo di nuovo un sacco di acqua. Probabilmente era stata l’adrenalina a farmi scattare in quel modo, perché era impossibile che fosse lui. Scossi la testa, spostandomi dal muro nel quale mi ero appoggiata tipo geco.
“Grazie per il the”, quella voce, l’avrei riconosciuta tra mille. Lasciva e piena di significato poco casto. Doria.
Digrignai i denti, iniziando a temere il peggio.
“Figurati, sicura che non vuoi che ti accompagno?”, Mirko, oddio, no. No. No. No.
Pregai in tutte le lingue, affinché il motivo per cui lei si trovava li, fosse diverso da tutte le immagini che mi passavano per la mente. Ma non riuscivo a pensare ad altro se non a loro due in posizioni assurde.
“No, non ti preoccupare. Grazie per avermi fatta venire da te piuttosto, speravo che la tempesta si calmasse, ma se non mi muovo subito resterei da te sino a domani mattina”, lasciò cadere la frase, ed una morsa la petto mi costrinse a posarci una mano sopra a massaggiarlo.
Chiunque avrebbe capito che quella frase era una tacita richiesta di restare da lui per tutta la notte, donna..della quale preferii evitare di trovare aggettivi.
“Buona serata”, potevo solo sentire, non potevo vedere i loro gesti, e quella cosa mi causava non poca nausea.
“E’ stato un piacere..rivederti Mirko. È stato come tornare ai vecchi tempi, tu non sei cambiato per niente. Sei rimasto il bellissimo ed affascinante istruttore di scuola guida”, la voce di lei si era addolcita, diventando quasi un sussurro.
“Meriti la felicità”, riprese lei, sempre con tono dolce.
“Doria..”.
“Mirko, sai benissimo che quella felicità, io potrei dartela ogni giorno, lo sai. Per me non è cambiato niente”, sentii il cuore tremare, “se non fosse arrivata lei, a rovinare tutto, ora io e te avremo un futuro”, non potevo giurarlo, ma lei sembrava piangesse. Provai a drizzare meglio le orecchie, per quanto potessi permettermelo.
“Ti prego Doria”, la voce di lui era disperata, piena di tristezza.
“No, no ti prego Doria. Ti prego io Mirko. Guarda in faccia la realtà. Non può darti niente, non può ridarti quello che ti dava lei”, strinsi i denti, per non urlare, “lei ti ha lasciato Mirko, e tu devi rifarti una vita. Ma non sarà lei a ridarti quella felicità..quanto pensi che durereste, eh?”, dura, feroce, ed invidiosa.
“Doria per favore, smettila”.
“Come preferisci Mirko. Sappi, però, che un giorno ti renderai conto che la scelta che stai facendo, non è quella giusta. Aspettare per cosa fare poi? Perdere anche lei? Perché è questo che succederà Mirko. Lei non ti conosce, non può darti quello che potrei darti io”, piangeva, ormai si sentiva.
“Doria, penso sia davvero ora che tu vada. Altrimenti non riusciresti ad arrivare a casa..”, la voce di Mirko era invece strana, diversa.
“Sei anche il solito gentiluomo. Spero davvero che arrivino tempi felici anche per te”, silenzio assoluto, “a presto Mirko”.
“A presto Doria”, silenzio di nuovo, poi la porta del portone sbattuta, e più niente.
Insieme alla pioggia, non mi ero nemmeno accorta di piangere. Avevo il viso completamente bagnato, ma i singhiozzi li sentivo perfettamente. Mi portai una mano sul petto, per poterlo tenere insieme, visto che ormai il cuore si era sgretolato. Chiusi gli occhi, e mi lasciai scivolare contro al muro, ero andata lì per chiedergli scusa, ma ormai era troppo tardi.
La gelosia mi aveva fatto perdere ogni forza, ogni desiderio di suonare e di parlargli. Dovevo tornare a casa e dimenticare tutto, lasciarmi tutto alle spalle.
Mi alzai, appoggiandomi contro al muro per sorreggermi. Ero debole, stanca e provata emotivamente, volevo soltanto tornare a casa, senza pensare ad altro.
Inutile spazzare via le lacrime, la pioggia non riusciva nemmeno a farmi respirare. Avevo freddo, e probabilmente il giorno dopo mi sarei presa una bella bronchite, dopo quel bellissimo pomeriggio.
Ritornai alla fermata, aspettando l’autobus in uno stato di apatia totale.
Fissavo il marciapiede, con la mente vuota, sgombra da qualunque pensiero.
Non può darti niente, non può ridarti quello che ti dava lei.
Perché? Perché a me?
Perché non vuoi capire che io sono piena d’amore, che potrei renderti felice.
Non mollare Mirko, non fare il mio errore.
Ripresi a piangere, più forte di prima. Mi abbracciai il ventre piatto, singhiozzando.
Non poteva andare sempre tutto storto, non poteva.
Guardai il portone di casa sua, ancora una volta. Ero andata lì con l’intento di parlarci, non di scappare di nuovo. Tutta quella strada, tutto quel dolore per niente? No, non doveva andare così.
Raddrizzai il busto, stringendo i pugni e ritornando dall’altro lato della strada.
Qualunque cosa fosse successa, dovevo parlarci, dirgli in faccia quello che provavo e andarmene da li.
Presi un respiro profondo, suonando il campanello.
Chiusi gli occhi, rendendomi conto che la frittata era fatta, e che non mi ero nemmeno preparata un discorso.
La scena muta no.
Quando la serratura del portone fece il rumore di prima, rabbrividii, sentendo lo stomaco contorcersi.
Sbucò il suo volto, dapprima curioso, poi sorpreso e alla fine preoccupato.
“Kate? Che..tu, cosa ci fai qui?”, mi domandò allarmato, osservandomi.
Dovevo fare proprio pena, bagnata dalla testa ai piedi, e con gli occhi rossi.
“Ciao”, boccheggiai, guardando altrove.
“Va tutto bene? Ti senti bene?”.
Si stupido.
“Si, volevo solo parlarti”, dissi tutto insieme, per evitare che facesse domande.
“Entra, vieni dentro che altrimenti ti becchi qualcosa..”, con la voce tesa ed allarmata, si spostò per farmi entrare, ma mi rifiutai.
“Devo parlarti, ci vorrà proprio poco, davvero”, mi mossi sul posto, tremando.
“Ma stai tremando, entra dentro K..”.
“Non sto tremando per il freddo”, lo interruppi mordendomi la lingua.
“E allora perché?”, domandò con un filo di voce.
“Perché devo parlarti di una cosa importante, che non riesco più a tenermi dentro..”, sentii le lacrime risalire, e provai in tutti i modi a fermarle, senza riuscirci. Si allarmò di colpo, avvicinandosi, ma lo fermai con entrambe le mani, scuotendo la testa.
“Io ti amo Mirko, ti amo e l’ho sempre saputo, sempre..non è mai passato un giorno senza che io lo sapessi”, ingoiai il magone, fissandolo negli occhi azzurri, stupiti e lucidi, “solo che sono stata una cretina, non ho dato voce ai miei pensieri e mi sono nascosta dietro alle mie paura. E per questo ti chiedo scusa..”.
“Io non so cosa tu possa provare per me, ma ti chiedo solo di credermi e di capire il mio errore, perdonandomi..avevo paura della gente, di quello che potevano pensare..ma io non ce la faccio più a stare senza di te, mi sento vuota, inutile”, gesticolavo e tremavo, “e sono anche una stupida. Sono venuta sino a qui..ed ho sentito Doria, tu, lei..lei non pensa che io..insomma Mirko”, scoppiai a piangere, coprendomi il viso con le mani. Un tuono segnò la fine del mio discorso, facendo vibrare ogni cosa sotto il suo controllo.
In un attimo mi fu di fronte, bagnandosi anche lui. Prese le mie mani davanti al mio viso, e le spostò delicatamente, portandole sulle sue guance calde e morbide.
“Scema, ti amo anch’io”, prese il mio viso tra le mani, stringendolo, “ti amo da sempre, e ti ho aspettata. Nonostante tutti i consigli negativi che dici tu, io ti ho aspettata..ed ho fatto bene, perché ora che ti ho di fronte, riesco a vedere la Kate che amo, e che vorrei al mio fianco”, avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò con impeto e trasporto.
In quel momento, mentre le sue labbra baciavano le mie, e le sue mani cercavano il mio viso, mi sentii completa, felice.





Grazie, grazie mille per le recensioni. <3
Piccola Ketty

   
 
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