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Autore: Ulissae    18/03/2011    8 recensioni
[One shot su un apprendista di Leonardo da Vinci. Personaggi presenti: Leonardo da Vinci, Niccolò Machiavelli, Michelangelo Buonarroti]
Sembrava un angelo, che stava lì a giudicare non solo due lavori ma due uomini. «Bisogna assaporare un morso della vita. Solo un morso di ogni cosa».
Quinta vincitrice del contest Collapsing night, indetto dal Collection of Starlight
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Titolo della fanfiction: Dio è vestito di giallo
Titolo del contest: Collapsing night
Pairing: //
Personaggi: Niccolò Machiavelli, Leonardo Da Vinci, Francesco Vettori, Michelangelo Buonarroti, Dante Vignola (ahimé solo l'ultimo è mio)
Generi: storico, romantico, malinconico.
Warnings: one shot, accenno a un amore tra uomo e uomo.
Credits: ogni personaggio appartiene a se stesso, all'infuori di Dante. I fatti di seguito narrati sono puramente di fantasia, pur rimanendo verosimili. L'icon a cui mi sono ispirata è di Boundary.
Note personali: se avessi dovuto scrivere un documentario per Alberto Angela avrei dovuto studiare di meno.
Ho cercato di rendere la storia più verosimile e storicamente attendibile, rinforzando le mie conoscenze personali con la rivista Storica del National Geographic e wikipedia.
Consiglio di leggere le note dopo la storia, per evitare possibili “spoilers”.
La corrispondenza tra Machiavelli e Francesco Vettori è provata da un buon numero di epistole, nelle quali molto spesso Niccolò si lamentava della noia della vita all'Albergaccio e di come molto spesso si metteva a litigare con i paesani. Quando dice antiqui amici è un riferimento agli antichi scrittori, che lui diceva fossero gli unici a fargli compagnia.
La cornice è ambientata nel 1515.
Leonardo da Vinci incontra Dante nel 1503, quando sta tornando a Firenze. Il pittore aveva 51 anni mentre Dante 17. Leonardo ebbe numerosi giovani discepoli ed essendo lui stesso stato preso dal Verrocchio nella sua bottega in una situazione simile (incontro in campagna) ho creduto che per un tipo come lui non sarebbe poi stato tanto strano portare un ragazzo a Firenze per insegnargli a dipingere.
Sia Machiavelli che Leonardo da Vinci lavorarono per Cesare Borgia; il primo tra il 1501 e il 1503 e il secondo nel 1502. Ho ipotizzato che almeno di sfuggita si siano incontrati.
Quando Leonardo si trova a lavorare con Michelangelo si tratta dell'opera della Battaglia di Cascina, dove si doveva esaltare la potenza della Repubblica Fiorentina. Il lavoro era troppo ampio e nell'asciugatura si finì per distruggerlo. I conflitti tra i due artisti sono riportati da molti storici e commentatori, anche se nessuno dei due mise per iscritto niente contro l'altro. Sia Michelangelo che Leonardo erano dichiaratamente omosessuali.
Leonardo si trasferì a Milano nel 1506 e lì lavorò per il francese Charles D'Amboise.
Nel 1513 si trasferì nuovamente a Roma, dove sperava di venire accolto dal Pontefice, che invece gli preferì artisti come Michelangelo e Raffaello. In quegli anni la fabbrica di San Pietro era ancora in piedi ed è per questo che mentre cerca Dante Leonardo si ritrova quasi nei cantieri.
Michelangelo aveva finito nel 1512 la volta e ho pensato che non era poi tanto impossibile che potesse entrare dentro tale cappella, visto che Giulio II era a stretto contatto con lui, per via della tomba monumentale che gli aveva affidato.
Dante dice che Dio è in un cervello perché se si nota il mantello che avvolge Dio nella scena della creazione si potrà vedere chiaramente la sezione di un cervello umano.

Dio è vestito di giallo


Die 1 martii 1515
Magnifice vir,
mi spiace quasi disturbare la vostra felicità con le mie lettere, ma a quanto pare siete rimasto solo voi come mio unico conforto: qui, in questo paesello, quale è l'Albergaccio, non c'è niente di interessante da fare, tanto meno con il tempo freddo e rigido che impervia ultimamente.
Per di più la donna che mi affitta questa misera casa in cui vivo (una vedova dai mille e mille figli) ha aumentato il costo delle candele; qui intorno nessun altro le produce e le mie esigue finanze non mi permettono di comprarne molte. Pertanto il tempo che solitamente dedicavo ai miei antiqui amici è diminuito e quello dedito alla noia è aumentato.
Ma da due giorni a questa parte mi sono ritrovato attratto e consumato nella ricerca di una soluzione a una serie di carte che donna Maria -la proprietaria- mi ha affidato. Credo si tratti di una sorta di diario, l'unica cosa che so è che il proprietario lo ha lasciato a lei e che tale uomo è stato per lungo tempo il maestro di suo figlio.
Dante. Mi ha detto che si chiamava Dante. Nome curioso per un luogo dimenticato da Dio come questo.
Ora devo trovare una soluzione a questo labirinto di idee e di parole: sembrano scritte al contrario.

Die 2 martii
Magnifice orator,
scriveva al contrario! Ho passato un'intera giornata analizzando tali scritti e alla fine sono arrivato a una soluzione: facendo uso di un pezzetto di vetro lucidato (qui gli specchi sono un sogno, mio caro amico!) si riescono a leggere le parole di questo Leonardo. Temo quasi sia quel genio inconcludente che ho potuto conoscere lavorando con messer Borgia, anzi, i miei timori son diventati certezza quando ho riconosciuto la firma che spesso trovavo su bizzarri e assurdi lavori.
Dopo un po' l'occhio si abitua alla scrittura al contrario e la storia, mio caro amico, è piuttosto interessante. O per lo meno così è a me parsa. Sarà la noia? Sarà questo orrido luogo nel quale vivo che ha annientato le mie aspettative? Voglio proporvela, così saprete dirmi se sono impazzito di tedio.

“Donna Maria, sono sicuro che non vi ricorderete di me. Ci incontrammo quando venni ad alloggiare nella vostra dimora e alla mia partenza Dante venne con me, magari è meglio che non vi ricordiate. Altrimenti Dio starebbe già cercando un modo per punirmi, per aver sottratto a una madre il suo figlio. Ma Dante... oh, sapete meglio di me quanto Dante sia straordinario. Non vi ha scritto né è venuto a trovarvi e di questo l'ho spesso biasimato; ma chi siamo io, o lei, per costringere un'altra persona a fare qualcosa contro la sua volontà?
Vi torna alla mente quando tornavo dalla campagna con la mia bisaccia colma di insetti? Mi chiamavate strambo -e in fondo credo di esserlo sempre stato- e ora ve ne darò un'ulteriore conferma: voglio raccontarvi una storia e vi prego di ascoltare.
Quando io e Dante arrivammo a Firenze, nel 1503, ero povero, profondamente povero. Dante, però, sembrava molto meno scoraggiato di me; in poco tempo riuscì a diventare parte integrante della città fino a conoscerne per filo e per segno ogni piccolo anfratto e ad aver parlato con la maggior parte delle persone. Fu grazie a lui che riuscii a ottenere un incarico alla Santissima Annunziata. È sempre stato così pieno di vita, se lo ricorderà anche lei.
Quando entrammo per la prima volta dentro la chiesa, si guardò intorno e mi chiese: «Vivremo qui?»
«Lavoreremo qui» gli risposi io; ho sempre adorato il modo con cui riusciva a porgere le domande.
«Allora siamo preti» rise. Pensai all'ironia della cosa e altrettanto aveva fatto lui: altrimenti non lo avrebbe mai detto. Era giovane, appena diciassettenne, ma il mondo era riuscito a trasmettergli tutto il sarcasmo che potrebbe avere un adulto.
«Magari» gli dissi mentre iniziavo ad analizzare la parete con la quale avrei dovuto lavorare. «Di sicuro non salteremmo i pasti».
Non ricordo molto della Santissima Annunziata, ma fu in quella cappella che gli insegnai a creare i colori e potei notare quanto fosse più paziente e meticoloso di me nella mescolatura e di come le tinte che produceva fossero più belle e preziose delle mie.
In quei primi momenti che trascorremmo insieme, come Maestro e discepolo, imparò molto da me e altrettanto feci io da lui.
Sapeva creare un ottimo giallo e gli chiesi come facesse, cosa ci mettesse in quel composto che sembrava voler cavare gli occhi di chi lo vedeva, tanto era acceso.
«Quando ero piccolo passavo molto tempo con mio fratello Paolo per i campi» mi rispose facendo spallucce, rimanendo dietro di me, mentre attento mi osservava dipingere.
«E quando facevamo la raccolta del grano questo era il colore che vedevo. Ero basso...» scoppiò in una risata ilare e gioiosa, come era suo solito. «Sono basso... non vedevo bene oltre me, ma questo giallo sì. Vedevo sempre questo giallo.»
Come vi ho già detto, Donna Maria, non ricordo molto della Santissima Annunziata, ma le sue risate e i suoi magnifici colori sì, perfettamente.”

Mio caro amico, sono stanco, l'ultima candela si è quasi esaurita e vi devo lasciare. Spero che non vi siate annoiato; domani voglio continuare a “tradurre” questa storia e mi auguro che voi sarete mio compagno in questa lettura.

Die 3 martii
Magnifice vir,
purtroppo oggi ha piovuto e la luce mi è stata negata, è stata poca la parte della storia che ho potuto leggere. Ma voglio proporvela, poiché mi pare assai appassionante.

“Firenze non mi ha mai amato e io non ho mai amato lei sul serio; l'aver dovuto lavorare con quel dannato di Michelangelo ne è la conferma. Il fatto che Dante lo adorasse, poi, non fece che incrementare in me la rabbia verso costui, che credendosi puro Intelletto non sapeva fare altro che autoesaltarsi!
Dante osservava i suoi movimenti rapito e per la prima volta in quella stanza, nella quale condividevamo i lavori, iniziò a parlarci della sua storia. La sua vera e totale storia.
Era nato in una famiglia numerosa, nel piccolo paesello di Sant'Andrea, fortuna volle che fosse molto credente e che il prete avesse creduto molto in lui. Gli insegnò il latino e un poco di greco lo apprese trovando libri nascosti tra i molti di questo Don Pietro. La sua vita trascorse monotona finché io e lui non ci conoscemmo e lui decise di venire con me. Non era una storia emozionante o viva, palpitante, ma il modo con cui la narrava, con cui sapeva descrivere i piccoli dettagli della sua vita in campagna faceva sì che sia io che quel giovane impulsivo, che tanto lo ammirava a sua volta, tacessimo. Muti ad ascoltarlo scordavamo perfino di criticarci l'un l'altro.
Ma io temevo, temevo molto che la giovinezza che li legava l'avrebbe portato via da me: non vedevo l'ora di finire il mio lavoro e per la prima volta della mia vita, per quando nella mia indole sia possibile, iniziai a dipingere velocemente.
Spesso il Buonarroti gli chiedeva chi, secondo lui, tra noi due sapesse dipingere meglio; chi, con la sua tecnica, cogliesse la realtà con maggiore bravura.
Dante si alzava, la sua figura magra e mingherlina avvolta in quelle casacche strane, che si faceva cucire con avanzi di varie stoffe, sempre troppo grandi, e rimaneva a osservare le figure oltremodo muscolose del mio 'collega'.
Poi veniva da me, studiava le mie e sorrideva.
«Tu succhi la vita e non riesci a sentirne la friabilità, tu la sbrani, e non riesci a sentirne il sapore» diceva, puntando un dito contro le due pareti. Sembrava un angelo, che stava lì a giudicare non solo due lavori ma due uomini. Poi sorrideva e si risiedeva a terra, rimescolando i colori. «Bisogna assaporare un morso della vita. Solo un morso di ogni cosa».
I disastri che poi ne uscirono da quella commissione non voglio star qui a ricordarli, ma quando tutto bruciò Dante era al mio fianco, versando lacrime di disperazione che io, troppo sconvolto, non riuscii a sentire.”

Voi che abitate a Roma e vivete presso il Sommo Pontefice sicuramente avrete conosciuto tale Michelangelo. Artisti... sono folli eppure amati, mentre io, misero, che tanto ho fatto per la mia adorata Firenze, marcisco qui, consolato solo dalle parole di questo Leonardo.

Die 4 martii
Magnifice magister,
ho perfino smesso di litigare con questi falegnami ladri per quanto questa storia mi ha catturato!

“Continuai a impegnarmi in lavoretti da poco, se non ci fosse stato Dante avrei lasciato perdere tutto. Lui e la sua costanza mi spaventavano e mi affascinavano allo stesso tempo. Passavo la maggior parte del mio tempo a riportare le sue espressioni con schizzi e piccoli disegni più elaborati. I suoi capelli neri erano così scuri e affascinanti che non poche volte mi dovetti trattenere dall'affondarci dentro le mie mani e attirarlo a me.
Oh, Donna Maria!, ora che sono lontano dall'Italia e non tornerò più lì posso scrivere queste cose senza temere il vostro giudizio di madre. Ma forse neanche leggerete né lo farà il vostro prete di fiducia. Nessuno sa leggermi e forse, stavolta, questa mia stranezza  sarà una grazia. Probabilmente queste sono solo le confessioni di un uomo morente che narra la vita di un altro uomo morto.
Comunque Firenze a me non è mai piaciuta, Dante sembrava adorarla, invece. Il tiepido clima del centro gli mancò molto quando ci trasferimmo a Milano.
E ancor di più gli mancò il toscano.
Non parlava con nessuno all'infuori di me e quando lo portavo in giro mi usava per comunicare con gli altri.
«Vedi, tu sai il latino e non sai il lombardo» lo prendevo spesso in giro quando, ormai uomo adulto, doveva chinarsi sul mio orecchio per sussurrarmi cosa dire agli altri.
«Messer Leonardo, io non saprò il lombardo, ma a scriver come Dio comanda lo so fare eccome!» mi rispondeva.
Non ricordo una sola volta in cui non ebbe l'ultima parola, ma il suo dolce e angelico sorriso sì.  Ma le sue labbra sottili e il naso magro rendevano le sue espressioni sempre furbe, come se pensasse ad altro. Le più furbe di tutte.”

Cosa ne dite? Magari quel folle di Leonardo ha inventato tutto, ma tale Donna Maria un figlio di nome Dante lo ha avuto, è morto, ed è scappato a Firenze da giovane con un uomo che si faceva chiamare artista.
Mi rodo di curiosità, mentre attendo il giorno e la luce.

Die 10 martii
Magnifice vir,
finalmente la pioggia ci ha dato tregua e io sono riuscito a ricevere la vostra lettera. Fortuna che anche voi risultate interessato a questa storia! Altrimenti ne sarei uscito pazzo, perché in questi giorni non ho potuto leggerne neanche una riga, tanto il tempo si era fatto scuro e cupo.
Mentre stavo seduto sotto una mimosa in fiore e la mia testa veniva inondata da quei piccoli pallini gialli, che sono i suoi fiori, ho ripreso a leggere la storia, meravigliandomi del fatto che sia quasi finita. Leonardo non è mai stato un tipo paziente e temevo, dalla finezza di questo piccolo plico, che le sue parole sarebbero durate ben poco.

“Milano mi permise di fare cose futili e dopo Firenze io volevo fare solo cose futili, allo stesso modo Dante, che nella spensieratezza sembra essere sempre a suo agio. Passavamo tantissimo tempo all'aperto, lui raccogliendo in un quadernino appunti su piante e fiori, mentre io progettavo padiglioni e ghiribizzi nel giardino di Amboise.
Gli anni passarono e negli occhi di Dante iniziai a vedere donne e uomini nuovi, una vita che cominciò a vivere con la passione di sempre. Temevo che prima o poi sarebbe entrato nella nostra casa annunciandomi di essere innamorato, di volersi sposare e di andarsene da me, un uomo inconcludente quale ero e quale tutt'ora sono.
Ma non successe: le persone che conosceva le conosceva e basta, più per curiosità che per altro. Li ammaliava con i suoi modi di fare, le esplorava per poi lasciarle andare. Non so perché continuasse a tornare al mio fianco, ogni giorno, nonostante le pesanti occhiaie procuratagli dal vino e dalla taverna della sera prima. Con il suo taccuino stava accanto a me, fedele e sorridente.
Ora che passo molto del mio tempo fissando il quadro di Monna Lisa non posso che scoppiare a piangere ogni volta che mi soffermo sul suo sorriso. Dante, il mio caro e dolce Dante. Che con i suoi modi di fare, la sua scaltrezza, la sua beltà riuscì a ispirarmi un viso del genere. Quel sorriso. Il sorriso del mio Dante.”

Ha iniziato a piovere, Francesco. Sperando di non rovinare nessuno di questi pochi fogli che mi rimangono, vi saluto.

Die 11 martii
Magnifice orator,
oh, che disdetta! Ho appena finito di leggere i ricordi di messer Da Vinci e sono così afflitto nel pensare che non avrò più compagnia in queste sere di fine inverno.

“Partimmo per Roma, speranzosi di trovare una situazione migliore ad accoglierci: anche Milano era risultata una città ostile e il clima rigido faceva spesso lamentare Dante. Così entrambi la lasciammo piuttosto di buon grado, nonostante io sapessi già dentro di me che la città papale non sarebbe stata diversa dalle tante altre nelle quali avevamo vissuto.
E così fu, almeno per me.
Mentre io rimanevo nella nostra misera stanza, in attesa di una possibilità da parte del Santo Padre, questi preferiva altri ingegni al mio. E non fu il solo.
Quasi per caso Dante e Michelangelo si ritrovarono, alle soglie di una chiesa. Burbero e rumoroso come sempre, lui si stava lamentando con degli operai e fu solo la voce ormai adulta e profonda di Dante che lo distrasse dalla sua ira.
Si abbracciarono come fratelli, e nel vedere quei due corpi giovani stare così avvinghiati provai un groppo alla gola e allo stomaco, che mi portò a salutare entrambi veloce, per poi scomparire di nuovo tra i carri e le persone della città.
Dante non tornò a casa la sera e quando il giorno dopo si presentò, sembrava euforico.
«Quello è figlio di Dio» esclamò, mentre si buttava pesantemente sul suo giaciglio.
«Se è per questo tutti lo siamo» gli feci notare ironicamente io, senza sollevare lo sguardo da alcuni schizzi. Ripensai agli strumenti che avevo progettato per toccare il cielo e li desiderai ardentemente. Temevo quello che mi avrebbe detto, temevo che le sue parole mi avrebbero ferito più di quanto il suo tono non facesse già.
«Mi ha portato a vedere una sua opera... È... è gigantesca, Leonardo! Gigantesca! Una sala che non puoi neanche immaginare! Tutta dipinta da lui! Lo capisci? Era... era semplicemente grandiosa! E Dio... quel cervello... stava in un cervello, non in una conchiglia! In un cervello».
Volevo che tacesse. Che non parlasse. Per la prima volta la sua voce non era dolce e melodiosa, ma gracchiante e aspra. Ero stanco, così stanco. Non ho mai creduto in Dio ma in quel momento mi chiesi se la voce del Demonio, quando cadde dal Paradiso, non si trasformò come quella di Dante.
«Smettila» lo dissi in un soffio, esasperato.
«Leonardo, devi venire. La devi vedere. Sono sicuro che ti farà venire con noi. Là c'è veramente Dio, Leonardo!» era così dannatamente insistente.
I suoi capelli scuri sempre scompigliati sembravano in condizioni peggiori del solito e il volto era stanco, seppure eccitato e fremente. Mi chiesi cosa avessero fatto e i segni sul suo collo me lo suggerirono. Serrai le labbra e mi alzai, brusco.
«Non ci penso neanche. Anzi, sono seriamente intenzionato ad andarmene da questa dannatissima città dove idioti vestiti di rosso fanno il brutto e il cattivo tempo!»
«Leonardo... ti prego, stammi a sentire!» gemette. Vidi nei suoi occhi tanta tristezza. Le sue mani sottili mi raggiunsero e strinsero le mie, sempre sporche di nero. Ma nel suo odore caldo potei avvertire il calore di Michelangelo, nelle sue occhiaie una notte che io non avevo mai vissuto con lui. Mi ritirai e mi voltai.
Non gli avevo mai voltato le spalle e lui mai le aveva voltate a me. Lo notai irrigidirsi e poi superarmi, sparendo velocemente giù per le scale. Corsi alla finestra e vidi la sua figura scomparire tra la gente, mentre si allontanava con un'andatura scoordinata.
Non feci niente per l'intera giornata. Pensai che sicuramente avrebbe passato le sue ore con quell'uomo, che magari si sarebbero nuovamente amati. E sicuramente Michelangelo avrebbe riso. Sì, ne ero così sicuro.
Scese la sera e la stanza si fece buia. Non volevo illuminarla: a cosa sarebbe servito sprecare una candela se l'oscurità era dentro di me?
Mi alzai barcollando e decisi che dovevo cercarlo; se veramente volevo andarmene da Roma come avevo deciso, dovevo dirglielo.
Vagai di taverna in taverna e ovunque mi dissero che non l'avevano visto, quasi senza rendermene conto mi stavo avvicinando a San Pietro. I cantieri si stagliavano contro la luna, che era solo all'inizio del suo percorso. Non vedevo quasi niente mentre camminavo, ma all'improvviso sentii delle grida; riconobbi subito la voce di Dante e dentro di me pensai di morire, anzi, di essere morto.
Corsi, per quanto la mia età me lo permetta, e inciampai in un corpo: era quello di una guardia, che stava a terra agonizzante, tenendosi il ventre. C'era puzza di sangue. Mi guardai intorno, aguzzando la vista e vidi un lembo di stoffa più chiara sparire dietro un angolo. Arrancando lo inseguii e alla fine lo raggiunsi: era riverso a terra, parte di lui, le gambe, erano infilate in un rigagnolo dall'odore pestilenziale, mentre il respiro affaticato rompeva il silenzio della viuzza.
Mi chinai sulle mie vecchie ginocchia e gemetti: sulla sua gola si apriva uno squarcio dal quale usciva copioso il sangue; strizzava gli occhi, arrancando, e ci mise molto prima di riconoscermi.
«Dante...» lo sussurrai, mentre affondavo il viso contro il suo collo. La mia barba ormai chiara si tinse di rosso.
I colori, pensai, quei colori che tanto amava.
«Leonardo...» sorrise flebilmente «non dovevo farmi vedere... dovevo chiederlo a Mi...» ma le parole gli uscivano spezzate e ogni volta che ne pronunciava una dalla sua gola usciva un gorgóglio  di sangue e aria.
«Taci, ti prego».
Ero debole e il mio corpo non avrebbe mai potuto portare su di sé Dante; casa era lontana e la sua morte si avvicinava a grandi falcate. Scoppiai a piangere, lacrime di un vecchio eccentrico che si versavano per questo ragazzo, che tanto a lungo avevo amato.
«Tieni...» mi porse un pezzo di pergamena stropicciato «c'è Dio». Sorrise un'ultima volta, in quel suo modo enigmatico, quasi nascosto. Aprii il piccolo foglio e trovai due mani, vicine tra loro, sul punto di sfiorarsi.
Dante Vignola, il mio caro, dolce Dante giaceva lì, riverso tra le mie braccia. Chiusi gli occhi e sperai che le nostre mani, prima o poi, si sarebbero potute toccare.
E ora, Donna Maria, anche se non credo che voi abbiate letto, vi rimando indietro il suo cadavere. Lo rimando al suo caldo e amato giallo, sperando che quel morso al mondo che è stata la sua vita, sia stato capace di fargli assaggiare ogni prelibatezza.
«Mordi la vita, Leonardo» diceva. «Non succhiarla né sbranarla: mordila».”

Le pagine che seguono, per mio sommo dispiacere, le ha rovinate l'ultima pioggia. Mio caro amico, ancora mi struggo per questa storia e non ho il coraggio di dire a Donna Maria cosa ci sia scritto. Mi limiterò a dirgli che sono poesiole del figlioletto, e magari domani inizierò a comporne alcune, tanto per tranquillizzare il suo occhio ignorante e il parroco.
Mordere la vita... caro Francesco! Che ci sia d'augurio!
Vi saluto,
cordialmente vostro,

Niccolò Machiavelli.


Angolo autrice:
non ho niente da aggiungere, se non degli enormi complimenti a tutte le partecipanti. Ringrazio per il giudizio Alexluna :)
   
 
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