Capitolo
1.
Per
la prima volta.
We
just now got the feeling
That
we’re meeting
For
the first time.
- The Script.
La porta si aprì
all’improvviso facendomi sobbalzare ed alzando la testa mi accorsi di essermi
assopito sopra il libro di filosofia mentre ascoltavo musica; la guancia destra
aveva preso la forma della pagina su cui mi ero beatamente addormentato e
l’auricolare dell’mp3 pendeva distrattamente dall’orlo del tavolo.
« Riccardo! » Nella voce di
mia madre si sentiva un bel rimprovero, come minimo una strigliata d’orecchi
con la solita predica. Già mi preparavo alla solita risposta: sì, mamma, lo so che devo studiare. Sì,
mamma, lo so che ho gli esami di maturità quest’anno. Sì, mamma, lo so che la
musica non mi porterà da nessuna parte, ma devi ammettere che nemmeno la
filosofia lo farà.
« C’è Giacomo al telefono,
vuole parlarti per il concerto di domani » disse invece, senza nessun accenno
allo scarso impegno che avevo nei confronti della scuola. Quel giorno sarebbe
stato da ricordare solo per quello.
Mi alzai di scatto senza
pensarci due volte. Non avevo nessun riflesso che fosse più rapido di quello
che mi veniva quando si trattava di musica, o meglio, di suonare.
Presi il cordless e
cominciai a camminare avanti e indietro per la stanza mentre parlavo con
Giacomo, il mio batterista. L’indomani avremo suonato nella nostra scuola in
occasione della giornata della memoria, e, anche se non era la prima volta, ero
eccitatissimo all’idea di suonare davanti ai tremila studenti del nostro liceo
scientifico. Era una bella soddisfazione.
« Ehi, Jack. Come va? » gli
dissi tutto contento.
« Non molto bene purtroppo.
Ho la febbre a 39 e non sembra volersi abbassare » disse tossendo.
« Che cosa?! Ma domani puoi
suonare, vero?! »
« Ma ti pare che io possa?
Quando l’ho chiesto a mia madre ha cercato di uccidermi con lo sguardo, sai
com’è quella donna! »
In effetti Giacomo era
piuttosto cagionevole di salute, e, ogni volta che aveva anche solo un piccolo
raffreddore, sua madre lo teneva a casa per giorni, preoccupata che si potesse
evolvere in qualcosa di più.
« E che facciamo per il
concerto? » chiesi allarmato.
« L’unico modo è cercare un
altro batterista, oppure non lo facciamo e basta » mi rispose.
« Ma neanche per sogno! »
Non avrei mai rinunciato a quel concerto, neanche se fosse stata questione di
vita o di morte. « Tu dimmi, conosci qualche batterista valido nella nostra
scuola che potrebbe conoscere le canzoni? »
« È tutta adesso che ci
penso, ma non saprei proprio. Ci sarebbe Matteo, ma ti odia a morte, non
verrebbe mai a suonare con te ».
Sbuffai. Quel ragazzo era
un bravo batterista, forse molto più di Giacomo, ma il suo ego era tanto da far
schifo, ed io non lo potevo sopportare.
« Nessun altro? » chiesi
speranzoso.
« Eh, non è che non ce ne
siano, anzi, siamo pieni di batteristi lì a scuola! Pensa che all’autogestione
eravamo il gruppo più numeroso, tanto che la preside era venuta a… »
« Taglia corto » lo fermai,
impaziente di trovare un sostituto al più presto.
« Beh, il punto è che
trovare un batterista che conosca le canzoni e che le sappia suonare bene è
difficile, soprattutto con un anticipo così breve ».
« Argh! Non è giusto, Jack!
» esclamai furioso.
« Senti, amico, non ci
posso fare niente, domani vai lì e cominci a chiedere chi ha voglia di suonare
un po’. Se trovi qualcuno bene, sennò amen ».
Riattaccai senza dire
parola, e poi mi accasciai sul letto disperato.
Ma perché proprio a me?
Perché Giacomo doveva stare male proprio quel giorno? Lo aspettavo da così
tanto tempo, tutti sapevano quanto importanti erano per me i concerti.
Mi torturai con quel
pensiero fino all’ora di cena, e fu motivo di discussione anche con i miei.
« Riccardo, qualche
problema? Sembri stravolto » aveva detto mia madre, con tono gentile.
« Giacomo sta male, quindi
domani non può suonare e io non so chi potrebbe sostituirlo » avevo risposto
arrabbiato mentre mangiavo un boccone troppo grande di pasta e rischiavo di
soffocarmi.
« E per queste cose ti
arrabbi in questo modo? Ragazzo, sono altri i problemi della vita » mi aveva
rimbeccato mio padre.
« Per me è importante » e
con queste parole mi ero alzato da tavola, senza terminare la cena. Loro non
avrebbero mai capito quanto per me era importante la musica.
Certo, dopotutto, non
potevo biasimarli. Sapevo che per me progettavano un futuro ben diverso da
quello che volevo io, mi volevano vedere con un lavoro stabile, con un livello
di istruzione che mi avrebbe permesso di aver più possibilità. Ma non potevano
lamentarsi: a scuola andavo molto più che bene, e alla fine ciò che mi
chiedevano l’avevo sempre fatto.
Se avessi rimosso la
chitarra dai miei pensieri, forse per loro sarei stato perfetto.
Ma io mi sentivo perfetto
così, e non ci trovavo niente di male.
Ricordavo ancora in ogni
minimo particolare com’era iniziata. Ero alle elementari, e stavo tornando a
casa a piedi da scuola, un venerdì pomeriggio. Si solito tornavo stressato, non
mi piaceva fare i rientri, eppure quel giorno ero euforico, perché la
bellissima Chiara mi aveva dato un bacino sulla guancia. Contento com’ero,
avevo deciso di andare a casa per le stradine più nascoste di Cureggio ed
evitare le vie principali. Così facendo ero passato davanti alla scuola di
musica del mio paese. Lì, avevo sentito per la prima volta suonare qualcuno dal
vivo. Lì avevo sentito per la prima volta una chitarra che non fosse stata
suonata per un cd. Lì mi ero messo ad origliare quei suoni, e dopo quella prima
volta ne seguirono molte altre, finché i miei non si erano rassegnati all’idea
di mandarmi a suonare e comprarmi una chitarra.
Da quel giorno, io e la mia
Fender Stratocaster eravamo diventati inseparabili.
Le cose che amavo di più
erano i saggi: mi permettevano di far vedere, o meglio, di far sentire ai miei
genitori quanto per me era importante la musica e quanto quindi per me era
importante continuare a suonare. E non era solo quello, era proprio una sfida
con me stesso, una sfida in cui ci mettevo l’anima.
Per quello, quando ci
avevano proposto di suonare a scuola non avevo avuto un minimo di esitazione.
Giacomo era il mio batterista
da anni.
Avevamo fondato noi il
nostro gruppo dopo esserci conosciuti per caso ad una festicciola di un’amica
comune: avevamo iniziato a parlare e subito ci siamo ritrovati come gusti
musicali, entrambi suonavamo e volevamo sfondare… Ci potevano essere condizioni
migliori per creare una boy band? Poco tempo dopo siamo diventati anche
migliori amici, stessa scuola, stessa classe.
Inseparabili, oserei quasi
dire.
Non riuscivo a credere che
per la prima volta sarei dovuto andare sul palco senza che le sue mani mi
battessero il tempo. Sarebbe stato meglio trovare qualcuno di bravo, che non mi
facesse sfigurare dopo tutti quei giorni persi a provare.
E con quel pensiero, mi
addormentai.
La mattina dopo fu
traumatico l’alzarsi dal letto.
Non ero abituato a
svegliarmi così presto, ma forse era un sacrificio che valeva la pena di sopportare.
Preparai tutto con cura: la
mia amata chitarra, il mio amplificatore, i cavi, i plettri e tutto ciò che mi
sarebbe servito per il concerto di quel giorno. Ero pronto.
Mi mancava solo il
batterista.
Perciò non mangiai nemmeno
quella mattina, spronai mio padre a trascinarmi a scuola prestissimo e
cominciai a chiedere a chiunque passasse: « Scusa, tu per caso sei un
batterista? O conosci qualcuno che lo è e che potrebbe aiutarmi? »
« No » mi risposero tredici
ragazzi.
« Sì » dissero invece in
due.
«Conoscete queste canzoni?
» chiesi a questi due tendendo loro una lista che conteneva sei brani. Per la
precisione, Don’t Cry dei Guns N’ Roses, The promise land di Bruce Springsteen,
Let it be dei Beatles, Wasting Love degli Iron Maiden, In a darkened room degli
Skid Row e, ultima e più importante, Nothing Else Matters dei Metallica.
Entrambi scossero la testa
però, non le sapevano suonare, o almeno, non tutte.
Mi accasciai contro il
muretto della scuola e mancava un quarto d’ora per l’inizio delle lezioni, ed
io non avevo tirato fuori un ragno dal buco.
« Scusa, in giro dicono che
ti serve un batterista che conosca alcune canzoni, è vero? » disse poi una voce
femminile, e mi voltai a guardare chi aveva parlato.
Una ragazza - sarà stata al
terzo anno - bionda, con due bellissimi occhi verdi, era davanti a me che
attendeva risposta.
« Sì, disperatamente. Per
caso conosci qualcuno? » le chiesi con l’ultimo filo di speranza. Annuì, e mi
sentii sollevato.
« Certo. Lei » e mi indicò
una persona con un dito.
Capelli castani, molto magra,
piuttosto bassa, chiacchierava con alcune amiche tranquilla.
« Lei? » chiesi sospettoso.
« Sì. Non sei convinto? »
Non risposi. No, non ero
affatto convinto, ma dirlo ad alta voce mi sembrava brutto.
« Dopotutto, che
alternative hai? » mi chiese la bionda, lanciandomi un’occhiata e poi urlò: «
Elena! »
La ragazza castana si girò
verso di noi e ci venne incontro. Non era male, aveva dei bellissimi occhi azzurri,
ma quello che mi colpì subito fu una collanina che pendeva distrattamente dal
suo collo, un cuore con una lettera: D.
« Ehi cara, come stai? »
domandò alla bionda.
« Tutto bene. Senti conosci
queste canzoni? » Prima che me ne potessi accorgere mi aveva già sfilato da
mano la scaletta che avrei dovuto eseguire.
« Ovvio. » rispose Elena.
« E le sai suonare? »
« Sì ».
La sua voce sembrava
essersi fatta più flebile a questa domanda.
« Potresti suonarle oggi
alla conferenza col suo gruppo? Il loro batterista si è ammalato » continuò la
ragazza bionda, indicandomi. Ma insomma, non potevo fare io qualche domanda? Mi
davano estremamente fastidio le persone che parlavano di me come se non fossi
lì presente accanto a loro.
Elena si rivolse
direttamente a me, come se mi avesse letto nel pensiero.
« Chi sarebbe il vostro
batterista? »
« Giacomo Grimaldi »
risposi con un fil di voce.
« Ok. E vi va bene come
suona? » si informò, per non capivo quale motivo.
« Sì » risposi.
« Bene. Se ti serve una
mano, io ci sto » mi disse, e vidi i suoi occhi inumidirsi per un secondo. O
forse era solo una mia impressione.
Acconsentii.
Dopotutto, che altro avevo
da perdere? O lei, o nessun altro.
Quel giorno la incontrai per la prima volta.
{ Spazio HarryJo.
Eccomi qui, che inizio a torturarvi con un’altra long
^^
Beh, questa è diversa dalle altre, e non tratterà
solo d’amore. Ovviamente, un punto importante di questa fic è la musica. Mentre
per il resto, beh, lo scoprirete.
Se avete voglia, mi dite perché secondo voi ad Elena sono
venute le lacrime agli occhi all’idea di suonare? Potete anche semplicemente
dire che non ne avete idea xD Son solo curiosa di sapere che vi passa per la
testa leggendo le mie schifezze :D
A presto allora miei cari,
Erica :)