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Autore: LoveShanimal    21/03/2011    4 recensioni
Veronica ha 21 anni, abita a Roma, ed è una Echelon. Quando aveva 10 anni, mentre stava in auto con i genitori, un camion perse il controllo e travolse la macchina: lei si salvò grazie alla madre, che prima dell'impatto l'aveva lanciata fuori dalla macchina in corsa. In quel momento sprofondò nella solitudine: perse tutti gli amici e iniziò ad eregere intorno a sè un muro di cemento. La sua vita migliorò sei anni dopo, quando, girando per una libreria, trovò...
Ho detto tutto praticamente ! xD Lascio a voi il seguito! :)
Ps. Siate clementi, è la mia prima storia! ^^''
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“No no no no! I will never forget! No no!”.
Closer to the edge rimbombava nella stanza a tutto volume. Mia zia era andata chissà dove, non che me importasse qualcosa, ed ero rimasta sola nell’enorme abitazione. Mi è sempre riuscito impossibile associare l’edificio in cui vivevo, a quella che si dice “casa”. 
Non l’avevo mai sentita mia, da quando mi ci ero trasferita.
Ah, giusto. Voi non conoscete la mia storia, non potete capire quello che sto dicendo.
Mi chiamo Veronica, ho 21 anni, e vivo a Roma.
Quando avevo dieci anni, in un’altra vita ormai lontana, ho avuto un incidente stradale insieme ai miei genitori. Mio padre guidava, e io stavo seduta sul sedile di dietro insieme a mia madre. Fu tutto così lento, e così veloce: vidi un camion, dall’altra parte della strada, che sbandava e a tutta velocità si buttava contro di noi. Sentii mio padre urlare e imprecare nel tentativo di uscire dalla traiettoria del veicolo impazzito, e mia madre, alla mia destra, guardarsi intorno. Non avevo capito cosa aveva intenzione di fare, fino a quando non aprì lo sportello alla mia sinistra e mi buttò giù. 
Mi salvò la vita. 

Rimasi all’ospedale per settimane, con una gamba rotta e lividi ovunque. Mio padre morì sul colpo, mentre mia madre rimase in coma fino all’anno dopo. Adesso, ripensando gli avvenimenti degli ultimi mesi, se la potessi vedere un’ultima volta, le direi Grazie. 
Ma in quel momento, vestita di nero davanti alla bara delle uniche due persone che mi avessero mai amato, con un presente che odiavo e un futuro completamente sconosciuto, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che avrei voluto tanto che fuori da quella macchina, ci fossero andati loro e non io.

Da quel momento cambiai completamente: ero sempre stata una bambina socievole e vivace, ma divenni solitaria. 
Pian piano tutte le mie amiche si allontanarono, io iniziai a vestirmi tutta di nero, come se ormai tutta la mia vita fosse diventata un lutto perenne. 
La mia cameretta, sempre stata tutta rosa a mò di principessa, fu utilizzata come ripostiglio, e io mi trasferii nel soffitto, dove potevo stare sola, e dove regnava il marrone delle tegole. 
La fine peggiore toccò alla mia collezione di bambole: un giorno mia zia (a cui fui affidata) entrò nella mia cameretta e mi vide distesa sul letto, i miei boccoli castani che tenevo sempre sciolti sulle spalle, legati con una molla, e io intenta a tagliuzzare i vestiti delle mie barbie, circondata da cumuli di teste, busti, gambe e braccia. 
Molto probabilmente fu da quel momento che mia zia mi iniziò a considerare un peso: non che fino a quel momento le importasse qualcosa di me, ma cercava di trattarmi bene perché vedeva in me una grossa opportunità di guadagno. 
Dovete sapere che i miei genitori erano i proprietari dell’ospedale più importante di Roma (molti dei dottori, degli infermieri e dei pazienti a cui avevano salvato la vita, infatti, andarono a piangere sulla loro tomba), e io avevo ereditato una grossa somma di denaro. Mia zia ovviamente puntava a quello, e mi teneva con me in seguito ad un accordo con l’avvocato che in cambio dell’affidamento le avrebbe rivelato la collocazione della cassaforte di famiglia; in realtà, mia zia trovò nemmeno un quarto del patrimonio reale, che era depositato in banca, e che solo io avevo il permesso di prelevare. 
Comunque, la mia vita andò così fino a quando avevo sedici anni: ore e ore passate sulla terrazza di casa mia a vedere il panorama e a disegnare; è l’unica cosa che so fare bene, e lo faccio con piacere anche perché è lo stesso dono di mia madre, ed è una delle poche cose che mi ricordano lei. Allo stesso modo, amo la fotografia, perché quando avevo nove anni, fissando estasiata la macchina fotografica di mio padre, lui mi disse che un giorno sarebbe stata mia. 
La mia vita sociale era inesistente: le persone mi evitavano, e io evitavo loro. 
L'unica occasione che avevo per avere contatti con le persone, era a scuola: i miei voti erano alti, le persone mi chiedevano aiuto quando non avevano capito qualche argomento, ed io ero disponibile ad aiutarli. Inoltre, più di una volta, gli avevo salvato il fondoschiena, passandogli le informazioni durante i compiti in classe.
Ma, purtroppo, il rapporto non superava questo livello: le poche persone che mi si erano avvicinate, si erano solo fatte male cercando di sfondare un muro di cemento che, ahimè, mi si era eretto attorno. 

Tutto migliorò nel mio sedicesimo anno di “Vita”: era il 17 agosto 2005, e mentre stavo passeggiando per la città, pronta per fare spese, entrai in una libreria; dopo non so quanto tempo in cerca di un buon libro da leggere, mi ritrovai davanti al reparto delle novità musicali, ed in particolare davanti ad un dischetto. 
Era un Cd, ma c’era qualcosa che mi attirava. 
Forse la copertina, pur essendo così semplice? O forse il titolo? A beautiful lie. Come poteva una bugia essere bellissima?
Impulsivamente, lo presi in mano, e lo esaminai.
“30 SECONDS TO MARS”. 
Non esitai un istante, andai alla cassa e lo pagai. 
Sorrisi mentre uscivo dalla libreria, pensando a mio padre. Una volta, tanto tempo prima, mi disse che ero una bambina diversa dalle altre, speciale.
“Probabilmente- disse ridendo- vieni da Marte!” 

Nel giro di un mese, comprai anche il disco precedente, e imparai tutte le canzoni a memoria.
Era come se per tutta la mia “vita” fossi stata sepolta in una fossa, senza respirare, e Loro, con quel CD, mi avessero aperto un buco nella terra per fare entrare l’aria.
Erano diventati il mio ossigeno, la mia famiglia, la mia vita. 
  
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