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Autore: Melina     22/03/2011    1 recensioni
[traduzione da Katie Forsythe]
THE THREE FAVOURS, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi, come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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La mia ultima "fatica" non è a dire il vero un termine da mettere fra virgolette XD è stato epico tradurre questa fanfiction e posso solo immaginare quanto sia costato alla mia amica Katie scriverla inventando ogni parola. Posso solo dire che la mia fortuna è stata il fatto che lei ci sia riuscita. Spero in egual misura che la mia versione tradotta possa essere all'altezza e ringrazio Katie Forsythe e il suo meraviglioso progetto The seventeenth step per il solo fatto di esistere entrambi.
Dedico questa traduzione alla cara amica che l'ha letta per prima e a cui io devo ben più di tre doni.

NOTE DI TRADUZIONE: non ce n'è molte. Mi sono dannata per rendere il mio italiano il più vittorino possibile e l'anima dei nostri amati personagg,i altrettanto deliziosamente vittoriani, il più vicina alle intenzioni dell'autrice. Sono citati nel testo alcuni avvenimenti descritti in racconti di A. C. Doyle il cui titolo mi sono premurata di specificare in ulteriori note: come vedete la mia maniacalità non conosce limiti.

AVVERTIMENTI: nessun avvertimento fatta eccezione del fatto che questa è ovviamente una fanfiction slash, non spinta, né volgare, ma slash. Aspettatevi dunque uno Sherlock Holmes ridicolmente innamorato del suo amico John Watson.

Questa fic nasce come oneshot, ma per evitare di tediarvi con un unico lunghissimo capitolo ho deciso di pubblicarla in parti separate. Buona lettura!!!


The three favours
by Katie Forsythe
traduzione di Melina

 

The three favours - I tre doni, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi,
come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor
John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.

LA FIC SI SVOLGE DURANTE GLI AVVENIMENTI DE "IL COSTRUTTORE DI NORWOOD"

 

-PARTE PRIMA-

 

È di dominio comune, con l'eccezione dei pochi amici intimi miei e di Sherlock Holmes al corrente di un più preciso quadro del legame che ci univa rispetto a quello che io stesso ho fornito al normale pubblico, che gli eventi da me esposti ne L'avventura della casa vuota sono stati fra i più gioiosi della mia vita. Sorprenderà tutti tranne uno di loro scoprire che non fu affatto la verità. Non lo fu per niente, in effetti. Ad onor del vero, e per essere franchi con il pubblico che così spesso si è dimostrato impaziente di leggere nuove avventure del mio amico, devo confessare di aver presentato gli avvenimenti che ho raccolto nel suddetto resoconto sotto una luce decisamente più confortante di quanto in realtà non fosse. Il culmine della faccenda si è indubbiamente svolto durante una piccola investigazione, altrettanto erroneamente da me accorciata, cosparsa di inesattezze e archiviata sotto il nome di Il costruttore di Norwood. Benché io adesso desideri raccontarla nella sua interezza, anche se segretamente, mi trovo in difficoltà sul modo in cui farlo. È difficile stabilire da dove cominciare una storia così contorta, perché non penso che farei meglio, come spesso Holmes ironicamente suggerisce, col cominciare dall'inizio. Forse dovrei cominciare dai telegrammi.
L'affare di Norwood si svolse alla fine di un periodo di due mesi nei quali fui il destinatario di tre telegrammi al giorno. Il primo arrivava in un orario compreso fra le sei del mattino, se Holmes era sveglio, e le undici, se non lo era. Il secondo quasi sempre faceva la sua apparizione fra le tre e le quattro del pomeriggio, e il terzo appena prima delle dieci di sera.
Per rendergli giustizia, i telegrammi venivano inviati da almeno venti diversi uffici postali sparsi per tutto il distretto di Westminster. Penso che anche non trovandosi in uno dei suoi stati sovreccitati non ne spedirebbe due dallo stesso ufficio.
Alcuni di essi chiedevano notizie della mia salute in modo piuttosto affascinante. Alcuni erano inviti a cena o annunci del fatto che avesse riservato un palco all'opera. Altri erano laconici e, in verità, estremamente buffi rendiconto di deduzioni riguardanti le nostre conoscenze di Scotland Yard, o piccole riflessioni a proposito di passaggi di libri, o descrizioni ironiche di come se la stesse passando il platano che si vedeva dalla mia vecchia finestra. Avevo calcolato che tre quarti di essi contenevano scuse, alcune esposte con cura, altre divertenti e altre ancora miserabili, ma mai inappropriate. Poi, un ulteriore dieci per cento, forse, era occupato da esortazioni ad accompagnarlo in casi di vario interesse. Mi sbarazzai di tutti salvo che dell'ultimo.
Non fingerò di non averli letti. Ne lanciai uno in un cestino pubblico senza nemmeno dare un'occhiata al suo contenuto e, durante un attacco di irragionevole panico, tornai due ore dopo per leggerlo trovando però che era già stato incenerito. Dopo quella volta ebbi sempre cura di leggerli fino alla fine, sia che mi provocassero una terribile costrizione all'altezza del petto o no, prima di distruggerli. I meno efficaci venivano appallottolati e gettati nella pattumiera più vicina, mentre i suoi più espliciti tentativi di rappacificazione li bruciavo deliberatamente. Alla fine, e dopo aver ricevuto centonovantasei telegrammi dallo stesso mittente, buttai giù una risposta:
Smetti di scrivermi telegrammi. Ti devi arrendere.
Avevo già ricevuto la mia quota giornaliera di posta e stavo preparandomi per andare a letto quando un quarto telegramma mi fu recapitato appena prima di mezzanotte:
Non intendo arrendermi, neanche se a guadagnarci dovesse essere sempre e solo il servizio postale di Londra. Dormi bene.
Mi scivolò dalle dita sulla scrivania mentre scuotevo la testa esausto, e ricordo di essermi chiesto mentre mi addormentavo cosa avessi fatto per meritarmi tutto ciò e cosa avessi dovuto indossare l'indomani quando fossi arrivato in Baker Street per strangolare a morte Sherlock Holmes.


-«oOo»-


"Ti andrebbe un drink?".
Quell'uomo detestabile sembrava stare piuttosto bene, pensai, e mi resi conto del mio sollievo in questo, un sollievo del tutto inaspettato. In realtà aveva l'aspetto di quando non mangiava più di una volta al giorno, consumava più tabacco di quanto umanamente possibile e dormiva solo dopo essersi stancato al punto di cadere addormentato per la fatica. Vale a dire che era pallido, assente, magro, impaziente e i suoi occhi erano sbiaditi fino ad aver raggiunto quel pallido grigio argenteo che non dovrebbe mai essere combinato con dei capelli nero lucente. Un'ingiusta associazione di attributi fisici tale che neanche Darwin avrebbe potuto prevedere.
"Sì" dissi brevemente "solo un goccio. Non rimango. Holmes, devi smettere questa… questa…"
"Campagna" disse tranquillamente mentre mi allungava un bicchiere riempito con decisamente troppo whiskey.
"È questo quello che è?" sospirai.
"Be', è difficile dirlo con precisione" continuò pacatamente, versandosi anche lui un drink con le sue dita odiosamente eleganti "Potrebbe essere una campagna, ma questo è un termine troppo superficiale, penso. Non è una missione. Forse una crociata. No no, una crociata ha connotazioni fin troppo nobili. La definirei una ricerca".
"E perché sarebbe una ricerca e non una crociata?" gli chiesi, odiando lui per aver acceso in me un interesse e odiando me stesso ancora di più per essere caduto in uno dei suoi giochetti arguti.
"È molto semplice. Una crociata è l'inseguimento di un obiettivo o un oggetto con un altruistico sforzo per glorificare Dio. Una ricerca è l'appassionato inseguimento di una persona, un oggetto o un luogo che significa più di qualsiasi altra cosa in questo intero mondo per chi la va cercando. Ed ha fini egoistici perché il protagonista di essa non potrebbe vivere sen…"
"Sì, sì, capisco" dissi con irritazione e vuotando il mio bicchiere più velocemente di quanto non intendessi fare. "La tua scelta di vocaboli è impropria. Tu puoi vivere senza di me. Sembra che tu possa vivere senza di me per un buon numero di anni in effetti".
"Oh, io posso vivere senza di te" concesse, sorridendo con ironia "solo che non vale assolutamente la pena di sprecare il mio tempo in questo inutile esercizio".
"Perdonami ma quello che fai del tuo tempo non è più qualcosa di cui io mi debba preoccupare" risposi in tono aspro.
"Bene" disse Holmes con voce leggera "troppo giusto" mentre si teneva occupato rabboccando i nostri bicchieri. Il braccio che spuntava fuori dalla sua veste da camera era magro e pallido, ma fermo. Non stava prendendo cocaina, pensai. Immediatamente dopo mi chiesi perché diavolo avrebbe dovuto importarmi se lo stesse facendo. Poi mi divenne molto chiaro che avevo bisogno di allontanarmi da lui il più presto possibile.
"Devo chiederti di venire al punto, Holmes" dichiarai controllando l'ora sul mio orologio da taschino "Gli avvenimenti degli scorsi anni hanno fatto il loro danno e il mio ambulatorio non è più quello che era una volta. Odierei perdere un altro paziente, se non altro perché avrei assoluto bisogno del suo pagamento. Non ho potuto rinfrescare la facciata dell'edificio da ben due anni, e il mio studio sta cominciando a somigliare all'ingresso secondario del magazzino di un commerciante. Riguardo a questi continui telegrammi…"
"Non ti devi preoccupare dei tuoi pazienti o del tuo ambulatorio. Puoi vivere qui" la sua voce era stridula e deliberatamente allegra, era la voce di un uomo che sa fin troppo bene che la sua proposta sta per essere rifiutata. "Questo risolverebbe due dei tuoi problemi, mio caro amico, perché le tue preoccupazioni finanziarie finirebbero così come i telegrammi. Se rimani a vivere dove sei queste due piaghe torneranno senza dubbio a tormentarti".
Mi alzai per uscire ma lui mi mise in mano uno dei due bicchieri che aveva riempito di nuovo. Era intollerabile, pensai mentre cercavo una risposta per la sua mostruosa richiesta "Giusto per sapere, perché non mi dici una sola ragione per cui io potrei anche lontanamente voler tornare ad abitare in questo appartamento?"
Si strinse nelle spalle e sorseggiò il suo liquore. "Ti amo. Questa è una ragione".
Risi così forte alla sua frase che qualche goccia di whisky schizzò fuori dal mio bicchiere andando a finire sul tappeto di pelle d'orso. "Scusami, Holmes" dissi posando il bicchiere "Non ce l'ho col tuo tappeto, ma tutto ciò è estremamente divertente".
"Perché?" mi chiese.
"Perché tu non mi ami. Tu ti servi di me".
"Quindi è questo?" domandò cordialmente, anche se potei vedere dalla tensione sulle sue tempie che stava facendo fatica a rimanere tranquillo "Non posso negare che tu sia una persona molto utile".
"Sì, ho molte funzioni per te. Mi utilizzi per la pubblicità, per supporto, come informatore…"
"Piacere fisico, compagnia, una seconda opinione, una ragione di vita…" finì con un po' di asprezza.
"Molto affascinante, anche se non è per niente l'ultima voce sulla lista. Che ne dici delle mie capacità di elogiatore?".
Io non sono un uomo duro sebbene abbia visto molti pericoli e molto dolore nella mia vita. Non sono capace di smembrare un uomo con le parole come se fossero affilate come un coltello nel modo in cui riusciva a farlo Holmes. Dirò, comunque, che quando posi quella domanda retorica le parole si formarono dentro di me magicamente e lo colpirono in pieno nello stomaco con la violenza di una folata di vento improvvisa.
Spinsi nell'angolo più lontano della mia testa il fatto che una volta avrei dato tutto quello che possedevo per sentire Holmes riferirsi a me come a una ragione per cui vivere.
"Ti ho già detto" protestò con veemenza "che era l'unico modo. L'unico modo, Watson. Dovevi per forza scriverlo. Sei un uomo molto intelligente, e spesso mi hai accordato lo stesso complimento. Non hai immaginato che quando ti ho parlato dell'unico modo mi sarei potuto riferire a uno fra tre modi? Uno fra sette? Hai idea di quello che la parola in sé implichi? Forse se avessi detto che era il solo modo o l'esclusiva direzione ti sarebbe stato più chiaro. Mio caro amico, sei andato fuori di testa? Pensi che mi sia divertito? Restare bloccato in mezzo a quelle maledette pietre mentre il mio…"
"Basta" ringhiai "adesso basta"
"Voglio dire che…"
"No, non è affatto quello che vuoi dire" stavo combattendo un irrefrenabile desiderio di metterlo al tappeto ma sapevo che tale pensiero avrebbe avuto vita breve dentro di me. "È impossibile che una persona che abbia falsificato la sua stessa morte davanti a un'altra persona possa mai aver amato quella stessa persona, e io sarei più che felice di combattere contro di te se dovessi anche solo suggerirlo probabile".
"Sto cominciando a chiedermi se la tua comprensione della lingua inglese sia abbastanza all'altezza di una seconda carriera come biografo professionista" replicò duramente in risposta. "Prima mostri un'orgogliosa ignoranza del significato della parola unico e adesso lo stai facendo con il termine impossibile, decisamente in modo ignobile aggiungerei. Ti ho convinto della mia morte e ti amo. Dunque non esiste nessuna impossibilità che questi eventi siano…"
"Me ne vado" dissi disperatamente "me ne vado ora".
"Perché diavolo vorresti andartene nel bel mezzo di una così brillante discussione semantica?"
Lo guardai dritto negli occhi. "Non ho nessuna intenzione di vederti mai più".
La prese meglio di quanto avrebbe fatto il giorno che catturammo insieme il Colonnello Moran. Mi chiesi brevemente se le parole avessero realmente potuto uccidere, e se avessero potuto farlo, avrebbero ucciso un uomo che avrebbe già dovuto essere morto? Questa volta si limitò a scuotere la testa leggermente.
"È un'affermazione che non ho nessuna intenzione di accettare"
"Per l'amor di… perché no?!" gridai, quasi del tutto impazzito per la frustrazione di sentirmi diviso fra voler rendere evidente la mia dichiarazione e quella di lasciarla cadere come un pensiero irrilevante. "Dio del cielo, Holmes, perché no? È perfettamente vero".
"Non è vero affatto".
A quel punto avevo sollevato una mano e l'agitavo nell'aria in una silenziosa protesta verso gli Dei che avevano anche solo permesso che una simile creatura venisse al mondo "Tu sei la persona più arrogante, testarda e ossessiva che abbia mai incontrato. Hai veramente la presunzione di pretendere di conoscere i miei pensieri meglio di me?"
"Be', certo. Presto loro molta più attenzione di quanto non faccia tu stesso"
"Mi meraviglio anche solo di come possa aver mai deciso di dividere un appartamento con te"
"Ciò nondimeno, storicamente parlando, lo hai fatto. E il pietoso risultato di questo evento giace innanzi a te" recitò con sarcasmo.
"Credimi, se esistesse un modo per cambiare quello che…"
"Penso che faresti meglio a baciarmi"
Questo era troppo per me, e per stemperare l'imbarazzo lanciai il mio bicchiere nel camino, dove si frantumò con uno schianto molto soddisfacente.
"Perché dovrei intraprendere un'azione tanto insensata?" chiesi più calmo. Lui si mosse avvicinandosi di diversi passi alla mia posizione finché il suo naso non fu all'altezza delle mie sopracciglia.
"Non osare toccarmi" sussurrai ferocemente, ma con mia sorpresa si fermò e rimase immobile.
"Ti voglio fare una proposta" disse in un mormorio breve e preciso, i suoi occhi brillavano. "Se sarai in grado di baciarmi per la prima volta in oltre tre anni, guardarmi in faccia e continuare a dire che io non ti amo, smetterò di mandarti telegrammi. Cosa farò per quanto riguarda lettere e pacchetti è un'altra faccenda, per non dire di fattorini incaricati. Ma i telegrammi apparterranno al passato".
"Sei fuori di testa" il suo intero corpo vibrava di tutti gli impulsi che stava sopprimendo. Lo odiavo più di qualunque altro uomo avessi mai odiato in tutta la mia vita, incluso il defunto Professor Moriarty. Eppure lo desideravo ancora tremendamente. Non si era rasato, perché io non avevo preannunciato la mia visita, e l'ombra della barba sfatta non faceva che rendere ancora più pronunciata la forza della sua mascella così virile.
"Sì, senza dubbio sono fuori di testa" convenne con un piccolo sorriso "e non mi arrischierò a dirti perché sono fuori di testa: non ho nessuna intenzione di rischiare di perdere altri pezzi di cristalleria. Accetti i miei termini?"
"I tuoi termini sono una ridicola farsa intesa alla mia derisione" c'era ancora un tremore furioso nella mia voce che mi risultava impossibile nascondere.
"Quando mai mi hai visto imbarcarmi in una farsa che mancasse di un qualche valore pratico?"
Aveva ragione, anche se mi sarei fatto tagliare una mano piuttosto che ammetterlo. "E cosa ti aspetti di guadagnarci se perdo"
"Niente" disse alzando le mani con fare difensivo. Eravamo così vicini che sfiorarono entrambe il mio gilet nel muoversi. "Queste sono le mie condizioni. Tu vinci la cessazione dei telegrammi e io non vinco niente"
"E tutto quello che dovrei fare sarebbe baciarti, per quanto lo trovi terribile, e poi ribadire che tu non mi ami?"
Annuì. "Assurdamente semplice, non trovi?"
"Con la bocca aperta o chiusa?"
I suoi occhi guizzarono di divertimento a questa mia domanda. "Be', forse dovremmo cominciare con la seconda opzione e spostarci alla prima sempre che per te non sia troppo orribile".
Considerai la sua offerta un'altra volta. Riflettendoci era stato folle considerarla. Eppure, dopo un'ulteriore riflessione, pensai che fosse stato folle anche solo trovarmi in Baker Street con il sole del mattino che illuminava lo scrittoio, la poltrona di vimini, la mensola del camino, il violino…
"Ebbene?" chiese Holmes tranquillamente.
Sarebbe stata una cosa magnifica, pensai con determinazione, sarebbe stata una cosa profondamente soddisfacente e confortante provare a me stesso di non avere più bisogno di lui.
"Fa' del tuo peggio" dissi alla fine e chiusi gli occhi.
Mi sarei aspettato la sua bocca sulla mia un istante dopo. Invece sentii una mano tremante alla base del mio collo e un'altra che tracciava il contorno del mio viso delicatamente, con il dorso delle dita. Le stesse dita che alla fine ruotarono fino a una delle mie guance, avvolgendola nel palmo mentre uno dei suoi pollici correva sulle mie labbra come in una lenta tortura. Inclinò la mia testa posizionandola ad un'angolazione che ricordavo fin troppo bene e che mi riempì di doloroso desiderio. Poi mi baciò.
Non esistono parole per descrivere cosa si prova a baciare qualcuno con cui si è così disperatamente intimi. Il mio cuore accelerò nello spazio di un secondo mentre avevo addirittura permesso al suo corpo di curvarsi sul mio. Poi in un terribile sprazzo di razionalità mi accorsi che non solo le nostre bocche erano aperte, ma che io stavo baciando Holmes a mia volta. Ero già fin troppo conscio di quello che sarebbe successo se quel bacio fosse durato anche un momento di più, ma improvvisamente udii dei passi sulle scale.
Sia Holmes che io possedevamo ancora, grazie all'abitudine e persino dopo anni di inattività, un accuratissimo senso di quanto lontano, e in quanto tempo, avessimo potuto allontanarci l'uno dall'altro quando il tipico rumore dei passi di un cliente annunciava un visitatore nelle immediate vicinanze della rampa di scale che portava alle nostre stanze di Baker Street (la stessa rampa di scale il cui numero di gradini Holmes si era una volta premurato di contare, soprattutto per il bene della nostra privacy, ma anche per mio puro divertimento). Siamo comunque sempre stati salvati da una bussata alla porta. Non ho la più pallida idea di chi ruppe il bacio per primo, ma non ci eravamo allontanati l'uno dall'altro più di qualche passo che un giovane dai capelli biondi entrò nel salottino di Holmes, ansimando e guardandoci da in piedi davanti alla porta.
"Sono l'infelice John Hector McFarlane" dichiarò disperato.
"Lo è di certo" rispose Holmes con freddezza, appariva perfettamente calmo tranne che per il leggero colorito di cui si erano tinti i suoi zigomi prominenti. "Tuttavia se lei sia infelice nella vita o infelice solamente in questioni di tempismo o di etichetta quando si tratta di entrare da porte chiuse, non sarei in grado di dirlo".
A quel punto il ragazzo riconobbe il suo errore "Mi dispiace, signor Holmes" si scusò. E la sua era veramente una vista pietosa. Se ne stava lì, tremate da capo a piedi a dispetto del calore accogliente della stanza. "Ma sto diventando matto".
"Bene, allora è venuto nel posto giusto" sospirò Holmes. "Questo è un ricettacolo di quasi matti, in effetti. Prenda una sigaretta e poi ci dica molto tranquillamente e con chiarezza chi è lei, perché tranne l'ovvio fatto che è scapolo, procuratore legale, Massone e che soffre d'asma, io di lei non so un bel niente".
Il suo nuovo cliente, perché sapevo non potesse essere altrimenti detto, stava in piedi a bocca aperta e guardava Holmes con grande stupore. In quel momento il mio cuore soffrì per quel povero sventurato.
"Non è niente di particolare" dissi asciutto "Sta traendo conclusioni basandosi sulla generale trasandatezza del suo aspetto, sul ciondolo del suo orologio, i documenti legali che ha in mano e il suo respiro affannoso. In ogni caso, le assicuro, che malgrado le sue inclinazioni alla teatralità spiccia, è un investigatore ammirevole. Auguro a tutti e due tutta la fortuna di questo mondo. Adesso vogliate scusarmi…"
"Lei è il dottor Watson, non è così?" domandò l'infelice signor McFarlane. "Non potrebbe rimanere e assistere a quello che ho da dire? Significherebbe molto per me. Per l'amor di Dio, signori, non abbandonatemi! Se arrivasse la Polizia per arrestarmi prima che abbia potuto terminare la mia storia pregateli di darmi tempo, così che possa dirvi l'intera verità".
"Arrestarla?" esclamò Holmes. "Con quale accusa?"
"Con l'accusa di aver assassinato il signor Jonas Oldacre di Lower Norwood. Mi dovete ascoltare, signori, perché le prove contro di me sono talmente singolari che temo davvero sarei perso senza il vostro aiuto".
Confesso di essermi sentito toccato dall'appello del giovane, e dalla sincerità con la quale l'aveva pronunciato. Tuttavia, ero sprofondato in una confusione anche maggiore di quella di cui ero stato preda in precedenza, e il pensiero di rimanere in Baker Street un istante di più francamente mi terrorizzava. In quell'esatto momento fummo interrotti da alcuni colpi alla porta.
Non vedevo il nostro vecchio amico Lestrade dalla notte in cui avevo accettato di partecipare alla cattura del Colonnello Moran, una decisione che non avevo affatto preso per l'entusiasmo di cui Holmes sembrava essere pervaso, ma più perché ero conscio di quanto il Colonnello Moran fosse pericoloso, e qualsiasi fossero i miei sentimenti verso Sherlock Holmes, non avevo nessun desiderio di vederlo morire due volte nel giro di tre anni. La nostra trappola era scattata, Holmes era preoccupato e io silenzioso come una tomba, e Lestrade aveva finito col portar via a forza il prigioniero nel suo solito modo, condannandolo mentalmente ad una o due accuse banali e precedendo di poco la mia laconica uscita di scena.
Era sempre di colorito giallastro, azzimato e dai lineamenti affilati come al solito, e vederlo nel salottino di Holmes non fece niente per lenire la mia sensazione di stare affogando in un pozzo di amara nostalgia.
"Dottor Watson!" esclamò. "Non mi aspettavo di… voglio dire, è un piacere vederla. Come sta, signor Holmes?" aggiunse, poi si schiarì la gola bruscamente. "Il signor John Hector McFarlane? Lei è in arresto per l'omicidio volontario del signor Jonas Oldacre di Lower Norwood".
Fu terribile vedere il cedimento sull'espressione del signor McFarlane, nonostante sapesse che il colpo sarebbe arrivato più facilmente prima rispetto che dopo. Holmes alzò una mano.
"Le chiedo scusa, Lestrade, ma il signor McFarlane si è raccomandato nella più categorica delle maniere che io e il dottor Watson ascoltassimo la sua versione dell'accaduto".
"Io me ne stavo giusto andando" affermai mentre raccoglievo le mie cose. Holmes mosse un passo come per seguirmi ma poi si fermò.
"Il tuo aiuto potrebbe essere decisivo per chiarire le cose".
"Penso che non avrai nessun problema a farlo da solo. Il signor McFarlane è qui per vedere il signor Sherlock Holmes, e il fatto che io sia o non sia presente farà ben poca differenza per lui" dissi a nessuno in particolare.
"Al signor McFarlane sarà senza dubbio di gran beneficio avere un paio di orecchie comprensive in più pronte ad ascoltarlo, soprattutto in mezzo a tutti questi rappresentanti della legge. Con il suo permesso, Ispettore, ascolteremo tutti la sua spiegazione e poi lei potrà portarlo con sé a Scotland Yard. Andiamo, Lestrade, converrà con me che sarebbe in vero insensibile da parte nostra rifiutare la sua richiesta, e poi mezz'ora non potrà in ogni caso fare alcuna differenza per lei".
Lestrade guardò verso di me mentre facevo del mio meglio per non apparire agitato o esasperato, poi guardò Holmes, il cui viso era completamente indecifrabile, e l'espressione dell'Ispettore si ammorbidì un poco. Diede un'occhiata casuale al suo orologio.
"Vi concedo mezz'ora".

 


   
 
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