Persevere

Sarebbe morto se non avesse fatto qualcosa, sarebbe stato dilaniato da ciò che scorreva nelle sue vene.
Si sarebbe lasciato morire.
Non poteva. Non avrebbe permesso che accadesse.
«Svegliati!» gridò con rabbia. «Forza, maledizione, svegliati! Dobbiamo andarcene da qui!».
Se ne fosse stato capace, se in quel momento avesse ricordato come fare, avrebbe pianto.
Qualcosa attirò improvvisamente la sua attenzione: lo stava fissando.
Guardava verso di lui come un bambino che vede qualcosa per la prima volta ma, con sollievo, non scorse alcuna traccia di paura nelle sue iridi offuscate; solo una sincera curiosità.
Lo chiamò sottovoce, sussurrando il suo nome per non farlo trasalire e provando persino a sorridergli; l’osservò piegare impercettibilmente la testa, come se lo considerasse qualcosa d’interessante.
Era già un buon segno.
Nessuna traccia di comprensione nei suoi occhi tuttavia non aveva intenzione di arrendersi, non poteva davvero credere che – qualunque cosa fosse successa – la sua memoria fosse stata completamente cancellata.
«Mi riconosci?». Dio, nemmeno un battito di ciglia. «Ti prego, parlami…» la richiesta suonò molto come una patetica supplica, eppure parve funzionare.
Per la prima volta, il ragazzo batté le palpebre.
«Zack…» il roco sussurro toccò a stento le orecchie del compagno, che riuscì comunque a udirlo; qualcosa scosse ogni fibra del suo corpo. «Sei Zack» ripeté, la voce più sicura.
La consapevolezza cominciò a trasparire dalla sua espressione, trasformando curiosità in confusione.
Il moro si ritrovò a sorridere come un folle ma, in fondo, non gliene importava nulla.
Si sarebbe ripreso.
«Sì, sono Zack».