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Autore: telesette    23/03/2011    4 recensioni
Ancora istupidito dal sonno, Holmes provò dunque a stiracchiarsi e, come sentì il clangòre metallico, si rese conto di essere stato ancora una volta incatenato al letto con delle manette.
Stavolta però Irene gli aveva facilitato fin troppo la cosa: nonostante si fosse portata via la chiave infatti, aveva avuto l'accortezza di bloccarlo solo per il polso sinistro e di lasciargli un grimaldello sul comodino.
Holmes immaginò che la gentile cortesia fosse dovuta ad una notte assai piacevole per entrambi e, nell'aprire con noncuranza la serratura col grimaldello, non poté fare a meno di sorridere...
Irene era viva!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mrs. Hudson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ad Arianna, con affetto...

Irene è viva!

Ormai erano passati alcuni anni, da che io e Holmes riuscimmo a fermare i piani del professor Moriarty.
Durante il tratto di viaggio via mare, quando la nostra conversazione toccò l'argomento, Holmes non disse nulla di più e, per come lo conoscevo, sapevo che non ne avrebbe mai parlato con anima viva.
Anche se sembrava indifferente, nel gettare in acqua il fazzoletto di lei, non ci voleva certo l'intuito zingaresco di Simza per indovinare i suoi pensieri.
Irene era morta.
Così sapevamo, sia lui che io, e non potevamo farci niente.
Da che avevo memoria, quella era la prima volta che vedevo Holmes con quella triste luce negli occhi.
Avevo impiegato anni, per riuscire a sopportarlo o ad accettare il suo modo di relazionarsi col mondo, e mi resi conto solo allora di non aver mai fatto il benché minimo sforzo di comprenderlo.
Il fatto che Holmes avesse un talento incredibile ( oltre a quello investigativo ) nel tenere lontane da sé le persone, era l'unico modo in cui era sicuro di poter difendere più facilmente sé stesso e gli altri.
"Niente legami, niente problemi"... Un concetto estremamente semplice, per una mente fredda e analitica, e inconcepibile per qualsiasi essere umano dotato di sentimenti. Più volte mi ero fatto trarre in inganno anch'io, lo ammetto, dal suo modo di fare e dalla sua inopportunità nel dire sempre quella parola di troppo.
Non avevo capito nulla.
O meglio, sapevo che ogni cosa che faceva aveva sempre uno scopo, ma arrivavo sempre dove lui era già lì ad aspettarmi da un pezzo.
Recitava quella parte così male, tanto da non prendersi sul serio nemmeno lui, e così bene da esasperare chiunque avesse la sfortuna di stargli accanto.
Solo quella volta non poté fingere.
Non poteva farlo, neppure con sé stesso, il suo sguardo tradiva infatti le sue vere emozioni.
Aveva perso Irene, perché quest'ultima era riuscita a penetrare fino alla più piccola barriera protettiva.
Del resto era una ladra, era il suo mestiere, e il cuore di Holmes era una sfida troppo appetitosa per lei.
Ciò che Holmes più temeva si era purtroppo realizzato, nello stesso momento in cui apprese di essere stato lui stesso la causa della sua morte.
Lo stesso che stava per accadere a me e Mary, durante il nostro viaggio di nozze, anche se quella volta Holmes riuscì ad intervenire in tempo.
Aveva già perso un pezzo troppo importante del suo mondo e, troppo debole per accettarlo, non voleva perdere anche l'altro.
Ero il suo migliore amico, il suo confidente, e di certo rappresentavo per lui ciò che comunemente si è soliti chiamare "famiglia"...
La tranquillità relativa, mista alla quotidiana esasperazione nell'appartamento di Mrs. Hudson, era quello che Holmes desiderava per sé. Non aveva altro e non poteva avere altro, se non rischiando continuamente di perderlo, perciò mi mancava il coraggio di abbandonarlo.
Avevo troppa pena di lui.
Quel giorno, mentre cercavo di consultare le analisi di un mio paziente, il signorino non poteva proprio evitare di rendermi la cosa impossibile... dondolandosi davanti alla finestra, su una sedia che aveva reso cigolante apposta con un temperino, e fumando come un turco.

- Holmes - esclamai d'un tratto, sollevando la testa dalle mie carte. - Holmes, se intende "suicidarsi", potrebbe usarmi la cortesia di farlo in modo più classico... e silenzioso, possibilmente?

Nessuna risposta.
Aveva sentito benissimo, naturalmente, per questo prese a boccheggiare più in fretta e a persistere con quell'odioso cigolìo di listelli allentati. Sapevo che lamentarmi lo avrebbe solo incoraggiato così, invocando in silenzio la Pazienza di Giobbe, presi a rileggere daccapo il foglio che avevo in mano.
Non ebbi il tempo di scorrere la seconda riga che, aprendo la porta improvvisamente, Mrs. Hudson comparve sulla soglia con un grosso secchio pieno d'acqua. Prima che potessi fare o dire qualcosa, l'arzilla vecchietta riversò l'intero contenuto del secchio sulla densa nuvola grigia che aleggiava attorno alla finestra dall'altra parte della stanza.
Holmes si ritrovò dunque bagnato fradicio e la sedia allentata, sotto il suo improvviso sussulto, si spezzò inevitabilmente spedendolo dritto con le chiappe sul pavimento.

- Credevo fosse un incendio - mentì la Hudson, poggiando il secchio vuoto accanto alla porta.

Holmes non fece un fiato, lo sguarto assente e i vestiti gocciolanti, in apparente contemplazione dei vetri bagnati sopra di lui.
La signora Hudson si rivolse dunque a me, cambiando tosto espressione, e mi porse gentilmente una lettera che era appena arrivata assieme al resto della posta.

- Gliela consegni lei - esclamò. - Non vorrei prendermi il tetano!
- Stia attenta agli spifferi... nonnina - disse Holmes, senza nemmeno voltarsi a guardare l'espressione sul volto della donna.

Purtroppo non ebbi modo di sentire la risposta della Hudson in merito perché, subito dopo avermi dato la lettera, costei uscì immediatamente chiudendosi la porta alle spalle con uno schianto.

- E' una bella giornata oggi, Watson - fece Holmes impassibile, guardando il cielo all'esterno. - Forse avremo addirittura sole!
- Allora vi asciugherete in fretta - sorrisi, avvicinandomi a lui per consegnargli la lettera.
- La apra pure!
- Ma è indirizzata a lei, amico mio!
- Lo sa che sono analfabeta!
- Holmes...
- La apra!

Sospirando rassegnato, strappai la parte superiore della busta ed estrassi il foglio ivi contenuto.
Sopra non c'era scritto nulla, con mio grande stupore, ad eccezione di una sola parola: xenodocheìo!
Mi chiesi cosa volesse dire ma, per quanto mi sforzassi, non ne capivo assolutamente il significato.
Data la mia esitazione, Holmes allungò una mano e prese il foglio dalle mie mani.
Come al solito non mostrò alcuna reazione: per lui non esistevano sfide o indovinelli irrisolvibili, né vi era modo di scuoterlo dalle sue riflessioni; ciò che agli altri appariva impossibile, o semplicemente privo di senso, ai suoi occhi celava sempre un senso ed una spiegazione più che logica; per lui era come analizzare vari pezzi di una scacchiera, o i tasselli mescolati di un puzzle, prima di muoverli affinché ognuno combaciasse perfettamente al suo posto.
Per quanto mi riguardava, più che altro mi era logico pensare ad una specie di scherzo.
"Xenodocheìo"... era un nome o una parola?
Senza dubbio doveva trattarsi dello scherzo di qualche buontempone, così mi convinsi almeno, tuttavia Holmes rimase ad osservare quello strano termine per un buon paio di minuti.
Dalla sua espressione, sembrava aver già dato un primo senso a quella specie di indovinello.
La sua vasta conoscenza delle lingue, compresi idiomi e dialetti che io personalmente ignoravo, gli permetteva di afferrare al volo il significato puro e semplice di una parola o di un termine. In questo caso però, non essendoci scritto altro, era logico supporre che il "vero significato" dell'indovinello fosse nascosto dietro alla parola stessa.
In quei due minuti che lo vidi riflettere, Holmes prese ad associare il significato recondito del termine con tutto ciò ad esso riconducibile. In due minuti, nei quali io a malapena presi a grattarmi la nuca nel rimettermi a sedere, Holmes aveva in testa una fitta rete di possibili collegamenti.
E quando finalmente ebbe capito, i suoi occhi si sbarrarono per l'incredulità.

- Holmes - provai a dire. - C'è qualcosa che non va?

Lui non rispose.
Gli ripetei la domanda ma, ignorandomi completamente, infilò la giacca sui vestiti ancora fradici e uscì fuori dall'appartamento senza neanche dire una parola.
Mentre si ritrovò nelle strade affollate di Londra, cogliendo con lo sguardo ogni dettaglio attorno a lui, Holmes si ripeté mentalmente il ragionamento svolto. Ancora stentava a crederci ma, per quanto impossibile, la logica non lasciava dubbi circa la soluzione.
Xenodocheìo era una parola greca, che tradotta significava: "albergo".
La "X" all'inizio della parola, dalle estremità particolarmente arrotondate, era ( secondo le nozioni di grafologìa ) un vezzo di una scrittura tipicamente femminile.
"Albergo e Donna"...
In apparenza sembrava un collegamento banale, riconducibile a migliaia di possibilità, ma allora perché scriverlo in greco?
Solamente una persona poteva elaborare un simile quesito, per confermare l'autenticità della lettera.

- Irene - mormorò Holmes.

Il nome "Irene", derivante dal greco Eiréne appunto, era un chiaro riferimento alle origini che Holmes conosceva benissimo.
L'albergo era un indizio.
E solamente un albergo in tutta Londra collegava lui e Irene al passato.
Non esisteva alcun altro luogo.
Impossibile o no, la lettera era autentica.
Quello che Holmes doveva fare ora era verificare.
Non poteva restare con questo dubbio, quale che fosse la verità, e doveva controllare coi propri occhi.
L'albergo era sempre lo stesso.
Irene era una persona abitudinaria, non avrebbe mai preso alloggio da nessun'altra parte. E se era veramente lei ad aver scritto quella lettera, non poteva trattarsi che dello stesso identico albergo di allora.
Mentre percorreva gli ultimi metri che lo separavano dalla sua meta, tornando indietro con la mente al passato e toccando con mano il presente, Holmes provò come una stranissima sensazione. Entrò nell'albergo e, come del resto si aspettava, di lei non vi era alcuna traccia.
Chiedere alla direzione equivaleva ad azzeccare il nome che Irene aveva lasciato scritto ( ammesso che non si trattasse di una trappola ).
Holmes non era mai stato tipo da illudersi, neppure di fronte al trucco meglio architettato del mondo, ma stavolta gli era effettivamente difficile mantenere la sua fredda lucidità intellettuale.
Già la soluzione del primo indovinello sembrava averlo sconvolto.
Il pensiero che Irene potesse essere ancora viva, nonostante Moriarty e la prova inconfutabile del fazzoletto sporco di sangue, era come un grosso martello da fabbro che picchiava incessantemente dentro la sua testa.
Holmes respirò a fondo.
Aveva già mostrato la sua vulnerabilità con lei, e per questo aveva pagato, ma ora la ferita sembrava riaprirsi e sanguinare nuovamente.
Perché ?!?
Perché illuderlo con una simile bugia?
Sapere che era morta non era forse una punizione sufficiente per la sua debolezza?
Tutti gli uomini soffrono nel rincorrere e desiderare l'amore, indipendentemente dal fatto che riescano a coronare il loro sogno o meno, e lui certo non faceva eccezione.
Lui amava Irene, l'aveva sempre amata.
Aveva pianto in silenzio, ricacciando le lacrime dentro al petto, ma aveva pianto per la donna che amava.
Ora quella donna non c'era più, e non sarebbe mai più tornata da lui, inutile farsi illusioni dunque.
Per un attimo Holmes immaginò il coltello di un silenzioso sicario alle sue spalle.
Avrebbe potuto neutralizzarlo, proprio come avrebbe sempre fatto in situazioni del tutto simili, semplicemente reagendo all'aggressione. Avrebbe potuto attendere la prima mossa del misterioso individuo, sottraendo la schiena all'ultimo momento e serrandogli il braccio con facilità. Avrebbe potuto togliergli il fiato, colpendolo prima allo stomaco e poi al volto, per poi spedirlo gambe all'aria nella hall dell'albergo...
Ma questa volta decise che non l'avrebbe fatto.
Stavolta erano andati troppo oltre, chiamando in causa persino la defunta Irene, solo per la soddisfazione di piantargli un coltello nelle carni.
Chiunque fosse il sicario dietro di lui, Holmes si sarebbe voltato a guardarlo con un sorriso.
Si voltò dunque lentamente, immaginando già di trovarsi davanti Moran o un volto simile, invece si ritrovò davanti lei...

Foto

Entrambi si osservarono in silenzio.
Holmes sembrava calmo e indifferente, impassibile come al solito, ma i suoi occhi tradivano l'emozione che provava nel rivederla.
Se solo fosse stato più emotivo che razionale, anziché stare lì immobile a fissarla, sarebbe subito corso da lei ad abbracciarla.
Anche Irene era tranquilla, come sempre.
Bellissima come sempre.
Il lieve sorriso sulle sue labbra era un misto di irriverenza e sarcasmo, proprio come nel suo carattere, ma la sua espressione tradiva anche l'affetto e la sincerità dei suoi sentimenti per lui.
Dall'ultima volta che Holmes aveva visto quel sorriso, sembrava addirittura passato un secolo.
Quasi non riusciva a credere che fosse proprio Irene la donna davanti a lui.
Eppure non era un'allucinazione, né una somiglianza o una sosia...
Quella donna era Irene.

- Stavi facendo la doccia? - domandò lei sottovoce.

Solo in quel momento Holmes ricordò di avere ancora i capelli bagnati e i vestiti fradici, per colpa del gavettone di Mrs. Hudson, ma la cosa non era importante adesso.
Irene era lì, davanti a lui, quando la logica e la ragione la davano ormai morta da tempo.
Subito l'investigatore si scostò i capelli incollati dal volto, senza smettere di fissarla, e lei gli si avvicinò tanto che le loro labbra quasi si sfiorarono. L'istinto gli suggeriva di stringerla a sé, di abbracciarla almeno, ma riuscì solo a mormorare la prima sciocchezza che gli venne in mente.

- Si è messo a piovere, mentre venivo qui - rispose lui atono.

Irene sorrise.
Quello era esattamente il tipo di reazione che si aspettava da lui, niente di più niente di meno, ed era felice di constatare che non fosse affatto cambiato in quel senso.
Era sempre il solito Sherlock Holmes.
Poteva forse essere diversamente?
Poteva forse l'uomo più egocentrico e misantropo d'Inghilterra mostrare qualcosa di diverso dalla rude scorza arrogante che aveva?
No, Irene lo conosceva fin troppo bene.

- Lo sai, credevo ci avresti messo di meno a capire il messaggio!
- Lo hanno recapitato in ritardo - rispose subito Holmes. - Mrs. Hudson è una carissima dolce nonnina... ma una pessima portalettere!
- E Watson come sta?
- Malissimo, una tragedia, un'autentica disgrazia... A stento riesco a sopportare di vederlo in quello stato!
- Che gli è successo?
- Si è sposato - sottolineò l'altro con una smorfia. - Orribile, vero? Spero per lui che si riprenda, me lo auguro ogni giorno!

Irene aggrottò il sopracciglio.
No, decisamente non era affatto cambiato.

- Bene, suppongo di dovere andare, adesso - tagliò corto Holmes, salutandola con un cenno e passandole accanto. - E' stato un piacere!
- Credimi, te lo avrei detto subito, se solo avessi potuto...
- Sì, concordo, è orribile il tempo in questa stagione: nebbia, pioggia... uno non sa mai cosa mettersi addosso per uscire!
- Non hai la minima idea di dove sono stata, né di quello che ho passato, non è stato facile neppure per me...
- DIO SALVI LA REGINA !!!

Sorpresi dal tono di quell'urlo improvviso, tutti si voltarono a guardare sia Holmes che Irene. Lui rigido e fiero, con le braccia sollevate verso l'alto, lei pallida per l'imbarazzo e la vergogna di tutti quegli sguardi puntati addosso.
Evidentemente lui non capiva, o non voleva capire.
Irene sorrise debolmente agli ospiti dell'albergo, lasciando intendere che fosse tutto a posto, e subito tornò a Holmes uno sguardo pieno di collera.

- Non ti sembra di esagerare, adesso?
- Sinceramente non saprei - ribatté l'altro tranquillo. - Comunque non vedo dove sia il problema: in fondo per te è solo un'altra bugia, molto ben riuscita anzi, ci avevo creduto anch'io...
- Pensi davvero che ti abbia mentito di proposito, su una cosa del genere ?!?
- La verità? Sì, penso proprio questo!

Irene non riusciva a credere alle sue orecchie.
Tutto si sarebbe aspettata da lui, anche la reazione più violenta e sprezzante, ma quello andava ben oltre ciò che era disposta a sopportare.
Lo schiaffo giunse immediatamente, com'era prevedibile.
Holmes lo accusò senza battere ciglio, limitandosi ad annuire con un cenno del capo, e subito tornò a guardare Irene come se niente fosse. Fu allora che, guardandola dritto negli occhi, comprese di avere appena fatto un grosso errore...
Stava piangendo.
Non erano lacrime isteriche, dovute a chissà quale recita, bensì sincere lacrime di amarezza e risentimento.
Irene Adler poteva essere molte cose: ladra, doppiogiochista, bugiarda e opportunista... ma anche lei attribuiva un valore sincero e profondo ai suoi sentimenti.

- Molto bene - mormorò lei, tirando su col naso. - Se è questo quello che pensi, vuol dire che non abbiamo più nulla da dirci...
- Aspetta!

Holmes si stupì di sé stesso.
Se glielo avessero detto non ci avrebbe mai creduto, eppure sentiva di non avere più il solito proverbiale controllo sulle proprie emozioni.
Aveva già perso Irene una volta.
Non poteva permettersi di perderla di nuovo, non senza ascoltarla almeno.
Purtroppo stavolta aveva toccato il tasto sbagliato, ritenendola tanto "spregevole" come le aveva appena rinfacciato ingiustamente di essere, e sapeva benissimo che non c'era modo di trattenerla dopo un simile insulto gratuito.
Non c'era nulla di logico e razionale per convincerla a restare.
Non aveva idea di come risolvere una simile situazione.
Certo che, di tutte le cose che avrebbe mai pensato di poterle dire un giorno, quella era senza dubbio l'ultima...

- Scusami - sussurrò.

Irene strinse gli occhi.
Il fatto che lui avesse appena detto una cosa del genere, assieme al fatto che ne conoscesse addirittura il significato, poteva solo voler dire che il mondo era destinato a finire quello stesso giorno.
Holmes le aveva appena chiesto scusa.
L'uomo "impossibile" aveva appena messo da parte il suo orgoglio, proprio con lei, abbassandosi al livello di qualsiasi altro uomo innamorato.
Perché di amore si trattava.
Lui aveva sofferto per lei, accusandosi come primo ed unico responsabile della sua morte, ed ora le doveva almeno questo.
La verità, nient'altro.
Irene si limitò a fissarlo, cercando di capire quanto di sincero ci fosse nel tono di quella parola, e alla fine decise.

- Andiamo, vieni - tagliò corto con condiscendenza. - Sarà meglio che ti levi di dosso questa roba, se non vuoi prenderti un malanno!

La scena si spostò nella stanza di Irene.
Qui la donna si tolse il cappello e il soprabito, invitando Holmes ad accomodarsi sulla poltrona.
L'altro non si fece pregare e, incurante del fatto che stava praticamente gocciolando dappertutto, si limitò a fare proprio come era abituato nel suo salottino di Baker Street. Irene fece finta di niente e, afferrato un asciugamani, prese a frizionargli energicamente la testa e le spalle.

- Ti sembra salutare, andartene in giro bagnato? - sottolineò lei con ironìa. - Ti ricordo che siamo ancora in pieno gennaio...
- Non me n'ero accorto!

Mentre lo asciugava, Irene si sciolse con un gesto i lunghi capelli ondulati, lasciandone ricadere libere le ciocche.
Era chiaro che Holmes desiderasse conoscere la verità ma, allo stesso tempo, aveva anche timore di conoscerla.
Irene era ripiombata all'improvviso nella sua vita, quando ormai si era convinto che non l'avrebbe mai più rivista.
Che cosa era successo realmente?
Moriarty l'aveva forse risparmiata?
Come aveva fatto a salvarsi, allora?
Tante domande e nessuna risposta. Irene indovinò ciò che egli desiderava ardentemente sapere, anche se troppo orgoglioso per chiederglielo direttamente, perciò decise di sollevarlo dai tarli che continuavano a rodergli nel cervello.
Da tempo Moriarty l'aveva minacciata.
Lavorando per lui, per la prima volta nella sua vita, Irene Adler conobbe il significato della parola "paura".
Paura e terrore, assieme all'angoscia di una morte lenta e dolorosa, erano queste le armi con cui quell'uomo era solito assicurarsi l'obbedienza e la lealtà di chiunque.
Il veleno che Irene aveva ingerito l'avrebbe senza dubbio uccisa... se lei non avesse preso per tempo le dovute precauzioni.

- Avevi ragione tu, mio caro - esclamò lei, sventolando davanti agli occhi increduli di Holmes una piccola boccetta di vetro trasparente. - L'antidoto che hai preparato agisce più velocemente del veleno stesso; spero non ti dispiaccia, se ne ho prelevato un po' dalla tua scrivania!

Holmes riconobbe immediatamente quel liquido color ambra.
Lui stesso aveva sintetizzato quell'antidoto ai veleni di origine naturale, testandolo poi ovviamente sul povero Gladstone, ma non avrebbe mai immaginato di dovere così tanto all'efficacia di quell'esperimento. Se Irene era sopravvissuta al veleno di Moriarty, ingerendo non vista il contenuto della boccetta, si poteva dire che era stato ancora Holmes in un certo senso a salvarle la vita...
Per anni si era sentito responsabile della sua morte.
Per anni aveva cercato invano di seppellire il rimorso dietro alla solita indifferenza.
E invece lei era viva grazie a lui.

- Non potevo restare, dopo quello che era successo - spiegò Irene, facendosi subito molto più seria in volto. - Mi sono finta morta, pagando l'uomo che mi ha trasportata via dal ristorante dentro a un sacco; mi sono imbarcata clandestinamente su una nave diretta a sud nel Mediterraneo, cercando in tutti i modi di far perdere le mie tracce, e ho trascorso gli ultimi anni in Egitto; ho viaggiato sempre attraverso il deserto, in compagnia delle carovane, tenendomi sempre costantemente alla larga da ogni centro abitato...
- Perché non mi hai scritto, allora? - la interruppe secco Holmes. - Ti avrei aiutata, sarei partito immediatamente!
- Avevo paura - ammise lei. - Per me, per te... Non avevo alcun contatto con il mondo esterno: ho appreso di Moriarty solo alcuni mesi fa, da una vecchia copia del Times, dove era riportata la notizia della vostra scomparsa nelle cascate del Reichenbach; e solo di recente ho appreso che tu stesso eri ancora vivo!
- Curioso - osservò Holmes. - Ci credevamo morti a vicenda...
- Così pare!

Holmes e Irene tacquero.
Per anni erano rimasti divisi, convinti di essere destinati a tale sorte, e ora invece erano di nuovo assieme.
Nessuno dei due pareva ancora realizzare pienamente la gioia di un simile momento.
Ciò che significava per lui.
Ciò che significava per lei.
Sarebbero potuti andare avanti a parlare per ore, raccontandosi vicendevolmente tutte le loro peripezìe, ma c'era qualcosa che entrambi desideravano ormai da troppo tempo...

Un bacio lungo.
Intenso.
Il bacio che Holmes aveva tanto sognato di provare, almeno un'altra volta ancora, e adesso era una calda realtà sulle labbra di entrambi. Sulla sua bocca Irene aveva un misto di tanti sapori differenti: vino, spezie, frutti e aromi delicati, il tutto mescolato alla passione del continente meridionale bruciato dal sole...
Ancora un bacio.
E poi un altro.
E un altro ancora.
Già entrambi sapevano che non si sarebbero mai saziati di quella sensazione.
Le labbra di Holmes scivolarono fino al collo di lei, facendola sussultare con forti brividi di piacere, e le sue mani presero a slacciarle i bottoni del vestito. Irene si lasciò andare completamente, rinascendo nelle mani che l'accarezzavano ovunque, senza smettere un secondo di abbracciare forte l'uomo che desiderava.
L'uomo che amava!
Non c'era centimetro della sua pelle che non percepiva il calore del corpo stretto contro il suo.
Lo stesso Holmes, abbandonandosi alla passione travolgente dei sensi, non aveva altro pensiero che la dolce bellissima Irene.
Amava tutto di lei: le sue labbra, le sue gambe, il suo seno... Irene era per lui, come lui per lei.
Non c'era niente a dividerli, neppure la morte, e il desiderio di entrambi era ciò che animava quei due corpi uniti sotto candide lenzuola di lino.
Fosse stato solo per una notte, o per tutta la vita, Holmes desiderava ugualmente poter assaporare il piacere di ogni singolo e meraviglioso istante con lei.
La notte trascorse lunga, anche se agli amanti sembra sempre troppo breve, e il mattino seguente salutò Holmes solo nel grande letto con le lenzuola disfatte...
Ancora istupidito dal sonno, Holmes provò dunque a stiracchiarsi e, come sentì il clangòre metallico, si rese conto di essere stato ancora una volta legato al letto con delle manette.
Stavolta però Irene gli aveva facilitato fin troppo la cosa: nonostante si fosse portata via la chiave infatti, aveva avuto l'accortezza di bloccarlo solo per il polso sinistro e di lasciargli un grimaldello sul comodino.
Holmes immaginò che la gentile cortesia fosse dovuta ad una notte assai piacevole per entrambi e, nell'aprire con noncuranza la serratura, non poté fare a meno di sorridere.
Irene era viva!

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