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Autore: Eikochan    23/03/2011    1 recensioni
Immaginatevi un ragazzo del Ventunesimo secolo dotato di cellulare con touch screen, Ipod, computer e Internet -un ragazzo come voi, insomma- che si ritrova faccia a faccia con una bionda sfacciata e apparentemente pazza che, in tunica ecrù e sandali alla schiava, parla come gli antichi Romani. Che danni potranno mai combinare messi assieme?!
Si ritroveranno a sfidare gli amici, la famiglia, la legge e la propria origine per mantenere quell'amicizia -o forse è meglio dire quell'amore?- che sfida tutti i canoni normali della società.
Perchè la scelta giusta il più delle volte non è mai quella più semplice.
Piccolo Nota Bene: non è una storia che parla di salti temporali, giusto per mettere in chiaro.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anno Cristiano: 2010 a.C; Anno Pompeiano: 50 n.C.

 

La città era illuminata dalla luce rossa del tramonto che si accennava a comparire, le strade erano ghermite di pompeiani nelle vesti chiare che si apprestavano a comprare le ultime cose prima della chiusura delle botteghe. Tra la gente camminava una ragazza dai lunghi capelli biondi, salutò qualche persona e poi, senza dare troppo nell’occhio girò dentro ad una stretta stradina dove il sole non arrivava. Alzò il cappuccio del mantello azzurro cielo che portava: ora era praticamente impossibile riconoscerne il volto. Nella stradina c’era poca gente; solo una donna coperta da un vestito stracciato li dove toccava per terra e un paio di bambini scalzi e sporchi che giocavano ai lati della strada. Appena a metà della stradina vi era un’insegna nei colori del rosso che recitava “Lupanare”.
Bussò alla porta e un individuo dalla aspetto sciatto e dagli occhi scaltri le aprì.
“Buonasera puellae Dafne” la salutò con un profondo inchino.
“Ti ho detto di non dire mai più il mio nome in pubblico, Aristo”
“Mi scusi, mi scusi.” Le fece un inchino ancora più profondo del primo. “La porto al solito posto”
E la precedette su per le scale che portavano al primo piano e poi la lasciò davanti ad una porta di legno.
“Mi chiami per qualunque cosa le serva, signorina” e scomparve di nuovo al piano terra.
La ragazza bussò tre volte e venne ad aprirgli una ragazza che dimostrava appena diciassette anni: aveva capelli rosso scuro raccolti in una treccia che le scendeva lungo la schiena e occhi verde acqua, seppure non altissima aveva un corpo ben proporzionato e un seno molto abbondante che era contenuto a malapena nel succinto abito color champagne.
Appena la bionda fu dentro si tolse il mantello e lo appoggiò alla sedia rustica a destra della porta, poi le due ragazze si abbracciarono.
“Dafne” disse la rossa.
“Come va, Diana?” le rispose l’altra. Poi si sedette sul letto.
Si trovavano in una stanza spartana ma ben tenuta, vi era un letto scolpito in un grezzo pezzo di pietra grigia sopra cui vi era un materasso di fieno. Di fronte alla finestra c’era un cavalletto con sopra un dipinto ancora da finire che raffigurava il paesaggio che si vedeva fuori,  a fianco di esso un arpa. Tutt’intorno erano appesi quadri magnifici con la stessa firma: Diana.
“Dai tutto bene, questo pomeriggio l’ho avuto libero anche se stasera mi toccano quattro clienti da un ora e mezza, mi toccherà fare le due di notte e poi domani attacco a mezzogiorno.” Le rispose aprendo l’armadio.
“Diana te lo continuo a ripetere, cambia lavoro e lascia il lupanare!” la implorò la bionda.
“E secondo te cosa potrei fare? Non ho famiglia e ho solo i soldi che guadagno facendo la prostituta, se me ne vado non potrò mai trovare lavoro, senza nessuna preparazione scolastica.. finirei come quelle pezzenti la!” e indicò un gruppo di donne vestite di stracci logori che bazzicavano in cerca di elemosina nella strada sottostante. “Qua vivo bene, ho vitto e alloggio e posso dedicarmi ai miei interessi, mi posso permettere vesti decenti e forse un giorno risparmierò tanto da potermi comprare una casa mia.. quando sarò troppo vecchia per lavorare.” Sospirò.
“Certo, hai ragione Diana.. scusami. Ma forse davvero non posso capirti fino a fondo. Non con la mia situazione alle spalle.”
“Tranquilla tesoro, non preoccuparti.” Le sorrise “Piuttosto aiutami a trovare un bel vestito per questa sera.. questo qua è troppo difficile da slacciare.”
Dopo un’ora il sole era tramontato e le strade cominciavano a liberarsi, tutte le persone tornavano a casa: non era consigliabile girare per le strade quando il sole era calato.
“E’ meglio che vada” disse alzandosi Dafne.
“Certo tesoro, non voglio che ti succeda qualcosa.. tanto io attacco fra mezz’oretta, vado a farmi un trucco più pesante và.”
Si salutarono, Dafne si mese di nuovo il mantello alzando il cappuccio, non era per niente consigliabile che qualcuno la riconoscesse in questi posti li.

 

 

 Dafne apparteneva alla gens Gaiae, una delle più importanti famiglie di politici, ricca come pochi e molto influente. Oltre ad essere ricca e potersi permettere tutte le comodità che Nuova Pompei offriva, gli Dei le avevano concesso anche il dono della bellezza: i capelli biondissimi brillavano di lucentezza propria mentre gli occhi azzurri, che erano rarissimi tra le ragazze della città, le davano un aspetto più accattivante. Magra e alta era invidiata da praticamente tutta la città.
La sua casa era sulla collina più alta di Nuova Pompei ed era circondata da un bellissimo giardino con una terrazza panoramica da cui si poteva ammirare la vista dell’intera città.
Nuova Pompei era grande ma non troppo, aveva case di pietra ben tenute e fontane ad ogni angolo e la vita scorreva felice. Nessun abitante poteva uscire dalla città, o meglio se usciva non poteva più rientrare e nessun forestiero vi poteva entrare liberamente. Vi erano rigide regole per tutelare la città.
Nuova Pompei non era un città comune: situata nella Campania orientale era un’oasi dove il tempo era rimasto al pari della Pompei vera e propria: nel resto del mondo erano nell’anno 2010 avanti Cristo, li erano all’anno 50 di Nuova Pompei.
La storia risale a cinquant’anni fa, quando un gruppo di quaranta persone decise di abbandonare i piaceri dell’era moderna per creare un’oasi dove costruire tutto secondo i canoni dell’età greco-romana: prendendo come spunto una della città meglio conservate (Pompei, appunto) avevano costruito la città a immagine e somiglianza, senza elettricità, senza elettrodomestici e senza tecnologia avevano iniziato ad espandersi e ben presto era diventata molto popolosa acquistando una sua indipendenza e un suo sistema monetario e proprie istituzioni.
Gli stranieri non potevano entrare se non lasciavano ogni tecnologia e non si adattavano alla vita di Nuova Pompei, per questo raramente entravano persone nuove nella città. Era come se il mondo al di fuori di quell’oasi non esistesse: i ragazzi venivano a conoscenza del mondo moderno solo al compimento dei vent’anni, prima rimanevano all’oscuro di tutto; se una persona rivelava ad un altro ragazzo minore di vent’anni il segreto rischiava la pena di morte, come la rischiava chi faceva entrare nella città tecnologie non approvate e qualunque oggetto che apparteneva all’ “altro mondo” come lo chiamavano comunemente gli abitanti.

 
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“Alessio, tesoro, alzati dal letto. C’è qui Gian che ti aspetta!” Il ragazzo ignorò la voce della madre e si girò dall’altra parte, tirandosi le coperte fino alle orecchie. Trenta secondi dopo era già sprofondato nel sonno.
“Alza quel culo dal letto!” l’urlo che gli era arrivato forte e chiaro insieme al freddo provocato dalla coperta alzata di scatto svegliarono il ragazzo addormentato. Maledicendo i modi rozzi e assolutamente irritanti del proprio migliore amico si alzò svogliatamente.
Con gli occhi praticamente chiusi iniziò a cercare i pantaloni della tuta e una maglia, mentre Gian continuava ininterrottamente a parlare di cose futili senza praticamente prendere fiato..  prima o poi sarebbe morto di asfissia, o almeno era quello che sperava. Trovò i vestiti e li indossò, poi si avviò in cucina, sempre seguito dall’amico che ora era passato a raccontargli degli ultimi gossip della “compa”, era incredibile come continuasse a parlare nonostante non ricevesse feedback postivi al suo cianciare.
Quando finalmente ebbe finito l’immensa tazza di caffè che la madre gli aveva messo davanti iniziò a collegare i neuroni ed a svegliarsi. “Cosa ci fai qui Gian?”
“Dobbiamo organizzare il campeggio per stasera, furbizia!”
Ma nonostante i buoni propositi e come era chiaro fin dall’inizio , non organizzarono un bel niente e passarono il pomeriggio a giocare al computer. In ogni caso alle sette di sera erano riusciti a recuperare due macchine, in modo da contenere tutti gli amici e le tende, e partirono alla volta di un camping tra la natura.
Gian aveva portato due cosiddette amiche in modo da potersi “intrattenere” durante la serata, una per lui e l’altra per Alessio. Si avvicinò all’amico e gli sussurrò nell’orecchio “Carine vero?”
Ale rivolse un’occhiata alle due amiche che urlavano come due galline indicando un innocuo insettino, si erano piuttosto carine e sexy ma visibilmente stupide. Non aveva voglia di queste storie mordi e fuggi, tipiche di Gian invece. Senza rispondere iniziò a piantare la tenda.

 

 La luce del mattino batteva sulla tende, e il canto degli uccellini sembrava la colonna sonora del suo risveglio. Come al solito le ultime parole famose lo avevano tradito, infatti accanto a lui dormiva una delle amiche di Gian di cui nemmeno ricordava il nome.  Sconsolato si alzò e senza osare immaginare che faccia avesse, uscì dalla tenda. Si guardò intorno, tutti erano a dormire. Decise di fare una passeggiata per svegliarsi un po’, in mancanza del solito caffè terapeutico e scavalcando le lattine di birra si avviò nel bosco.
Non sapeva da quanto stesse camminando e probabilmente si era pure perso, ma non si perse d’animo. Aveva appena avvistato delle mura di cemento ed era incuriosito. Si avvicinò e le guardò.
Erano alte circa quattro metri ed erano ben tenute, era impossibile che fossero rovine. Ancora più curioso iniziò a percorrerle alla ricerca di uno spiraglio da cui penetrare. Alla fine si appoggiò sconsolato alle mura ma colpì accidentalmente un mattone più sporgente e di colpò si trovò per terra, senza fiato e con le mani graffiate.
Si guardò intorno scombussolato e nella luce fortissima del sole basso si stagliò la figura indefinita di una ragazza dai lunghi capelli biondi e la faccia perplessa. “Forse sono morto e finito in paradiso” fu il primo pensiero che gli passo nel cervello, poi si ricordò la serata appena passata e decise che era molto improbabile che fosse il paradiso.

 

 
ANGOLINO AUTRICE:

 

L’idea per questa storia mi frullava in testa da parecchio tempo e finalmente ho deciso di buttarla giù. Cosa ne pensate? E’ un capitolo piuttosto corto ma mi serviva da introduzione, i prossimi saranno più lunghi; volevo solamente presentare i protagonisti.
Bèè cosa ne pensate? Bella idea, brutta idea? Vi prende? Vi incuriosisce?
Fatemi sapere :D

 
Baciii Eikochan

 

Ps: per chi non l’avesse capito il lupanare era l’antico bordello romano.

 

 

 

 

   
 
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