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Autore: Melina     24/03/2011    3 recensioni
[traduzione da Katie Forsythe]
THE THREE FAVOURS, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi, come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa è l'ultima parte, aspettatevi una tachicardia verso la metà XD ma non aggiungo altro e lascio che vi godiate la chicca finale.
Ho sofferto particolarmente in questa parte di traduzione, soprattutto l'epilogo mi ha fatto sudare le famose sette camicie XD non è stato per niente facile rendere la profondità del concetto che sta alla base del titolo "I tre doni", ma ne è valsa la pena *.*
Rinnovo i miei ringraziamenti a chi legge e soprattutto a chi commenta, siete state davvero gentili ^^ e continuo a inchinarmi alla bravura e alla sensibilità dell'autrice di questo capolavoro.
Alla prossima!!! (presto)

Note a piè di pagina fra parentesi quadre

 

The three favours - I tre doni, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi,
come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor
John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.

LA FIC SI SVOLGE DURANTE GLI AVVENIMENTI DE "IL COSTRUTTORE DI NORWOOD"

 

-PARTE TERZA-

 

Acconsentii a dividere una carrozza con Holmes per tornare a Westminster quella sera. Il fatto che un'azione del genere fosse esattamente ciò che mi ero ripromesso di non fare sembrò importare sempre meno. Come in una sorta di rito di iniziazione condividemmo le nostre rispettive scoperte con esitazione iniziale, come se ci fossimo dimenticati come si facesse. La conversazione, dopo i primi cinque imbarazzanti minuti, sbocciò in un discorso gioviale e maturo.
"… e malgrado questo" finii con perplessità "non riesco a trovare nessun titolo di valore tra i suoi averi"
"Questo, mio caro Watson, è peculiare nel senso più gratificante del termine" rispose. "Sei certo che non ci fossero?"
"Non solo non ve n'era traccia, ma come ho detto, è scioccante non si potessero nemmeno rintracciare e che ci sia la presenza di pagamenti consistenti a favore di un certo signor Cornelius"
"Forti somme, hai detto?"
Annuii. "È sorprendente che nessuno sembri sapere chi sia quest'uomo, perché è decisamente sbalorditivo che un ex costruttore in pensione trasferisca tali considerevoli somme a un estraneo. Forse era stato ricattato" aggiunsi come colpito da un'improvvisa illuminazione.
"Forse" concesse Holmes "o forse ci sono meno pedine in questo gioco di quante non immaginiamo".
Gli avrei chiesto di più su questa sua strana affermazione se non avessi realizzato con sgomento che eravamo già davanti al 221 di Baker Street. Holmes scese prontamente dalla carrozza, poi allungò una mano per aiutarmi ad uscire a mia volta. Era un gesto vagamente rischioso anche se non apertamente manifestato.
"Io dovrei tornare all'ambulatorio" dissi, ben sapendo mentre lo dicevo che sarebbe stato inutile.
"Entra e finisci il rapporto sui dati finanziari del signor Oldacre, poi sarai un uomo libero" disse con disinvoltura.
"Non ti bacerò ancora, e nemmeno asseconderò un altro dei tuoi capricci" puntualizzai.
Sorrise, sebbene quel sorriso fosse costruito apposta per me e non perché lui desiderasse farlo. "Non te l'ho chiesto. Non sono così edonista, dopo tutto. Non che non mi importi del numero di mesi… anzi, di anni nei quali… hai intenzione di scendere da quella carrozza o preferisci che io perda l'uso della mia mano destra?" finì con impazienza.
Non c'era niente da fare, pensai accigliato. Presi la sua mano e prima che potessi rendermene conto mi trovavo nel soggiorno, reso buio dalla mancanza della necessità del fuoco acceso nel mese di agosto, e senza la minima idea di cosa dire all'uomo che mi stava davanti, vigoroso e leggermente abbronzato dal sole estivo.
Lo guardai come se non l'avessi mai visto prima, realizzando che non mi ero ancora permesso di guardarlo veramente dopo il suo ritorno drammatico. Era anche più magro del solito e diversi capelli sulle sue tempie avevano preso una sfumatura di grigio lucente durante la sua assenza. Dopo aver acceso l'impianto a gas, parlò solo del caso anche se devo ammettere che capii a mala pena la metà di quello che aveva detto. Mentre parlava si teneva occupato esaminando la corrispondenza, ma tuttavia senza aprire nessuna delle lettere, poi si accomodò con entusiasmo nella sua poltrona lanciandomi il suo portasigarette mentre se ne accendeva una per sé.
"Ebbene?" sospirò alla fine "che cosa ne pensi?"
"Holmes" risposi, cercando di rendere la mia voce il più tranquilla possibile "vorrei che mi parlassi del Colonnello Moran".
Reagì senza che il suo modo di fare rivelasse nulla, né io non mi aspettavo facesse altrimenti. Ma aspirò una lunga boccata della sua sigaretta "non ho la minima idea del motivo per cui tu possa essere arrivato a chiedermi questa cosa, il che ti gratificherà non poco"
"Me lo ha detto Lestrade"
"Lestrade?" esclamò. "Oh, capisco" disse un istante dopo, distendendo le sopracciglia. "Certo che lo ha fatto. Avrei dovuto anticipare questa sua mossa…" Holmes si fermò bruscamente, poi mi lanciò uno dei suoi sguardi truci, quelli che così spesso mi indirizzava, a volte senza volerlo. "Lestrade ha mostrato un qualche interesse per la nostra passata… stima reciproca?".
Era un segno dell'amore che Holmes nutriva per l'ironia il suo aver posto la domanda in quel modo. "Non esattamente" risposi con cautela "anche se probabilmente mentirei se dicessi che non ne è al corrente".
"Merda" mormorò, ed era la prima volta che gli sentivo usare quella espressione.
"Devo comunque informarti che Lestrade non ha mostrato nessun tipo di interesse riguardo questa faccenda"
"Se non è così" rispose Holmes asciutto "è il primo avvenimento fortunato che mi sia successo da più di tre anni"
"Holmes" dissi, inghiottendo "se può essere d'aiuto sono disposto a dirti qualcosa di cui non sei al corrente prima che inizi la spiegazione sul Colonnello".
Gli occhi del mio amico si ridussero a due fessure mentre mi scrutavano con sospetto, ma in un attimo il suo viso era tornato privo di espressione. "Non riesco a pensare a niente che tu possa dirmi che potrebbe indurmi a parlarti dello spregevole Colonnello Moran".
"Io sapevo che eri vivo" dissi. Lo dissi prima che ci potessi pensare due volte, prima che la miriade di ragioni per non dirlo potessero attraversarmi la mente come uno stormo di uccelli.
Holmes non rispose. Sembrò che non potesse farlo, e per molti secondi. Alla fine sussurrò "Mio caro Watson, per l'amor di Dio, dimmi che non è vero, ti prego".
Le parole mi uscirono di bocca molto più velocemente di quanto non avessero fatto per Lestrade. Non c'era da stupirsi: Lestrade non era mai stato così intimo con me come mi piaceva pensare lo fosse stato Holmes. "Ci sono stati dei funerali qui, a Londra. Senza dubbio lo avrai saputo. Vi hanno presenziato innumerevoli agenti di Scotland Yard, tuoi ex clienti, parenti di ex clienti, gente che aveva letto di te nei miei resoconti o sui giornali. C'erano così tante persone che la cerimonia si è dovuta tenere in una piazza pubblica. Non dovemmo preoccuparci della sepoltura vera e propria perché non c'era…" mi fermai prima di perdere il filo del discorso. La faccia di Holmes era sbiancata. "Molte persone parlarono. Del tuo coraggio e del tuo amore per la giustizia. Hanno chiesto anche a me di dire qualche parola… dicevano che sarebbe stato giusto lo facessi, ma non ci sono riuscito" inspirai profondamente "alla fine la folla si disperse. C'era una lapide commemorativa, Holmes, completamente sommersa dai fiori. Li avevano portati le persone ricche come quelle povere… sontuosi bouquet di orchidee bianche e piccole violette da due penny tutti mescolati insieme. Forse adesso non te ne puoi rendere conto. Ce n'era una vera inondazione.
Rimasi uno dei pochi a non essere ancora andato via quando tuo fratello mi si avvicinò, fu molto comprensivo. Soffrii terribilmente per lui, sapevo che tu non avevi altri parenti. Quando si informò con gentilezza su come mi sentissi pensai fosse la cosa più naturale di questo mondo.
'Non parlerò di come mi sento' dissi, perché eravamo in una piazza pubblica 'ma l'unica cosa che so per certo è che non scriverò mai più'.
Sembrò scioccato dalle mie parole. Troppo scioccato per essere un fratello in lutto. Mi chiese di ripetere quello che avevo appena giurato, e quando lo feci scosse la testa lentamente. Mi chiese di concederti un ultimo addio, mi implorò di renderti giustizia in un ultimo e spettacolare problema finale. Tuo fratello disse che tu avresti voluto io lo scrivessi, per tutta l'esperienza che avevo nel rendere il tuo carattere. Disse anche che era una delle cose che amavi di me… il fatto che sapessi catturarti con tanta naturalezza. Alla fine mi scusai e gli dissi che la mia penna era morta con te".
Holmes mi guardò come se stessi lentamente rigirando la punta di un coltello nel suo stomaco, ma ragionai che avrei fatto meglio a portare a termine quello che avevo iniziato.
"Poi lo ammise. Penso che capì che non c'era nient'altro da fare. Mi disse che eri vivo, e disse anche che il fatto che scrivessi un resoconto della tua morte faceva parte del piano per riportarti indietro".
Il mio amico sussultò come non gli avevo mai visto fare, e nello spazio di un lampo durato un secondo provai quella vecchia, familiare sensazione: l'urgente desiderio di proteggerlo dal dolore. Lo ignorai e andai avanti con la mia storia.
"Non potevo farlo" dissi in tono piatto. "Sapere che eri vivo e che in qualsiasi momento avresti potuto tornare da me mi rendeva impossibile scrivere della tua morte. Era disumano, Holmes. Ho scritto del tuo perdono nell'affare delle due oche identiche [1]. Ho scritto del tuo eroismo a Stock Moran [2], delle tue impenitenti abitudini da Bohemien nel caso di Lord Saint Simon [3], persino dei tuoi primi casi, quelli a cui non avevo assistito di persona. Ho scritto della tua intelligenza e della tua nobiltà d'animo, e in ogni istante in cui scrivevo queste cose avevo l'insano pensiero che una delle mie frasi, se fossi stato abbastanza abile, ti avrebbe riportato da me"
"Ma nessuna lo fece" finì per me. Stavo cominciando a sperare di potermi fermare. Avevo visto Sherlock Holmes pochi secondi dopo che uno dei suoi clienti era stato ucciso, e istanti dopo che aveva ricevuto un telegramma che riguardava la morte di suo padre.
Ma non lo avevo mai visto così.
"Alla fine considerai la richiesta di tuo fratello. Sapevo che dovevi essere in pericolo, dopo tutto, e non avevo nessun desiderio di rovinarti i piani. Ma non potevo, semplicemente non potevo ritenerti capace di un simile… era come se, una volta che avessi scritto della tua morte sarei stato soltanto una pedina in uno dei tuoi giochi. Non potevo permettere che questo accadesse. Sono un cattivo attore, lo so, ma sono un bravo scrittore, Holmes. Avrei potuto farlo senza mentire. E l'ho fatto senza mentire. Non potevo credere che tu avessi potuto infliggermi quelle due settimane d'inferno. Per non dire di tre anni… e ogni volta che uscivo dal mio ambulatorio mi trovavo ad essere l'oggetto di condoglianze spesso da parte di perfetti sconosciuti. Me le rivolgevano con gentilezza, ma non facevano altro che rinforzare…" mi interruppi fiaccamente, spezzando una narrazione che era cominciata in ordine cronologico e stava finendo col diventare una complicata divagazione angosciosa. "Avrei dovuto dirtelo prima dell'affare a Camden House, ma per allora ti stavo già…"
"Disprezzando" disse. Poi annuì lentamente.
"Mi dispiace Holmes, ma…"
"Di cosa ti dovresti dispiacere? Hai perfettamente ragione, anche se le tue convinzioni non sono proprio della migliore delle qualità. Non puoi disprezzarmi nemmeno la metà di quanto io disprezzi me stesso"
"Non era questo il mio intento" dissi umilmente.
"Certo che non lo era. Tu sei quanto di più comprensivo possa esistere in questo mondo decaduto, Watson" aggiunse quasi impercettibilmente, portandosi entrambe le lunghe gambe al petto "per piacere, lasciami solo. Non credermi in collera, ma ho paura di non riuscire a continuare questa conversazione".
Desideravo più di ogni altra cosa in quel momento di potergli vedere il volto, ma aveva appoggiato la fronte alle ginocchia. "E per quanto riguarda Moran?"
"Questo non mi scuserà. Non pensare che lo farà. Avrei dovuto gettarmi da quel precipizio piuttosto che lasciare che questo accadesse"
"Non dire così!" gridai.
"Perché diavolo non dovrei farlo? Ora, se tu potessi andare a casa a dormire, mio caro amico, la mia già sbalorditiva gratitudine verso la tua gentilezza raddoppierebbe"
"Non posso lasciarti così" dissi disperatamente. E fui più che sconcertato nello scoprire che era vero.
"Watson, ti prego" disse. Girò la testa solo di poco, ma potei intravedere l'angolo del suo occhio sinistro. "Hai già molte cose da perdonarmi, ma mentre cerchi di farlo, perdonami il mio dirti che darei qualsiasi cosa perché tu fossi da qualche altra parte proprio adesso. Non merito la tua compassione, ma ti prego di uscire"
"Holmes, non posso semplicemente…"
"Sei un gentiluomo" la sua voce smorzata dalla stoffa dei suoi pantaloni "adesso ti prego di andartene".
Raccolsi cappello e bastone contro voglia e aprii la porta del salottino. Pensai di girarmi per guardarlo ancora una volta, ma sapevo che se l'avessi fatto non avrei mai potuto obbedire alla sua richiesta. I miei passi non fecero rumore mentre scendevo le scale ricoperte dal tappeto che portavano alla porta d'ingresso.
Dal momento in cui avevo lasciato la stanza a quello in cui ero arrivato al mio recentemente rinnovato ambulatorio, con i vecchi corrimano che attendevano di essere recuperati dai rigattieri di strada, tutto il mondo che mi circondava si era ridotto al silenzio.

-«oOo»-

Quando mi svegliai la mattina dopo… dico svegliai per convenzione, ma visto che non avevo dormito forse sarebbe stato meglio dire che mi alzai, sapevo quello che andava fatto.
Due uomini, oltre a Sherlock Holmes, erano a conoscenza di più dettagli sul Colonnello Moran di quanti ne sapessi io. Mycroft Holmes, non avevo dubbi, si sarebbe fatto sparare in testa piuttosto che rivelare un'informazione che il suo fratello minore aveva considerato un segreto, soprattutto ora che era di nuovo vivo. Lestrade, invece, si era già dimostrato vulnerabile sul piano dell'altruismo. E quindi avrei applicato la mia attenzione sull'ispettore, anche se fragile nel fisico e non nel carattere.
Mi vestii in fretta e scesi le scale, evitando per un soffio di andare a sbattere contro i tre operai che, sotto la supervisione della signora Garrison, stavano rimpiazzando la mia vecchia scrivania sciupata con una che sembrava essere, al di sotto degli imballi, di fine legno di mogano. Non ebbi quasi il tempo di rivolgere loro un'occhiata perché quando raggiunsi gli scalini d'ingresso rischiai di inciampare in un mazzo di fiori. Mi ci volle appena uno sguardo per realizzare che erano orchidee bianche circondate interamente da una corona di piccole violette. Tornai velocemente in casa.
"Potrebbe mettere questi in un vaso con dell'acqua al più presto?" chiesi alla mia paziente governante.
"Ma certo, dottore" disse allegramente "che disposizione di fiori piacevolmente diversa dal solito. È per caso una nuova moda?".
Temo che non ricevette una risposta, ma la signora Garrison non prestava mai particolare attenzione alle mie parole, in ogni caso.
"A Whitehall, prego" ordinai al vetturino della carrozza che avevo fermato. Perciò mi diressi direttamente verso Scotland Yard nel sole mattutino estivo. Lestrade considerava il caso di Norwood chiuso, e se non era nel suo ufficio, i suoi colleghi avrebbero per lo meno potuto avere un'idea su dove si trovasse.

-«oOo»-

"Davvero, non sono autorizzato a discutere con lei di questa faccenda, dottore" disse Lestrade con un tono di esagerata pazienza nel suo scarsamente illuminato ufficio di Scotland Yard. La sua scrivania era, come sempre, meticolosamente pulita, ogni documento accuratamente fascicolato e ogni matita ordinatamente distesa a formare una linea retta parallela al lato più lungo della scrivania. "Ha parlato con il signor Holmes?".
"Ho commesso un errore tattico" ammisi depresso. "Gli ho rivelato il mio segreto prima di riuscire a estorcergli il suo".
"No, ha fatto bene" disse Lestrade pensieroso, facendo scorrere un dito lungo il suo mento affilato "è meglio avere qualcosa su cui fare leva quando si ha a che fare con quell'uomo".
Andai vicino a ridere alla sua frase, ma dirottai la mia ilarità in un colpo di tosse improvviso. "Precisamente, Ispettore".
"Come l'ha presa?".
Ripensando alla scorsa notte, considerai l'eventualità di velare il reale accaduto, poi realizzai che sarebbe stato molto più probabile per me ottenere quello che volevo se non lo avessi fatto. "Sembrava che lo avessi spezzato in due"
"Oh" disse l'Ispettore "questo è… be', per quanto pazzo furioso lui possa essere… mi dispiace sentire una cosa del genere, dottore".
Gli sorrisi di rimando anche se in modo incerto. Lestrade, pensai, era un alleato di Holmes e un mio alleato. Aveva fatto un ottimo lavoro di dissimulazione, nascondendo la cosa dietro a modi pomposamente fastidiosi, ma la sua lealtà non faceva che diventare sempre più plateale. Decisi di essere plateale allo stesso suo modo.
"Mi ha cacciato fuori da casa sua in un impeto di auto disprezzo. Gli ho chiesto ancora di Moran, ma ha insistito che la cosa non avrebbe potuto in ogni caso addolcire il mio giudizio su di lui. Eppure lei non vede Holmes allo stesso modo in cui lo vedo io. Che cos'è che devo sapere?".
Lestrade tambureggiò le punte delle dita le une contro le altre, sembrando in tutto e per tutto Sherlock Holmes quando deve scegliere il minore fra due mali. Alla fine disse "Lo faccio con la sua assicurazione che il signor Holmes non ci farà fare la fine di due stivali vecchi e consunti quando lo verrà a sapere?"
"Prometto che non lo permetterò. Ci penserò io"
"Ne è sicuro?"
"Ne sono certo, glielo giuro".
Lestrade sospirò e spostò le matite sulla scrivania posizionandole, questa volta, parallele al lato corto di essa. "Sono a conoscenza di alcuni fatti, dottore, ma questi fatti conducono al mondo delle teorie. Non sono particolarmente affezionato alle teorie infondate, ma le dirò i fatti così che lei possa dirmi se arriva alle stesse mie conclusioni".
Accettai la sua proposta e lo pregai di continuare.
"Il Colonnello Moran era furioso quando lo abbiamo arrestato. Insistette, parole sue, sul fatto che era furioso soprattutto per essere stato acciuffato, perdoni la volgarità dei termini dottore, da due sodomiti senza Dio".
La mia bocca si spalancò di puro terrore a questa affermazione, ma Lestrade alzò una mano velocemente.
"Ricevere diffamazioni da parte di chi si ha appena arrestato è un fenomeno largamente documentato. Non significava niente e non abbiamo fatto rapporto sulle sue rivoltanti accuse. Lei, dottore, dopo tutto è un vedovo ancora in lutto. Ma la cosa mi fece pensare" disse, abbassando i suoi scaltri occhi castani sulla scrivania. "Mi ha fatto pensare a dove il Colonnello Moran potesse aver sentito tali sordidi pettegolezzi. Mi ha fatto pensare a quale altra cosa intendesse fare il Professor Moriarty, dopo che era sfuggito al miglior piano che avessimo mai architettato, per vendicassi oltre che uccidere il signor Holmes. Mi ha fatto pensare al perché il signor Holmes avrebbe dovuto far finta di essere morto per tutto quel tempo quando Moran sapeva perfettamente che fosse vivo. E tutto ciò mi ha fatto notare, dottor Watson, che Moran ha abbassato la guardia, abbastanza per essere catturato, solo dopo che lei aveva scritto della morte del signor Holmes".
A quel punto ero già due passi avanti al caro piccolo ispettore, e la vecchia sensazione di costrizione si chiuse con violenza sul mio petto mentre realizzavo quello che avevo frainteso per una mia stupida macchinazione egoistica.
"Se era morto per lei, sarebbe stato ovviamente morto per tutta l'Inghilterra, non parliamo di Londra" continuò Lestrade "e questo è chiaro. Lei è una persona onesta, se posso dirlo, dottore. E nessuno si sarebbe aspettato lei potesse scrivere una cosa del genere a meno che non l'avesse ritenuta vera. Mi ha ingannato, e per questo le faccio i miei complimenti. Ma supponiamo che Sherlock Holmes non sapesse niente del suo talento di romanziere" aggiunse. Aveva preso in mano una matita e stava battendo dolcemente la fine di essa contro il piano della scrivania. "Si renderà certamente conto che si tratta di pura teoria, e le teorie sono utili all'uomo metodico quanto un pugno di avanzi, ma adesso non ci faccia caso. Sapendo che il signor Holmes aveva ammesso di aver parlato con il Professore prima del loro scontro, supponiamo che il Professore avesse accennato a certe abitudini sue e del signor Holmes, dottore… le scommesse, diciamo" si affrettò ad aggiungere quando arrossii. "E diciamo anche che il compito di Moran fosse quello di rivelare queste abitudini quando il signor Holmes fosse tornato a Londra. E se Sherlock Holmes, per tenere segreto il suo amore per le scommesse… o meglio ancora, il suo amore per le scommesse, dottore, avesse deciso nello spazio di un secondo di non fare ritorno?"
Lestrade si fermò sembrando confuso. Non sapevo assolutamente che aspetto dovesse avere la mia faccia in quel momento, ma ricordo che le mie guance bruciavano e che non mi importava. "Vada avanti" sussurrai "la prego, continui con la sua… teoria".
"Bene" balbettò "se non poteva tornare in quel frangente, doveva voler tornare… prima o poi. Ma forse doveva essere cauto, perché se questo pettegolezzo sulle scommesse fosse stato reso pubblico la avrebbe rovinata, dottor Watson, così come avrebbe rovinato lui stesso. È interessante che Moran abbia abbassato la guardia commettendo un omicidio proprio dopo che lei pubblicò il resoconto della morte del signor Holmes. È come se, dopo che il fatto era stato riconosciuto da lei, Moran avesse pensato che il signor Holmes avesse lasciato l'Inghilterra per sempre. Ecco quando sparò a Ronald Adair. E le assicuro" aggiunse comprensivo "che il signor Holmes ha aggiustato le cose. Moran sarà impiccato, non ci piove. E nessuno di noi è incline a tenere in considerazione gli insulti pronunciati da una feccia del genere. Dottor Watson, sta bene?" terminò preoccupato.
"Sto bene" dissi. Per un momento amai tutto dell'Ispettore Lestrade, dai suoi stivali lucidi alle sue sopracciglia sospettose. "Sono stato terribilmente sleale, ed eccezionalmente cieco, ecco tutto. Lestrade, non so come potrò mai ringraziarla per essersi avventurato nel mondo delle teorie".
"Non ha bisogno di ringraziarmi" disse velocemente Lestrade "e non ha nemmeno bisogno di dirlo al signor Holmes. O a Gregson. Per l'amor di Dio, non lo dica a Gregson" aggiunse alzando gli occhi al soffitto.
"Non lo farò" promisi, alzandomi e stringendogli la mano solennemente "ha la mia parola. Ma temo che Holmes lo scoprirà comunque da solo".
"Ah sì?" rispose Lestrade con apprensione. "Ma certo che lo farà. In ogni caso io… oh, al diavolo tutto! Lui mi ha tormentato con le sue teorie abbastanza a lungo. Potrà sopportare un po' delle mie. È un uomo giusto e saprà ammettere che si tratta solo di questo. Buongiorno a lei, allora, dottore. E buona fortuna" poi Lestrade si girò e rimise le sue matite nella loro formazione originale.

-«oOo»-

In piedi fuori dal quartier generale di Scotland Yard, considerai momentaneamente di fermare una carrozza e andare dritto dritto a Baker Street. Poi mi convinsi a restare calmo e a pensarci sopra, sapevo che quella non fosse la strada migliore visto che avevo già avuto a che fare con Sherlock Holmes nel bel mezzo dei suoi malumori anni addietro. Con il mio obiettivo davanti a me e prudenza nei miei piani, mi diressi verso il più vicino ufficio telegrafico prima di tornare a casa.
"Signora Garrison" dissi, mentre la numerosissima squadra di operai finiva di installare elaborati corrimano in ferro cesellato sui miei scalini d'ingresso "sia lei che Sally potete prendervi il resto della giornata libero".
"Oh, dottor Watson" esclamò portandosi una possente mano al petto "è generoso, ma…"
"Non posso tollerare ulteriori ritardi, signora Garrison, perché ho un cliente che desidera mantenere la sua privacy nel dover trattare la sua mostruosamente compromettente situazione con me".
La signora Garrison, anche se sciocca, era di natura comprensiva. E tale era la ragione per cui la tolleravo. "Ma certo, dottore" disse fermamente "Subito. Povera anima. Devo prima sbarazzarmi di questi operai e dir loro di ritornare qui domani mattina presto?"
"Le sarei tremendamente grato se facesse esattamente questo" le risposi.
L'ammirevole matrona annuì come se le fosse stato ordinato di comandare un battaglione. "Perfetto, dottore. Mi assicurerò che non ci sia più nessuno qui ad interromperla entro dieci minuti"
"Grazie, mia cara" risposi. Mi affrettai verso il mio ufficio e chiusi la porta.
Il suono degli operai al lavoro scomparve abbastanza in fretta. E subito dopo vennero le rigide istruzioni che intimavano alla cameriera di comportarsi bene, di non parlare con uomini senza un'accompagnatrice e di non tornare più tardi delle nove di sera. Un momento dopo sentii la signora Garrison sbattere violentemente la porta principale dietro di sé e potei uscire dal mio ufficio per cominciare a camminare avanti e indietro nel mio ingresso recentemente dipinto di fresco. Non dovetti aspettare a lungo. Nel giro di un'altra mezz'ora Sherlock Holmes apparve sulla soglia della mia porta senza bussare e si fermò con quella che sembrava reale confusione sul mio nuovo tappeto, che evidentemente aveva scelto con gran cura lui stesso.
"Mi hai inviato un telegramma" disse.
"Sì" riconobbi.
Ricostruì la sua solita compostezza, o almeno finse di farlo. "Questo piccolo pezzo di carta gialla dice, se i miei occhi non mi ingannano, Ho bisogno di te con urgenza; non c'è tempo da perdere; vieni subito in ambulatorio. La questione sembra importante se non addirittura pericolosa, non ti pare?"
"Mi pare, eccome" assentii, attento a non tradire il mio reale stato d'animo. Non ci riuscii quasi per niente, perché non ero, e mai sarò, Sherlock Holmes.
"Watson" disse senza fiato "se non ti spieghi immediatamente trarrò le mie conclusioni da solo e temo seriamente non saranno piacevoli".
"Trai pure" dissi allegramente. Mi sentivo un uomo nuovo, e molto più me stesso di quanto non mi fossi sentito in tre anni.
"Dovrai essere un pelo più specifico" disse con un'urgenza toccante.
"Puoi trarre tutte le conclusioni che vuoi" gli assicurai "so tutto e Lestrade ha perfettamente ragione. Ha sempre avuto ragione riguardo a te e io non sono mai stato capace di accorgermene. Sei un pazzo". A quel punto ero così emozionato da lasciare che una lacrima occasionale mi tradisse, ma il sorriso sulla mia faccia era così largo che mi liberai di lei in un secondo. "Sei un pazzo per aver fatto un sacrificio tanto assurdo, e tre volte pazzo per aver pensato che non mi sarebbe impor…"
Temo di non essere andato oltre, perché due braccia magre e vigorose mi stavano già circondando e una testa dai capelli corvini era appoggiata alla mia spalla, mandando piccole scosse di dolore alla mia antica ferita. Dopo un lungo momento alzò la testa e baciò la mia cicatrice attraverso la stoffa del gilet.
"Non credevo avrei potuto farlo ancora" mi lasciò e si allontanò di tre passi, quanto bastava per avere una visuale più vantaggiosa della mia figura. "Non merito le tue scuse. A quest'ora sarai già al corrente di tutto ma, davvero, lo ribadisco…"
"Nessuno di noi due merita le nostre rispettive scuse" risposi il più gentilmente possibile "io avrei dovuto fidarmi della tua definizione della parola 'unico', e tu avresti dovuto tenere in maggior considerazione la mia abilità di scrittura".
Rise alla mia affermazione, una risata che non avevo più sentito dal 1891, e mi prese di nuovo fra le sue braccia. "Era folle come piano, lo ammetto. Non sono riuscito a pensare ad altri modi. Avrei dovuto esserne capace, ma il mio intelletto mi ha del tutto abbandonato".
"No" lo corressi "non hai saputo pensare ad altri modi diversi da questo che potessero far comunque ricadere tutte le responsabilità sulle tue spalle. Il dolore sulle mie, il pericolo sulle tue. Ma sappi" finii prendendo il suo viso fra le mani "che preferisco di gran lunga un misto di dolore e pericolo piuttosto che l'una o l'altra cosa quando isolate".
"Capito" disse dolcemente "d'ora in poi sarai tu a decidere in merito a tali questioni, io me ne lavo le mani"
"Ah sì?" chiesi, perché mi stavo accorgendo che lui, lentamente, stava cominciando a sbottonarmi la camicia "questo significa che vuoi che lavoriamo di nuovo insieme?"
"Se me lo permetterai" rispose, forzando i suoi occhi a guardare nei miei invece che lasciarli liberi di indugiare sul mio collo esposto.
"Te lo permetterò di certo, ma mi chiedo dove dovrei vivere a questo punto. Il mio ambulatorio è recentemente diventato molto più abitabile grazie ad un benefattore anonimo".
"Oh poveri noi" disse comprensivo, gettando sul pavimento la mia cravatta "sicuramente ti dispiacerà lasciarlo proprio ora, ma sono sicuro che riceveresti una cifra molto maggiore adesso, dopo tutto".
"Holmes!" esclamai indignato "avevi previsto tutto sin dall'inizio?".
"No, no" protestò, staccandosi di nuovo da me come se un'esposizione prolungata al suo tocco potesse in qualche modo farmi del male. "Niente del genere. Ti ho visto preoccupato per lo stato del tuo ambulatorio e mi ha semplicemente fatto piacere alleviare la tua ansia. Comunque" aggiunse malizioso "adesso potrai chiedere una bella somma per questo posto".
Non mi era mai apparso così intelligente, così spaventato e così coraggioso allo stesso tempo, e quando mi si avvicinò di nuovo lo spinsi via solo per poterlo guardare, come usavo guardarlo una volta.
"Holmes" dissi esitante "non ho mai smesso di…"
"No" disse all'improvviso. Posizionò due dita sulle mie labbra e scosse la testa "So che non l'hai fatto. Non serve che tu me lo dica. Ti prego, non dirlo".
Rise di nuovo, ma i suoi occhi grigi erano infinitamente seri.
"È ovvio tu non abbia mai smesso. Perché credi che ti abbia spedito tutti quei telegrammi?".

-«oOo»-

È ora a tutti noto che ritornai a vivere con Sherlock Holmes. Che fu lui a trovare un acquirente per il mio, ora stravagantemente ammobiliato, ambulatorio e che pagò di tasca sua il prezzo di vendita, un fatto di cui sono venuto a conoscenza solo nel 1901. Questo segreto recentemente rivelato, ammetterò, portò a un breve ma inteso litigio fra di noi. Rimasi arrabbiato per un periodo di circa cinque minuti concludendo poi, per la centesima volta, che non avrei dovuto schierarmi contro Holmes quando si metteva in testa qualcosa. Ci sono segreti e segreti, dopo tutto.
Lestrade, da parte sua, si sbagliava a proposito di John Hector McFarlane, come io e Holmes riuscimmo a provare senza ombra di dubbio il pomeriggio che seguì il mio telegramma. Tuttavia questo non fece la minima differenza. L'Ispettore aveva avuto ragione su qualcosa per me molto più importante e, aggiungerei senza timore di avere torto che sia io che Holmes dovemmo a lui il resto della nostra collaborazione. Non che non ci siano più state incomprensioni fra di noi, ma ci sono alcuni doni, come alcuni crimini, che contano più della morte o della vita stessa. Quello dell'Ispettore fu uno di questi. Il fatto che io avessi perdonato Sherlock Holmes, posso affermarlo con orgoglio, fu un altro. E il perdono che accordò lui a me fu l'ultimo, infinitamente benevolo, terzo dono.

«fine»

 

NOTE:
[1] L'avventura del carbonchio azzurro
[2] L'avventura della banda maculata
[3] Il nobile scapolo

 


   
 
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