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Autore: Lizzie_Siddal    26/03/2011    6 recensioni
[Cherie/Joan]
Condividere lo stesso sogno, bruciare di entusiasmo, urlare alla notte che conquisteremo il mondo, cazzo, lo faremo e voi stronzi che non avete creduto in noi dovrete baciarci il culo!
Fingere di poter vivere senza regole, sentire davvero le luci e i colori scoppiare dentro i riff di chitarra, e ridere, e ballare, e cantare, e fumare, e bere, e la cassa della batteria che ti martella nelle orecchie e nelle vene, e partire ogni notte su quel baraccone delirante, a vendere al pubblico un circo mai visto prima - signore e signori! - senza possibilità di ritorno, perchè dalle stelle non si scende più, anche quando senti le vertigini stringerti lo stomaco e le caviglie.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: We lovers never say goodbye
Fandom: The Runaways
Personaggi/Pairing(s): Joan Jett/Cherie Currie, apparizioni ad minchiam di Sandy West, Lita Ford, Robin Robins, Kim Fowley e Marie Currie.
Genere: Introspettivo, Angst, Romantico
Avvertimenti: oneshot, femslash, linguaggio colorito, lime, tematiche delicate (tossicodipendenza), movieverse
Conteggio parole: 4900 (fdp)
Credits: titolo rubato a “Lovers” (by Runaways, duh). In giro sono sparse briciole di “Love is pain” (Joan Jett & The Blackhearts) nonché di “I love playin' with fire” (delle Runaways, scritta sempre dalla cara Joan).
*
Regine del rumore: citazione del secondo album delle Runaways “Queens of noise”, appunto. Sì, lo so, in inglese suona molto più fico.
Challenge/Prompt: scritta per scritta per il team fucking!Angels del COW-T @maridichallenge, missione#1 della VI settimana (prompt nostalgia)
Note iniziali: Dopo essermi documentata per giorni interi su santa Wikipedia, ho deciso che alla fine me ne sarei sbattuta della cronologia storica degli eventi e che avrei seguito a grandi linee solo il film (che abbrevia, omette o cambia d'ordine molte cose). In fondo alla pagina, tutte le differenze.
Piccola avvertenza: flashback e presente sono incastrati in ordine volutamente casuale. Se avete visto il film capirete, ma comunque, perdonate la mia randomness imperante. Sono pessima, lo so.


We lovers never say goodbye



Ci sono giorni in cui si sveglia convinta di essere nel letto di una camera d'albergo sperduta in culo al mondo – in Giappone, magari – e devono passare almeno dieci secondi buoni prima di rendersi conto che non è così.
L'aria è stantia, perennemente impregnata di fumo, le tende alle finestre fanno filtrare la luce della tarda mattinata, ed il suo corpo è avvolto in un fottuto casino di coperte e vestiti ammucchiati l'uno sull'altro.
Cherie strizza gli occhi e bestemmia a mezza voce.
Ha la gola secca, le labbra aride, un'emicrania micidiale.
Cerca in automatico le sigarette sul comodino, sollevandosi sui gomiti ossuti.
Non c'è mai Joan a passarle l'accendino, e forse è questo – quel gesto automatico che aveva imparato a considerare un'abitudine – a farle capire di aver sognato di avere ancora quindici anni, di essere nel pieno di un tour con le Runaways.
Rock 'n' roll.
Regine del rumore.
Joan sollevava Cherie sulle spalle e iniziava a correre, a testa bassa, fischiando forte come un treno. Sandy teneva dietro, ridendo e smozzicando insulti scherzosi, la sigaretta all'angolo della bocca.
E chi ci ferma?
La cenere cade sulle lenzuola, mentre Cherie fissa il vuoto davanti a sé.
Vorrebbe riavvolgere il tempo, recuperare parte di quello che ha stretto tra le dita, trionfante, convinta che non le sarebbe mai sfuggito.
Le manca così tanto.
Chiamerà.
Non oggi.
Oggi sta male e ha un disperato bisogno di farsi – salterà il lavoro, già lo sa.
Magari domani.
Prima proverà con Sandy.
Giusto per stare sul sicuro – Sandy è la Svizzera, lo è sempre stata.
Robin la esclude – l'ultima volta che l'ha vista, per caso, in città, ha fatto finta di non conoscerla.
E Lita, Lita col cazzo che ha intenzione di sentirla. Quella puttana può darsi fuoco, per quanto le riguarda.
Cherie strofina il pollice sul cilindro di tabacco, e pensa all'unica di cui davvero vorrebbe sentire la voce – non semplicemente su un vinile o in un passaggio radio, per una volta.
Joan.
Lei no, non ancora.
È una ferita fresca, e d'altra parte, Cherie teme che lei possa mandarla a fanculo se solo prova a contattarla.
Le ha voltato le spalle in più di una maniera, e questo è qualcosa a cui Joan difficilmente passerà sopra. E poi, Cherie cosa potrebbe mai dirle per giustificarsi? Per farsi ascoltare?
Mi manchi. Mi manchi fottutamente, Joan.
Non lo sa.
Una cosa per volta.
Magari domani, sì.



Il bello di ogni inizio è che, appunto, è un inizio.
È novità, è ignoto ed eccitazione: quando non sai cosa ti aspetta, vivi alla giornata, e tutto ha il sapore buono, dolciastro e irripetibile della prima volta.
Chi si aspettava di riuscire a farcela per davvero, alla fine?
Un giorno sei chiusa in camera a imitare il Bowie con la musica a palla sul grammofono, quello dopo in una roulotte lurida che cade a pezzi a cantare oscenità spronata da quel cane pazzo di Kim Fowley, e quello dopo ancora sei davanti a un vero pubblico – a schivare lattine, bottiglie e altri oggetti contundenti, okay – ma a fare rock 'n' roll.
L'inizio è così, e piano piano Cherie sente il rumore dell'ingranaggio che parte, scricchiolando, cedendo sotto le note sghembe e incazzate di un gruppo di quindicenni, ragazze, con tette, utero e tutto il resto.
Un sogno da cui non vuoi svegliarti mai, che cresce e cresce ad ogni canzone, a ogni spettacolo.
Finalmente, quello che hai sempre voluto.
I palchi sempre più grandi, il rumore della folla che aumenta, i fan che ti amano – ora ti lanciano fiori e baci - e cercano di imitare ogni tuo stupido dettaglio.
C'è stato qualcuno, prima di voi, a riuscirci?
No, nessuno.
E si continua il viaggio, destinazione sconosciuta, ma le stelle sono vicine e troppo brillanti per pensare di avere paura del buio o dell'altezza.
Cherie guarda tutto da lassù, sentendosi un po' Ziggy Stardust, stupendosi di quanto sembrino lontane e piccole le preoccupazioni dei comuni mortali.
Il senso di colpa per aver lasciato Marie a casa, a prendersi cura di papà, è minuscolo, così facile da soffocare con le bugie e le giustificazioni.
Non che Cherie abbia mai troppo tempo per pensarci, a questo, o al fatto che, almeno un po', le manca anche, la vita di prima.
Quelle quattro figlie di buona donna di Sandy, Lita, Robin e Joan, non la lasciano mai sola e le rubano ogni momento o energia residua, così che Cherie non rimpiange nulla.
Non sente nostalgia di casa - non come aveva immaginato o sperato.
Lì è a casa, lì ha una famiglia.
Sua madre e neanche Marie – per quanto ci abbia provato - hanno mai capito quanto per lei sia importante tutto questo.
Vivere la musica, berla e mangiarla fino all'osso, dimenticare il passato.
Cosa c'è di più bello e perfetto?
E quelle ragazze, che solo pochi mesi prima erano delle sconosciute, la pensano uguale.
Sono diventate come sorelle, per Cherie.
Condividere lo stesso sogno, bruciare di entusiasmo, urlare alla notte che conquisteremo il mondo, cazzo, lo faremo e voi stronzi che non avete creduto in noi dovrete baciarci il culo!
Fingere di poter vivere senza regole, sentire davvero le luci e i colori scoppiare dentro i riff di chitarra, e ridere, e ballare, e cantare, e fumare, e bere, e la cassa della batteria che ti martella nelle orecchie e nelle vene, e partire ogni notte su quel baraccone delirante, a vendere al pubblico un circo mai visto prima - signore e signori! - senza possibilità di ritorno, perchè dalle stelle non si scende più, anche quando senti le vertigini stringerti lo stomaco e le caviglie.
Siamo qui.
Insieme.
L'inizio che sembra non avere fine, la perfezione, il profumo del successo, la vita.
Nemmeno gli sbagli, gli anni squallidi e il nulla che seguirà potranno mai a rubarne l'oro.


*


Joan è stesa sul materasso.
Occhi al soffitto e braccia aperte come le ali di un angelo magro, sporco e consumato.
La chitarra deve essere da qualche parte, lì vicino, magari sul pavimento, tra l'immondizia di cartocci di cibo take away, una bottiglia di birra vuota e le scarpe da ginnastica consunte.
Basterebbe poco, allungarsi a tentoni e prenderla.
Suonare due accordi, come ai vecchi tempi, magari buttare giù qualcosa.
Un riff a caso, quello che vuoi tu, Joanie! Forza, muovi il tuo culo fighetto! la incita una voce mentale disgustosamente simile a quella di Kim Fowley.
Non è che l'ispirazione sia evaporata.
Anzi, sorprendentemente, è il contrario.
Anche se dopo il periodo di merda conseguente l'abbandono di Cherie, sembrava che tutto fosse destinato a crollare.
Nonostante la decisione di Joan di sostituire la cantante e proseguire, le Runaways non avevano retto che un altro anno scarso. Lita e Sandy, il cui sound era più improntato ormai all'heavy metal, avevano preso la loro strada, mentre quel bastardo di Kim aveva piantato capra e cavoli già in precedenza.
La sua band di gallinelle dalle uova d'oro aveva smesso di fruttargli.
Non gli servivano più.
Fanculo.
È stata dura, ripartire, ma ora Joan ha ripreso a comporre.
La creatività piscia fuori dalla sua chitarra ogni sera.
Eppure non è la stessa cosa, senza...
Io scrivevo la musica, lei la cantava”
È che a volte, Cherie le manca più di quanto sia disposta ad ammettere o anche solo considerare.
Nel rendersene conto, Joan si sente un'idiota, una mammoletta colpevole, perché poi inizia a pensare.
Ciò che ha costruito, quello che ha intorno, quello che resta, non sembra avere senso, non è appagante a sufficienza, se non c'è Cherie a condividerlo.
E poi è da paranoici fottuti continuare a incidersi parole e note nel cervello e su carta, suonarle e urlarle, quando sai che l'unica voce che dovrebbe cantarle non è la tua, ma quella su cui le hai modellate.
È stupido e patetico, e come la maggior parte delle cose stupide e patetiche riesce anche a farti un male fisico del cazzo, alla fine.
Joan è stanca.
Forse davvero dovrebbe prendersi una pausa, staccare la spina e isolarsi un po' dal caos.
O anche mandare tutto a puttane e mettere su baracca da solista, come le ha consigliato Tammy.
Ma Joan non è David Bowie, di Bowie ce n'è uno solo, e lei non vuole arrendersi e lasciar perdere il sogno di una vita, avere una sua band, anche a costo di dover unirne i pezzi tagliandosi le mani.
Senza preavviso, le lampeggia davanti l'immagine di Cherie, come un fotogramma sbiadito.
La pelle chiara, la faccia da bambina e gli occhi troppo azzurri.
Si chiede dove sia, adesso.
Cosa stia facendo.
Se stia bene.
Ma, più di tutto, Joan si chiede se abbia trovato ciò che stava cercando.
La vita di prima, quella che lei e le altre ragazze non potevano rimpiangere, perchè venivano dalla strada, loro, e il massimo a cui potevano ambire era rimanerne fuori.
Non si tornava indietro.
Chi di loro lo avrebbe fatto di propria volontà?
Piuttosto avrebbero dovuto smuoverle a calci in culo.
Non avevano nulla da pardere, solo da guadagnare.
Invece Cherie era diversa.
Aveva lasciato parecchio in sospeso, lungo la via, problemi e affetti che non poteva nascondere.
Eppure, forse per l'imbarazzo di non essere come le altre, forse perchè avrebbe voluto disfarsene e rendere tutto più semplice, fingeva che non esistessero, quelle cose.
Non davvero.
Questo, almeno, fino a quando tutto non era riemerso, rompendo le dighe e facendola affondare in se stessa, nell'acqua nera del rimorso.
Joan aveva assistito a quel processo lento, stando attenta a starsene con la bocca chiusa. Primo perchè non voleva irritare Cherie facendole notare l'ovvio – o più precisamente, ciò che non voleva ammettere - , secondo perchè non poteva fare nulla, se non starle vicina e facendo più casino, suonando più forte.
Per non farle sentire il silenzio e il vuoto.


Quando qualcuno ti somiglia e ti piace, te lo senti nelle ossa, nella pelle.
Dapprima è una sensazione vaga, un brivido indefinito. E tu pensi semplicemente che è troppo bello per essere vero. Ma poi i giorni passano, il brivido resta, e anzi, si solidifica. Diventa una scintilla reale che brilla sempre nei tuoi occhi e in quelli della persona che ti è affine.
Con Cherie succede questo, e Joan se ne accorge per la prima volta la sera in cui, assieme a Sandy, si stanno scolando l'infame “lavandino sporco”.
Oh, naturalmente l'aveva notato subito, che Cherie era speciale, con quella voce assurda, il look da Brigitte Bardot shakerato con un po' di Bowie, e la faccia di bronzo nel raccontare certe cazzate – tuo padre non è un alcolizzato, eh?
Ma non è solo questo.
Ci hanno visto giusto, Joan e Kim, fin da subito: lei è la selvaggia.
Anche quando non canta, Cherie è magnetica, perfino in silenzio.
Sembra la più calma, in quella manica di cagne a briglia sciolta che sono le Runaways, ma Joan ha imparato che si tratta solo di apparenza.
Cherie ha un segreto, un'ombra nascosta che la mangia viva da dentro e ogni giorno, e quando Kim la sprona, quando il microfono e la folla la chiamano, lei la tira fuori.
Cherry Bomb esplode, il suo ruggito graffia al ritmo della musica, all'agitarsi dei capelli e delle mani.
In quei momenti, Joan sente la loro connessione più viva che mai.
La alimenta, la ruba e gliela passa indietro cresciuta in volume e forza.
E trascorrerebbe ore facendo solo di quello, suonando fino a consumarsi le dita e la voce.
Anche se poi, per certi aspetti, loro due sono tanto diverse che più non si potrebbe.
Joan si è fatta l'idea che Cherie sia una di quelle troppo generose, con troppi buoni sentimenti e tutto il resto, quelle che non si sanno mettere il cuore in pace, quando c'è di mezzo il passato.
E poi è l'unica che trova ancora un momento libero da spendere al telefono, l'unica che ha un pensiero per la famiglia, e che, quando può, quando i tour lo permettono, torna a casa.
Eppure, non sembra felice, nel farlo. Non come dovrebbe.
È una costrizione, una catena recisa a metà.
Cherie sa quale è il suo posto, ma si ostina a tenersi in bilico tra due vite.
Una deve per forza lasciarla andare.
Chiunque lo capirebbe.
Una sera, Joan glielo chiede e basta.
Perchè lo fai?”
Cherie rimane in silenzio per qualche secondo.
A volte è così indecifrabile e inespressiva da far paura.
O forse hanno entrambe bevuto così tanto che Joan scambia l'opaco e il vuoto dei suoi occhi per qualcosa non dovuto ad una semplice e familiare sbronza.
Mi fa sentire normale, sai? In qualche modo” dice Cherie piano, con una calma incolore.
Mi faccio perdonare per quello che non ho fatto e non farò mai”
Joan annuisce meccanicamente.
Le pare giusto, ma non comprende quella scelta.
Lei non la farebbe mai, importante o non importante.
E comunque, nessuno della sua famiglia si meriterebbe tanto.
Questo non lo dice ad alta voce, però, e non sapendo cosa aggiungere, nel dubbio, si accolla alla bottiglia e manda giù.



*


Non è neanche mezzogiorno e Cherie è già ubriaca persa.
Certo, meglio l'alcol che la cocaina, sia ben chiaro, ma non è comunque qualcosa di cui andare molto fieri.
Le mani tremano, ha una tachicardia assurda e i sudori freddi – l' astinenza è una puttana maledetta.
Cherie cerca di distrarsi, anche se è difficile senza Marie – che è al lavoro e non può aiutarla, quella mattina - , così lei non fa altro che girare come uno zombie su e giù per la casa.
Svuota cassetti, rimesta tra i vestiti negli armadi, sotto la biancheria. Apre la credenza e le scatole di biscotti, in cerca di non si sa bene cosa.
Cazzata.
In realtà lo sa perfettamente.
Non che le serva, però, eh.
Cazzata pure questa.
È che spararsi balle da soli diventa fisiologico come respirare, quando sei tossicodipendente.
Alla fine, Cherie prende il telefono e compone un numero che sa a memoria.
Non è per nulla la chiamata che sta pensando di fare da intere settimane, anzi, quella l'ha già dimenticata.
La roba le arriverà entro mezz'ora.
Si sente già meglio all'idea, anche se niente la rilasserà come la prima botta della giornata.
La prima botta.
Non diventi una tossica solo per una sniffata, tranquilla!
Chi gliel'aveva passata, la cocaina?
Cherie non lo ricordava, ma era roba pesante e in giro si sentivano brutte storie. Arrivare alla siringa era un passo breve, e ci si finiva freddi, con quella merda in vena.
Si era decisa a provarla solo dopo aver visto Joan, farlo.
Se lei lo faceva, non c'era pericolo, no?
Fanculo, stavano tutte bene. Anzi, più che bene.
Lita era meno incazzosa del solito, quasi gentile e amabile. Robin era cappottata su un divano con Sandy sulle ginocchia, e pure loro sembravano in pace con l'universo.
Cherie, allora?”
Joan si era pulita il naso con il dorso della mano e le aveva passato la stagnola con dentro la droga.
Una botta sola.
Che male può fare?
Da crepare dal ridere, a pensarci adesso.
A distanza di anni, l'unica che non era certa di volerci provare, è ridotta così.
Alle altre non è successo di finire risucchiate nel vortice della dipendenza più disperata, di rovinarsi giorno per giorno, sempre di più, di averne bisogno al punto di non poterne uscire.
E Joan?
L'emblema splendente dell'autodistruzione, l'ideale incarnato di anarchia, sesso droga e rock 'n' roll.
Ma no, no.
Lei, nonostante tutto, aveva sempre tra le mani le redini della propria vita.
Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno dai vizi.
Solo dalla musica, al massimo.
Non era mai troppo sbronza o devastata da non riuscire a fare i due o tre bicordi che componevano la maggior parte delle canzoni, e una volta, pure dopo aver vomitato sul palco, aveva continuato a suonare imperterrita.
Era la leader vera e propria, quella che mandava avanti la carretta in assenza di Kim o di quell'incompetente di Scottie – ed aveva la stima dell'intera band, per questo.
Si incazzava se non rimanevano fedeli a loro stesse, alla musica, perchè per Joan quello era il fulcro, l'inizio e la fine.
Cherie poteva essere la prima donna, la frontwoman, l'icona stampata su poster e sulle prime pagine delle riviste, ma Joan era la colonna portante, l'anima e il fuoco delle Runaways.
“I love playin' with fire” gracchia Cherie, chinandosi sulla polvere bianca.
Ride senza motivo.
A giocare col fuoco ci si brucia, ma che fiamme meravigliose erano quelle di Joan Jett.


In quegli anni, sperimentare baci umidi o anche fare altro con qualcuno del tuo stesso sesso è la normalità per un qualsiasi adolescente.
Una moda quasi come disegnarsi saette rosse sulla faccia o indossare le scarpe con la zeppa.
Cherie non l'ha mai fatto, ma le interessa provare, perciò non si ritrae quando finalmente capita l'occasione.
Il fumo della sigaretta di Joan le bacia la bocca prima delle sue labbra, e Cherie si solleva per andarle incontro.
È un contatto come tanti altri, nulla di nuovo, solo che è di Joan, e in automatico prende un aroma intimo e speciale, strano, tinto di lucido come un trip – o forse è solo l'effetto di quelle pillole che le ha passato Scottie.
Però le piace.
Cioè, Joan le piace, semplicemente.
Non nel modo chiaro e diretto in cui le piacciono i ragazzi – sebbene il suo look trasandato da maschiaccio, i capelli corti e i modi grezzi possano suggerirlo.
È un'attrazione diversa, più sottile e sussurrata, una linea di confine difficile da distinguere, in quel curioso impasto di amicizia, cameratismo e empatia musicale che le unisce.
Cherie non saprebbe dire bene cosa sia, ma comunque, è affascinante come ogni altra cosa che riguardi Joan.
Corrono nel corridoio di chissà quale albergo, tenendosi per mano, inciampando e franandosi ripetutamente addosso, perchè Cherie ha i pattini ai piedi e si schianta dappertutto.
Alla terza volta in cui succede, la bionda piomba col culo per terra, emettendo un suono a metà tra un “ahi” e un risolino soffocato.
Non riesce a rialzarsi per le risate convulse e la testa che le gira, così Joan è costretta a tirarla su di peso, o faranno mattina lì.
La solleva tra le braccia apparentemente senza sforzo, e una volta raggiunta la loro stanza, la butta sopra al letto di mala grazia.
Il buio va e viene, ma è pieno di ferite colorate e dell'odore della loro pelle sudata, di fumo, di alcol, mani che si accarezzano e il naso di Joan che strofina contro il collo di Cherie in una maniera buffa che le fa il solletico.
Cherie alza le braccia all'altezza del viso, una sorta di resa, e subito dopo Joan le blocca i polsi così – come se ce ne fosse sul serio bisogno per tenerla ferma.
I love playin' with firecanticchia, e i suoi occhi sono fieri, caldi e scurissimi, ora, come Cherie glieli ha visti mai. Strofina il bacino contro quello della cantante, ma lei non asseconda i suoi movimenti – è una diva, le piace pensare di poter farsi attendere e desiderare.
Ma Joan, irruente, impaziente, non ci mettere troppo tempo a ottenere ciò che vuole.
Nemmeno si prende la briga di spogliarla del tutto – come se poi avesse voglia di trovare la lampo di quel vestito assurdo che Cherie indossa.
Le toglie il necessario, e le divarica le gambe con un colpetto del ginocchio, sovrastandola come farebbe un uomo, con un certo istinto ruvido di voglia.
Però nelle sue mani che scivolano sotto le mutandine di Cherie, sfiorandola piano, c'è molto di tenero, quasi femminile e dolce e timido – e la cosa, riferita a Joan, è piuttosto divertente.
Che cazzo c'hai da ridere?”
Il tono non è offeso o di rimprovero, al contrario.
È solo divertita, anche lei, e curiosa.
Ha il suo ghigno storto al proprio posto, mentre luci e ombre giocano sul suo viso, rendendola più bella di quanto non sia veramente.
Non...non lo so” ammette Cherie, le sillabe che sfumano in un ansito debole assieme al sorriso, ed è sincera, perchè, davvero, prima le pareva di avere un filo logico da seguire, ma adesso ciao.
Joan la bacia di nuovo, a labbra aperte e con la lingua questa volta, mentre Cherie si lascia andare a un piccolo gemito, imponendosi di non serrare le palpebre, di restare lucida e controllata un altro po', almeno.
Ma col fuoco di Joan sulla pelle e ovunque, intorno, è un casino.
Un casino di quelli imperdibili, però.


*


Una delle cose migliori della musica è che è donna, ma non ti tradisce.
È una stronza, ma ti salva.
È veleno, ma pieno d'ossigeno come sangue.
Joan ci gioca, ci scopa, ci parla.
Ne ruba i sussurri e li fa vibrare sulle corde di una chitarra, li ringhia fuori – a mezza voce prima, con tutta se stessa dopo, quando hanno forma netta e vita propria.
Love is pain”
La penna scorre veloce, buttando giù le parole che a Joan girano in testa da un po' – che si è sognata, per la precisione. E le paiono buone, molto.
È una delle migliori che abbia mai scritto, forse perchè molto sincera e la sente propria.
Riporta indietro memorie, momenti di fragilità e nostalgia.
Addii mai scambiati a voce alta.
Quel testo poi, è orribilmente palese.
Quando lo registrerà sul disco del suo ritorno al top delle classifiche – perchè Joan ne è sicura, sarà un grande album (e non è presunzione, è certezza pura e semplice) – chiunque conosca i retroscena delle Runaways potrà facilmente leggere tra le righe.
C'è molto riguardo a Kim, molto dell'influenza musicale delle ragazze, molto per Cherie.
E molto per se stessa, inevitabilmente.
“Fanculo a me...” sbotta Joan.
Di nuovo.

Quando inizia la fine di qualcosa, è possibile accorgersene?
Joan l'ha visto succedere tante di quelle volte, eppure quando le arrivano i primi segnali, non li riconosce.
Le Runaways sono al top, sulla cresta dell'onda, inarrestabili a ogni show.
Ma i lustrini dei vestiti e i colori del trucco, il sipario, le stronzate e i sotterfugi di Kim nascondono la verità.
La verità è che stanno perdendosi.
Ognuna di loro.
Robin che si fa i cazzi propri di continuo, più del solito, sparendo con un ragazzo diverso ogni sera. Lita in sindrome premestruale perenne perchè ha qualcosa di fottutamente irrisolto con Cherie, e comunque la nuova musica che Joan le ha proposto le fa cagare – per citarla alla lettera. Sandy è Sandy, e come tale va d'accordo col mondo, ha e una parola gentile in qualunque occasione, ma negli ultimi tempi non è così accomodante, in studio di registrazione – e la cosa puzza parecchio.
È chiaro che la pensa esattamente come Lita, sulla musica, ma rimane in silenzio perchè vuole bene a Joan e la rispetta.
Infine c'è Joan stessa, nell'occhio del ciclone, nel bel mezzo del casino.
Lei, come al solito, deve tenere insieme le cuciture affinchè tutto non si sgarri totalmente.
Stremata dai ritmi soffocanti e della routine di tour e registrazioni, sta iniziando a prendersi a male anche molti atteggiamenti di Cherie.
No, non è per il fatto che ci sia sempre lei sotto i riflettori, come le rimbecca invece Lita a ogni occasione, ma è vedere il cambiamento che fa: incomprensibile, inutile, squallido.
Pose da vamp, quella merda di servizi fotografici, le mise da spogliarellista e cos'altro?
Si isola più del solito con quell'idiota di Scottie, si sballa ad ogni secondo libero e trascura la famiglia come non ha mai fatto prima.
Ignora i tentativi della sorella di riallacciare i rapporti, le telefonate si fanno brevi, rare, e infine scompaiono.
Joan la guarda comprare regali costosi, che manda a casa per compleanni e feste, perchè di persona non può andarci – questa è la scusa ufficiale.
La realtà è che Cherie non vuole.
Se c'è una cosa che a Joan dà al cazzo poi, è che Cherie non le parli, non la cerchi.
Non più come in passato.
E sembra che tutto le scivoli addosso, inconsistente: la musica, l'eccesso, l'overdose e anche Joan stessa, che sul letto di ospedale le si stende al fianco senza avere una vera e propria motivazione, e nemmeno la forza per provare ad abbracciarla.


*


Quando Marie rientra, in tarda serata, trova la sorella distesa scompostamente sul divano, ma non dice nulla – come al solito.
Cherie è sicura che abbia per lo meno il sospetto di cosa stia succedendo, ma non ne parla.
O forse mente a se stessa, anche lei, fa finta di non vedere.
Tipico, in fondo sono gemelle.
O magari è un gene che gira in famiglia – la loro madre non era da meno.
Perchè non sei andata al lavoro, Cherie?”
La risposta della ragazza è chiusa in un mugugno.
Non stavo bene”
Marie sospira.
Per un attimo sembra che voglia chiederle qualcosa, ma poi rinuncia.
Ti metto a letto” dice con dolcezza.
La accompagna in camera, la accudisce come fosse una bambina, e lei non si ritrae. Ha bisogno di essere coccolata.
Quando alla fine la sorella la lascia sola, Cherie la sente chiudersi la porta alle spalle e singhiozzare piano, allontanandosi.
Il senso di colpa è appena più forte della voglia di svanire nel nulla, sprofondare sotto le coperte.
Eppure non riesce a sfogarsi col pianto, lei.
Gli occhi spalancati rimangono fissi al muro, sulle decine di poster che ritraggono cantanti e dive del cinema.
Sono mai appartenuta veramente a quel mondo? Si chiede Cherie.
Forse non era forte, o adatta abbastanza.
Anche se per un po' era stato bello sperarci, crederci, sognare.


L'inizio è bruciato, lontano, irraggiungibile - Cherie l'ha sentito sfuggirle dalle mani, come sabbia tra le dita.
Probabilmente avrebbe potuto evitarlo, o per lo meno fare più attenzione.
Ma ha solamente sedici anni – sedici fottuti dolci anni, Cherry Bomb - e questa è una cosa che dimentica troppo spesso.
Non puoi fermarti a guardare indietro, né rimpiangere gli errori: quell'ambiente è una jungla dove sopravvivono solo i più forti.
La pressione è tanta, così insopportabile, adesso.
La responsabilità, i doveri, la catena che Kim stringe ogni giorno al suo collo - Cherie se li sente addosso come un'orribile seconda pelle.
Per un po' prova a coprirli stordendosi il cervello, cercando la forza fuori da sé: non pensare, rimanere sempre nel limbo tra vaga lucidità apatica e euforia folle, mentire, mentire sempre.
E sembra funzionare, almeno fino a quando gli effetti collaterali di quel modo di vivere e affrontare i problemi si rivelano distruttivi come il resto.
O quando qualcuno ti fa da specchio e ti mostra cosa stai diventando.
Che diavolo indossi?”
Sexy, no?”
Cherie era sicura di sé, quando aveva scelto quel completo, e per qualche motivo si aspettava – cercava - l'approvazione di Joan, non certo quella freddezza.
Praticamente sei pronta per un peepshow. Ti serve solo un nome porno”
Il compiacimento è già svanito e nemmeno il sorriso di plastica che Cherie si sforza di modellare riesce a nascondere l'imbarazzo.
Joan la fissa, girandole attorno ingobbita, una smorfia strana ad aleggiarle sulle labbra. Cherie la conosce e sa come tradurre i suoi modi, ma adesso non saprebbe distinguere dal suo sguardo se lei stia per saltarle addosso e scoparla rabbiosamente contro il muro o se invece abbia solo una voglia matta di picchiarla a sangue.
La cosa grave è che, alla fine, Joan non fa nessuna delle due cose.
Le lancia un'ultima occhiata, inequivocabilmente sprezzante, e lascia la stanza.
Si incontrano qualche ora dopo, per la cena e lo spettacolo, e tutto sembra normale – normale davanti alle altre, alle telecamere degli ospiti giapponesi e al pubblico.
Joan brinda, scherza, sorride – ma a vuoto – e quando sono sul palco nemmeno una volta le si avvicina per cantare insieme a uno stesso microfono, come è abituata a fare.
E infine, nel backstage, quando Lita sbatte addosso a Cherie le copie di quel fottuto servizio fotografico, arriva l'esplosione.
Joan che l'ha sempre difesa, lei che è la migliore bugiarda tra loro – nemmeno lei può nulla contro l'indifendibile.
La nostra pubblicità è la musica. Non il tuo inguine!”
Per tutta la sera, Joan e quelle parole rimbombano in testa a Cherie, che non riesce a metterle a tacere nemmeno con la droga.
L'acqua della doccia cade e pesa come il cielo, i passi sono incerti e traballanti, l'aria è pregna di caos, ma a renderla irrespirabile è la sensazione di essere sola.
Bisognosa di mettere la parola fine a quella follia.
Le Runaways, il tour, la dipendenza, la musica.
Non c'è un inizio.
Basta.
Cherie i risveglia un giorno o forse un secolo dopo, e la prima persona che vede è proprio l'ultima che ha sentito tutto intorno a sé poco prima di perdere i sensi.
Joan.
Sempre e comunque.


*


Joan posa la chitarra, esausta ma soddisfatta, avvolta dalla piacevole sensazione di essersi spremuta fuori dal petto una massa nera e sfilacciata di fantasmi del passato.
Appoggia il filtro della sigaretta alle labbra, poco prima di farsi sfuggire un sorriso triste.
Ha come l'impressione che un capitolo della propria vita si sia concluso nei fogli macchiati di inchiostro, nelle note dove rimarrà immortale.
Ed è un sollievo a metà.
Potrà guardare da una distanza sicura quei giorni.
Potrà riviverli, se vorrà, e farli brillare per altre persone, per altre vite.
Potrà rimpiangerli, anche, e permettere a se stessa di dire che le mancheranno come nient'altro al mondo.
Perchè quanto tutto sia finito in merda, per quanto ora stia meglio – senza Kim a gravitarle intorno, senza i continui litigi, la fatica di dover portare sulle proprie spalle il peso di una band allo sfascio - , Joan non smetterà mai di pensare a quel periodo come al più bello di sempre.
A pochi secondi o forse mille stagioni trascorse sotto il sole e la pioggia, Cherie chiude gli occhi con un simile pensiero.
Darebbe qualunque cosa per tornare a quei giorni che, nel bene e nel male, sono stati costellati dalla presenza fissa e indelebile di una sola persona.
Rannicchiandosi tra le coperte, incrocia le braccia al petto, e con le dita della mano sinistra si accarezza piano un punto preciso, subito di fianco alla clavicola.
È tanto che non fa quel gesto, che non tocca il segno che ha impresso sulla pelle – un segno indelebile quanto la persona con cui l'ha fatto.
Ed è in quel momento che la volontà concreta e la speranza di dovere e poter cambiare - ritrovare se stessa - premono nel cuore per uscire.
Non l'ho salutata per l'ultima volta” realizza d'un tratto Cherie, prima che il sonno abbia il sopravvento - e le sembra importante aggrapparsi a quel pensiero per tenersi sveglia, cosciente e viva.
Per la prima volta dopo mesi interi, in lei brucia un desiderio diverso dal bisogno della droga, anche se ugualmente fisico.
Sentire la voce di Joan, vederla, parlarle, ricordare insieme.
Forse accadrà in modo totalmente inaspettato, tra mesi o anni, ma accadrà.
Forse si sveglierà e il miracolo succederà di nuovo: troverà Joan di fianco al letto, saprà che ha vegliato su di lei, e sarà come non averla mai lasciata.
Forse domani, Cherie riuscirà finalmente a dirle addio.



***




Note finali: No, la verità è che film e personaggi come questi non dovrebbero mai passare sotto le mie zampacce, perchè è chiaro che finiscono inevitabilmente rovinati. Chiedo perdono.

Okay, giusto per ammorbare lo spazio delle note, lascio il confronto tra fatti realmente accaduti e le ricostruzioni del film.

Cherie Currie entra a far parte delle Runaways nel '75 e le lascia a fine '77.
Joan la sostituisce alla voce, ma un anno e mezzo dopo, circa, la band si scioglie.
Sandy e Lita migrano verso altri lidi musicali (hard rock e heavy metal), mentre Joan diventa leader dei Blackhearts.
Nel frattempo, a inizio anni '80, Cherie comincia la carriera di attrice, che però è costretta a interrompere per disintossicarsi.
Nell'81 esce l'album “I love rock 'n' roll”, targato Joan Jett & The Blackhearts.
Solo nel '90 Cherie è finalmente a posto, e inizia a occuparsi di ragazzi tossicodipendenti.

Nel film, invece, dopo otto mesi dall'abbandono di Cherie, la band s'è sciolta. Viene mostrato il crollo fisico e il ricovero in riabilitazione della cantante, mentre Joan comincia a comporre il nuovo album con i Blackhearts. Sul finale (sul quale però non vengono date indicazioni riguardo gli anni/mesi trascorsi), Cherie è al lavoro (probabilmente ancora in fase di disintossicazione, ma più in salute di prima) e finalmente chiama Joan (che nel frattempo sta riscuotendo successo con la nuova band). Si parlano, si sorridono da un capo all'altro del telefono e vabbè, lo sapete, il resto è amore <3

Non so il motivo di questo sproloquio. O forse sì: sono stanca morta e questa fanfic, che non mi convince proprio del tutto, è stata un parto.
Bon.

   
 
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