Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: GirlWithTheGun    31/03/2011    9 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Les Mémoires

Blessées

 

 

 

 

 

 

 

Prologo

Last Carnival

 

 

 

Oltre il vetro oscurato i prati di Englelfield, inondati di pallido sole, si riducevano a immense distese color fumo di Londra.

Sirius detestava quel colore con tutto se stesso. Detestava con tutto se stesso anche il gelo incantato nell’abitacolo dell’auto, e i sedili e il loro odore di plastica, e la pelle che prudeva in punti irraggiungibili – come la pianta del piede sinistro rinchiusa in una delle due plimsoll, ad esempio -, l’intero Berkshire, e qualunque altra cosa avesse l’ardire di esistere sulla faccia della Terra. Non sovvenendogli altro modo adatto a placare la sua insofferenza - o almeno a metterla da parte, seppellirla sotto qualcos’altro, giacché eliminarla gli era impossibile – lanciò uno sguardo su Regulus, che giaceva sprofondato nel sedile ad un assurdo metro e mezzo di distanza:  perso in una contemplazione laconica del paesaggio, rigido contro lo schienale gommoso, il cravattino annodato così stretto che ci si sarebbe potuto soffocare, magari. Magari. Osservando suo fratello gli montò dentro una stanchezza spossante che rotolò a macigni sopra l’insofferenza e lo stordì provvidenzialmente. Era troppo lontano per riuscire a infastidire Regulus senza spostarsi, e a Sirius non andava di spostarsi, affatto, nemmeno di un centimetro. Fosse stata presente, sua madre gli avrebbe profeticamente sibilato addosso che un giorno sarebbe finito annegato nella sua stessa pigrizia, ipotesi che, peraltro, non pareva preoccuparla più di quel tanto. Si chinò con fatica insensata a slacciare le scarpe, che finirono abbandonate sulla moquette insieme a un paio di calzini appallottolati. Regulus lo sorprese intento a grattarsi il piede e arricciò il naso in un’espressione vagamente disgustata.

“Ti serve qualcosa?”.

“No” mormorò suo fratello, ricomponendosi con nonchalance “Siamo arrivati”.

Sirius si voltò e lo sguardo gli si riempì degli immensi confini di Englelfield House.

L’auto scivolò lungo un paio di curve e improvvisamente furono oltre il cancello principale. Scendendo dalla macchina Sirius si chiese se meditare un’evasione notturna valesse la pena, in mezzo al nulla dove erano stati spediti. Regulus lo affiancò avanzando di soppiatto, e alzò il naso sulle svettanti mura rossastre, tutte un rincorrersi di profili squadrati e vetrate. In cima, le torrette si assottigliavano in punte affilate. L’insieme era l’esatto contrario di ciò che avrebbe dovuto essere una residenza estiva: una dimora atrocemente fredda solo a guardarsi, cupa, piena di stanze vuote. Aveva smesso da tempo di chiedersi per quale psicotica inclinazione, fra tutte quelle coltivate con passione in famiglia, ogni residenza dei Black dovesse sfoggiare un aspetto così ostile, ma la minacciosa imperturbabilità di Englelfield lo colpiva, era perfino superiore alla tetraggine gotica del maniero dove zio Cygnus e zia Druella avevano deciso di tumularsi per il resto della loro esistenza. Terrificante, ecco cos’era.

“E’ bellissima” disse Regulus “Però la ricordavo più grande. Mamma e papà sono stati gentili a farci tornare qui, no?”.

Suo fratello occupava gran parte del tempo parlando a vanvera, desiderosissimo di ascoltarsi. Tutta la sua essenza era riassunta in tredici anni di inettitudine e idiozia, fasciate in completo elegante. Era così grottesco da lasciarlo interdetto, di tanto in tanto.

Gentili?” le sue pidocchiosissime sigarette si erano perse un’altra volta nella fodera dei blue jeans “Mamma e papà ci hanno confezionati e spediti a calci in culo nel primo buco disponibile per andare a cavalcare draghi in Romania, per quel che ne sappiamo. O a catturare Babbani al lazo, che ne pensi?”.

Finalmente il pacchetto si fece trovare e riuscì a infilarsi una sigaretta tra le labbra. Tutto stava nello scovare anche un accendino.

“Sei il solito” replicò stizzito Regulus, sistemandosi il colletto della camicia immacolata.

“Già, grazie a Dio” i piedi nudi cominciavano a far male, così immobili sulla ghiaia “Di', hai da accendere?”.

“Sai che non fumo” rispose, ancora più inviperito, suo fratello. Perché lui rispondeva sempre, anche quando era palesemente da acefali farlo “Appena la mamma saprà che non hai veramente smesso, ti Schianterà”.

“E tu sarai lì per godere, godere e golosamente godere”.

Le guance di Regulus si imporporarono in un modo delizioso, da bambinetta, e Sirius era lì lì per farglielo notare quando il maggiordomo e un paio di cameriere si Materializzarono di fronte a loro.

“Signorino Sirius, signorino Regulus: benvenuti a Englefield” esordì pomposamente il maggiordomo, ingessato nella scarsa credibilità di un frac stantio.

Sirius gli indirizzò un cenno, tentando di stirare un sorriso, mentre andava interrogandosi sul perché quei disgraziati individui si sentissero obbligati a conciarsi in quel modo. Regulus li ignorò aristocraticamente.

“Le signorine sono nei giardini. Vi aspettano con trepidazione” proseguì il pover’uomo, senza perdere un colpo.

Sirius tentò di immaginarsi Bellatrix occupata ad aspettarlo con trepidazione, ipotesi attendibile solo nei termini di un agguato teso a procurarsi il suo scalpo. All’idea di dover interagire con la cugina maggiore gli montò dentro una nausea violenta.

“Grazie” disse, impietosito “Le raggiungeremo da soli”.

“Certamente. La cena è servita dopo il tramonto”.

Sirius annuì, perso in lugubre riflessioni, e si avviò solcando le aiuole, seguito a ruota da un trotterellante Regulus.

L’unica, esclusiva, sola ragione che gli avrebbe permesso di non impiccarsi a un platano entro le successive quarantotto ore e, forse, di superare indenne le vacanze estive, era Andromeda. Sirius ne era pateticamente cosciente, al livello di cercare con gli occhi la cugina preferita in ogni cespuglio che incontravano sul sentiero per i giardini. Gli era mancata tantissimo, dopo l’ultima riunione natalizia trascorsa insieme a Grimmauld Place - sempre rintanati a una sicura distanza dal resto della famiglia, sempre seduti vicini a pranzo e a cena, sempre occupati a chiacchierare di qualcosa che tutti gli altri puntualmente non avrebbero capito o avrebbero aborrito, o a passeggiare a perdere tra le strade di Londra -. Poi la mancanza si era sopita grazie a una decina di gufi che erano andati diradandosi con il sopraggiungere a Hogwarts della primavera, e di divise femminili mirabilmente ridotte, e tentativi di continuare a fare i loro porci e legittimi comodi senza farsi espellere – lui, James e Remus, dato che Peter era geneticamente incapace di compiere imprese sufficientemente suicide -; perché davvero Sirius adorava Andromeda, ma passare i pomeriggi a scriverle delle sue paturnie, dei suoi pensieri, era molto più facile in inverno, quando l’intero castello soffriva, azzannato dal vento, avvolto nel candore purissimo della neve, e di giorno i corridoi sussurravano, mentre le notti erano un unico incubo non sempre confessabile.

 

*

 

La colonna di luce violacea tagliò a metà il prato, accompagnata da un fischio acutissimo, stracciando tutti i boccioli in fiore che incontrava sul suo cammino. Bellatrix e il suo pallore brillarono di un sorriso ferino. All’ultimo, però, lo scudo di Andromeda respinse l’incantesimo e quello schizzò indietro, violento come era arrivato. Bellatrix non ebbe il tempo di pensare a un contro incantesimo: si acquattò il più velocemente possibile a terra e l’incanto si schiantò contro il faggio dietro di lei. Una pioggia di schegge e terra la costrinse a coprirsi gli occhi con una mano.

Narcissa, abbandonata su un telo al margine della radura, emise un gridolino di disapprovazione.

“Non usare i tuoi nuovi giochetti con me, Bella!” esclamò ad alta voce Andromeda, ritta dall’altra parte.

Bella si sollevò e restituì uno sguardo furente alla sorella, che pareva malignamente deliziata, ma in quel modo dolce, tipicamente suo.

“Ti sei fatta male?” le chiese, sincera.

Seguì un istante di onesto disorientamento. Erano mesi che qualcuno non si preoccupava seriamente del suo stato, tantomeno nei duelli. In tutto quel tempo passato a cibarsi di bestialità, a sfiancarsi fino allo svenimento pur di apprendere, aveva dimenticato Andromeda. Una parte di lei, quella parte che non esisteva per nessuno, fremette.

Aveva avuto qualcos’altro da fare, qualcosa di più importante da fare, mormorò una voce, da qualche parte.

Sua sorella si era cristallizzata nell’attesa di una risposta. Aveva i capelli scompigliati, le guance infuocate e degli stupidi abiti Babbani indosso. Odiava quei vestiti. Glieli aveva bruciati, glieli aveva strappati a mani nude, fatti Evanescere, ma erano ritornati comunque. Eppure, in qualche modo distorto, a Bella pareva sempre di incontrare se stessa in uno specchio, quando guardava negli occhi Andromeda. Come fosse una distorsione, un crudele effetto ottico. Come fosse un’altra lei, a volte.

“No” ringhiò, tornando in posizione.

Il sorriso di Andromeda scivolò nella strafottenza, mentre la imitava con un’eleganza invidiabile.

“Quel vestito ridicolo ti impedisce i movimenti. Dovresti mettere un paio dei miei pantaloni”.

Si lanciò all’attacco.

Andromeda schivò il colpo e l’incantesimo rase al suolo un cespuglio selvatico.

“Quando vedrà come hai ridotto il suo adorato boschetto, Mr. Rogers ti avvelenerà il porridge” la canzonò, il respiro accelerato, girandole intorno.

“Chiudi quella bocca, dannazione!”.

Un altro incantesimo a vuoto. Andromeda era troppo brava a parare i colpi e, nonostante il rigoroso esercizio dell’ultimo periodo, Bella si scoprì in difficoltà. La frustrazione soverchiò ogni altro pensiero compiuto, appannandole la vista.

Sua sorella contrattaccò, un lampo di intensa luce rossa le si precipitò contro, ma Bellatrix lo deviò altrove con un lieve scatto del polso.

“Vuoi Schiantarmi, Dromeda?! Non siamo a lezione di Incantesimi”.

“Hai Schiantato Cissy!”.

Bella lanciò uno sguardo alla sorella minore e la scoprì tramortita.

“Tecnicamente, l’hai Schiantata tu. E poi non la tollero, continua a starnazzare da quando abbiamo cominciato”.

Una scrollata di spalle e il volto di Andromeda si dipinse di un’espressione confusa, tra l’indignato e il divertito, che la rendeva buffa.

“In guardia” la incalzò Bella, subendo la forza involontaria di un sorriso incresparle le labbra.

Sua sorella scosse la testa.

“Sei impossibile”.

Sei impossibile. Impossibile, Bella. Le piaceva, come lo diceva.

Le era mancata? Le era mancata così tanto?

La bacchetta tremò fra le dita. Dimenticò l’incantesimo che le serviva.

Andromeda si distrasse, rapita da qualcosa che stava oltre le sue spalle.

Expelliarmus” sussurrò, incerta.

L’incantesimo andò inaspettatamente a segno. La bacchetta di sua sorella rotolò sul prato e lei la richiamò subito a sé.

“Ho vinto!” si lasciò sfuggire, stringendo il trofeo nella mano destra.

Ma Andromeda non stava ascoltando.

“Sirius!”.

Quando comprese, Bellatrix si voltò lentamente, una collera vorace nel petto.

Sirius.

 

*

 

“Quindi è questo che fate, voglio dire, quando siete fra voi?”.

Andromeda gli rispose con un sorriso e gli si incastrò fra le braccia, sfiorandogli la guancia con un bacio fresco. Oltre il suo abbraccio c’era Bellatrix, un irrequieto e vibrante buco nero aperto sul verde vivo dei giardini. Aveva un viso così bianco, di un’immobilità surreale. Estraneo.

Sirius aveva un solo ricordo piacevole, di Bella, e non era nemmeno certo che non fosse uno scherzo della memoria. Ad ogni modo, nella sua mente, era rimasta l’impronta di qualcosa. In un giorno impossibile della sua infanzia, Bellatrix gli aveva accarezzato i capelli, nella solitudine polverosa di Grimmauld Place. E pensandoci, anche se se ne asteneva per puro senso di coerenza verso se stesso e verso l’astio che provava per quella creatura sprezzante che era diventata la cugina maggiore, Sirius avrebbe potuto giurare di aver solo sognato quel ricordo. Di esserselo inventato. Era certo, invece, che non sarebbe mai stato capace d’inventare nessuna delle infinite sfumature d’odio intessute nello sguardo con cui Bella lo trapassò. Se avesse posseduto zanne al posto degli occhi lo avrebbe masticato e mandato giù. Tutt’un tratto la tensione rinchiusa in quel corpo si fece troppo ingombrante, e fu costretto a rivolgere l’attenzione altrove.

Andromeda e il suo profumo.

Narcissa abbandonata in una posizione innaturale sul prato.

“Tua sorella non sta bene?”.

“Quale delle due?”.

Regulus, dopo aver lanciato un’occhiata adorante e timorosa a Bellatrix, si avvicinò a Narcissa, osservandola con cautela dall’alto.

“E’ Schiantata” osservò, laconico.

Andromeda si lasciò sfuggire una risatina innocente e appellò la sua bacchetta, che sfuggì alle dita di Bella. Sirius notò il lampo di furia che la fece trasalire e avvertì la necessità di allontanarsi il più velocemente possibile. Quando entrambi si trovavano a dover sopportare un’eccessiva prossimità l’unico risultato era sempre e solo la collisione violenta, e non aveva le forze per affrontare l’ennesima lite all’arma bianca. Non in quel momento. Successivamente, forse, quando anche le urla di Bella sarebbero apparse un allettante diversivo, nel rigurgitante nulla di Englefield.

Innerva” mormorò Dromeda, e Cissy parve tornare confusamente alla vita.

“Regulus?” pigolò, storcendo un poco la bocca.

“Togliti da lì, abbi pietà” suggerì distrattamente Sirius al fratello “Non so davvero cosa fare, con lui, ha così poco buon senso”.

Andromeda reagì con uno dei suoi sguardi indefinibili. Di solito non erano mai sguardi ostili, ma nemmeno totalmente condiscendenti. D’avvertimento, ecco. A volte lei si metteva in testa di dover difendere l’indifendibile, che in quel caso era rappresentato dalla goffissima figura di Regulus.

“Hai da accendere?” le chiese, placido.

La fiamma fiorì sulla sua bacchetta senza ulteriore spreco di parole.

“Walburga non aveva giurato di mozzarti la testa, l’ultima volta?” .

“Beh, capirai. Lo dice ogni giorno anche a Kreacher e lui gode di ottima salute”.

“Ma magari al muro, poi, inchioderà la tua”.

La voce di Bellatrix era, in effetti, impossibile da confondere con qualunque altra.

Sirius le restituì un sorriso glaciale.

“Non avevate travasato dei ferocissimi pesci rossi nella vasca della fontana, quattro estati fa?”.

“Sì…” rispose Andromeda, presa alla sprovvista.

“E sono ancora vivi?”.

“Credo di sì”.

“Ecco, andiamo a trovarli” concluse, allontanandosi tra i faggi rimasti integri.

 

“Perché devi fare così?”.

“Così cosa?”.

Andromeda inarcò le sopracciglia: lampante sintomo di irritazione. Sirius sbuffò, soffiando fuori il fumo tutto in una volta.

“Dromeda, sei seria?”.

“Sono terribilmente seria! Potreste provare a convivere nello stesso spazio senza azzannarvi l’un l’altro. Come conoscenti, o come le persone che si incontrano tutte le mattine in ascensore, o come due cugini sani di mente”.

“Ok. Non sei seria”.

“Da quanto non vi vedevate?”.

“Dall’ultima volta che l’ho incontrata in ascensore”.

Sirius”.

Accelerò il passo sull’erba curata, lasciandola indietro.

Era stato ad Hogsmeade,  prima di Natale. Di quel pomeriggio al Testa di Porco ricordava l’odore alcolico e fetido di un ubriaco che gli era finito addosso, la discussione serrata tra Remus e James, Peter che continuava a pestargli i piedi e… Bella. L’aveva riconosciuta dalla risata. Gli altri non si erano accorti di nulla, lui, invece, aveva setacciato i dintorni con lo sguardo, fino a puntare gli occhi su un cappuccio nero. Lei gli dava le spalle, si stava alzando da un tavolaccio in fondo alla fumosa oscurità del pub: salutava gli amici. Due brutte facce conosciute di vista, quel genere di persone che solo Bellatrix avrebbe potuto trovare piacevoli. Una ciocca morbida era scivolata fuori dalla prigione della sua cappa, srotolandosi lungo la schiena, mentre si dirigeva verso l’uscita. Sirius le era sfuggito nascondendosi dietro alla mole di un bestione peloso che gli stava vicino. L’aveva seguita senza un vero perché, dopo. Era sgusciato oltre la porta, nell’aria gelida di dicembre, aveva cancellato con cura le sue orme sul sentiero. Lei aveva passeggiato per qualche metro, nera come i carboni spenti. Poi, improvvisamente, si era voltata, e l’aveva colto con gli occhi sbarrati dalla sorpresa. Ed era sparita, lasciando dietro di sé il candore abbacinante della neve.

“Non me lo ricordo”.

“Allora è passato tantissimo tempo. Siete così infantili da darmi la nausea, non avete nessun motivo per detestarvi con tanto accanimento”.

Andromeda lo raggiunse, riportandolo al presente con un pizzicotto sul braccio.

Sirius studiò quegli occhi buoni, chiedendosi se il coraggio di disilluderli non fosse altro che pura cattiveria.

Io ho tutti i buoni motivi di questo mondo. Ti ricordo che durante le ultime vacanze natalizie passate insieme ha tentato di cavarmi gli occhi. Con impegno”.

“Stai esagerando”.

“Va bene, allora diciamo – ribadendo l’ovvio, concedimelo - che io e Bella abbiamo punti di vista diametralmente opposti. Differenti modi di vedere le cose, se ti piace di più. Così è abbastanza diplomatico, mi pare”.

“E’ diplomatico ma non ha nessun senso. Io e Bella la pensiamo diversamente quasi su tutto, ma ci vogliamo bene. Sa essere molto dolce, se vuole”.

“Potrei vomitare”.

Andromeda gli affibbiò uno spintone energico e Sirius fu costretto a trotterellare di qualche passo in avanti. Quando giunsero in prossimità della fontana, sua cugina lo prese per mano, guidandolo lungo il bordo di marmo rosato.

“Dove sono andati a ficcarsi?” chiese al vento, cercando  i pesci.

Sirius superò con gli occhi la statua discinta che si ergeva nel centro, e li trovò: pancia all’aria nell’acqua limpida. Si inchiodarono a guardarli per qualche istante, poi Dromeda tentò di rianimarli pungendoli sul ventre con la bacchetta, senza nessun risultato. I pesci andarono a sbattere uno contro l’altro, gonfi come palloncini, e presero a vagare nella fontana.

“Sai che hai ragione? Bella sa proprio essere molto dolce, a volte”.

Lei non ebbe la forza di discolparla.

“Sta male” mormorò, sedendosi sul marmo.

Sirius la imitò.

“Io lo dico da sempre”.

Dromeda gli lanciò uno sguardo estremamente serio.

“E’ tornata ieri da non so dove, ma prima di venire qui è stata da mamma e papà” disse “Le hanno combinato il matrimonio”.

Quelle parole gli scatenarono uno smottamento interno piuttosto strano.

“E chi è il fortunato?”.

“Rodolphus Lestrange”.

“Ottima scelta. Qualcuno gli ha già detto che Bella lo farà fuori dopo l’accoppiamento?”.

Andromeda gli rivolse un sorriso malinconico che non seppe interpretare, di nuovo.

“Mi offro come volontario”.

Sirius”.

“E dai, Dromeda”.

Lei scosse la testa, prima di posargliela sulla spalla con un sospiro d’abbandono.

“Tra quanto pensi che succederà?” domandò, sovrappensiero.

“Che?”scrutò quel poco che del suo viso riusciva a vedere.

“Tra quanto mamma deciderà che anche io devo portare avanti la dinastia, costi quel che costi, e sfornare almeno un paio di figli sangue puro” la risposta fu un sussurro; le dita sul dorso della sua mano tracciarono un disegno chimerico “Io non sono come Bella. Lei è pronta a tutto pur di fare la cosa giusta, si sacrificherà senza emettere un fiato”.

“Tua sorella non farà la cosa giusta”.

“Secondo lei, lo è. Secondo tutti, lo è” un attimo d’esitazione “Ma dovevi sentirla, stanotte. Piangeva e urlava come una bambina. Io so che vorrebbe essere felice, e che si odia, per questo”.

Questo?”.

Lei sollevò lo sguardo sulle finestre di Englefield e, quando rispose, la sua voce non aveva niente della consueta delicatezza.

“Per la sua debolezza, Sirius. Ci hanno insegnato che i Black non possono essere deboli. I Black hanno il sangue puro, e il sangue puro è forte. Indistruttibile”.

 

*

 

Aveva incantato il soffitto e giaceva distesa sul letto troppo grande, a guardare i putti guerreggiare furiosamente tra loro, pestandosi le forme pingui a vicenda. Ogni tanto, qualcuno riusciva a spiccare il volo con le sue ridicole ali. Vittima del torpore, si sollevò lentamente a sedere. Era esausta. Discese dal letto, senza sapere esattamente cosa fare né perché, e vagò per gli angoli della stanza, resi indefiniti dall’oscurità azzurrina che era scesa insieme al crepuscolo. Fuori, i giardini gemevano di richiami notturni e l’aria era fragrante, densa. Dentro, la luce si spegneva poco a poco e tutto languiva. Improvvisamente, incontrò il suo riflesso nello specchio. Sempre più spesso, le capitava di riconoscersi a fatica, come se la cognizione di se stessa avesse cominciato a sfuggirle. Accadeva anche di notte, quando si svegliava di soprassalto e non capiva a chi appartenessero quelle braccia che vedeva abbandonate sulle lenzuola, o dove finissero le gambe che parevano allungarsi all’infinito sotto le coperte. Succedeva senza preavviso. La mente era lì, lucida, senza alcuna identità, e il corpo apparteneva a qualcun altro. Allungò la mano sinistra e la posò sulla superficie gelida e spettrale, ripercorrendo i tratti che vedeva imprigionati nel suo interno, irraggiungibili. Non ricordava più quando il viso aveva cominciato a scavarsi, quando aveva smesso di essere morbido e aveva iniziato a cedere dietro la spinta degli zigomi, che si erano trasformati in  spigoli, e nemmeno come avessero fatto i suoi occhi a diventare così grandi. Nel sollevare il braccio la manica dell’abito era scivolata indietro, fino ad accomodarsi nell’incavo del gomito, lasciando scoperta la carne pallida. Lo sguardo si incagliò sulla pelle incorrotta, liscia, che foderava l’interno dell’avambraccio.

Il rumore attutito di una risata la fece sobbalzare. Istintivamente, coprì il braccio e lo premette forte contro il petto, mentre rivolgeva il capo nella direzione dalla quale il rumore era arrivato. Vide ombre intermittenti tranciare la fessura di luce dorata che si stendeva sul pavimento, ai piedi della porta, e di nuovo quella risata, seguita da alcune frasi concitate, si insinuò oltre l’uscio. Forse attratta da quell’inaspettata esplosione di vita, si materializzò nel corridoio esterno. In fondo, sul ciglio delle scale, Sirius si allontanava con Andromeda abbarbicata in spalla. Continuavano a sghignazzare, probabilmente senza nessun motivo valido per farlo. Dopo pochi istanti, quando entrambi erano già scomparsi oltre la rampa, sentì sua sorella strillare, poi distinse i tonfi di corpi che cadono. Si materializzò due metri più avanti e si sporse appena, spinta da un’insanabile curiosità. Sirius e Dromeda se ne stavano aggrovigliati sugli ultimi scalini, piegati dal ridere, troppo occupati a darsi la colpa vicendevolmente per accorgersi di lei. Erano sempre stati così, tutti e due. Non erano cresciuti mai. Non erano cambiati mai. Si ritrasse, mentre loro si risollevavano a fatica, sbilanciandosi l’un l’altro, e lanciò uno sguardo dietro di sé. La porta della sua camera prometteva un’altra notte senza fine, ma, per quanto fosse pronta a combatterla, l’idea di sprofondare immediatamente in quell’oblio le parve insopportabile. Pensò alla cena, pensò che non avrebbe toccato cibo. Discese il primo scalino. Pensò che avrebbe avuto minor tempo a disposizione per attendere il mattino dopo.

 

*

 

 

 

 

NdA: E’ la prima, prima in assoluto, fan fiction che scrivo su Harry Potter. Lo dico giusto per proteggermi da eventuali lapidazioni: abbiate pietà di me e della mia inesperienza, insomma. Spero di non lanciarmi in strafalcioni eccessivi, nel caso accadesse, gradirei che qualche anima pia mi fermasse prima del baratro, e, se possibile, che lo facesse in modo carino. Se non carino, almeno educato. Tengo a specificare che sono davvero poco pratica di OOC e crismi vari, quindi, anche in questo… abbiate tanta pietà. Essendo la mia prima esperienza nel fandom, mi farebbe piacere ricevere dritte, avvertimenti, suggerimenti e quant’altro, quindi, se ne avete il tempo e la voglia, fatevi avanti perché ho un disperato bisogno di istruzioni. *Faccio almeno un po’ pena?*

Tengo a comunicare che questa storia è stata concepita per partecipare ad un contest dal quale poi mi sono ritirata per difficoltà varie (a parte l’impossibilità di consegnare entro la data stabilita, la storia si è allungata troppo per riuscire a rispettare i parametri imposti dal bando). Il contest in questione è “Enjoy the pain, pureblood”, pubblicato sul forum di EFP, sezione Harry Potter (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9596322). Direi che non c’è nient’altro da aggiungere. Spero avrete voglia di farmi sapere cosa ne pensate di questo prologo, insomma se è il caso di andare avanti o di darmi alla cucina tailandese.

Nel frattempo, tanto per essere ottimista, mettiamoci un “alla prossima” e non pensiamoci più.

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: GirlWithTheGun