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Autore: Miss Demy    01/04/2011    36 recensioni
Tra vecchi amori che odorano di rimpianto e nuovi che profumano di felicità, la vita va avanti... talvolta, tornando indietro nel tempo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Helios/Pegasus, Mamoru/Marzio, Setsuna/Sidia, Usagi/Bunny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Disclaimer: questa fan fiction nasce esclusivamente dall’idea di Luisella Calvo, mia carissima amica, che conoscendo la mia ‘veste’ d’autrice mi ha chiesto di scrivere una storia nata quando lei aveva 16 anni ma rimasta su un quaderno ormai perduto. Ho preferito inserirla nel fandom Sailor Moon per poterla adattare ai personaggi che tanto amo e che ispirano le mie fan fiction. I personaggi di Sailor Moon all’interno della ff (così come tutte le altre mie ff), sono di proprietà esclusiva di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Di mio in questa ff, che comprenderà solo 3 capitoli, c’è il titolo, il modo di introdurre i personaggi, di creare le situazioni e le emozioni che – belle o brutte, ancora una volta – spero di regalarvi.
Buona lettura!



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                                                    Parte prima


 
La campanella della scuola aveva appena suonato e, come ogni giorno, i ragazzi scesero in cortile per la ricreazione; Usagi si trovava già seduta sul muretto alle spalle dell’ingresso da un quarto d’ora, sentendo il cemento ruvido sotto le mani e godendo di quella giornata di inizio Maggio con le palpebre socchiuse e piacevolmente accarezzate dai raggi di sole. Prendeva ampi respiri, inebriandosi del profumo delle margherite che spinte dal venticello pizzicavano le sue narici. Le piaceva trascorrere la ricreazione in quell’angolo appartato, lontano dal resto dei ragazzi, lontano dal resto del mondo; in attesa di lui; soltanto di lui.
“Verrà oggi Mamoru?” chiese la sua amica Minako, avvicinandosi dopo averla vista sola e sedendosi accanto a lei, mentre continuava a guardare le auto che in lontananza percorrevano la strada principale.
Usagi annuì, malinconica: “Oggi non ha lezione all’Università.”
“Tra un anno lasceremo questa scuola e saremo Universitarie anche noi!”, l’amica dai capelli biondi legati in una mezza coda da un nastro rosso cercò di donare un po’ del suo entusiasmo alla ragazza dagli occhi azzurri e tristi.
“Già, questi ultimi due anni senza Mamo-chan qui sono stati strani” notò.
“Usagi, sii sincera; non gli hai perdonato del tutto la scappatella, non è vero?” Minako conosceva la ragazza dai lunghi codini biondi da ormai cinque anni e leggeva il suo sguardo anche quando lei non parlava.
“No, l’ho perdonato.” Ma la sua voce era assente, priva di emozioni, “Mi ha detto che è successo soltanto una volta; che è stata lei ad approfittare del fatto che dopo la festa fosse ubriaco” continuò in parte per auto convincersene sempre di più.
“Usagi, è da due mesi che lo ripeti ma da quando te lo ha confessato sei diversa”; Minako, con voce apprensiva e piana di dolcezza, accarezzò un codino dell’amica, con fare protettivo nei confronti di quella che considerava la sua più cara amica, “Perché lo hai perdonato se ciò significa per te stare male?”
“Lo amo troppo, Minako. È successo solo una volta, era ubriaco, me lo ha confessato subito e se fossi andata a quella festa non sarebbe accaduto.”
Minako non disse nulla; Usagi ripeteva già da parecchio quelle parole; ogni volta che uscisse l’argomento, la ragazza dai lunghi codini dal color dell’oro giustificava il perdono che aveva concesso al suo fidanzato; capì così che quando era il cuore a parlare, la ragione taceva e con essa, anche le parole di un’amica diventavano di troppo.
“Io lo amo e lui ama me. E se lo lasciassi sarebbe il mio rimpianto più grande.” Ne era convinta Usagi, in quei due mesi, ne era sempre più convinta.
 
La discussione fu interrotta da un’ombra che coprì il sole alle sue ragazze, facendo sì che avvertissero un brivido di freddo sulle guance esposte al sole da un po’. Usagi smise di guardare l’amica per accorgersi di Mamoru, il ragazzo che dopo tre anni di amore vero e sincero si era fatto sedurre – a causa dell’alcool – da una ragazza conosciuta ad una festa universitaria e che lei, che non era potuta andare a quel party nonostante fosse stata invitata, non aveva mai smesso di amare. Inizialmente la rabbia e la delusione avevano prevalso; la fiducia tradita la aveva allontanata da lui ma poi l’amore sincero e la consapevolezza che esso fosse completamente ricambiato e che quella notte di sesso – tra l’altro neanche ben ricordata – non avesse significato nulla per lui; le diede il coraggio di riuscire a superare quell’errore. Lo aveva perdonato, cercando di buttarsi tutto alle spalle e ricominciare d’accapo una nuova storia; sempre con lui, solo con lui ma con una maturità diversa, nuova. Erano trascorsi due mesi; lui non aveva più avuto contatti con quella collega universitaria un anno più grande di lui; la aveva evitata e odiata per aver approfittato della situazione di non lucidità e per avergli fatto rischiare di perdere la ragazza che da sempre amava: Usagi.
 
“Vi lascio soli piccioncini!”, ridacchiando Minako scivolò dal muretto dirigendosi oltre la loro visuale verso un gruppetto di compagni.
Mamoru si avvicinò a Usagi che sorridendo, felice di vederlo lì, solo per lei, dischiuse le gambe per accoglierlo in un dolce abbraccio. Lui le cinse le spalle e, stringendola a sé tanto da poter sentire i seni di lei premere sul suo petto, le diede un bacio sulle labbra.
Lei sorrise ancora di più godendo di quel calore dato dell’unione dei loro corpi, accarezzando il suo viso poco ispido e passando le mani tra i suoi forti capelli corvini.
Fu un bacio diverso da quelli già vissuti tante volte; aveva il gusto di qualcosa di nuovo; dolce come il primo ma intenso e pieno di passione come se fosse stato l’ultimo.
Durò qualche minuto, momenti in cui Usagi riuscì a sentire la passione che lui provava per lei e la voglia di volerla amare fino alla fine dei suoi giorni.
Poi lui si staccò, quel poco per guardarla in viso e dare a lei la possibilità di capire dai suoi occhi blu oceano che qualcosa non andasse.
“Mamo-chan, va tutto bene?” era preoccupata Usagi; nonostante lo avesse perdonato e sebbene cercasse di superare ciò che le ostacolava il cammino verso una relazione serena e colma di fiducia, ogni tanto dallo sguardo profondo di Mamoru temeva di dover riprovare quel dolore lancinante al petto che solo l’amore per lui riusciva a farle provare. Non lo avrebbe sopportato una seconda volta; non sarebbe riuscita a superare nuovamente il colpo al cuore e il vuoto all’anima che aveva provato due mesi prima.
 
Mamoru tolse un braccio dalla sua schiena per poter accarezzarle la calda guancia e dirle: “Usako, sappi che io ti amerò sempre”; la sua voce tramava, il suo sguardo era triste e le labbra stropicciate in un’espressione di profonda amarezza.
“Anche io ti amo, Mamo-chan.” Lei invece era sempre più confusa e spaventata, e la sua voce colma di ansia rendeva ciò percepibile.
“So che mi odierai; io stesso mi odio.” E iniziò a piangere senza vergognarsene, Mamoru lasciò uscire tutto il suo sconforto e la sua frustrazione, in colpa per tutto il male che aveva fatto a colei che amava più di ogni altra cosa al mondo.
Usagi deglutì, sentendo il sangue ghiacciarsi dentro le vene; avvertendo il cuore mancare un battito. Non parlava, non osava domandare, sentiva soltanto gli occhi pizzicare per la paura.
Lui poggiò le mani sulle sue gambe, lasciate scoperte dalla gonna di leggero lino azzurro e, con la testa bassa, senza trovare il coraggio di guardarla in volto, confessò:
“Setsuna è incinta; l’ho appena saputo e sono venuto da te”, una pausa e: “Non vuole abortire” riprese, con tono pieno di rabbia, sentendo la ragazza irrigidirsi al suono di quelle parole tanto crudeli. Usagi allontanò il busto indietreggiando, senza dire nulla; incredula e consapevole che i suoi sogni, le sue speranze, i suoi desideri di una vita accanto al ragazzo che amava fossero appena stati compromessi. Quella volta per sempre.
“I miei vogliono che la sposi e che mi assuma le mie responsabilità” continuò lui incontrando i suoi occhi e mostrandole così la sua paura di averla persa per sempre, di non essere più amato da lei e chiedendo scusa per  averla fatta soffrire ancora una volta.
“Ma io non la voglio sposare, io amo te, voglio soltanto te. Non lo voglio questo figlio, io voglio stare con te”, ripeteva sincero e sempre più affannato; piangendo come un bambino, impotente di fronte a quella situazione più grande di lui e pieno di sensi colpa che crescevano con la vista della sua Usagi tremante e con le guance rosee rigate da lacrime amare.
Usagi scosse la testa, istintiva e decisa: “No, c’è un bambino di mezzo, lui non ha colpe”, anche se malediceva se stessa per quelle parole appena pronunciate; anche se in fondo non voleva rinunciare a lui; a lui che amava più di ogni altra cosa al mondo, a lui per il quale aveva preso il suo orgoglio di donna e lo aveva messo sotto i piedi, a lui che comunque – in un modo o nell’altro – era destinato a uscire dalla sua vita. Ma non dal suo cuore.
Lui la strinse a sé, talmente forte da toglierle il respiro, così intensamente da assaporare quell’odore di ingenuità che era soltanto della sua Usako. Durò qualche attimo però, prima che lei lo spingesse indietro per scendere dal muretto e fare un passo indietro.
“No Usako, non andartene, io non voglio rinunciare a te, a noi. Ho sbagliato; senza neanche ricordare ma ho sbagliato, lo so; però non voglio perderti.” Era disperato Mamoru al pensiero che, col suono della campanella, Usagi sarebbe andata via, non solo da quel cortile ma dalla sua vita, per sempre.
“Non possiamo stare assieme. Non voglio essere un’amante per te; non voglio neanche essere una che toglie il padre ad un bambino che non ha chiesto di venire alla luce.” Era saggia Usagi; a soli diciassette anni, era molto saggia, altruista e matura. Pensava al bene maggiore e soffriva, perché pensare in quel modo inevitabilmente faceva male al cuore, tanto male.
“Ma io non voglio rinunciare a te per un errore; io sono impazzito in quei venti giorni che tu mi hai lasciato perché non riuscivi a perdonarmi”; gli occhi di Mamoru erano sempre più colmi di lacrime, il suo cuore sempre più simile ad un tamburo, “Non voglio perderti, Usako.”
E Usagi pianse ancora, lì dove oltre a lui nessuno potesse vederla; sapeva che era appena finita, che doveva mettere fine a quella storia d’amore che sarebbe vissuta dentro al suo cuore, per sempre.
Se poteva perdonare per amore, non poteva rimanere con lui dal momento che qualcun altro ne avrebbe sofferto.
Scosse la testa: “Dovrei odiarti, eppure so che ti amerò per sempre, sempre, però, se anche tu mi ami ti prego, non cercarmi più; non farmi altro male” riuscì a dire cercando di non soffocare tra i suoi singhiozzi, “Addio Mamo-chan” sussurrò prima di cingergli il collo con le braccia e premere le labbra su quelle di lui.
Mamoru la avvolse nel suo abbraccio, per l’ultima volta; con tutta la passione che aveva dentro e che avrebbe per sempre riservato soltanto a lei. Schiuse le labbra per incontrare la sua lingua in un bacio intenso, coinvolgente, pieno di tante emozioni ma allo stesso tempo memore del fatto che non l’avrebbe più rivista, non avrebbe più scherzato con lei, giocato in riva al mare con lei, condiviso le sue gioie e le sue sofferenze; non l’avrebbe più baciata su quelle labbra morbide e carnose ripetendole quanto fosse bella e speciale, non avrebbe più fatto l’amore con lei felice del fatto che, ogni volta con la sua Usako, era unica e speciale. No, non ci sarebbe più stato nulla di tutto ciò e, con questa consapevolezza il suo abbraccio si fece ancora più intenso, da togliere il fiato ad entrambi, da provocare loro un brivido lungo la schiena.
I muscoli delle braccia di Usagi si fecero tesi; pian piano cercò di allontanarsi da lui e, quando lui le disse:
“Ti amerò per sempre. Per sempre, Usako”; lei chiuse le palpebre facendo sì che le lacrime scendessero ancora più rapide sulle guance e sulle labbra che sapevano ancora di lui.
Si voltò dandogli le spalle, per evitare che notasse la sua voglia di rimangiarsi tutto e di essere per una volta egoista; per rendere meno doloroso il suo dover dirgli addio per sempre. Sospirò e poi, con voce tremante:
“Anche io, Mamo-chan, anche io.”
E corse via da quel cortile, da quell’angolo di sole e profumo di margherite ma soprattutto da colui che avrebbe per sempre odorato di amore e di rimpianto.
 
 
20 anni dopo…
 
Le onde si infrangevano sulla riva del mare in quella mattina di fine Luglio; il sole splendeva alto nel cielo illuminando i granelli di sabbia che risultavano roventi sotto le piante dei piedi.
Un ragazzo correva in acqua tenendo per mano la sua fidanzata che rideva divertita mentre cercava di affrettarsi ad immergersi in quel mare cristallino.
L’acqua inizialmente gelida provocò loro un brivido di freddo; il ragazzo senza smettere di sorriderle, la strinse a sé per riscaldarla con il suo dolce contatto.
“Senti freddo?” chiedeva divertito; in fondo quel tuffo era stato rigenerante.
“No, però stringimi lo stesso” rispose la ragazza dagli occhi nocciola dalle sfumature rosse poggiando la testa sul petto del ragazzo.
Lui la strinse ancora di più e lei, dentro l’acqua che la ricopriva fino al petto, gli cinse i fianchi con le gambe, divenendo un tutt’uno che dolcemente si lasciava cullare dalle onde.
Il ragazzo dalla chioma argentea e dagli occhi azzurri premette le sue labbra su quelle salate e morbide di lei in un bacio pieno di passione e di desiderio.
Lei ridacchiò ancora una volta mentre lo baciava, cingendogli il collo bagnato con le braccia: “Helios, dai, c’è gente!”
“Beh, vorrà dire che capiranno che dopo due anni ti amo come il primo giorno” rispose senza lasciare quelle labbra e quel corpo che tanto amava e desiderava.
E lei aprì gli occhi, perdendosi in quello sguardo fatto di amore e di complicità che era soltanto loro, da ormai due bellissimi anni.
“Ti amo anche io, Helios” disse accarezzandogli le guance perfettamente sbarbate.
“Chibiusa, oggi i miei non ci sono; ti andrebbe di venire da me?” chiese Helios con tono malizioso iniziando a giocare con i lunghi codini rosa della ragazza.
“Tua madre è di nuovo fuori per lavoro?” la ragazza sapeva che la madre di Helios fosse sempre fuori città per via del suo lavoro di interprete che la costringeva a viaggiare molto; solo non si aspettava che fosse già ripartita dopo essere ritornata quattro giorni prima.
Lui annuì: “Per altre due settimane ho campo libero” con aria di chi, in fondo, riuscisse a scorgere i lati positivi delle assenze materne.
“Scusa ma tuo padre?” Chibiusa non era ancora convinta che quella proposta sarebbe stata del tutto sicura.
“Stai tranquilla amore mio, mio padre resterà in azienda tutto il giorno; la mega villa che ho non si mantiene da sola”, la rassicurò facendole l’occhiolino, con voce di chi, tutto sommato in parte soffriva per la mancanza d’affetto dei genitori.
Lei gli schioccò un bacio sulle labbra, assaporandone il gusto salato e dolce allo stesso tempo; poi si voltò con fare sbarazzino:
“Ok, ora però andiamo a prendere il sole!” accettò, per poi correre verso la spiaggia attenta a non scottarsi i piedi.
Lui la osservò per qualche istante prima di raggiungerla; folgorato dall’immagine dei due codini rosa che fluttuavano durante la corsa e di quel corpo così tonico e a suo avviso perfetto valorizzato dal bikini rosso. Sorrise, estasiato da tanta vivacità ed entusiasmo che solo la sua Chibiusa era in grado di donargli. La amava; la amava davvero tanto e presto le avrebbe domandato di diventare sua moglie. Le corse dietro e, sui teli da spiaggia, riscaldati dal cocente sole, godettero di quel momento di benessere e di relax che entrambi meritavano: lei dopo aver concluso gli esami di maturità e lui dopo aver ottenuto una settimana di ferie dal padre con cui lavorava nell’azienda di famiglia.
 
Dopo essersi asciugati al sole, notando che fosse quasi ora di pranzo, decisero di ritornare a casa; Chibiusa indossò il prendisole color fragola mentre osservava Helios piegare i teli da mare. Sorrise; lei amava Helios dal profondo del cuore e stare insieme a lui, o semplicemente guardarlo e notando la sicurezza in sé che mostrava in ogni piccolo gesto, le faceva battere il cuore come una ragazzina alla prima cotta. Era il suo grande amore e la loro storia era per lei come un sogno dal quale non avrebbe mai voluto svegliarsi.
 
Arrivati davanti alla villetta della ragazza, Helios frenò il motore permettendole di scendere:
“Tuo padre non è ancora tornato?” chiese notando che la Jeep nera non era parcheggiata sul vialetto.
Chibiusa gli diede un bacio sulle labbra e rispose: “No, credo starà fuori con la band per qualche settimana” con aria di chi ormai fosse abituata a certe cose.
“Forte tuo padre!” Helios invece era felice di sapere che il padre della ragazza fosse un famoso musicista.
La ragazza si limitò a stropicciare le labbra in una smorfia non del tutto convinta dell’esclamazione del fidanzato.
E lui capì cosa provava Chibiusa perché in fondo era lo stesso sentimento che provava lui quando la madre lo lasciava per intere settimane, spesso anche mesi dicendo che il suo lavoro era importante e che non poteva farne a meno. Si capivano, si comprendevano, quelle esperienze e quel bisogno di affetto erano comuni ad entrambi e ciò li rendeva affiatati, complici, pronti a sostenersi e a  supportarsi a vicenda.
Era un amore speciale il loro; fatto di passione, di complicità e di amicizia; perché, sia Helios che Chibiusa, sapevano che oltre ad essere innamorati erano anche migliori amici. C’era fiducia, c’era rispetto, c’erano confidenze riservate soltanto agli amici più intimi.
“Passo a prenderti oggi?” chiese come se non vedesse l’ora che arrivasse il pomeriggio.
Chibiusa scosse la testa: “No, non ti preoccupare; mi faccio accompagnare da Hotaru.”
Lui aggrottò la fronte e lei specificò:
“Viene a casa mia tra un’ora per riportarmi alcuni libri che le ho prestato per gli esami.”
“Beh, allora buon pranzo, amore; salutami tua mamma. Spero un giorno ti deciderai a presentarmela!” disse mettendo in moto la vespa con aria di chi, dopo due anni sperasse che la ragazza ufficializzasse coi genitori il loro rapporto.
Lei sorrise, limitandosi a rispondere: “Buon pranzo Helios…” con occhi luminosi pieni d’amore.
Lo vide allontanarsi sempre di più sulla sua vespa fin quando non voltò l’angolo; fu allora che si girò ed entrò in casa.
 
A Chibiusa sarebbe piaciuto tanto far conoscere Helios a colei che, più che una mamma, considerava una confidente. Il problema era che prima di lui per Chibiusa c’era stato un altro ragazzino quando aveva quindici anni e la madre, dopo averlo conosciuto ed essersene affezionata, aveva provato molto dispiacere quando la figlia le aveva comunicato che quella storia durata quasi un anno era finita per incompatibilità di carattere. Si era ripromessa dunque di aspettare. La madre e il padre sapevano che frequentava un ragazzo di cui era innamorata ma per le presentazioni ci sarebbe stato tempo. In fondo, lei sperava di stare con lui per tutta la vita.
 
Arrivò presto il pomeriggio e Chibiusa, insieme all’amica Hotaru che da poco aveva preso la patente, giunse in periferia della città, dove si ergeva la maestosa villa di Helios. I suoi erano molto ricchi, o meglio, i genitori della madre lo erano e le avevano regalato quella villa che loro riuscivano a mantenere tramite i loro lavori.
 
Chibiusa richiuse lo sportello dopo essere scesa dall’auto e si abbassò per guardare dal finestrino aperto l’amica:
“Grazie mille Hotaru, al ritorno mi farò accompagnare da Helios!”
L’amica dal caschetto corvino sorrise mentre continuava ad ammirare l’enorme villa bianca a due piani attorniata da una splendida piscina a fagiolo e da un roseto di rose rosse. Sembrava una villa del regno dei sogni.
Aspettò che Hotaru mettesse in moto e si avviò verso il cancello d’ingresso.
Lui era lì sulla soglia di casa ad attenderla, addosso un costume da bagno e una camicia di cotone aperta, poggiato coi gomiti sulla ringhiera di ferro e un sorriso pieno di felicità nel rivedere la sua amata Chibiusa.
Lei salì rapidamente gli scalini che conducevano alla villa e gli buttò le braccia al collo. Lui la sollevò da terra, facendola volteggiare nell’aria e inebriandosi di quell’odore di rose che si univa a quello di vaniglia proprio della sua Chibiusa.
Senza parlare, le baciò il collo. Era piacevole per lei il respiro caldo di lui sulla sua pelle scoperta dal vestito di cotone bianco che, sposandosi coi colori dei suoi occhi e dei suoi capelli, la facevano apparire simile ad una fata.
La prese in braccio e la condusse in casa, richiudendo la porta col piede, per poi salire le scale e adagiarla sul suo letto.
“Questa è una bellissima accoglienza, spero non la riservi a tutte!” esclamò lei scherzando ma poi il sorriso venne meno quando negli occhi di lui, sdraiato sopra di sé, lesse quel sentimento che riusciva a scaldarle il cuore.
Prese il viso del ragazzo tra le mani e, quando lui le rispose: “Soltanto a te, amore mio”, lo avvicinò alle sue labbra.
Leggermente le loro labbra si schiusero, le loro lingue si incontrarono in un bacio pieno di passione, di voglia di fondersi in un unico corpo, in un’unica anima.
Lui le morse il collo, accarezzando le sue gambe lisce come la seta per poi sfilarle il vestito e baciare la sua pelle dappertutto.
Lei lo strinse ancora di più a sé, godendo di quelle sensazioni che le procuravano brividi di piacere su tutto il corpo.
Rimasero nudi, ma allo stesso tempo ricoperti dal desiderio reciproco di appartenersi a vicenda, per poi unirsi in quello che per loro era il contatto più bello, più intenso, più emozionante che avessero mai provato.
 
Quando finirono di fare l’amore, lui le si sdraio accanto, facendole poggiare la testa sul suo petto. Le diede un dolce bacio sulle labbra ancora calde e le disse:
“Vorrei che tutti i giorni fossero così” mentre il suo respiro iniziava a regolarizzarsi.
Lei annuì, strofinando la guancia e i morbidi capelli sulla pelle del ragazzo:
“Lo vorrei anche io, Helios.”
Lui si sollevò dal materasso, portandosi col busto sopra di lei:
“Dimmi una cosa Chibiusa, sei sicura?”
“Certo, perché me lo chiedi?” Chibiusa non capiva; lei lo amava, avrebbe voluto passare il resto dei suoi giorni con lui a vivere quel sogno meraviglioso. E lui lo sapeva.
Lui scosse semplicemente il capo, sorridendo:
“Niente, mi piaceva sentirtelo dire”; mentì, in realtà voleva soltanto la conferma di ciò che desiderava. In quel momento capì cosa avrebbe fatto ed ebbe la conferma che, ancora una volta, la avrebbe resa felice.
“Dannazione, mio padre!” il ragazzo sussultò udendo il rumore della Mercedes che pian piano si avvicinava al parcheggio dell’abitazione.
Chibiusa spalancò gli occhi: “C… come tuo padre; ma avevi detto che…”; era in preda al panico; non sapeva cosa fare.
Helios invece infilò subito il costume da bagno, lanciando alla ragazza il vestito:
“Non lo so perché è qui; sbrigati!”
Lei ubbidì, indossando l’abito e sistemando i lunghi codini un po’ sfatti.
Appena il tempo di ricomporsi che la porta d’ingresso si aprì; i due ragazzi uscirono dunque dalla stanza per andare incontro all’uomo.
Chibiusa era in imbarazzo; non aveva mai conosciuto il padre o la madre del fidanzato; lui avrebbe voluto presentarla molto tempo prima ma lei preferiva attendere prima di conoscerli per evitare ulteriori dispiaceri a seguito di una scongiurata rottura.
Helios aveva accennato qualcosa ai genitori, più che altro avevo detto loro di amare una ragazza ma dubitava che essi lo avessero ascoltato. Loro che erano sempre assenti anche quando presenti in casa.
Quando l’uomo richiuse la porta alle sue spalle, posando le chiavi sul mobiletto accanto all’entrata, si concentrò sulla posta appena presa dalla buca delle lettere.
Helios aspettò di incontrare gli occhi del padre e, nell’attesa, prese per mano la ragazza.
L’uomo, avvertendo delle presenze si voltò, notando sulle scale il figlio.
Solo quando i suoi occhi blu si posarono sulla giovane, il suo cuore mancò un battito, e un altro ancora.
Osservò la ragazza dai lunghi codini che come delle onde le scendevano sulle spalle e rimase immobile quando incrociò i suoi occhi imbarazzati.
Deglutì a fatica quando riuscì a scorgere meglio il suo sguardo fatto di timidezza e di ingenuità.
Quelle labbra… quelle guance… quegli occhi… quei codini…
Per poco le lettere non gli scivolarono dalle mani ormai fredde.
Si limitò a posarle sul mobiletto accanto alle chiavi, senza riuscire a muovere un solo muscolo, notando i due ragazzi farsi sempre più vicini a lui.
Con sguardo serio, confuso, li osservava.
“Papà, lei è Chibiusa; la mia ragazza.”
E l’uomo, prendendo la mano che la ragazza gli aveva posto in segno di cortese presentazione e guardandola in quelle iridi nocciola tanto luminose quanto colme di imbarazzo; lasciò uscire un sorriso sincero che gli illuminò gli occhi. Uno di qui sorrisi che nascono dal cuore e scaldano l'anima; un sorriso che Helios non aveva mai visto prima in lui.

 
Il punto dell’autrice
 
Carissimi lettori, molti sicuramente si saranno fermati su questa storia dopo aver letto il mio nome e conoscendo gli altri miei lavori.
Ci tengo a precisare ancora una volta che quest’idea non è mia ma di una cara amica che spero non sarà rimasta delusa dal mio modo di mettere nero su bianco una sua idea.
Pertanto, spero di ricevere le vostre opinioni su questo primo di tre capitoli (anche perché so che dopo il terzo mi lincereste per aver trascurato Moonlight e La melodia del cuore) ;)
Spero che continuerete a seguire questo esperimento e, cosa più importante, che le eventuali  recensioni – ed eventuali critiche – riguardino il mio modo di scrivere, il contenuto del capitolo o le emozioni suscitate.
La scelta dei comportamenti dei protagonisti mi auguro non verrà criticata, non tanto per rispetto dell’autrice ma quanto per quello dell’ideatrice.
Un bacio e a presto ;)

Demy

 


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