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Autore: ReaderNotViewer    02/04/2011    2 recensioni
"E c'erano sempre quei numeri dopo gli zeri, messi lì a ricordare che improbabile non vuol dire impossibile".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN CASO INTRICATO



Il professor Charlie Eppes aveva trascorso la notte nel suo studio, così assorto nel suo lavoro da non sentire né stanchezza né fame. Esaurito l'inchiostro del pennarello, guardò fuori dalla finestra e notò che il cielo si stava schiarendo: si fece perciò strada nella sua mente geniale l'idea che fosse ora di tornare a casa per mangiare qualcosa e cambiarsi prima di iniziare le lezioni all'università. Mentre attraversava il parcheggio quasi deserto per raggiungere la sua auto, sentì un curioso rumore, una specie di sordo martellamento ritmato, provenire da un furgoncino bianco, messo un po' di traverso vicino all'uscita. Charlie brandì prudentemente il telefonino prima di avvicinarsi per indagare. I suoi passi risuonarono nel silenzio del primo mattino. Il martellare si fece più insistente, quasi frenetico, causando un lieve ondeggiare del veicolo. La serie di equazioni elementari sul moto ondulatorio che il cervello di Charlie stava producendo in automatico si interruppe bruscamente davanti allo spettacolo che l'interno dell'abitacolo offriva ai suoi occhi: un uomo di mezz'età, in mutande e canottiera, imbavagliato e legato come un salame, si dimenava per quanto gli era possibile nella sua situazione, riuscendo così a colpire ritmicamente l'interno della portiera col lato esterno di un ginocchio. Un'espressione di sollievo apparve chiaramente negli occhi iniettati di sangue del poveretto, che subito cessò il suo scomodo esercizio, nel momento stesso in cui Charlie avvicinò il volto al finestrino.
Il giovane matematico aprì lo sportello e si sporse attraverso il sedile. "Ecco, stia calmo … le tolgo subito questo" disse, trafficando per sciogliere lo straccio strettamente annodato attorno alla bocca dello sventurato. Il nodo però resisteva ai suoi sforzi, perciò Charlie, bofonchiando qualcosa per scusarsi della sua inettitudine, si guardò intorno in cerca di un attrezzo tagliente. L'uomo nella macchina scosse freneticamente la testa in direzione del vano posteriore, dove Charlie trovò una cassetta dei ferri nuova fiammante con un'ampia scelta di taglierini e forbici da lavoro, tra i quali scelse un piccolo cutter che lacerò agevolmente la stoffa sopra il nodo.
Finalmente libero di parlare, l'uomo proruppe con voce arrochita in grandi ringraziamenti, che Charlie accolse con modestia non disgiunta da imbarazzo. Non c'era un buon odore nella vettura, perciò ne uscì per telefonare immediatamente ai soccorsi. Non aveva ancora finito di parlare con l'operatore, che si sentì il suono di una sirena in avvicinamento, e una pattuglia della Polizia di Stato fece il suo ingresso nel parcheggio.

"Così pensavano che tu e l'uomo delle pulizie vi steste dilettando col bondage?" ridacchiò Don Eppes, dopo che Charlie, avendo esaurite tutte le formalità di rito e pienamente ristabilito il suo ruolo di rispettabile cittadino e nella fattispecie anche di buon samaritano, ebbe firmato la sua deposizione.
"Proprio il genere di cose che i genitori di Amita vorrebbero sentire sul conto del ragazzo della loro figlia" borbottò Charlie.
"Non lo avevi riconosciuto?"
"L'inserviente? Onestamente, no. L'ho certamente incontrato prima, ma in quelle occasioni avrà portato uno spazzolone e un secchio. E soprattutto avrà indossato la sua divisa da lavoro e non sarà stato in mutande" si giustificò il fratello, ancora piuttosto scosso dall'esperienza.
"È una strana storia" rifletté Don, il suo interesse professionale risvegliato dalle curiose circostanze del ritrovamento della vittima.
"Una serie di addetti alle pulizie derubati e fatti ritrovare svestiti e legati come salami non è cosa di tutti i giorni" convenne Charlie "tuttavia non si direbbe un caso degno dell'attenzione dell' FBI. Sei solo curioso, proprio come me. L'anomalia statistica ti intriga."
"Sono pur sempre dei sequestri di persona" obiettò l'agente federale "Si tratta di reati gravi e soprattutto sproporzionati all'entità del bottino. Quanti soldi in contanti potrà mai portare con sé il dipendente di un'impresa di pulizie quando si reca al lavoro?"
"Probabilmente più di tuo fratello, Don, che spesso non ha in tasca nemmeno le monetine per il distributore di caffè" intervenne Larry Fleinhardt, che aveva ascoltato le ultime battute dalla porta della stanza, che era aperta.
"Salve, Larry. "
"Ciao, Don. Tutta l'università non parla che della tua avventura, Charlie" rivelò allegramente il professore di fisica, un tempo mentore e ora collega del giovane genio matematico. "Sarebbe forse meglio dire disavventura, per quanto pratiche sessuali eccentriche non costituiscano certo una novità in questo complesso accademico. Il bondage, inoltre, è piuttosto interessante dal punto scientifico, e non solo come espressione dell'infinita molteplicità di forme in cui la libido umana si esprime, ma anche per il ruolo centrale che in questa pratica svolge l'antica e nobile arte dei nodi" aggiunse nel suo solito tono svagato. A conferma delle sue osservazioni, estrasse dallo scollo della maglietta la collanina quipu, che portava fin da quando era ritornato dalla sua missione nello spazio.
Subitaneamente interessato, Don si alzò e si avvicinò per dare un'occhiata all'insolito monile. Aveva già visto il quipu di Larry, ma non aveva mai pensato prima che ci potesse essere qualche relazione tra il sistema di calcolo in uso presso le civiltà precolombiane e i nodi che venivano fatti per ben altro scopo, e che si erano resi talora responsabili di sfortunati incidenti, in qualche caso mortali.
"Aspettate un momento" intervenne Charlie, la sua curiosità improvvisamente stuzzicata: "Io non sono riuscito a disfare il nodo con cui gli avevano legato il bavaglio. Era molto intricato, perciò sono stato costretto a tagliarlo. Sebbene non avesse le estremità chiuse, tuttavia…" Si avvicinò alla lavagna e cominciò a disegnare a memoria non il nodo, bensì un insieme di triangoli e di linee spezzate che pareva il tentativo di annodare una cannuccia da bibite. Larry guardava attentamente, piegando la testa di lato. Evidentemente insicuro sui suoi ricordi, Charlie cancellò tutto e ricominciò daccapo. "Peccato solo che non abbia avuto tempo di guardare bene i nodi della corda, ce n'erano diversi" aggiunse "Purtroppo qualcuno aveva già chiamato la Polizia..."
"Una chiamata anonima" precisò Don. "Si direbbe che l'autore del colpo volesse far ritrovare la sua vittima prima che restasse legato così a lungo da poter subire gravi conseguenze alla circolazione del sangue."
Né Charlie né Larry lo ascoltarono: ora il matematico stava scrivendo una formula vagamente simile a una funzione di probabilità, mentre il fisico lo incoraggiava disegnando nell'aria a gesti una sorta di paesaggio collinare.
Don si alzò e si diresse alla porta. "Se interessano gli altri nodi" disse "sono sicuro che la Polizia di Stato abbia fatto qualche fotografia."
Amita stava per entrare nel momento in cui lui stava uscendo e lo salutò affettuosamente. Si fermarono qualche momento a guardare i due scienziati, ormai dimentichi di tutto quanto li circondava.
"L'interpretazione degli invarianti di Vasil'ev può dar origine a più di un'algebra votata alla fisica" gli confidò Amita, come se ciò dovesse essergli di spiegazione.
Sebbene fosse geniale quasi quanto lui, la ragazza di Charlie era però perfettamente capace di vivere anche nel mondo dei non matematici, perciò si rese conto di dover tradurre le sue considerazioni in un linguaggio che anche Don potesse capire. "La teoria dei nodi è un aspetto della topologia che ha moltissime relazioni con la fisica, alcune delle quali aspettano ancora di essere scoperte" gli spiegò con un sorriso.
"Ah, ecco. Grazie, Amita. Dì a Charlie che gli farò avere le fotografie degli altri nodi."

"Così potrebbero esserci dei casi che non sono stati denunciati?" chiese Charlie, passando una birra al fratello mentre entrambi si sedevano sul divano.
"Ho avuto l'impressione che il tenente Rodriguez ne fosse convinto" rispose Don. Prese la bottiglia con una mano e usò l'altra per controllare col telecomando a che ora iniziava la partita.
"E per quale ragione la vittima di un sequestro di persona a scopo di rapina non si scomoderebbe ad andare alla Polizia?"
"Per non perdere una giornata di lavoro o per non perdere il lavoro, forse?" ipotizzò Alan Eppes, alzando la testa dalla sua rivista di economia. Sosteneva spesso di essere il solo in famiglia a interessarsi di ciò che succedeva nel mondo, anche se il fatto di essere anche l'unico in pensione diminuiva un po' il suo merito nel tenersi aggiornato. "Avete per caso sentito parlare di crisi economica?" chiese ironicamente, rivolto ai figli.
In realtà, Don ci era già arrivato da solo: sapendo di essere non qualificati e quindi facilmente sostituibili, gli addetti alle pulizie rapinati non si sarebbero presi un giorno libero a cuor leggero. Ma c'erano altre ragioni a cui poteva pensare. Ad esempio, avrebbero potuto non voler far sapere di essere stati sorpresi dal loro assalitore in un locale in cui in teoria non si sarebbero dovuti trovare.
"O magari hanno preferito dimenticare la brutta esperienza, soprattutto se avevano con sé così poco denaro contante da rendere irrisorio il danno, spavento a parte" disse Charlie.
"Forse è così, anche perché a quanto pare il rapinatore non ruba nient'altro che denaro contante: né telefonini né orologi né carte di credito" convenne Don, dubbioso. "O forse sanno più di quanto vorrebbero far credere."
"Sei sempre sospettoso come…" commentò Alan. Esitò, cercando la parola.
"Come un agente federale?" propose Don.
"Intendevo dire come una vecchia comare, ma immagino che anche agente federale possa andare" sospirò suo padre.
"Tu e Larry avete scoperto qualcosa d'interessante su quel nodo?" chiese Don al fratello "Se la fotografia non fosse abbastanza chiara, posso tentare di fartelo vedere dal vero: sarà certamente nel deposito dei corpi di reato."
"Ci stiamo ancora lavorando" rispose Charlie "Anche se, contrariamente a quanto l'uomo della strada potrebbe pensare, i nodi della teoria dei nodi non sono esattamente dei nodi, mentre quello della rapina ovviamente lo era."
"Davvero?"
Charlie si preparò a rispondere, ma suo padre lo precedette: "I nodi dei matematici non hanno le estremità libere, Don. Ho ragione, Charlie?"
"Vedo che hai fatto i compiti, bravo" esclamò Charlie. "I nodi dei matematici, come li chiama papà, assomigliano più a dei cappi intrecciati, Don. Non servirebbero né a un marinaio né a un rapinatore."
"Dei nodi che non annodano? E a che servono?"
"Oltre a costituire un settore di studio veramente affascinante, la teoria dei nodi ha molte applicazioni. In particolare è utilizzata nel campo della fisica e della chimica sub molecolare, ma quella forse più nota riguarda il DNA e i suo avvitamenti" si animò Charlie, sempre fiducioso di poter contagiare i profani col suo entusiasmo matematico.
Il padre e il fratello, però, furono lesti a riportarlo alla prosaica realtà.
"L'uomo della strada, adesso, vorrebbe vedere la partita" disse Alan, sporgendosi a prendere il telecomando, che Don aveva lasciato sul tavolino, per alzare il volume.
"Ti farò avere domani tutto quello che troverò sui tuoi preziosi nodi, va bene?" promise Don, gli occhi già puntati sullo schermo, in attesa del tiro d'inizio.

Amita varcò la porta dello studio di Charlie con una pila di fogli in precario equilibrio sulle braccia. Restò per un momento interdetta, temendo forse di avere sbagliato stanza, nel trovarsi improvvisamente di fronte a quella che sembrava una riunione di inservienti. Ce n'erano sette in tutto, diversi per età, corporatura e gruppo etnico di appartenenza, ma ugualmente a disagio nell'essere stati convocati nello studio del famoso genio, il professor Eppes del dipartimento di Matematica. Il più giovane pareva sulla ventina, il più vecchio doveva avere almeno sessantacinque anni.
"Grazie per essere venuti" disse Charlie, gesticolando per invitarli a occupare le sette sedie, che aveva disposto a semicerchio al centro della stanza. Gli inservienti si guardarono nervosamente tra di loro, qualcuno ondeggiò sui piedi spostando il peso da una parte all'altra, qualcun altro si schiarì la gola, ma nessuno accennò a sedersi.
"Vi ho chiamati per aiutarmi a classificare gli eventi di cui siete stati protagonisti" spiegò Charlie, come se si stesse rivolgendo a una classe dei suoi studenti "Ricostruiremo le rapine di cui siete stati vittime per individuarne le somiglianze… insomma, mettiamo tutto per iscritto, va bene?" chiarì prima di dar loro le spalle per dividere la lavagna in sette colonne.
Un rumore di sedie strascinate sul pavimento gli fece capire che i suoi testimoni stavano lentamente prendendo posto.
Amita appoggiò sulla scrivania la pila di cartelle in cui era contenuto il codice di un programma per la risoluzione dei nodi, un vecchio lavoro di quando era ancora una studentessa. Lo aveva portato per confrontarlo con alcune idee di cui aveva già discusso con Larry, ma ora era affascinata da ciò che Charlie stava facendo. Non capitava spesso di poter raccogliere informazioni di prima mano dalle vittime dei reati. Di solito i consulenti matematici lavoravano su file o al massimo su documenti cartacei come ad esempio rapporti dell'FBI, registrazioni bancarie o referti clinici. Di solito, in effetti, le vittime dei casi che arrivavano alla loro attenzione non avrebbero potuto riferire niente di persona, per una ragione molto semplice, cioè quella di essere morte.
Gli inservienti presenti, invece, i quattro che avevano denunciato il sequestro più i tre che non si erano nemmeno curati di farlo, erano vivi e vegeti, anche se non sembravano particolarmente collaborativi. Il misterioso assalitore li aveva sorpresi tutti da soli, di notte, all'interno dell'area dell'università dove facevano le pulizie e li aveva atterrati con una botta in testa, abbastanza forte per metterli fuori combattimento per un po' ma non tale da lasciare conseguenze. Charlie appurò che nessuno di loro sapeva nemmeno dire con quale corpo contundente fosse stato colpito.
"Poteva essere un sacco di segatura" ipotizzò Ben Sanchez, il più vecchio del gruppetto, un ometto segaligno con corti capelli bianchi e un forte accento messicano. Era stato il primo a venire aggredito, colto di sorpresa mentre lavava il pavimento del corridoio davanti all'ufficio del rettore, nell'ala est. "C'era un sacco di segatura di meno nel magazzino. Erano cinque, prima, e io ne ho visti solo quattro." Sanchez era stato trovato all'alba proprio in quello stesso magazzino, steso sul pavimento e legato con diversi giri di robusta corda da pacchi, quando il suono dell'allarme antincendio aveva attirato gente sul posto.
Il secondo a essere assalito, Clarence Zlotnick, a prima vista sarebbe potuto sembrare il socio di uno Yacht club più che un uomo delle pulizie: alto, prestante, biondo e abbronzato, indossava jeans logori ma firmati e una camicia di lino. Il rapinatore non aveva degnato di uno sguardo l'orologio che portava al polso, eppure doveva essergli costato almeno un mese di stipendio. Mentre raccontava con una certa proprietà di linguaggio di come l'aggressore avesse approfittato del rumore dell'aspirapolvere che stava passando sotto il porticato per sorprenderlo alle spalle, Amita non poteva fare a meno di chiedersi che razza di percorso avesse fatto quest'uomo lungo la scala sociale. Nella sua immaginazione matematica si presentò istantaneamente una serie di curve di probabilità, delle quali si ripromise di chiacchierare con Charlie più tardi, magari a pranzo, fiduciosa che il suo ragazzo avrebbe aggiunto alla teoria appena abbozzata quel dettaglio geniale che l'avrebbe resa meravigliosamente elegante. Sebbene Charlie avesse un gran cuore e dei profondi occhi neri, Amita si era innamorata della mente prima che dell'uomo. I suoi ragionamenti matematici le facevano lo stesso effetto che ad altre donne farebbe vedere il loro fidanzato salvare qualcuno che sta annegando o aver la meglio in un corpo a corpo con un rapinatore munito di coltello o svolgere alla perfezione qualsiasi altro compito che richieda coraggio, prontezza e abilità. Da questo punto di vista Amita poteva dirsi davvero una creatura fortunata: in lei non c'era nessuna contraddizione tra testa e corpo, tra spirito e carne.
Le storie degli altri inservienti, per quanto Charlie non si stancasse di chiedere particolari per rimpolpare la sua tabella, non portarono contributi di particolare interesse. Le aggressioni si assomigliavano tutte, sebbene differissero una dall'altra per qualche importante dettaglio, che valeva solo a dimostrare come il responsabile si fosse prontamente adeguato al mutare delle situazioni e delle circostanze. Dopo che Clarence Zlotnick era stato ritrovato saldamente legato nel casotto degli attrezzi dei giardinieri, che come tutti i mercoledì mattina venivano a tosare l'erba, gli inservienti avevano fatto di tutto per evitare di restare da soli. Le loro precauzioni però non avevano avuto successo. Jerome Jerris, un afroamericano di mezza età, era stato sorpreso mentre era in bagno, stordito con una botta in testa e trascinato nello studio del preside della facoltà di Ingegneria, dove il suo collega di turno Russ "Rusty" Sterling, un giovanissimo caraibico di recente immigrazione, lo aveva infine ritrovato - in mutande, legato e imbavagliato - dopo lunghe e angosciose ricerche.
Lo stesso Rusty era stato la vittima successiva. Nel suo caso, il misterioso aggressore aveva agito nel momento in cui il ragazzo stava legando la sua vecchia motocicletta a una delle palme lungo il vialetto a sud. Rusty era stato messo KO tanto velocemente quanto silenziosamente; in quanto alla sua moto, era stata nascosta dietro una siepe. I colleghi, non vedendo la moto, avevano dedotto che Rusty non si fosse presentato al lavoro e non l'avevano neppure cercato.
"Mi ha trovato una studentessa che veniva a controllare un esperimento in laboratorio" spiegò il ragazzo a Charlie. Gli altri inservienti ridacchiarono, e qualcuno fece una battuta sul fatto che Rusty avesse tutte le fortune. Al professore e agli altri sembrò di capire che le ore trascorse legato e imbavagliato sul pavimento del laboratorio non avessero appannato né il suo fascino esotico né il suo giovanile vigore. Se era vero, era anche comprensibile che Rusty non avesse denunciato quello che gli era accaduto: le domande sulle modalità del suo ritrovamento non solo sarebbero state a dir poco imbarazzanti, ma avrebbero persino potuto mettere nei guai la sua salvatrice.
Nel caso del quinto inserviente, non c'erano stati risvolti romantici. Anzi. Mick Garcia, un omone gioviale alquanto sovrappeso che si barcamenava tra due o tre lavori per mantenere la sua numerosa famiglia, era sparito a metà del turno, gettando a tutta prima nel panico i suoi due colleghi, quel Ben Sanchez che era stato la prima vittima della serie, e una certa Colette Lafayette. I tre erano stati impegnati a incerare il pavimento della sala grande, operazione lunga e complessa che era cominciata già nel tardo pomeriggio. A un certo punto avevano avuto bisogno di un'altra latta di cera speciale perché una di quelle che si erano portati era risultata mezza vuota, così Mick era andato a prenderla nel furgone. Nessuno dei tre, infatti, voleva rimanere solo nemmeno un momento all'interno dell'edificio. Era difficile pensare che qualcuno potesse mettere facilmente fuori combattimento Mick, un uomo nel fiore degli anni avvezzo ai lavori pesanti, che pesava più di un quintale e aveva braccia che parevano tronchi. In effetti l'assalitore non lo aveva atteso lungo la strada: si era nascosto sul furgone.
Ben Sanchez aveva ricevuto sul telefonino un messaggio, con cui Mick lo informava di dover correre subito a casa per un'emergenza. Non era la prima volta che era costretto a lasciare il lavoro per accompagnare all'ospedale un figlio con un attacco di appendicite o la moglie in preda alle doglie. Insomma, con una famiglia come la sua, ce n'era sempre una. L'autobus che fermava davanti all'università viaggiava anche di notte e passava proprio a quell'ora: per prenderlo, Mick non avrebbe avuto il tempo materiale di rientrare e avvertirli che si sarebbe assentato. Ben e Colette avevano trovato il furgone con la chiave nel portellone posteriore e la latta di cera pronta, appoggiata per terra. Dentro il furgone era tutto in ordine, proprio come se Mick avesse prelevato la latta di scorta e lo avesse richiuso, lasciando le chiavi dove i colleghi le avrebbero subito viste. Senza più preoccuparsi del suo destino, i due avevano ultimato il lavoro da soli. Mentre i suoi compagni di lavoro si stavano chiedendo con una certa animosità che cosa fosse successo a casa sua questa volta, per cui si ritrovassero a dover fare anche la sua parte, il povero Mick giaceva nel retro di un grosso furgone a pochi passi dal suo, in tutto e per tutto simile a un salume insaccato e altrettanto incapace di attirare l'attenzione di chicchessia. La sua stazza avrebbe costituito un problema per chiunque, ma il suo assalitore aveva fatto buon uso del carrellino con le ruote di proprietà dell'impresa di traslochi alla quale apparteneva il veicolo in cui era stato rinchiuso. I facchini, giungendo di buonissima ora per completare il carico del mobilio di Sermenwskoj, il noto microbiologo, avevano trovato Mick incastrato tra il pianoforte di madame Sermenwskoj e il letto a forma di coccinella della piccola di casa. I facchini, naturalmente, spergiuravano di aver chiuso il furgone prima di sospendere il lavoro, la sera precedente. A questo proposito aveva avuto luogo un vivace scambio di vedute tra i coniugi Sermenwskoj e il caposquadra, ma poiché alla fine dei conti tutto si era risolto con un inserviente legato in più invece che con del mobilio in meno, la cosa non aveva avuto conseguenze.
La penultima aggressione aveva avuto una dinamica leggermente diversa dalle altre. Innanzitutto non era notte, ma era appena calata la sera. In secondo luogo, Jo Kim non era venuto all'università per lavorare, bensì per assistere a una conferenza sulla sterilizzazione per mezzo di gas plasma. Per la precisione vi aveva accompagnato la sua fidanzata, desiderosa di impressionare il suo capufficio presso l'azienda conserviera dove era stata appena assunta. Oltre che determinata e ambiziosa, Lisa era una rompiscatole che dava il tormento a Jo su ogni cosa. Aveva cominciato a discutere con lui sottovoce già mentre la conferenza era in corso, e aveva continuato in tono perfettamente udibile dopo che era finita e si stavano per incamminare verso il parcheggio. Jo, che di solito la sopportava con la pazienza di un santo, quella volta era sbottato. Lei si era offesa e aveva telefonato al fratello per farsi venire a prendere. A Jo non era restato che ritornare, da solo, alla macchina. Mentre camminava lungo il vialetto, in un punto poco illuminato a causa di un lampione rotto, aveva appena avuto il tempo di percepire un movimento alle sue spalle prima di essere colpito violentemente sul capo e cadere sulle ginocchia. Quando aveva ripreso conoscenza si era ritrovato, legato e imbavagliato come tutti gli altri prima di lui, nel chiosco dove di giorno si faceva servizio di bar. Chiunque avesse studiato al Californian Institute of Science, compresi gli stessi Charlie e Amita, ci si era fermato almeno una volta a prendere un caffè o un gelato. Il gestore, avvertito di un tentativo di furto per mezzo di una telefonata anonima, era arrivato poco dopo a vedere che cosa stesse succedendo ed era rimasto sorpreso che non si trattasse del solito scherzo goliardico. Liberato dal bavaglio, le prime parole di Jo erano state per Lisa: si preoccupava che fosse tornata a casa sana e salva. Era risaputo, infatti, che suo fratello fosse un guidatore incapace.
Dopo aver ricostruito l'aggressione ai danni di Jo Kim, Charlie poteva dire di aver finito. Nell'ultimo caso, infatti, il sequestro e la rapina di Vlad Moranu, aveva avuto lui stesso un ruolo di primo piano. Il signor Moranu era un uomo di mezza età dall'aria combattiva, che sembrava ancora molto risentito per il trattamento ricevuto, anche se non era chiaro se ciò che più lo faceva infuriare fosse la botta in testa o l'essere stato legato dentro la sua stessa auto. Di sicuro non poteva essere l'entità del furto, poiché il rapinatore gli aveva sottratto esattamente diciassette dollari e quaranta centesimi. I presenti notarono che residuava nei rapporti tra lui e il professor Eppes una certa freddezza, certamente causata dall'ingiusto sospetto di aver condiviso bizzarre pratiche sessuali.
Ora che Charlie aveva riempito le caselle sulla lavagna di numeri e lettere, non vedeva l'ora di cominciare ad analizzare i dati, perciò i sette inservienti furono frettolosamente congedati con l'assicurazione che il tempo che avevano perso sarebbe stato loro pagato. Quando se ne furono andati, abbastanza sollevati che questa strana riunione avesse avuto termine, Amita spostò le sedie dal centro della stanza e raggiunse davanti alla lavagna il suo fidanzato. Approfittando del fatto che non sembrava ancora immerso nella solita trance che spesso lo coglieva mentre stava cercando un modello matematico adatto all'interpretazione del caso, s'informò su come intendesse procedere: "Pensavi a una cluster? Sembra una storia così scombinata… Se anche questa Colette Lafayette di cui hanno parlato faceva parte degli addetti alle pulizie, perché non è stata rapinata?" chiese.
"Se è per questo, ci sono altre due persone che non hanno subito nessuna aggressione" mormorò Charlie, mentre cominciava a scrivere sfilze di X, di Y e di simboli matematici accanto all'ultima colonna di dati.
"Ah sì, e chi sono?"
"La cugina di Sterling, che è quella che lo ha fatto assumere presso la ditta. E una certa Marilena Paulinho o Paulina Marielas… non ricordo quale sia il nome e quale il cognome" si scusò Charlie, che poteva ripetere a mente quattro pagine di formule senza sbagliare un colpo ma che non aveva nessuna memoria per cose trascurabili come i nomi delle persone.
"Tre donne, quindi" rifletté Amita: "Non è strano?"

Non solo la polizia di Los Angeles non aveva avuto obiezioni a lasciarsi sottrarre il caso dall'FBI ma era sembrata addirittura impaziente di liberarsene. L'ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione era a dir poco stiracchiata, soprattutto quando si considerava che le vittime non avevano il becco di un quattrino, eppure il tenente Rodriguez l'aveva sostenuta con incredibile faccia tosta. Contemplando il fascicolo, che gli era stato fatto recapitare con velocità quasi sospetta, Don doveva ammettere di non essere riuscito ad ottenere praticamente niente dal collega della polizia locale. Rodriguez si era dimostrato un uomo impenetrabile, duro come un macigno e altrettanto sensibile a lusinghe e minacce, più o meno velate. Qualsiasi cosa pensasse sul vero movente di questa bizzarra serie di rapine e degli strani nodi che le avevano accompagnate, non aveva ritenuto di doverne mettere a parte l'agente federale. Forse non ne pensava niente ed era solo un poliziotto disilluso al quale non importava più del suo lavoro. Magari Nikki, che aveva lavorato nella polizia di Los Angeles fino a poco tempo prima, avrebbe saputo dirgli qualcosa di più sul tenente Rodriguez. Don aprì lo smilzo fascicolo e mise da parte il plico con le copie delle fotografie dei nodi, che avrebbe fatto avere a Charlie: li aveva già guardati e non gli erano sembrati altro che nodi, per quanto catalogati e numerati. Tra il resto della documentazione, l'espressione risentita dell'anziano Ben Sanchez inaugurava la breve sfilata di fotografie di inservienti, colti dall'obiettivo subito dopo essere stati liberati e rivestiti in qualche modo. Mentre Sanchez portava sopra la canottiera una felpa troppo grande per lui, Clarence Zlotnick indossava sulla pelle nuda un gilet fosforescente, combinazione alla quale probabilmente si doveva la sua espressione oltraggiata. Mick Garcia, rosso quanto un pomodoro, sembrava sul punto di avere un attacco di cuore; Vlad Moranu, invece, fissava l'obiettivo con aria furiosa, come se fosse pronto a stendere chiunque si permettesse illazioni sul suo conto. Né Jo Kim né Jerome Jerris né Rusty Sterling avevano denunciato l'accaduto, perciò le loro fotografie non comparivano, sebbene i loro nomi venissero citati tra le note finali, in quanto vittime di episodi presumibilmente dello stesso genere.
Dopo aver letto coscienziosamente tutto il fascicolo, Don si disse che il caso del Rapinatore Seriale di Inservienti si preannunciava come il più strano in cui si fosse mai imbattuto. Trasse dal cassetto la lista dei dipendenti che si era fatto inviare per fax dalla ditta di pulizie e la confrontò meticolosamente con i nomi che comparivano nei rapporti della polizia.
Alla fine, del tutto indipendentemente dalla sua futura cognata, a Don non rimase che porsi la stessa domanda. Sette uomini e tre donne facevano le pulizie all'università, ma solo i maschi erano stati tramortiti, rapiti, legati e derubati. Qualunque fosse la ragione per cui l'ignoto criminale ce l'aveva con il personale incaricato delle pulizie al Californian Institute of Science, pareva proprio che la sua ostilità non si estendesse alla parte femminile.

Maria Liliana Paulinho era al corrente delle rapine subite dai suoi colleghi ma non aveva nessuna idea sul perché non ne fosse stata oggetto essa stessa.
"Forse sta andando in ordine: prima i maschi, poi le femmine" propose.
David e Colby si guardarono senza fare commenti. Poteva sembrare un'ipotesi stupida, ma in un caso apparentemente insensato come quello, niente era abbastanza assurdo da non essere preso in considerazione.
"Lavorate insieme da molto?"
"Cinque… no, sei anni. Rusty è con noi da poco ma gli altri erano stati assunti prima di me" rispose la donna. "Tranne Zlotnick, lui è arrivato dopo, circa tre anni fa."
"È accaduto qualcosa di particolare tre o quattro mesi fa?" chiese David. Ben Sanchez era stato sequestrato dodici settimane prima. Gli altri sei casi si erano succeduti con intervalli variabili, dagli otto ai diciotto giorni. L'università era grande, perciò gli inservienti avevano qualcosa da fare tutti i giorni. I loro turni erano complicati e irregolari, ritmati dalla necessità di far fronte a esigenze particolari e improvvise. Maria Liliana e i suoi colleghi li rendevano ancora più imprevedibili con l'abitudine di scambiarsi il turno all'ultimo momento o di sostituirsi l'un l'altro quando c'erano da fare straordinari. Nemmeno il genio di Charlie era riuscito a ricavare un modello matematico coerente né dalle date in cui si erano verificate le rapine né dal quel puzzle di presenze e orari.
La giovane donna corrugò la fronte nello sforzo di ricordare.
"Non mi pare. Colette si è slogata la caviglia, ma è stato quasi sei mesi fa. Subito dopo che è arrivato Rusty. La moglie di Mick si è ammalata … ma non è una cosa insolita: quella donna ha poca salute, poveretta. Non so" scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli, neri e lisci come una frangia di seta. Era il suo giorno libero, e aveva portato al parco i figli della sorella. Era vestita con ingenua eleganza, come se si aspettasse di incontrare il Principe Azzurro tra gli scivoli e le altalene. 'Perché no?' si disse David. Era tutta questione di punti di vista: un divorziato non troppo indebitato, con figli piccoli e una buona assicurazione sanitaria, avrebbe avuto ancora molto da offrire a una donna giovane, con le mani già rovinate dal lavoro e la prospettiva di lavare pavimenti e strofinare vetri per il resto della vita. Non c'era da sorprendersi che Maria Liliana facesse fatica a distinguere un giorno dall'altro.
"I suoi compagni di lavoro maschi potrebbero nascondere qualcosa a lei e alle altre sue colleghe?" chiese Colby.
"Un sacco di cose" rispose Maria Liliana, pronta. "Le stesse cose che nasconderebbero alle loro mogli o fidanzate. Per paura che noi andiamo a dirglielo. Come ad esempio un'amante o un debole per la bottiglia o per il gioco d'azzardo. "
"Ma voi lo sapete lo stesso" disse David.
"Qualche volta." La donna alzò le spalle: "Anche le loro mogli, di solito. Senza bisogno che io o un'altra vada a dirglielo."
"Qualcuno dei suoi colleghi beve o gioca d'azzardo? O magari ha un'amante?"
"Di amanti e di sbronze non so niente" sostenne Maria Liliana, senza preoccuparsi, almeno in apparenza, di quanto la sua affermazione suonasse insincera. "Di roulette, di baccarat e di vincite eccezionali, invece, ho sentito parlare per anni. A vanvera, naturalmente" aggiunse. "Agli uomini piace pensare che una gita a Las Vegas risolverebbe tutti i loro problemi. Io invece mi accontento di comprare il biglietto della lotteria: costa meno che arrivare fino in Nevada."

"Una donna non sarebbe mai riuscita a sopraffarli, spostarli e legarli" asserì Nikki. Sembrava quasi dispiaciuta, come se la minore propensione al crimine violento da parte della popolazione femminile fosse un indice di discriminazione sessuale, che ci si dovesse augurare di veder superato al più presto.
"Dici così solo perché hai visto Mick Garcia" scherzò Liz, la sua collega. "Non lo credo neanch'io" aggiunse, più seria "e non sono nemmeno sicura che ce l'avrebbero fatta in due. La Lafayette ha un alibi di ferro per l'aggressione a Garcia e la Sterling è così minuta che mi chiedo come faccia a sollevare il secchio per lavare i pavimenti, figuriamoci trascinare centodieci chili di uomo con un carrello manuale."
"Se fossero stati assaliti dalle loro stesse colleghe, le avrebbero riconosciute e denunciate" obiettò Nikki.
"Non se le aggressioni fossero la vendetta per qualcosa che hanno commesso."
"Qualcosa che potrebbe mandarli in galera, come ad esempio uno stupro? E allora perché denunciare le rapine?"
Liz appoggiò sulla scrivania la tazza di caffè per sfogliare il fascicolo.
"Sanchez non poteva fare altrimenti, perché è stato trovato da estranei. Lo stesso può dirsi di Zlotnick e di Garcia, che sono stati liberati rispettivamente dai giardinieri e dai facchini. Charlie in persona si è imbattuto nell'ultima vittima, Moranu. Gli altri tre, in effetti, non hanno sporto denuncia."
"Se Charlie non avesse trovato Moranu, però, lo avrebbe fatto direttamente la polizia. La chiamata non è mai stata rintracciata, a proposito."
"Non ricordo di averlo letto" disse Liz, interdetta.
Nikki sorrise e allargò le braccia, come a significare che non era colpa sua se i suoi vecchi compagni di lavoro si facevano ancora in quattro per darle una mano.
"Oh. Un'altra informazione confidenziale da parte di un ex-collega. E questo collega, per caso…"
"Solo un amico" tagliò corto Nikki, prima di proseguire: "Del resto, se Moranu era l'ultimo della serie, magari volevano che fossero proprio le autorità a trovarlo."
"Non quadra niente. È difficile credere che tutte e sette le volte la vittima non sia stata in grado di dire niente sull'aggressore, se era alto o basso, se era bianco o nero… niente di niente. D'altra parte, non riesco a immaginare Rusty Sterling che partecipa a uno stupro di gruppo" confessò Liz. "E neanche gli altri, a dir la verità."
"Non si può mai sapere" affermò Nikki con la solita sicurezza, ma nemmeno lei sembrava molto convinta.

"Non potrebbe essere solo una coincidenza?" chiese Don. Era implicito nel suo tono, anche se non lo disse, che non aveva intenzione di rovinare il divertimento a nessuno: da come la vedeva lui, però, era abbastanza normale che stringendo una corda si facessero degli incroci. Che fossero in numero di due, di quattro o di sette non gli sembrava in fondo così rilevante.
Charlie non rispose neppure, ma guardò Don in un modo che riportò alla mente di quest'ultimo ricordi lontani, di quando era solo un ragazzino - un normale ragazzino - che avrebbe tanto voluto fare un puzzle senza che il suo fratellino più piccolo e molto più intelligente non gli rovinasse il divertimento collocando al posto giusto tutte le tessere in pochi minuti. Don ricordava da quei tempi remoti quello stesso sguardo, a metà tra lo stupore e il compatimento, che gli stava ora rivolgendo il fratello.
Larry fu più gentile ma a suo modo altrettanto spietato. "Estremamente improbabile non vuol dire impossibile" ammise con magnanimità "tuttavia noi basiamo l'intera nostra esistenza sulla convinzione che l'estremamente improbabile non debba condizionare le nostre scelte."
Don annuì silenziosamente per dimostrare che aveva capito. Cinque anni di collaborazione con Charlie e i suoi amici scienziati gli avevano insegnato a non insistere troppo nella richiesta di spiegazioni, se non voleva essere sommerso di lettere greche e di decimali a nove cifre.
"Considerandoli come se fossero curve chiuse, chi ha legato gli inservienti ha utilizzato solo i primi quattordici nodi primi" disse ancora Charlie, mostrandogli una sfilza di formule che a prima vista avevano ben poco a che fare con un nodo.
"Offrendoci per di più su un piatto d'argento una serie di somme connesse veramente affascinante" aggiunse. Sembrava un gatto che avesse appena visto un canarino a tiro dei suoi artigli. Quando suo fratello aveva quell'espressione, pensò Don, faceva quasi paura.
"Naturalmente, la somma connessa assomiglia a una moltiplicazione piuttosto che a una vera somma" chiarì Larry generosamente.
"Naturalmente" ripeté Don.
Charlie ritornò bruscamente alla prosaica realtà. "Chi annoda senza preoccuparsi della teoria dei nodi, ripete sempre più o meno gli stessi incroci" esclamò trionfante "infatti un particolare nodo può far parte a pieno titolo del modus operandi di un serial killer. Non ho forse ragione?"
Qui si tornava su un terreno sicuro e familiare, che Don conosceva bene. L'agente ammise che sì, in effetti, sebbene nessun nodo sia stato inventato apposta per torturare o uccidere, alcuni sembrano prestarsi particolarmente bene per tali nefandi scopi.
"Psicopatologia criminale a parte" aggiunse "chi ha bisogno di un nodo probabilmente ne farà uno che conosce già, non importa a che cosa gli serve, se assicurare sul tetto della sua auto una canoa per fare rafting o legare una guardia giurata al calorifero dopo averla disarmata. Solo le persone che appartengono a particolari categorie, come i marinai, conoscono una grande varietà di nodi."
"Perciò qualsiasi altro rapinatore seriale ci avrebbe offerto soltanto una serie di gasse d'amante o di terzaruoli, tutti desolatamente… uguali" concluse Larry, che sembrava interessato all'arte dei nodi quasi quanto alla teoria dei medesimi.
"O con le piccole variazioni dovute al caso o alla fretta… È esattamente quello che intendevo."
"In verità, sono molte le professioni che si giovano di un largo assortimento di tipi di nodi, persino al giorno d'oggi. Abbiamo discusso a lungo, quand'eravamo nello spazio, su come fosse opportuno modificare i nodi d'avvolgimento per adattarli alla mancanza di gravità" ricordò Larry, sovrappensiero. "E a proposito di scopi nefandi, non credo che il cosiddetto nodo del boia abbia impieghi meno raccapriccianti di quello che il suo nome indica. E che mi dite del famigerato gatto a nove code?"

"Questi sono tutti i dipendenti che si sono dimessi o sono stati licenziati nell'ultimo anno" disse Nikki "con relativi indirizzi e numeri di telefono."
David osservò la lista corrugando la fronte: "Tutta questa gente? In quell'azienda hanno un bel turn over!"
"Brutto lavoro, bel turn over" osservò Nikki filosoficamente "Se lavassi pavimenti per guadagnarmi da vivere, coglierei anch'io al volo la prima occasione per cambiare posto."
"Non c'è niente di male nel lavare pavimenti" intervenne sorprendentemente Colby. "Tra tutti i lavori che trovai quand'ero studente, quello di addetto alle pulizie era il migliore" aggiunse, accorgendosi che i colleghi lo stavano guardando in attesa di una spiegazione: "Niente clienti isterici né giri a vuoto nel traffico… e siccome non ti aspetti una mancia, non rimani deluso quando non la ottieni. E poi mi piacciono l'ordine e la pulizia. Tengo bene casa mia, puoi venire a controllare se non ci credi."
"Ci credo, anche perché la tua scrivania è più ordinata della mia" replicò Nikki, mentre una curiosa immagine, quella dell'atletico Colby in grembiulino, mentre passava il piumino per la polvere, le si formava in mente. La scacciò per tornarsi a concentrare sul caso: "La maggior parte dei licenziamenti, però, non riguardano gli addetti alle pulizie all'università. In quel gruppetto sono sempre gli stessi o quasi da anni."
"Coincide con ciò che ci ha detto la Paulinho, no?" osservò David, volgendosi a chiedere conferma a Colby, che annuì.
"Se c'è di mezzo la ritorsione di qualche ex-dipendente, non è necessario che abbia lavorato con loro per volersi vendicare" osservò Nikki.
"La vendetta è un movente da tenere in considerazione" asserì David. "Non dev'essere stato facile portare a compimento questa serie di reati senza farsi scoprire. Ci sono voluti mesi. Potrebbe esserci dietro un qualche tipo di ossessione."
"Vendetta per che cosa? Per non aver avuto uno spazzolone colorato o un secchio più grande?" sospirò Nikki, frustrata.
David divise la lista che Nikki aveva portato in tre parti, un foglio per ciascuno, dicendo: "Vediamo se troviamo qualcosa su quelli che sono stati mandati via o se ne sono andati di loro volontà."
Dopo molto lavoro al computer e al telefono, David stava riordinando insieme con gli altri il materiale raccolto, quando vide sopraggiungere il professor Eppes.
"Ah, Charlie. Come va? Scoperto qualcosa sui nodi?"
"Fin troppo, in un certo senso. Come stai, David? Kikki. Corby" proseguì, salutando i presenti prima di chiedere se Don fosse in ufficio. Era venuto a mani vuote, ma non voleva dir niente, dal momento che attraverso qualsiasi PC poteva accedere a risorse sterminate. In mancanza, poteva andare avanti per delle ore a scrivere sui vetri con il pennarello, ma David non aveva dubbi che si sarebbe potuto accontentare anche di carta e matita, se non si fosse potuto fare altrimenti. Solo per i calcoli più complicati, Charlie era costretto a servirsi dei potenti computer dell'università.
Quarantacinque minuti più tardi, David si sentiva come una valigia così piena che sarebbe bastato cercare di infilarci uno spillo per far saltare la chiusura e spargere in giro tutto il contenuto. Era certo che i ragionamenti matematici che aveva ascoltato per tre quarti d'ora e che aveva smesso di capire dopo i primi dieci minuti stessero per uscirgli dalle orecchie. Si pentiva di non aver fatto come Colby, che non avendo nemmeno finto di volerci capire qualcosa, era ancora fresco come una rosa. In quanto a Nikky, sebbene sembrasse attentissima, David era certo che non avesse ascoltato nemmeno una parola: era immobile come se fosse in catalessi. I casi erano due: o aveva usato l'esposizione di Charlie per entrare in uno stato di meditazione o era capace di dormire ad occhi aperti.
"Così" intervenne pacatamente Don, inserendosi abilmente in una pausa tra una funzione d'invarianza e l'altra "se ho capito bene non avremmo un modello per rappresentare la realtà, ma una realtà che cerca di adattarsi a una complicata teoria matematica?"
Per Don era facile, pensò David: lui aveva avuto una trentina d'anni per abituarsi. Non aveva bisogno di capire la matematica di Charlie, dal momento che capiva Charlie.
"Qualcosa del genere" ammise il matematico. Sembrava giù di morale, evidentemente non era ancora riuscito a venire a capo del problema. Dopo cinque anni di quelle che si potevano a buon diritto dire lezioni gratuite di matematica ad altissimo livello, David era giunto a pensare che con gli strumenti matematici fosse un po' come per le malattie: non tutte potevano essere guarite ma per tutte - o quasi - si poteva fare qualcosa. Analogamente, anche se Charlie non poteva risolvere l'enigma, avrebbe potuto ugualmente aiutarli. Certo, proprio come per le malattie, c'erano delle eccezioni. E c'erano sempre quei numeri dopo gli zeri, messi lì a ricordare che improbabile non vuol dire impossibile. Tutti gli anni, c'era pur sempre qualcuno che comprava il biglietto vincente della lotteria. E qualcun altro, meno fortunato, moriva per un cancro molto raro. Così come qualche delitto sarebbe restato impunito perché una bizzarra serie di coincidenze aveva messo il responsabile al riparo dalla legge.
"Quindi stiamo cercando qualcuno che ha un'ottima conoscenza della matematica?" chiese David.
"Molto probabilmente."
"Aspettate un momento" intervenne Colby "Nel mio elenco. Mi sembra ci sia qualcosa su uno degli addetti alle pulizie che si sono licenziati."

La seconda riunione di inservienti si tenne negli uffici dell'FBI, pertanto i suoi partecipanti erano ancora più agitati della volta precedente. Per essere delle vittime, sembravano inquieti quanto e più che se fossero stati colpevoli. Parvero un po' sollevati quando videro le facce note di Charlie e Amita, ai quali era stato richiesto di partecipare. Se si fosse trattato di persone sospette, gli inservienti sarebbero stati interrogati separatamente, ma erano le vittime di una serie di reati fotocopia, perciò erano stati messi tutti insieme in una saletta. Data la presenza dei due matematici, la riunione sarebbe assomigliata anche questa volta a una lezione, se non fosse stato per il luogo in cui si teneva e per la non trascurabile presenza di Don.
Una volta che tutti si furono seduti ordinatamente, proprio come a scuola, l'agente dell'FBI non perse tempo in convenevoli.
"Vi abbiamo riunito qui, signori, anzitutto perché ci diciate che cosa avete fatto al signor Jonathan Chan."
"A chi?" chiese Vlad Moranu, come se non ne avesse mai sentito parlare.
"All'uomo che è stato suo collega di lavoro per quasi quattro mesi, signor Moranu. E che qualche giorno fa le ha dato un colpo in testa e l'ha lasciato legato e imbavagliato nella sua macchina. Allora, vi ricordate di Jonathan Chan?" chiese nuovamente. Cliccò sul telecomando e sul grande schermo appeso alla parete apparve l'immagine di un uomo giovane, dai tratti euroasiatici, che fissava l'obiettivo con aria cupa.
Charlie scosse il capo, mentre Amita sussurrò: "Ah, lui. Certo, ora ricordo."
"Non ho visto chi mi ha colpito" disse Clarence Zlotnick. "È stato lui?"
Gli altri inservienti non dissero niente ma guardarono per terra.
Don sospirò.
"Se non avete fatto niente di illegale, questo è il momento di parlare, signori" disse. "Viceversa, vi consiglio di cominciare a procurarvi un avvocato."
Mick Garcia alzò le spalle, in un gesto che sembrava più di rassegnazione che di sfida. "Che importa?" borbottò "Tanto dovrò comunque accontentarmi di quello d'ufficio!"
Ben Sanchez si limitò ad approvare quanto detto da Garcia con un cenno del capo. "Rusty" Sterling, che era il più giovane, si guardò attorno spaventato, ma non aprì bocca. Jo Kim, viceversa, aprì la sua, sembrò sul punto di parlare, per poi rinchiuderla bruscamente e trincerarsi in un prudente silenzio.
Jerome Jerris non aveva mosso un muscolo: era così scuro e immobile che avrebbe potuto benissimo essere una statua di legno.
Charlie fece un cenno al fratello, per chiedergli il permesso di intervenire. Avutolo, si portò di fronte agli uomini seduti, proprio sotto la fotografia del giovane euroasiatico, che riempiva ancora lo schermo.
"Forse lo sapete già, ma Jonathan Chan era un mio studente" disse, indicando con un cenno l'uomo nella foto. "Penso di poter dire che fosse… brillante. Io però non me ne resi conto."
Charlie esitò qualche momento, prima di riprendere a parlare.
"Un insegnante dovrebbe accorgersi di una cosa del genere, no?" continuò "Forse a quell'epoca ero troppo assorto nei miei studi per potermi occupare veramente dei suoi. Non che questa sia una giustificazione."
"Era un tipo strano, professore" disse Sanchez, come se questo invece lo fosse, una giustificazione. Jonathan Chan, originario delle Hawaii, era entrato al Californian Institute of Science dopo aver superato con facilità il test di ammissione. Non era stato un enfant prodige, ma aveva avuto una carriera scolastica normale, a parte i voti altissimi in matematica. Quando la sua famiglia, un tempo benestante, aveva subito un rovescio di fortuna, Jonathan aveva avuto enormi difficoltà a pagare le tasse universitarie e aveva dovuto cominciare a lavorare. Aveva infine ottenuto una modesta borsa di studio, ma a causa della tensione nervosa e della stanchezza accumulata, non era riuscito a passare l'esame proprio del corso di Charlie. Questa bocciatura aveva significato di fatto la fine della sua carriera universitaria.
Qualche tempo dopo l'ex studente era ritornato come addetto alle pulizie nella sua vecchia università. Ci era rimasto quattro mesi, al termine dei quali si era licenziato. Tre mesi dopo, Ben Sanchez era stato aggredito mentre lavava il pavimento davanti all'ufficio del Rettore e ritrovato chiuso dentro il magazzino, legato con una serie di nodi che si potevano leggere come l'enunciazione di un teorema di topologia.
"Era un tipo strano, dite?" chiese Charlie. "Sì, penso che lo fosse, ma penso anche che sia stato proprio lui ad aggredirvi e rapinarvi, tutti e sette, uno dopo l'altro. E ci deve essere una ragione, se lo ha fatto."
"Vogliamo scoprire questa ragione" concluse Don, prendendo nuovamente la parola "perché vogliamo sapere tutto di quest'uomo. Vogliamo fermare Jonathan Chan."
"Innanzitutto si fa chiamare "Jackie" Chan, non Jonathan" si arrese Mick Garcia, dopo aver raccolto il tacito assenso degli altri a parlare. "Non che assomigli per niente a Jackie Chan. Anzi."
"Non faceva che far cadere cose e combinare guai" disse Jerome Jerris "Mai conosciuto nessuno di più imbranato."
"Lavorare con lui era un vero tormento" confermò Moranu.
"A me faceva venire i brividi" confessò Rusty.
"Era dura sopportarlo, ma lo sapevamo che era una specie di genio. Un po' come lei, professor Eppes, senza offesa" raccontò Sanchez. "Quando ci propose una cosa, ci sembrò una buona idea."
"E infatti lo era" disse Zlotnick. Si girò a guardare gli altri, chiedendo: "Perché, forse non lo era?"
"Racconta tu, Clarence" propose Jerris. A quanto pareva, gli altri erano d'accordo ad eleggere come portavoce del gruppo Clarence Zlotnick, che sapeva parlare con proprietà e senza errori.
Zlotnick non si fece pregare troppo e non li deluse, perché raccontò tutta la storia in modo chiaro e preciso. Il piano di "Jackie" Chan consisteva nell'usare i suoi compagni di lavoro per sbancare il casinò, sfruttando tramite loro la sua straordinaria capacità di ricordare le carte e calcolare al volo le probabilità. L'unica condizione era che non dicessero niente a nessuno, nemmeno alle mogli e alla famiglia. I nove inservienti avevano organizzato una breve gita a Las Vegas, dove cominciando con piccole puntate erano riusciti a vincere un totale di circa quattrocentomila dollari a blackjack. Il meccanismo era semplice: Chan aveva instancabilmente contato le carte mentre gli altri, abilmente diretti da lui, avevano giocato uno alla volta, riuscendo a non farsi troppo notare. Nel frattempo Chan aveva fatto solo qualche puntata, senza mai vincere. Al momento di dargli la sua parte, che prima della partenza si era convenuto dovesse essere del cinquanta per cento, gli altri inservienti, resi avidi dal denaro frusciante che si portavano nelle tasche, avevano deciso di ridurla al trenta. Trovandosi da solo contro otto persone su di giri, il giovanotto aveva abbozzato e aveva incassato i centoventimila dollari che gli avevano offerto senza fare troppe obiezioni.
Al ritorno in città, avevano scoperto che Chan aveva dato le dimissioni prima di partire e avevano cominciato a spendere il loro gruzzolo - tra i trenta e i cinquantamila dollari, a seconda di quanto la sorte li avesse favoriti - guardandosi bene dal metterne a parte nessuno. Zlotnick ci si era comprato un orologio di marca e aveva messo da parte il resto per finanziare lo stile di vita che amava, Garcia si era scrollato da dosso qualche debito, Sanchez aveva dato un acconto per una casetta in Messico. Anche gli altri ne avevano approfittato per realizzare desideri a lungo covati.
Stavano cominciando a dimenticarsi di Chan, che pensavano beatamente disteso su una spiaggia a godersi i suoi centoventimila dollari, quando Ben Sanchez era stato aggredito.
Il meccanismo delle aggressioni era semplice quasi quanto quello della vincita al casinò. Il malcapitato veniva colpito alla testa con qualche corpo contundente che nessuno di loro era poi riuscito a identificare. Quando si riprendeva, si trovava davanti a un ghignante Chan, che nel frattempo aveva già provveduto a togliergli i vestiti, a legarlo e a ispezionare il suo portafogli. Fatto il conto preciso al centesimo di quanto gli spettava, cioè il restante venti per cento della vincita realizzata meno i contanti che aveva trovato nelle tasche, il sequestratore si faceva dare le informazioni necessarie per prendersi la somma che secondo lui gli era dovuta. In alcuni casi non aveva avuto bisogno di chiedere niente, poiché il malcapitato si teneva addosso sia la carta di credito sia un foglietto con la relativa password. In altri aveva minacciato di non chiamare gente per farlo liberare, ma di lasciarlo invece lì legato e imbavagliato fino a chissà quando, col rischio di morire soffocato. In tutti i casi, era riuscito a svuotare il conto corrente o il deposito o quello che era, il più delle volte agendo semplicemente attraverso la rete informatica.
Di nodi e di teoria dei nodi, infine, gli inservienti continuavano a non sapere niente.
"Non avrà mica voluto fare un dispetto a lei, professor Eppes?" chiese Mick Garcia, grattandosi la testa per la perplessità.

Dopo aver lasciato l'università, Jonathan "Jackie" Chan aveva cambiato casa così tante volte che trovare il suo ultimo indirizzo non fu una cosa semplice. Alla fine riuscirono a trovare i paramedici che lo avevano soccorso quando era stato colpito da un pezzo di grondaia, che si era staccato dalla sua sede proprio mentre il sospettato rientrava in casa sotto uno di quei furiosi temporali che talvolta si scatenano su Los Angeles. Aveva perso i sensi per qualche minuto, e quando si era ripreso un passante di buon cuore aveva già telefonato al 911. Chan aveva dato un nome falso e si era rifiutato sia di lasciarsi portare all'ospedale sia di far causa al padrone di casa, ma uno dei paramedici lo aveva riconosciuto dalla fotografia.
Prima di entrare insieme alla sua squadra nell'oscuro androne del malandato caseggiato cui corrispondeva l'indirizzo di Jonathan "Jackie" Chan, Don si tolse gli occhiali da sole e si guardò attorno per assicurarsi che tutti fossero pronti all'azione. Poteva sembrare uno spiegamento di forze persino eccessivo per arrestare qualcuno che fino a prova contraria non aveva ancora ucciso, ma Don era convinto di avere a che fare con un individuo pericoloso e imprevedibile. Il loro sospettato univa un alto quoziente intellettivo a una personalità disturbata, combinazione che si era rivelata micidiale in più di un caso, perciò la prudenza non era mai troppa.
Alla prova dei fatti, le sue precauzioni si rivelarono inutili, poiché l'FBI fece irruzione in un monolocale quasi del tutto vuoto. Il sospettato aveva preso il volo da un pezzo, lasciandosi dietro solo qualche scatolone di suppellettili scompagnate e un mucchio di vecchi stracci. Un acuto odore di candeggina ristagnava nell'appartamento, segno che prima di tagliare la corda Chan aveva messo a frutto la sua abilità professionale per ripulire accuratamente ogni cosa. Don era pronto a scommettere che non avrebbero trovato né impronte digitali né nessun indizio che li portasse al nascondiglio attuale del loro annodatore seriale: "Jackie" Chan era entrato in clandestinità.
"Don…" disse Liz a voce bassa, indicando con un gesto circolare i muri del piccolo appartamento, completamente ricoperti da formule matematiche fino all'altezza di quasi due metri. Chan non era alto, quindi doveva aver scritto in piedi su una sedia, quando aveva esaurito lo spazio sottostante. Ed era evidente che si fosse sdraiato sul pavimento, altrimenti non sarebbe riuscito a usare anche l'ultimo palmo di parete in basso. Aveva utilizzato pennarelli di diversi colori per scrivere le formule, che ora si sovrapponevano parzialmente le une alle altre. Era uno spettacolo inquietante. C'era stato un periodo in cui Don aveva temuto di trovare qualcosa del genere anche a casa di suo fratello.
"Chiamo Charlie" rispose a Liz, prendendo il telefonino dalla tasca.

"Srinivasa Aiyangar Ramanujan aveva penuria di carta, perciò usava inchiostro di colore diverso per sfruttare lo stesso foglio due volte" disse Larry, dopo aver osservato per un po' il poderoso lavoro matematico che Chan aveva lasciato sui muri.
Normalmente Charlie sarebbe stato pronto a cogliere ogni allusione al grande matematico indiano, omonimo della sua fidanzata, ma in quel momento era completamente concentrato sulle formule scritte sui muri della casa di "Jackie" Chan. Stava andando avanti e indietro per la stanza da ore, seguendo le formule come se fossero una scia di sassolini lasciata apposta per lui. Si era persino portato una scaletta pieghevole, per vedere bene da vicino quelle più in alto. Era il modo di leggere più stancante e meno sedentario che si potesse immaginare: se avesse continuato così, prima o poi sarebbe crollato a terra per la stanchezza. Larry temeva che in quel caso, molto probabilmente, ne avrebbe approfittato per studiare bene da vicino le formule scritte in basso.
Gli specialisti dell'FBI avevano fotografato accuratamente ogni cosa. Una completa riproduzione dei muri di Chan era già stata inviata al computer dello studio all'università di Charlie, che avrebbe potuto studiarla comodamente seduto alla sua bella scrivania per tutto il tempo che gli occorreva.
Larry, tuttavia, capiva per quale ragione il suo amico non riuscisse a staccarsi da quel luogo. "Jackie" Chan, l'ex allievo, aveva lasciato quella testimonianza apposta per il suo ex professore, Charlie Eppes il genio. Aveva vuotato l'appartamento, l'aveva ripulito e poi ci si era attardato a lungo per scrivere sui muri tutto quello in cui aveva solo accennato nei nodi che aveva lasciato sulle sue vittime, allo stesso modo in cui il piatto forte viene dopo l'antipasto.
In quel momento, Charlie doveva sentirsi un po' meno geniale del solito. Non tanto per non aver compreso l'enorme potenziale di quell'allievo taciturno e scontroso, probabilmente, quanto per arrancare un po' nel seguire i suoi passaggi.
Meno testardo e ossessivo di lui, Larry si riprometteva di studiare con calma tutte le formule e le dimostrazioni contenute in quella stanza. C'era materiale per molti piacevoli pomeriggi di entusiasmanti scoperte, lì dentro, e non aveva fretta di bruciarsele tutte in una gozzoviglia di topologia avanzata, come stava facendo Charlie.
"Siete ancora qui?" giunse la voce di Don. Larry si voltò, ma Charlie non diede segno di aver sentito.
"Non credo ti abbia sentito" mormorò Larry.
"Dovrà farlo, perché il padrone di casa rivuole l'appartamento e non c'è ragione di non accontentarlo: non è stato commesso nessun reato qui dentro."
"Nessuno tranne un attentato all'amor proprio di tuo fratello" concordò Larry. "E non sono nemmeno tanto sicuro dell'esattezza di quella formula in quell'angolo là" aggiunse indicando una serie di frazioni annidate che parevano arrampicarsi lungo il muro in una spirale "ma non è certo un reato, al massimo un errore. Forse è solo il segno di un chiodo, dopo tutto. Charlie, c'è Don!"
Si avvicinarono entrambi al giovane matematico, decisi a portarlo via di lì. Dopo un'iniziale resistenza, Charlie si arrese alla necessità di abbandonare quella specie di caverna di Alì Babà. Si stropicciò gli occhi arrossati e si massaggiò il collo indolenzito.
"Andiamo a casa" propose Don "papà ha preparato la cena e ci sta aspettando."
Il fratello annuì e si avviò in silenzio. Sulla porta si fermò a dare un'ultima occhiata alla stanza. "Non lo troverete" constatò.
Don capì subito a chi si stesse riferendo. "Beh, non è detto" obiettò, mentre camminavano insieme lungo il corridoio buio e maleodorante, diretti alle scale. La casa era vecchia e senza ascensore, gremita di inquilini che non avevano un posto migliore in cui stare. L'appartamento in cui aveva abitato Chan sarebbe stato riaffittato nel giro di pochi giorni da qualcuno che si sarebbe meravigliato dei gusti in fatto di decorazione d'interni dell'occupante precedente e avrebbe ricoperto quell'opera di straordinario ingegno con una mano di pittura fresca o con fotografie di cantanti e attori e arazzi ornamentali da quattro soldi.
Charlie sorrise tra sé e sé, e scambiò un'occhiata con Larry.
"Non credo proprio."
Sebbene il sole stesse per tramontare, Don non trascurò di inforcare gli occhiali da sole non appena si ritrovarono all'aperto. Non credeva neppure lui che Jonathan "Jackie" Chan sarebbe stato arrestato molto presto.
"Non penso abbia abbandonato la città. Lui è la fuori da qualche parte" disse Charlie indicando la sterminata periferia di Los Angeles.
"Là dentro da qualche parte" lo corresse Larry "perché se scrivesse formule di quel livello sui marciapiedi si farebbe inevitabilmente notare."
"Potrebbe tentare di rifare lo stesso colpo con nuovi complici" ipotizzò Don "Distribuiremo una sua foto ai casinò di Las Vegas e delle altre capitali del gioco d'azzardo. "
"Più facile che escogiti qualche altro modo per arricchirsi. Che perdita per il mondo accademico" sospirò Charlie che di quella perdita era, a ben vedere, uno dei maggiori artefici.
"E che acquisto per il mondo criminale" disse Larry.
"Il Matematico Mascherato" scherzò Don.
"Il Matematico Mascherato" ripeté Charlie lentamente. "Sì, mi piace. Piuttosto…"
"Piuttosto?" lo incoraggiò a continuare il fratello.
"Credete che sentiremo parlare ancora di lui?" chiese Charlie.
A una tale domanda, Don veramente non seppe che cosa rispondere. Prima di tutto non era lui quello esperto in modelli previsionali. E poi, forse si sbagliava, ma gli era proprio parso di sentire nella voce del fratello un inequivocabile tono di speranza.

  
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