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Autore: Umpa_lumpa    02/04/2011    2 recensioni
Tanto aveva fatto, che alfine si era davvero stancato e, rassegnatosi ad un esistenza di solitudine e gatti (sì, proprio come una vecchia zitella), aveva deciso di farsene una ragione e basta.
Da quel giorno nel suo gruppo di amici era diventato “Emone lo sfigato”, una sorta di mitica mascotte della comitiva. E, per un qualche perverso paradosso, la sua sfortuna era diventata quasi un vanto.
“no, no. Vi assicuro che più iellato di me non c’è nessuno: persino paperino è un principiante a mio confronto” scherzava di tanto in tanto.
Ma, come si suol dire, chi si loda si sbroda.
D’altronde, il vantarsi della propria sfortuna cosa doveva portare se non altra sfortuna?
[Piccola one-shot senza troppe pretese. Per maggiori dettagli, guardare all'interno^^]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Salve a tutti! Sebbene preferirei evitare di dilungarmi in una premessa, mi è necessaria per dare un piccolo chiarimento riguardo questa shot. L'idea mi è venuta durante la traduzione di un brano dell'Antigone, in cui veniva descritta la morte di Emone, uno dei suoi personaggi. Sebbene tale shot non abbia nulla a che fare con quel brano (siccome l'unica cosa che viene ripresa è il nome del personaggio), ritengo comunque utile, per capirla meglio, sapere chi fosse Emone (sebbene suppongo che molti lo sappiano già).
Allora, l'Antigone è una tragedia greca scritta da Sofocle, che parla, per l'appunto, della giovane Antigone che, andando contro ad una legge ingiusta, diede sepoltura a suo fratello Polinice. Suo zio Creonte, re di Tebe, lo aveva infatti vietato poichè il giovane aveva attaccato la città per prenderne il potere. Aveva quindi emanato una legge secondo cui chi avesse dato rito di sepoltura al defunto sarebbe stato condannato a morte. Così avviene per la povera Antigone, alla fine scoperta. Viene murata viva in una grotta. Emone è il figlio di Creonte, nonché promesso sposo di Antigone. Saputo della condanna, si reca nella grotta dove trova Antigone morta, suicidatasi impiccandosi con il suo stesso velo nuziale. Emone, disperato, si stringe al ventre inerte della fanciulla e, quando sente arrivare il padre, che si era nel frattempo pentito, accecato dalla rabbia, si accanisce contro di lui cercando di ucciderlo. Fallendo miseramente e avendo ormai perso ciò che di più importante nella sua vita, Emone si uccide, trafiggendosi con la sua stessa spada.
Bene, adesso che ho fatto questa piccola premessa, posso anche chiudere qui. Vi auguro una piacevole lettura! ^.^

-Tra cuori e picche-

 

Emone era, a sua detta, un uomo davvero sfortunato.


D’altronde - si ripeteva con paranoica insistenza- quali grazie si possono attendere da un nome del genere? Malediva ogni volta sua madre e il giorno in cui aveva deciso di chiamarlo in un simile modo.
Quando le aveva chiesto cosa mai le fosse passato in quella testa quando aveva preso quella decisione, lei aveva risposto: “Sai, stavo leggendo l’Antigone e mi dispiacque così tanto per quel poveraccio di Emone che si era ammazzato così giovane, che mi si ruppero le acque!”.

Detto in tutta fede, lui dubitava fortemente della veridicità di quest’aneddoto, ma siccome sapeva bene che sua madre aveva il perverso piacere di aggiungere un tocco di poesia ad ogni granello della sua vita, l’aveva sempre lasciata fare.
Che poi, quale persona sana di mente leggerebbe quella tragedia greca quando si sta lì lì per partorire?!?

Fatto sta che, all’anagrafe e nell’animo, lui era sempre stato perseguitato da quella nomea così iellata.

E se la sua sfiga si accaniva sulle faccende più sciocche (come l’uscire con il sole per poi ritrovarsi sotto il diluvio universale), immaginatevi come si divertiva con faccende molto più serie!
Ad esempio, Emone, per quanto fosse un bel ragazzo, di una spiccata e viva intelligenza nonché di una certa verve, non aveva mai conquistato una ragazza nemmeno ad implorarla. La sua cara adolescenza contava tanti di quei cuori infranti da far invidia alla più “tragica” posta del cuore.

Quand’era ancora alle elementari, si era dichiarato ad una bambina che sembrava ricambiarlo, tanto da regalargli ogni giorno una margherita. Per poi scoprire che le rifilava a chiunque le capitasse a tiro perché, siccome si chiamava Margherita, le sembrava suo dovere far loro pubblicità in un modo o nell’altro.
Poi, quando era passato alle medie, un gruppo di ragazzi aveva preso a motteggiarlo per una presunta cotta per Adele, la sua compagna di banco dai capelli scuri come il cioccolato fondente e le guance baciate di lentiggini. E quella, per tutta risposta, lo aveva aspettato una mattina al portone della scuola solo per buttargli “accidentalmente” la cartella e i suoi sette libri sul piede contuso.
Al liceo, se è per questo…quando Bambina gli aveva detto di essere innamorata di lui, non aveva fatto in tempo a passare una settimana che, coprendosi la bocca e ridacchiando come un’oca, gli aveva comunicato di essersi – ops!-  “sbagliata”.
Il colpo di grazia, supponeva fosse stato all’università: lui e Cloe avevano appena fatto in tempo a festeggiare ben tre mesi insieme (senza dubbio un record, per quel che lo riguardava)  che si era venuto a scoprire che la sua fidanzata era in realtà la ragazza di un altro e che lui non era che il capro espiatorio designato per far ingelosire quel tal Biagio.
Aveva pianto così tanto da sembrare un bambinone.
Ad un certo punto, persino sua madre si era stancata di starlo a sentire e quando lui faceva il suo ingresso nella stanza, lei per tutta risposta alzava il volume della televisione; oppure, come accennava ad aprir bocca per un qualche patetico monologo,  quella si portava un dito alle labbra e sibilava “Shh, sto leggendo”.

Tanto aveva fatto, che alfine si era davvero stancato e, rassegnatosi ad un esistenza di solitudine e gatti (sì, proprio come una vecchia zitella), aveva deciso di farsene una ragione e basta.

Da quel giorno nel suo gruppo di amici era diventato “Emone lo sfigato”, una sorta di mitica mascotte della comitiva. E, per un qualche perverso paradosso, la sua sfortuna era diventata quasi un vanto.
“no, no. Vi assicuro che più iellato di me non c’è nessuno: persino paperino è un principiante a mio confronto” scherzava di tanto in tanto.

Ma, come si suol dire, chi si loda si sbroda.
D’altronde, il vantarsi della propria sfortuna cosa doveva portare se non altra sfortuna?

Nel gruppo di fenomeni da baraccone che frequentava c’era un accanito astrologo; insomma, uno di quelli che l’astrologia la prende come una scienza esatta e che non si azzarda ad alzarsi dal letto se non si è prima informato se quel giorno l’allineamento di Giove con chissà quale altro pianeta suggerisce di posare prima il piede destro o quello sinistro.

 Così, una sera che stavano bevendo in un pub  ed erano un po’ più ubriachi del solito, era saltato fuori che secondo una serie di calcoli insensati, il giorno più fortunato di tutti quell’anno sarebbe stato il quattordici di Aprile. E fra un risata e l’altra, senza sapere nemmeno come, si era ritrovato impegolato nella scommessa più stupida mai fatta da qualche secolo a quella parte: insomma, visto che i suoi amici non credevano che la sua sfiga potesse perseguitarlo persino quel giorno, lui, da bravo spaccone, aveva scommesso il contrario.  Il fatto che il loro cervello navigasse ormai fra tutte quei boccali di birra che si erano scolati, decretò la sua fine: preso alla lettera, si trovò ad assistere ad una specie di estrazione a sorte per designare il prezioso testimone. Insomma, una piattola che gli stesse azzeccata tutto il pomeriggio per constatare se, in effetti, la Sfiga avesse il coraggio di presentarsi alla sua porta.

Come potete immaginare, visto che Emone di botte di fortuna ne riceveva ben poche, la vincitrice di quell’estrazione fu l’ultima persona sulla faccia di quella terra che lui avesse gradito. Allegra aveva sempre le mani scorticate dal freddo ed un sorriso sottile che lui non si sentiva di definire sincero. Sebbene uscissero con la stessa comitiva, Emone se ne teneva sempre a distanza perché, in un modo o nell’altro, quella sua allegria gli sembrava sintetica e quel tono saccente che di tanto in tanto adottava quando gli rivolgeva la parola gli dava l’impressione di essere tornato di fronte alla sua petulante maestra delle elementari.
Insomma, per quanto ingiustificata, nutriva un’antipatia quasi irrazionale nei confronti di quella ragazza e il fatto che dovesse sorbirsi proprio lei non era che l’ennesima sfiga.
Quantomeno, la scommessa volgeva già a suo favore.

 

***

--14 Aprile--

 

-Ma sei serio? – gli chiese quella voce un poco rauca.

-No, per scherzo – replicò Emone con la bocca impastata dal sonno. Erano le sette e mezzo di mattina e aveva ancora i capelli bagnati e vischiosi per via dello shampoo, reduce della doccia interrotta dal campanello. Come se non fosse stato sufficiente, quella tazza di caffè nero che stringeva fra le mani non stava sortendo alcun effetto.

Allegra gli rivolse quel suo dubbio sorriso

-Certo che sei davvero sfigato.

-E quello che ti ho detto non è niente. Una volta, prima che partissi per la Calabria con la mia Toyota nuova di zecca, mio cugino mi ha detto ‘che bella macchina!’

La ragazza ridacchiò, intuendo dove andasse a parare quel discorso.

-Ti si è bucata la ruota? Che cliché!

-Sì, mi si è bucata la ruota. Ma me ne ero accorto in tempo e così l’aveva cambiata prima che si afflosciasse del tutto.

-Ma allor…

-Mi si è ingolfato il motore – interruppe l’altro, mordendo un cornetto con fare distratto. – Ed era nuova di zecca – aggiunse poi, come gli fosse tornato in mente solo in un secondo momento.

-Brutta storia. L’hai venduta?

-No, perché mai? L’ho data a mia madre pochi giorni dopo. Sai, quella carretta non si è mai più rotta.

Allegra scoppiò a ridere e i suoi singulti rauchi ma sinceri fecero sorridere anche lui.

-Va bene, te ne do atto: la tua iella è notevole. Ma magari tu te la cerchi…

-E come, scusa? Non credo di andare a cercarmi la pozzanghera in cui infangarmi i pantaloni. E ancora non mi sono dato al sado-maso.

-Questo no, magari – sorrise lei tra un sorso di thé e l’altro – però, per esempio, chi è che si è impegolato in questa scommessa? Assurda, se posso dire.

-Non me lo ricordare!- rantolò Emone affondando il volto fra le braccia.

-Per me sei troppo melodrammatico. Guarda: ti lamenti come una donzella in difficoltà. La verità è che più pensi di essere sfigato e più te la tiri. Prova a sorridere alla vita!

-Non costringermi a diventare violento – brontolò l’altro, alzando di nuovo il viso solcato dalla stanchezza.
-Tu la fai troppo semplice…pensi che un bel giorno mi sia svegliato e abbia detto “toh, oggi mi va di diventare pessimista”?E’ che ormai me ne sono capitate così tante che il mio ottimismo si è ritirato in pensione. Così come la speranza di trovarmi qualcuna – aggiunse a bassa voce.

-Uh? E’ tutto qui il vero problema? Soffri perché nessuna ti fila? – chiese l’altra con tono di scherno.
Figurarsi se non lo aveva sentito!  A quanto pareva, la storia della scommessa non gli aveva insegnato a tenere chiusa quella sua boccaccia.

Grattandosi un poco il capo, si alzò dalla tavola e scomparve in salone, lamentandosi dello shampoo che si era ritrovato sul palmo della mano.
Allegra, non sapendo bene che fare, rimase ancora un poco seduta, guardandosi intorno. Ma quando non sentì più alcun rumore, lo chiamò leggermente agitata, tendendo le orecchie in attesa di risposta.

-Sì, sto arrivando – rispose con fare scocciato Emone, tenendo qualcosa nella mano destra. Poi, sedutosi comodamente sulla sedia, poggiò sul tavolo i mazzi di carte che aveva cercato poco prima nel salotto. Infine, prese a separare i quadri ed i fiori dai cuori e dalle picche.

-Ma cosa stai facendo? – chiese l’altra perplessa.
Emone, dal canto suo, non rispose, continuando nella sua opera con l’aria di una di quelle cartomanti che si vedono alle volte nei luna park. Se solo non fossero state carte francesi, Allegra avrebbe giurato che il ragazzo avesse tutta l’intenzione di fargli i tarocchi.

Conclusa la sua opera di cernita sotto lo sguardo curioso della compagna, Emone mise da parte i quadri e i fiori e, preso quel che restava del mazzo, cominciò a mischiarlo con maniacale attenzione. Vedeva la ragazza poggiare il gomito sul tavolo e sorreggersi il capo, in parte annoiata, in parte stordita da quella ripetitiva movenza. Quando si accorse infine che erano passati una decina di minuti si fermò e, facendo scivolare il mazzo lungo il piano levigato del tavolo, le disse di mescolare.
La ragazza si ridestò un poco ed eseguì.
Passarono cinque, dieci, quindici minuti e già si stava preparando a infilargli quella carte in gola, che Emone la interruppe riprendendo in mano il mazzo.

-Bene, e adesso? – borbottò l’altra.

-Adesso ti dimostro che la mia sfiga non è una supposizione ma un postulato. Spezza – le ordinò con un cenno del capo. Quando lei ebbe fatto, Emone rizzò la schiena e, atteggiandosi ad un professore, cominciò a spiegarle con voce calma – Vedi, la verità è che noi la vita la complichiamo troppo. Ci infiliamo dentro tante di quelle idee contorte che alla fine ne perdiamo di vista le basi. Ma, in verità, non è altro che un gioco di cuori e di picche..

-Di cuori…e di picche? – ripeté quella, scettica.

-Sì, proprio così. Si può essere sfortunati come fortunati a questo mondo. E la religione non c’entra nulla, né le nostre emozioni né niente di niente. Ci sono persone più fortunate e persone meno fortunate. Ma la verità è che a tutti quanti noi toccano cuori così come toccano picche. Ha poca importanza chi abbia più dell’uno o più dell’altro.

-Ah, allora ammetti che la iella non ha scelto te come sua residenza esclusiva! Tu stesso hai detto che qualche cuore ti sarà pure toccato- esclamò Allegra, d’un tratto interessata a quel bizzarro discorso.

Quello, per tutta risposta, la ignorò del tutto.

-Stavo dicendo – proseguì lanciandole un’occhiataccia – la vita è fatta di cuori e di picche, ma, non si sa perché, a me toccano in sorte sempre e solo picche – concluse con fare rassegnato.

-Ti detesto quando ti vittimizzi così.

-Non è vittimismo, davvero. E ora te lo dimostro. Pesca delle carte.

Allegra fece come gli era stato detto, aspettando che l’altro le facesse cenno di smettere. Trovò un cinque, un sette, un tre, un quattro, un dieci e un asso di picche da un parte, un due e un quattro di cuori dall’altra. Emone, allora, le concesse di finirla.

Lei, dal canto suo, trattenne il fiato in gola quando lo vide avvicinare la mano allo spesso mazzo di carte.
Emone pescò.
Posò la carta sul tavolo e pescò di nuovo.
Poi ripeté ancora l’azione.
E ancora, e ancora, e ancora. Infine, accumulate una decina di carte -che aveva lasciato rivolte con la parte frontale verso il basso- le voltò tutte insieme, per scoprire un’infinita distesa di picche.

Allegra fissò quella sfilza nera a bocca aperta.

-Visto? Come volevasi dimostrare.

-No, non è possibile. Avrai semplicemente trovato un parte del mazzo mischiata male, zeppa di picche- borbottò, dimentica della ridicola quantità di tempo che avevano passato a mescolare. Scuotendo appena la testa, pescò anche lei solo per trovare una carta di cuori che non poté evitare di fissare perplessa per qualche minuto.

-Cosa hai trovato? – gli chiese Emone sorridendo a trentadue denti. Quella, per tutta risposta, gli lanciò un’occhiataccia che, se solo avesse potuto ferire, avrebbe spedito il ragazzo nell’oltretomba.

-No, non è possibile, ti dico. Continuiamo!

-Come vuoi.

Proseguirono con questo gioco per tutta la mattinata. Ogni tanto pescava l’uno, ogni tanto l’altro, a seconda di come gli saltava in testa. Allegra collezionava spesso cuori e alle volte anche picche, ma Emone non aveva pescato una carta rossa nemmeno per sbaglio. Avevano finito il mazzo una, due, tre volte e così via per poi rimescolarlo fino allo spasmo e ricominciare d’accapo.
Il ragazzo ormai non solo aveva preparato una quantità innumerevole di teiere e finito tutti i biscotti della credenza, ma si accingeva addirittura a preparare il pranzo, vista l’ora tarda. Tra una carota spezzettata e l’altra pescava una carta, mentre Allegra tagliava l’insalata e la condiva con quantità spropositate di aceto, ridendo con quella sua strana voce. Di tanto in tanto calpestavano qualche regina o qualche re che era volato in una delle loro piccole zuffe e interrompevano la conversazione per ridacchiare un poco e calciare via la vittima con la punta della scarpa.

Senza che nemmeno se ne accorgessero, la giornata scivolò via veloce, lasciando un tappeto di carte sul parquet, fondi di caffè e un divano sfatto dietro di sé. Il quattordici aprile, il giorno più fortunato di quell’anno si era esaurito senza che niente di particolare accadesse o sconvolgesse le loro vite e, proprio come quella mattina, sedevano di nuovo l’uno di fronte all’altra, con il busto proteso verso la tavola.

-Bene, hai in effetti dimostrato che sei l’uomo più sfigato del pianeta quando si tratta di carte – disse Allegra, rompendo il confortevole silenzio che aleggiava fra loro.

-Più sfigato in generale.

-Sarà, ma non ne sono convinta.

-Cosa? Un intero pomeriggio a pescare picche non è stato sufficiente?

-Perché, doveva?- chiese quella ridendo. Poi, alzandosi ed infilandosi il cappotto, gli si avvicinò con naturalezza. Emone, alzato lo sguardo con espressione perplessa, spalancò gli occhi quando avvertì quelle labbra sottili poggiate contro le sue e delle piccole dita scorticate dal freddo sfiorargli la guancia.

Allegra allontanò il viso, lanciandogli un sorriso confortante.
-Allora ci vediamo – gli disse, come non fosse successo nulla.
- Ah, Emone, un’ultima cosa: per la cronaca, penso che il tuo nome sia splendido. Fossi in te, ringrazierei mia madre per avermelo messo- concluse con fare sornione.

Quando finalmente la porta si chiuse, quasi gli dispiacque di non sentire più quella voce sgraziata risuonare nella stanza. Dopotutto, si era ricreduto sul conto di Allegra; non era poi così male e quella giornata si era dimostrata piuttosto piacevole. Insomma, in un certo qual senso, quella sfida si era rivelata una vera e propria fortuna…

In preda alla realizzazione, spalancò gli occhi e si lasciò scappare un gemito frustrato: questo significava che, dopotutto, aveva perso quella dannata scommessa!

Basta: Emone, in fin dei conti, era davvero l’uomo più sfigato sulla faccia del pianeta!

Nota dell'autrice:  Ecco qui!  In un primo momento ero molto soddisfatta dell'idea che mi era venuta ma, fra una cosa e l'altra, il risultato finale non mi piace molto. Soprattutto per quel che riguarda la parte conclusiva...mi lascia alquanto perplessa. Nonostante tutto, spero che questa shot (senza alcuna pretesa) vi sia piaciuta e vi esorto, se potete, a lasciarmi un commentino per farmi sapere il vostro parere in merito!^^

   
 
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