Crossover
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Autore: Sparrowhawk    04/04/2011    0 recensioni
Per amore della pace, voglio subito dire che in questa fanfic si incontrano due mondi assai diversi, ovvero quello di Kuroshitsuji (qualcuno ha mai sentito parlare di buon vecchio conte Ciel Phantomhive e del suo stupenderrimo maggiordomo?) e quello di Pandora Hearts (anche qui, manga abbastanza famoso). I protagonisti sono Elliot Nightray e Célie Phantomhive che, sì, non altri che il caro Ciel versione femminile.
In pratica qui Ciel ha una sorella gemella. Alquanto scioccante, lo so. ù.ù
Che altro dire? Beh, il racconto è in terza persona, ma ho cercato di concentrare l'attenzione su entrambi i personaggi ma alternativamente, ovvero non insieme. Si vedrano spesso le vicende vissute da entrambi i punti di vista. Credo di essere stata abbastanza fedele al carattere dei personaggi...o quanto meno lo spero XD.
Per il resto, quando scrivo fra le "..." sono pensieri, mentre quando è parlato le parole stanno fra le «...».
Buona lettura! *manda baci e incrocia le dita*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cherryblossom - Pillole di Crossover'
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Cèlie lasciò che il vento le scompigliasse i capelli, pensierosa, le mani conserte dietro alla schiena nella sua solita posa "sto sognando ad occhi aperti". Ma in quel momento, Elliot poteva scommetterci, la sua piccola principessina non stava certamente sognando anzi, probabilmente stava pensando agli ultimi eventi che avevano arricchito le loro vite, seppure in modo negativo.
Alla fine, nonostante tutti gli sforzi fatti da lei, Angelina non accolto di buon grado quella pietà nei suoi confronti e, afferrando un pezzo di vetro poco distante, probabilmente uno dei tanti che si erano schiantati a terra quando lei stessa aveva rotto lo specchio che stava nella sua stanza ancora ore prima, si era prontamente tagliata la gola. Aveva riso un'ultima volta, li aveva mandati al diavolo, e poi lo aveva fatto.
Angelina si era tolta la vita.
Se fosse stato il vecchio sè stesso, quello che poco pensava la prossimo e che sicuramente non si pentiva di nulla di ciò che faceva se in confronto era meglio ai gesti compiuti da altri -o se fosse stato Ciel, per esempio- Elliot avrebbe trovato quel gesto davvero poco rilevante, forse persino superfluo. Non avrebbe intaccato in nessun modo la sua vita e alla fine avrebbe dimenticato ogni cosa, cancellandola o relegandola in una parte della sua mente ben poco frequentata.
Ora però, ora che aveva conosciuto lei, Célie, tutto aveva aquisito un significato diverso, persino l'esistenza altrui.
Si pentiva di non essere stato in grado di aiutare quella donna così come, stringendo i pugni e lottando fino all'ultimo, era stato in grado di aiutare la persona che tanto amava. Riflettendoci però era anche abbastanza evidente una cosa: per salvare Célie, Angelina doveva necessariamente sparire in un modo o nell'altro. Se avesse continuato a vivere, se magari un giorno fosse uscita di prigione, il suo odio non si sarebbe mai fermato e la sua ombra avrebbe perseguitato i gemelli Phantomhive per sempre, senza dare tregua nè a loro, nè a chi gli stava intorno.
Quindi, l'unica soluzione, rimaneva la morte.
"Che misera la vita di noi esseri umani..." pensò, le mani in tasca, poco distante dalla compagna sul terreno consacrato del cimitero "...alla fine, ogni singola cosa si riduce a quello, alla morte. L'epilogo di tutto."
Erano volati a Londra, lui, Cèlie, Ciel e Sebastian, accompagnati dalla salma di Angelina. I due fratelli avevano deciso, di comune accordo, di portare il corpo della zia a casa, dove era giusto che stesse, al fianco di coloro che, oltre ad essere i loro genitori, erano ancora a tutt'oggi le prime vittime di quella immane follia.
«Avrebbero voluto così.» aveva detto Célie, sorridendo per quanto le era possibile «Loro, ne sono certa, ancora la considerano parte della famiglia.»
«Tu la consideri tale?»
Ciel glielo aveva chiesto ben sapendo che genere di risposta avrebbe ottenuto, e anche Elliot era certo che da quella rosee labbra non sarebbe uscita che quella frase, così breve e sicura, piena di un affetto che mai era stato ricambiato e che ora meno che mai lo sarebbe stato.
«Certo che sì.»
La giovane si voltò verso di lui improvvisamente, cercando il suo sguardo come se si fosse resa conto solo ora di aver bisogno di sentirlo al suo fianco, vicino, forse più di quanto non lo fosse stato sino ad allora. Elliot si fece avanti e, prendendole la mano, la accostò al proprio corpo poggiando il mento sul suo capo.
«Non pensavo che saremmo arrivati a tanto...» mormorò lei, alzando le spalle, con fare titubante «...non credevo che quella morta...alla fine sarebbe stata lei.»
Elliot non disse niente, incapace di aggiungere qualcosa a quella breve constatazione: in fin dei conti lui era stato il primo a temere per il peggio quando, ancora a Parigi, si erano ritrovati sotto tiro di quel benedetto fucile. Aveva scommesso tutto quello che aveva che quelli con una propria sezione sul giornale nella parte dei necrologi sarebbero stati loro.
«Stava tanto male.» disse, alzando la testa per guardarlo ancora negli occhi, quegli occhi limpidi che tanto amava «Ci ha detto tante bugie. Tante...ma la persona che più ha preso in giro è stata sè stessa.»
«In che...senso?»
Célie esitò un secondo ma poi, frugando con una mano candida nella tasca della propria giacca, tirò fuori una lettera tutta stropicciata, rimessa insieme alla bell'è meglio da un poco di scotch.
«E quella da dove viene?»
«Dalla scrivania della zia. È sua.»
«L'hai rubata?» chiese ancora Elliot, sgranando gli occhi «E quando?!»
«Ancora tempo fa, molto prima che le cose prendessero...questa brutta piega.»
Spiegò di come, ancora poco convinta del totale disinteressamento del fratello, si era azzardata a mettere il naso nella corrispondenza di Angelina del tutto intenzionata a trovare le lettere che, lo sapeva, lei le stava nascondendo. Fu allora che, fra gli oggetti dimenticati e quelli volutamente relegati in cima agli armadi, aveva trovato alcuni pezzi di quella fatidica lettera. Disse che la cosa che più la aveva colpita era la fragranza di fragole che proveniva dalla carta, oramai del tutto estinta visto il tempo che era passato e viste tutte le volte che, piena di tristezza, aveva usato le parole scritte in bella calligrafia lì sopra per potersi assopire.
«L'ha scritta la mia mamma.» ammise infine, quel suo dolce e malinconico sorriso ad impreziosire il suo candido volto «L'ha scritta quando la zia tentò di togliersi la vita. Qui c'è scritto che, proprio come è successo a me, è rimasta in coma per lungo tempo prima di riaprire gli occhi...però, anche quando questo accadde, non parlò più che nessuno e, anche se respirava, sembrava lo stesso che fosse morta, del tutto assente.»
La piccina, deglutendo e prendendo un grande respiro, si accinse a leggere quelle poche parole che, la sua mamma, aveva scritto con tanto affetto e desiderio di vivere tutti insieme, felici, per sempre.

Cara Angelina, mia dolce ed insostituibile sorellona, non so davvero come cominciare questa lettera che, come ultimo tentativo per poter comunicare con te, ho deciso or ora di inviarti. Da quando ti sei svegliata non ha permesso a nessuno di venire a trovarti, perchè? Perchè non ci permetti di starti vicina ora che hai bisogno più che mai della presenza dei tuoi familiari? Lo so, forse credi che mamma è papà mi preferiscano, forse sei certa che loro ti odino, ma io ti assicuro che non è assolutamente così: dovresti vederli sorellona, dovresti vedere la tristezza impressa nei loro volti sapendoti lì, costretta in quel letto d'ospedale. Il viso di papà non mi è mai sembrato così privo di ogni forza. Mai nella vita avrei pensato di scoprirlo così debole di fronte ad una simile occasione...pensavo fosse l'uomo più forte del mondo, ma forse mi sbagliavo.
D'altro canto, credevo che anche tu fossi la donna più forte e combattive del mondo intero.
Ti ho sempre invidiata per la tua grinta, per la potenza che riesci a scatenare dentro di te quando vuoi qualcosa e sei disposta a tutto per raggiungerla. Ho sempre ammirato il tuo sguardo così sicuro e le tue parole tanto sagaci da farmi ridere in ogni occasione. Tu eri la mia luce lo sai?
La persona che più rispettavo a questo mondo...ma dal giorno in cui lui è morto tu non sei più stata la stessa...


«Lui?» domandò Elliot, corrugando la fronte «Non...può parlare di tuo padre, dico bene?»
Célie alzò gli occhioni dal foglio, scuotendo il capo.
«Il punto è proprio questo, nessuna delle due aveva ancora incontrato papà.» asserì «Qui si parla del primo vero amore di Angelina. Del suo promesso sposo.»
«Promesso...?!» le parole gli morirono in gola, così come ogni intenzione di andare avanti con i suoi commenti inutili.
«Al tempo la zia aveva già vent'anni e, prima che una malattia lo uccidesse, era fidanzata con un socio di lavoro di mio nonno, uno dei più giovani appena entrato nella compagnia.» spiegò la ragazzina «Era stato amore a prima vista...così c'era scritto in altre lettere che ho, beh, che ho letto di nascosto.»
Le sue guance si tinsero di un vivido rosso fuoco non appena quelle poche parole vennero pronunciate e, questo, non fece altro che sorridere Elliot. Quanto era carina quando arrossiva.
«Ad ogni modo, Lucas, così si chiamava, morì per malattia dopo un viaggio d'esplorazione nella foresta nera. Amava fare l'avventuriero e prima del matrimonio voleva dare un'ultima occhiata al luogo in cui aveva deciso di portare anche la zia.»
«Mio dio che...brutta cosa.»
«Già.»
Célie continuò la lettura.

So cosa pensi ora, per quanto tu possa essere certa che io non capisca niente di quello che percepisci in giornate così buie.
Probabilmente ti stai ripetendo che questo mondo è ingiusto, che questo mondo è inutile. Che non c'è motivo di continuare a vivere in un luogo in cui, la persona che hai amato più della tua stessa esistenza, non c'è più.
Angelina, tu non vuoi rimanere qui vero?
No, perchè continuare a respirare è peggio di qualsiasi altra cosa mai provata...lo vedi ogni istante, lo senti ogni istant, è come se non se fosse mai andato ma quando apri gli occhi, quando guardi veramente con la lucidità che ti ha sempre contraddistinta, ogni suo ricordo si cancella e tu torni sola.
Per questo hai tentato di ucciderti. Non volevi più sentire niente.
Sorellona...
Sorellona, ti prego, torna da me. Insieme ce la possiamo fare, io e te, per sempre insieme. Per sempre, come ci siamo ripromesse.
Ti voglio così bene da sentirmi male, così tanto da non poter resistere senza averti accanto.
Sì, forse sono egoista, sto pensando solo a me stessa, ma non voglio perderti.
Non posso permettere a te stessa di rovinarti con le tue stesse mani.
Non posso.
Tu sei una stella solitaria. Il tuo luccichio dice...che sei sola, che sei triste.
...ma tu non ti accorgi nemmeno di stare brillando.
Attendo una tua risposta.
Eternamente tua.


«Finisce...così?»
Elliot stava stringendo i pugni, sconvolto.
Dopo una lettera del genere, così piena di affetto e di belle parole, Angelina come accidenti aveva potuto uccidere la propria sorella?
Eccolo, l'odio provato in precedenza verso di lei tornò fiammeggiante a tormentarlo.
«Dopo c'è la risposta della zia.» esordì Célie, facendosi un poco più infelice «...non credo l'abbia mia inviata però.»
«Perchè?»
«Penso che volesse dargliela di persona, ma quando è uscita dall'ospedale ed è arrivata a casa, ha trovato mio padre con la mamma.»
Lui non riusciva a comprendere come mai il suo viso si stesse facendo via via più scuro e triste.
Quante cose ancora gli stava nascondendo Angelina?
«Lui era...il fratello minore del suo Lucas.» continuò la giovane «Lucas Phantomhive era mio zio paterno.»
Elliot si portò una mano sulla fronte. «Non posso crederci.»
«Non appena lo vide, la zia pensò all'istante che fosse Lucas e fu convinta di questo per molto tempo, sino all'ultimo. Credo che, nella realtà dei fatti, non abbia mai amato veramente mio padre. Era solo che in lui, per via della grande somiglianza, rivedeva il suo innamorato...e quando quel Lucas l'ha tradita per mia madre il mondo le è crollato addosso.»
Ecco svelato il grande mistero, ecco che finalmente riusciva a capire cosa aveva spinto la donna ai limitari della follia più sconvolgente. La gelosia, l'odio, il rammarico...erano tutti sentimenti che non avevano nulla a che fare con il grande ed irreversibile amore che, sin dal principio, la aveva legata a Lucas.
Come aveva detto Célie, in quel salottino, mentre gli avvenimenti avevano preso a vorticare attorno a loro senza dare alcun senso alle parole che uscivano dalle loro bocche e la morte sembrava così poco distante, era stato l'eccessivo amore a mettere fine alla sanità mentale di Angelina.
Ora che sapeva, cosa poteva fare se non compatirla per davvero?
Guardò a terra, scuotendo forte il capo.
Adesso sì che era confuso, ed aveva anche ogni sacrosanto diritto di esserlo!
Come avrebbe detto Dean in quel momento, se solo fosse stato là assieme a loro, aveva odiato per tutto quel tempo una persona che, proprio come loro, non era stata altro che una misera vittima all'interno di quel pericolosissimo gioco? Anzi, lei era stata la prima vittima. La prima.
«L'amore...l'ha condotta alla follia.»
L'altra alzò improvvisamente gli occhi, incredula di fronte a quell'affermazione.
«Come?»
«Perchè perdiamo tempo con una cosa del genere quando non fa altro che del male?»
Célie si avvicinò e gli posò una mano sul petto.
«Elliot...che cosa...che cosa dici?» tentò di sorridere, impaurita dall'improvviso discorso intavolato.
«...mia madre si è ridotta al suo stesso modo.» esclamò «Lei li ha uccisi tutti. Mio padre, i miei fratelli...li ha uccisi perchè ha amato così tanto da non poter più accettare di venire messa da parte!»
Non glielo aveva mai detto ancora, non gli aveva mai raccontato ciò che era accaduto all'interno della sua famiglia: Célie si era sempre fidata di lui, ma al contrario Elliot non era mai stato in grado di parlare a cuor leggero degli avventimenti che lo avevano portato a diventare ciò che era ora. Quel ragazzo scontroso, chiuso in sè stesso, infelice...quello che brontolone che se aveva un pò di amici, amici veri, era solo perchè aveva dovuto sudare mille camicie per poter mettere da parte il muro enorme che si era costruito attorno al cuore.
Attorno all'anima.
E aveva fatto bene.
Non ci si guadagnava nulla ad amare, se non sofferenza.
Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, Célie gli tirò un sonoro ceffone. Il ragazzo, paralizzato dalla sorpresa, si portò una mano sulla guancia e la fissò mentre alcune lacrime affioravano ai bordi dei suoi grandi, bellissimi occhi bicromatici.
«Non è morta perchè amava troppo.» esordì, tremando «Non si può morire...perchè si ama troppo! È l'amore che ci spinge a vivere, l'amore che ci porta a fare cose inimmaginabili che prima mai ci saremmo sognati di fare!»
Non smise di guardarlo dritto negli occhi per quanto, almeno solitamente, le risultasse alquanto complicato farlo.
«Come puoi anche solo pensare di abbanonare i tuoi sentimenti?» chiese «Io credo...credo che amare non sia mai sbagliato, mai...persino quando ci fa soffrire e ci fa compiere degli errori.»
Fu allora che scoppiò a piangere, lanciandosi con impeto fra le sue braccia. Lo cinse in un istante, sospirando.
«...io vorrei tanto che tu vedessi quanto bene mi ha fatto il tuo amore.»
Era vero, Elliot ancora non riusciva a vedere come il suo solo affetto avesse tratto in salvo la piccola Célie in più di un'occasione. A scuola per esempio, a casa...le bastava pensare a lui e all'affetto che li univa e tutte le cose brutte che l'affliggevano sembravano svanire nel nulla.
Non per sempre, era impossibile, ma almeno la lasciavano libera di vivere con serenità il suo rapporto con lui.
«Avrei tanto voluto che...il mio amore avesse potuto aiutare anche mia madre.» sussurrò Elliot, cominciando anche lui a piangere.
Si sentiva così in colpa, sempre, costantemente. E quella colpa cresceva ogni volta che andava a trovarla in ospedale, in quel posto in cui la avevano ricoverata per la sua psicosi. Aveva persino dimenticato di aver fatto quelle cose, aveva completamente cancellato il fatto di aver tolto la vita, con le proprie mani, a tutta la sua famiglia meno che a lui, il suo piccolo prediletto.
«Sapevo ciò che faceva mio padre, lo sapevamo tutti a casa, ma lo stesso non dicevamo niente. Volevo proteggerla...» cominciò ad urlare, sempre singhiozzando, le mani premute contro le orbite come a voler impedire che le lacrime continuassero a scendere.
Ma era tutto inutile.
«Ma quale proteggerla! Ho solo fatto sì che le cose andassero peggio facendo finta di niente!» strillò «Le volevo così bene che credevo bastasse il mio affetto, credevo che standole vicino tutto si sarebbe sistemato...e invece è stato uno strazio!»
Ancora adesso voleva esserle di qualche conforto, ma quando la vedeva si sentiva peggio di un verme. Era colpevole, così dannatamente colpevole! Andava da lei perchè gli mancava da morire, eppure allo stesso tempo dentro di lui cresceva il desiderio di non rivederla mai più per smetterla di soffrire a quel modo.
Detestava il posto in cui si era rinchiuso, odiava non avere mai una luce ad accompagnarlo, ma, sopratutto, non poteva più sopportare tutta quella situazione da solo.
Era stanco.
«Stanco...» disse ancora, in un lieve sussurro appena udibile «...sono così stanco...di tenere tutto sulle mie spalle.»
«E allora dividi il tuo peso con me...»
Célie si alzò sulle punte, titubante, e posò sulle labbra di lui un dolce, indimenticabile bacio. Durò poco, forse non più di qualche secondo, ma fu così importante da lasciarlo totalmente senza fiato. La guardò quando finì, la guardò stupefatto, rendendosi conto che ormai la ragazzina paurosa e sempre pronta a piangere aveva lasciato il posto ad una donna sicura, certa dei propri sentimenti e di ciò che la circondava.
O, molto più probabilmente, quella era sempre la sua piccola principessa, la personcina timida ed impacciata che, adesso, cercava di fare la dura per riuscire a fargli capire quanto lo amava. Quanto voleva aiutarlo.
«Elliot...ti amo.» mormorò lei, piangendo ancora ed ancora ed ancora «Ti amo. Perciò...stiamo insieme. Per sempre.»
Mentre la sua Célie lasciava andare quelle lacrime cristalline, Elliot sorrise e le prese il viso fra le mani, accarezzandole le guance con i pollici. Si avvicinò al suo viso sempre di più, lentamente, assaporando l'istante che si stava prospettando di fronte a loro.
Dean aveva proprio ragione, era un vero cretino.
Non vedeva ciò che gli stava di fronte almeno fino a che non ci sbatteva addosso il naso.
La baciò, con passione, trasmettendole ogni sentimento che sentiva.
«Dio Célie...sei un vero disastro...» esordì, ridendo «Ti parlo del mio passato e quella che piange di più sei tu?»
Ma, a dirla tutta, era grato al cielo di essere incappato in quella piccola catastrofe con le gambe.
«Ti amo anche io.»


«Sei...sei come me. Sei solo anche tu...? Allora restiamo vicini, insieme forse...sarà diverso.»
Ah, cosa non può fare l'amore!


(N.D: Finito. Spero sia piaciuto. ^^ alla prossimaaaaa *svanisce in una nube di fumo come i ninja*)
  
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