Commento, spiegazioni e varie in fondo ;D
AAA Cercasi Disperatamente Chiavi Di Casa
“Si dice che la notte porta
consiglio.
Beh, posso solo commentare che a me ha
portato un mare di grane.
Sempre”
S.F.
In punta di piedi la
ragazza entrò nel giro scale tenendo le scarpe in una mano e la borsetta
nell’altra. Guardò dubbiosa l’ascensore ma si bloccò quando le venne in mente
il sabato sera -o meglio, la domenica mattina- della settimana prima, indirizzandosi
subito verso le scale. La vista del cane inferocito del vicino che iniziava ad
abbaiare perché svegliato dal rumoroso ‘dìn’ dell’ascensore, interrompendo così
il sonno dell’intero palazzo, non era sicuramente tra i suoi ricordi preferiti.
Mentre si faceva otto
piani scalza alle tre del mattino, cercava anche di trovare le chiavi facendo
il minor rumore possibile. Inutile dire che fallì miseramente. In una borsetta
di microscopiche dimensioni era riuscita a far entrare di tutto e di più, ma le
chiavi sembravano non rientrare in quel “tutto”.
Persino suo fratello,
che di anni ne aveva dieci, si ricordava di prenderle prima di uscire, non
poteva aver combinato un disastro tale! Già li vedeva i suoi, con il pigiama
addosso, occhi assonnati, scalzi che inveivano perché li aveva svegliati. Per
il quarto fine settimana di seguito per giunta!
-Questa casa non è un albergo!-
Primo piano. Rosso.
La targhetta della famiglia Rossi lampeggiava risaltando come
una macchia di sangue sul muro bianco. Infatti, una famiglia con un nome del
genere di che colore avrebbe mai potuto avere il cartellino del citofono se non
rosso? Dei tipi piuttosto originali, che facevano del cognome uno stile di
vita, indossavano sempre qualcosa di rosso solo per differenziarsi. In realtà, secondo
le leggende scaramantiche più in voga del momento, indossare rosso portava
solamente sfortuna, ma più si stava in contatto con quella famiglia più si
capiva che era meglio non impicciarsi troppo né contraddirli apertamente.
Intanto nella sua testa i suoi genitori continuavano a urlarle
contro per la sua zucca vuota.
-Finché vivi sotto il mio tetto fai quello che dico io!-
Secondo piano. Salita.
Ci abitava una vecchietta arzilla tutta pepe che si alzava tutte
le mattine per farsi una corsetta con la sua cagnolina Silly. Una cosetta
minuscola che non smetteva di correre mezzo secondo, per la felicità della
famiglia del piano di sotto.
-Sei grande
solo per quello che ti fa comodo.-
Vent’anni buttati nel cess… pardon, nel WC a parere dei suoi.
Aveva rinunciato all’università dopo un anno di frequentazione passiva e ora
lavorava come commessa in un negozio di occhiali. Abitava ancora nella casa che
l’aveva ospitata dalla nascita, ma i suoi non vedevano l’ora che si facesse una
famiglia. A vent’anni. Erano matti?!?
-Io alla tua età…-
Terzo piano. Ignoto.
L’appartamento
ufficialmente aveva il suo proprietario, ma in realtà nessuno sapeva chi fosse,
nessuno l’aveva mai visto. Da bambina adorava, nel periodo di Natale, andare
davanti a quella porta e bussare per minuti interi, come se da un momento
all’altro la porta potesse spalancarsi e far spuntare un Babbo Natale pieno di
regali pronto ad abbracciarla. A sua discolpa poteva dire che non si era mai
proclamata una persona seria, ma questo particolare della sua infanzia non era
una di quelle cose che raccontava a chiunque incontrasse. Comunque per lei
anche a distanza di anni, quello era rimasto l’appartamento di Babbo Natale.
Non che ci credesse ancora a Babbo Natale, assolutamente.
-La notte è fatta per dormire!-
Quarto piano. Allegria.
Ci abitava un
pompiere, un tipo sulla quarantina senza moglie né figli. Abbastanza simpatico
per la verità. Non ci aveva mai parlato! L’aveva incontrato poche volte e in
quei momenti non erano mai andati oltre ad un “Salve” mormorato e un grugnito
di risposta. Una volta era finito in tv
per aver salvato una bambina sepolta da un cumulo di macerie di una casa,
crollata a causa di un incendio, e al giornalista che l’aveva intervistato aveva
risposto “Ho fatto il mio lavoro” e se n’era andato. Simpatico, no?
-Hai perso la bussola?-
Quinto piano. Nero.
Sicuramente il
pompiere era più simpatico della coppia di vecchietti che abitava in
quell’appartamento. Agghiaccianti era l’unica parola che li poteva descrivere.
Tutti e due secchi e alti, vestiti sempre di nero. Girovagavano per il
quartiere alle ore più strane, sempre insieme, sempre in silenzio. Le lampadine del pianerottolo erano
bruciate quindi cercò di evitare tutti gli oggetti dalla dubbia provenienza che
inondavano il pavimento e continuò la salita.
-Ti sembra l’ora di arrivare?-
Sesto piano. Brivido.
Una scarpa le scivolò
via dalla presa delle dita e il rumore del tacco contro il pavimento risuonò in
un attimo nel giro scale. Incrociò le dita e attese in silenzio. Per fortuna il
cane del Signor Grassotti non si era svegliato! Faceva quasi paura tanto era
grande. Un terranova grosso, nero e rumoroso, con l’insana abitudine di
spalmarsi sulla gente per salutarla. Il suo fondoschiena aveva avuto molti
incontri ravvicinati con il pavimento grazie a quel bestione e non le pareva il
momento di ripetere l’esperienza.
-Un giorno la capirai, quest’ansia da genitore, che cosa si
prova!-
Settimo piano. Ansia.
Si stava avvicinando
il fatidico momento. Già si vedeva mentre suonava il campanello con indosso una
maschera di dispiacere pronta a far fronte a quell’arrabbiata di sua madre.
Beh, almeno questa volta era sobria, poteva andargli peggio.
-Te lo avevo detto io!-
Ottavo piano. Morte.
Si avvicinò
lentamente a quella porta color marrone scuro che la fissava crudele e impietosa
mentre rindossava le scarpe. La sua mano si avvicinò al campanello come al
rallentatore, mentre cercava di gustarsi quegli ultimi attimi di libertà che si
sarebbero susseguiti a urla e un castigo epico. A vent’anni, in castigo come
una mocciosa. Da deprimersi.
Mentre stava per
premere il campanello, si udì uno sfrigolio sinistro e in un attimo tutto
diventò nero.
Pervasa da una strana
sensazione, premette con forza il pulsante di accensione della luce ma questi
non diede segno di vita. Poi provò con il campanello ma anche lì non successe
nulla.
Bloccata. Fuori casa.
Per un dannatissimo blackout.
Neanche la più tetra
delle barzellette avrebbe mai previsto un finale così insulso del suo sabato
sera.
Provò a bussare in
preda ad una crisi isterica, erano pur sempre le tre del mattino e lei era
chiusa fuori casa, ma nessuno rispose. Prese a schiaffi la porta facendosi
solamente del male ma il silenzio tornò a regnare venendo immediatamente interrotto
da una serie di imprecazioni da scaricatrice di porto.
Buttò malamente la
borsetta su un mobiletto del pianerottolo dopo averne tirato fuori il
cellulare.
Suo fratello non ne
aveva uno tutto per sé, quindi doveva chiamare il numero di casa. Dio, i suoi
genitori si sarebbero imbufaliti! Pronta a essere lapidata digitò il numero di
casa quando si accorse che con il blackout era sicuramente partito anche il
modem di casa, e che quindi chiamare non avrebbe portato a buoni risultati,
anzi non avrebbe portato proprio a niente.
Uno scintillio
proveniente dalla borsa la distrasse, facendole posare un attimo il cellulare
sul mobiletto per aprire meglio la pochette. S’insultò in tutte le lingue che
conosceva mentre tirava fuori dalla borsa le chiavi di casa, illuminate dalla
luce di emergenza che lampeggiava sopra la tua testa.
Erano dentro la tasca
interna. Le aveva messe lì per non perderle, per non dimenticarsele. Era veramente una sciocca di proporzioni cosmiche!
Con un altro
sfrigolio la luce e l’elettricità tornarono così come se ne erano andate.
Che Dio avesse avuto pietà di lei e avesse mandato quel blackout
per non farle suonare il campanello provocando così la sua morte per crisi
isterica materna?
Con un sospiro di
sollievo riprese in mano il cellulare e infilò le chiavi di casa nella toppa. Dopo
quattro mezzi giri, entrò finalmente in casa.
Qualcosa non
quadrava.
Perché c’era una luce
in salotto accesa?
E perché stava
squillando il telefono di casa?
Inorridita, abbassò
lo sguardo sul cellulare che teneva in mano. Uno di quei modelli nuovi, touch. La pubblicità recitava così
quando aveva deciso di comprarlo: “Con un semplice tocco, potrai chiamare
chiunque tu voglia!” e la ragazza della tv sorrideva contenta.
Alzò lo sguardo.
No, sua madre e suo
padre non stavano decisamente sorridendo contenti.
Dio non aveva avuto pietà di lei, lo sapeva da sempre che lui la
detestava!
Bon jour gente!
È la mia prima storia originale che scrivo, spero di non avervi
rubato cinque minuti per una sciocchezza ;D
Questa storia ha partecipato a una specie di contest indetto nel mio
liceo (Classico e Linguistico nella stessa sede, pensate un po’ che bordello
che è xD). Inutile dire che, come avrete notato, il tema un po’ scherzoso e
poco serio non è stato gradito molto e hanno preferito premiare due testi con soggetti
più seriosi (ma storie scritte divinamente, quindi non ho nulla da ridire sul
risultato!).
Solo che qui su EFP loro non ci sono, né ci sono i loro testi divini
quindi su incoraggiamento di un’amica ho postato la storia sperando che abbia
un po’ più successo ;D
Lo stile è diverso dalle altre Fic che ho sul profilo perché è un
po’ che non scrivo, a causa di svariati motivi, e quando ho ripreso avevo
completamente cambiato modo di scrivere. Non so il perché, non so il percome ma
ho deciso di vedere come va scrivendo così.
Spero di avervi strappato qualche risata, se vi ho fatto piangere,
ditemelo perché vuol dire che qualcosa non ha funzionato e sono sempre ben
accette le critiche (inutile dire solo quelle costruttive, no? xD)
Un bacione
Silvia
Post Scriptum
Se c’è qualche lettrice di Fiore… beh… ecco… la Fic non è morta!
Giuro! Solo che ho avuto qualche problema con il finale, con la scrittura (come
detto sopra) e con il mondo >.<