Prologo
La giovane donna immerse la chioma liscia e vellutata nella bacinella
piena d’acqua. Poi si alzò in piedi, i capelli
ancora gocciolanti e afferrò un sacchetto in pelle di
camoscio.
Ne trasse una polvere nera e la gettò nella bacinella.
Quindi immerse ancora i capelli e attese.
Intorno a lei era tutto silenzioso e in pace. C’era
un’aria pesante che traspariva dall’enorme
struttura in pietra.
Quel luogo era uno dei monasteri limitrofi, al confine con la palude,
l’ultimo baluardo di civiltà prima della
desolazione. Era abitato dalla confraternita della Mano Bianca e la
loro fortezza era il rifugio più sicuro per i pellegrini e
portava conforto ai poveri e agli ammalati.
Ma per lei quello era il luogo più pericoloso sulla faccia
della terra.
I monaci della Mano Bianca erano guaritori, uomini di scienza e
possedevano capacità magiche.
Erano linfalbini. Era un fenomeno innato che donava loro poteri
speciali. Nascevano nel loro sangue organismi biancastri
perciò detti albini, portatori di potenziale magico che
tramite la circolazione nutrivano il cervello. Così quegli
impulsi magici si sviluppavano all’intero della materia
grigia.
I primi anni di vita non erano diversi da quelli di normali bambini;
poi, raggiunti i sette anni, alcune cellule del corpo cominciavano ad
invecchiare.
Allora la pelle del bambino si seccava, impallidiva, talvolta si
copriva di leggere rughe, gli occhi divenivano acquosi; si trattava di
reazioni soggettive, chi le sviluppava di più chi di meno ma
c’era una cosa che li contraddistingueva in assoluto: i
capelli si striavano di bianco.
Ed era così che i futuri monaci erano presto
individuati, strappati alle famiglie e mandati a studiare nei conventi.
E vivevano rinchiusi fra quelle quattro mura, lontani dal calore della
casa e degli affetti familiari. Molti dimenticavano chi erano stati, il
loro nome, la loro discendenza.
Erano tutti uguali, tutti destinati a servire la strada della
conoscenza: erano destinati a diventare la casta.
Shara rabbrividì. Anche lei era stata prelevata e addestrata
e aveva goduto di quel potere, di quei benefici.
Si era sentita più fortunata, più forte di tutte
le sue coetanee e aveva studiato a lungo insieme ai suoi
compagni di privilegio.
Tutti si erano immersi in quelle conoscenze, esaltati dal potere che
raggiungevano sugli altri, ma lei aveva visto pian piano il mondo
incrinarsi davanti ai suoi occhi. I suoi compagni di studi perdevano la
loro umanità, impazzivano, inspirati dall’opera di
indottrinamento che il monastero metteva in atto. Lei era rimasta
l’unica, ancora incollata alla realtà; aveva
studiato il sistema, non era sbagliato.
È come una
pianta. Ha qualche ramo malato ma, tagliato quello, il resto del tronco
è solido.
Sentiva di non avere tutti i torti. In fondo gli ultimi cento anni
erano stati anni di pace.
Un secolo fa l’ordine dei monaci aveva raggiunto il potere e
aveva messo fine ai contrasti fra le tre unità protagoniste
della società dell’epoca: la famiglia reale, la
nobiltà e il popolo.
Non esisteva una vera classe mercantile e il commercio era nullo:
Filesis era una terra terribilmente arretrata e in lotta per il potere.
I monaci con l’appoggio del popolo e del re avevano
sterminato l’aristocrazia per poi indebolire il potere del
sovrano alleato. Loro avevano incrementato il commercio , creato le
corporazioni, piccoli paradisi chiusi ai forestieri, pallidi sogni di
coloro che non erano corporati per nascita o amicizie fortunate. Era
raro che si venisse accettati per i propri meriti; in un certo senso
avevano sostituito l’aristocrazia ma sapevano bene che se
avessero reclamato per se il potere sarebbero crollate sotto il comando
dei monaci.
Erano reti corrotte che non avevano alcuno scopo se non
l’arricchimento ma non dovevano turbare gli equilibri loro
imposti. Se avessero osato troppe ingiustizie sarebbero stati messi a
tacere dal potere delle masse; non c’erano scrupoli di sorta.
Eppure i monaci avevano portato un clima di benessere in tutta Filesis.
Certamente era stata perpetrata molta violenza ma si poteva
ricominciare.
Shara sospirò. Lei era la persona meno adatta a
quest’impresa; era una traditrice e non doveva farsi scoprire
in quel frangente: doveva nascondersi.
Due tocchi sordi rimbombarono nella stanza semi-vuota.
A Shara suonarono come una condanna a morte. Poi una voce acuta e
dolciastra filtrò dalla porta.
“È permesso?”
La giovane prese un panno ruvido posato poco lontano dal catino e se lo
avvolse intorno ai capelli: non sapeva se erano completamente neri
oppure la tintura doveva ancora fare effetto e non valeva la pena di
correre rischi.
“Avanti”
Nonostante tutto l’autocontrollo la voce suonò
malferma.
Fece ingresso nella stanza un monaco con una veste bianca, una cintura
nera e calzari in cuoio nero, che si allacciavano attorno a tutto il
polpaccio.
I lunghi capelli striati di bianco erano raccolti in una coda, gli
occhi erano lucidi e tremebondi. Doveva avere massimo
vent’anni, lei aveva imparato a riconoscere quella falsa
vecchiaia.
Non incuteva alcuna paura a prima vista ma poteva rivelarsi molto
più pericoloso di quanto si potesse immaginare. Non era una
figura anomala ma la voce squillante sconcertava Shara più
di ogni altra cosa. Doveva sperare di non conoscerlo o almeno che lui
non l’avesse mai vista. Ebbe fortuna: l’uomo si
avvicinò con piccoli passi e distese i denti giallastri in
un sorriso.
“Cara figliola, spero che non ti manchi niente. Sono qui per
esaudire tue eventuali richieste.”
Lei sentiva l’imperfezione nell’accento. Era
quell’esitazione, il tentativo di ricordare la lingua volgare
che forse non usava da secoli.
Anche lei aveva avuto problemi a recuperare la sua
familiarità con il volgare. Nei monasteri fra fratelli si
parlava l’absito.
Era la lingua della cultura ed era completamente diversa dalle lingue
popolari.
Anche lei in quel momento non riusciva a trovare le parole. Quel luogo
era stregato, le sibilava nell’orecchio parole in absito che
si facevano strada nella sua mente. Erano inviti suadenti che le
scivolavano sulla lingua. Lei le ricacciava in gola avvertendo una
sorta di dolore fisico.
“Figliola, ti senti male?”
Il suo sguardo era indagatore e cercava di mettere a fuoco il volto
della ragazza. Non doveva permettergli di avvicinarsi ancora.
Con un grido muto, disperato si lasciò sfuggire dalle labbra
un mormorio strozzato:
“Fame...”
Masticò quella parola e piano piano ritrovò
familiarità, ricacciando indietro l’absito come
una pillola amara da ingerire.
“Io avrei un po’ di fame, ma devo mangiare in
fretta...devo partire.”
Il monaco si addolcì e con voce accondiscendente
replicò:
“Ma bimba cara, è quasi buio. Dove andresti a
quest’ora? Tu devi riposare. Penserò io a portarti
da mangiare”
Sentiva le palpebre farsi pesanti e il corpo perdere rapidamente le
forze, afflosciarsi sotto quel peso immane. L’uomo riprese a
parlare sibilando:
“Delle consorelle si occuperanno di te. Sei in buone mani,
bambina.”
Mentre il monaco usciva dalla cella con passi piccoli ma pesanti, Shara
entrò nel panico.
Doveva sperare che la tintura avesse fatto il suo effetto. Altrimenti
avrebbe dovuto fuggire.
Ma come avrebbe fatto a trovare una via di fuga quando si trovava in un
monastero a picco sui monti Nubion?
Srotolò in fretta il panno ma si sentiva la testa ovattata,
desiderosa solo di dormire. Verificò che la tintura era
stata applicata; poi attese l’arrivo dei monaci.
Non dovette attendere a lungo. Comparvero due anonime monache e lei
potè tirare un sospiro di sollievo.
L’unica provincia vicina a quella di Neietta, conquistata con
una manovra politica dai monaci e da allora chiamata Lifelbina. Lei era
ancora una bambina quando aveva dovuto chiamare la sua città
natale con quel nuovo appellativo. Era la provincia più
vicina e Shara temeva che tutti i giovani monaci provenissero
da lì. Così si alzava sempre di più la
possibilità di incontrare persone conosciute.
Ma per il momento quelle due donne erano delle perfette sconosciute.
La svestirono e la misero a letto, credendola completamente priva di
forze. Portarono anche abiti femminili, ritenendo la sua camicia e i
suoi pantaloni in pelle sconvenienti per una giovane donna.
Shara ringraziò la sua buona sorte: non l’avevano
lavata, prima di metterla a letto, altrimenti avrebbero sciolto la
tintura ancora troppo recente per aderire bene.
Si coprì ancora di più con la pesante coperta di
lana. Sentiva la paglia, e ancora sotto la superficie di legno.
L’avevano fatta stendere sul giaciglio sulla parete di fronte
alla porta. Accanto c’era una brocca di coccio con
dell’acqua e anche un boccale di Diarik, un liquore molto
forte; forse un augurio a riprendersi. Finalmente si sentì
al sicuro, dopo tanto tempo. Le piaceva quella sensazione, come avrebbe
voluto abbandonare la sua vita precaria a cui lei stessa si era
condannata e riabbracciare la sua vecchia vita. Solo ora sentiva che
non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere da sola.
Non dopo quello che aveva passato: non avrebbe più barattato
la sua anima per un pasto caldo e un rifugio. Non era ancora
così disperata. Domani avrebbe riunito in se il coraggio e
sarebbe ripartita per i suoi vagabondaggi.
Rimessasi in forze, si lasciò il luogo alle spalle
l’indomani, con il freddo che imperversava. Nessuno aveva
sospettato nulla.
Le avevano offerto una zuppa di legumi con il pane secco dentro e un
pezzo di carne ben cotto. E quando lei aveva chiesto di allontanarsi,
le avevano ceduto la coperta di lana e alcune provviste: carne e
verdure secche o salate.
Ne era sempre più convinta: il sistema non era completamente
guasto. Per questo c’era ancora speranza nel mondo.
L'angolo dell'autrice
Salve
a tutti, cari i miei lettori chiunque voi siate e se non ne ho nessuno
vuol dire che il prologo è scritto talmente male che farei
meglio a darmi all'ippica ù.ù
Premetto che l'idea di pubblicare su EFP non è mia
e ringrazio le mie adorate evm e Kill Bill
per avermi convinto/costretto a farmi avanti e a pubblicare questa
storia che sto covando da quasi un anno.
Vi anticipo che i capitoli originari sono lunghi anche dieci pagine
quindi ho preferito spezzarli. Manovra molto comoda dal
momento che non ho finito la storia (AVVERTENZE potrebbe essere
lunghina) e ho davvero poco tempo per scrivere quindi rischierei di non
aggiornare per mesi <.<
In generale aggiornerò una volta a settimana, fra il
venerdì e la domenica, e, quando sarò a corto di
capitoli e non riuscirò a scriverne di nuovi allora
metterò un bel cartello "Work in progress" e poi si
vedrà.
Nel frattempo leggete, se vi ispira seguite, recensite, cestinate,
ditemi che è bella, che fa schifo, io più di
tanto non mi offendo (vi inseguo solo con un forcone in mano,
mwaaahahahah :D ).
Difficilmente prenderò in considerazione suggerimenti sulla
trama, sui personaggi o altro perchè ho un'idea molto
precisa di come si deve sviluppare il tutto ma se qualcuno/a
di voi mi fa trovare un'idea particolarmente originale in una delle
recensioni potrei decidere di inserirla.
Inutile dire che mi piacerebbe sentire qualche parere anche se io
stessa tendo a leggere molto e a recensire poco.
That's all people! tatatatan!
Abbi