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Autore: alister_    10/04/2011    1 recensioni
I vampiri hanno le loro abitudini, le loro esigenze, le loro regole. Mentre la vacanza in Romania del giovane Marcus si trasforma nel peggiore degli incubi, il vampiro centenario John si ritrova faccia a faccia con il suo creatore, che non pare essere molto tollerante nei confronti della sua condotta. Una semplice mattinata di due vampiri a Bucarest, con tutti gli spargimenti di sangue del caso.
[Seconda classificata al "Vampires ain't gentle" contest della Writers Arena]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota introduttiva

Questa storia nasce per il contest "Vampires ain't gentle" indetto da LeftEye, a cui si è classificata seconda (o - dato che siamo rimaste solo in tre a partecipare - anche penultima, ma dire seconda fa molto più figo). La traccia presentava tre parametri da rispettare: ambientazione in Romania, vampiro davvero crudele e spietato, morte cruenta di almeno un personaggio.La storia è, ovviamente, già conclusa, perciò chi già conosce me e la lentezza esasperante dei miei aggiornamenti non ha di che preoccuparsi.

 

Disclaimer: è tutto frutto della mia testolina bacata, e vado molto fiera dei miei vampiri perversi e privi di senno, perciò giù le zampe!

 

 


Aima

 

1

 

Che cosa si prova a morire?

Se l'era chiesto spesso, negli anni, con l'ansia tipica di chi ha tutta la vita davanti e ha paura di perderla.

Sofferenza apatica: così si sarebbe risposto in quel momento, se solo avesse avuto la forza di parlare. O di pensare.

La prima volta, aveva avuto paura. Anzi, chiamarla così- paura- era un eufemismo. Era letteralmente terrorizzato: non riusciva a respirare, pensare o muoversi. I suoi sensi erano ottenebrati dal gelo e dal tremore che si diffondeva in tutto il corpo. L'unica sensazione che provava era il dolore lento e lancinante al collo, l'unico pensiero che riempiva la sua testa era la certezza di essere prossimo alla morte.

In quel momento, a distanza di tre interminabili giorni, riusciva a sopportare la tortura con un certo distacco. Aveva avuto tempo per capire che cosa gli stesse accadendo, e aveva avuto tempo anche per accettare l'idea che presto sarebbe morto.

Chiuse gli occhi, mentre il sangue fluiva lentamente via dal suo polso sinistro per posarsi sulla lingua di quella creatura diabolica.

La sua sarebbe stata una fine lenta.

Non aveva fretta, anzi. Si nutriva di lui con una lentezza esasperante, come una bambina che assapora lentamente un gelato al suo gusto preferito.

Le energie incominciavano ad abbandonarlo. Sentiva il suo corpo farsi leggero, inconsistente. La sua mente stava perdendo definitivamente ogni contatto con l'assurda realtà di quella lussuosa stanza d'albergo.

(Chi l'avrebbe mai detto che andando in vacanza in Romania- nella patria di Dracula- sarebbe finito preda di un vampiro...)

Succhiava, e altro sangue abbandonava il suo corpo.

(Chi avrebbe mai pensato che i vampiri esistessero davvero...)

Con la delicatezza di un lungo bacio, leccò i margini della ferita. Neppure una goccia doveva imbrattare il costoso copridivano.

Infine si alzò. Con un scatto rapido ed elegante raddrizzò la schiena e si stirò, soddisfatta. Sul suo viso non c'era neppure un rivolo di sangue e la sua espressione serena la faceva sembrare l'innocenza fatta a persona.

Non per niente l'aveva ingannato.

Lui era solo un turista disorientato e desideroso di fare amicizia- e, perché no, anche di scopare; del resto non ci si imbarca certo in un road trip nell'Est Europa senza un'adeguata scorta di profilattici- e lei, lei l'aveva abbordato in un bar con il più grazioso dei sorrisi. Tutto in lei era incredibilmente grazioso. Era piccola e minuta, con un viso pallido a forma di cuore su cui campeggiavano due occhi scuri e profondi; i lunghi boccoli color noce moscata che arrivavano a sfiorarle i fianchi sembravano provenire da un'altra epoca, e l'impressione era rafforzata dalla gonna a balze che indossava. Una graziosa gothic lolita, aveva pensato. I suoi lineamenti delicati, quasi infantili, in un primo momento l'avevano confuso: non era sicuro che fosse esattamente il suo tipo di donna e neppure che si potesse definire tale una creaturina così esile. Ma quando gli aveva rivolto la parola, tutti i suoi dubbi su gusti ed età avevano perso di significato. Tutto si era confuso, ed era rimasta solo lei, con i suoi occhi penetranti e la sua voce sottile e melodiosa. Non avrebbe saputo dire di cosa avessero parlato per più di un'ora. Il mondo attorno a lui sembrava ovattato ed aveva ripreso consistenza solo quando, tra le eleganti mura di uno degli alberghi più lussuosi di Bucarest, lei aveva trasformato un delicato bacio sul collo in un affondo privo di pietà.

Lentamente, la camera in cui si trovava da quella maledetta sera tornò a delinearsi dinanzi ai suoi occhi. In un fruscio di balze e merletti, la vide coprire con passi lunghi e leggiadri la distanza che la separava dal bagno. Sentì l'acqua scorrere e capì che si stava sciacquando la bocca- o forse lavando i denti- per eliminare ogni traccia del suo spuntino.

Bussarono alla porta. Non mosse neppure un muscolo, perché sapeva che anche quel giorno, come i precedenti, il servizio in camera avrebbe consegnato il pranzo senza neppure accorgersi che un uomo seminudo, incatenato e prossimo al dissanguamento giaceva inerme sul divano.

-Si mangia, Marcus!-, trillò invece il mostro, svolazzando dal bagno alla porta come una ballerina di danza classica.

Esibì il suo sorriso immacolato ad un'ignara cameriera, sfilandole dalle mani il vassoio. Riuscì a posarlo sul mobile più vicino senza dover aprire la porta più del necessario. Marcus rimase immobile sul suo divano, i muscoli rattrappiti che tornavano a dar segni di vita provocandogli fitte di dolore per la posizione forzata in cui si trovava da ore. Era inutile sforzarsi di muoversi o fare rumore: attraverso uno spiraglio così sottile, la donna di servizio non avrebbe potuto vederlo neppure torcendo il collo, e del resto, se anche l'avesse notato, Ivory sarebbe di certo riuscita a convincerla che tutto andava bene con un sorriso o una parola gentile, nello stesso modo in cui aveva convinto lui a seguirla.

Ivory. Così si chiamava il demonio.

“E' il nome che mi sono scelta io”, gli aveva detto lei, qualche sera prima. Sembrava che traesse una sorta di sadico divertimento dal chiacchierare amabilmente con lui dopo averlo ferito e torturato. “Quando devi passare l'eternità con un nome, è consigliabile che almeno sia raffinato. Vivere quattrocento anni con il mio nome di battesimo sarebbe stata una tortura insopportabile”.

-Tutto bene, grazie! Il servizio è davvero eccellente, lo riferisca a chi di dovere!-

Congedata con l'ennesimo sorriso diabolico la cameriera, Ivory tornò a concentrare la sua attenzione su di lui.

-Ecco qui!-

Si avvicinò al suo angolo di prigionia portandogli il vassoio con l'eleganza di una cameriera d'altri tempi- con tutte quelle balze nel vestito lo sembrava proprio- e lo posò sul piccolo tavolino vicino al divano.

Marcus non si mosse; a stento gettò un'occhiata a quella che avrebbe dovuto essere il suo pranzo.

-Avanti, non fare quella faccia da moribondo. Non ti ho mica succhiato via l'anima! Una bistecca al sangue è quello che fa per te: con un po' di ferro in più vedrai che ti sentirai già meglio-.

Con un piede, gli avvicinò ancor di più il tavolino.

-E adesso non contrariarmi e mangia-, sentenziò, gelida. -Non ho alcuna intenzione di imboccarti-.

A fatica, Marcus si mise seduto. Quel minimo spostamento gli provocò un fortissimo giramento di testa, tanto che per un istante pensò di essere sul punto di perdere i sensi. Sotto lo sguardo severo della sua aguzzina, si sforzò di impugnare le posate: non erano le catene a rendergli gravoso ogni piccolo movimento, ma la mancanza di energie. Ciononostante, si diede da fare per tagliare un pezzo di carne e portarselo alle labbra: anche masticare si rivelò uno sforzo sovrumano, e il tempo che gli servì per mandar giù un boccone gli sembrò infinito.

-Bravo Marcus, così mi piaci-, commentò Ivory guardandolo di sottecchi: aveva perso interesse per il suo pasto ed era passata con disinvoltura al suo guardaroba. Con le dita esili accarezzò il bordo di un vestito rosso e bianco, composto da uno stretto corpetto e da una vaporosa gonna a balze.

Mentre era concentrata sui suoi abiti, Marcus cercò di mettere da parte il dolore fisico e la spossatezza mentale per assaporare il suo pasto: avrebbe potuto essere l'ultimo.

-Perchè lo fai?-

Le parole gli sfuggirono dalle labbra senza che neppure se ne rendesse conto. Fu un sussurro, ma le orecchie sensibili del vampiro non ebbero difficoltà a coglierlo.

-Che intendi, Marcus?- chiese, e tornò a prestargli attenzione con rinnovato interesse. Il fatto che le rivolgesse la parola doveva essere per lei un'interessante novità, una nuova possibilità di appagare il suo ego sostituendo i monologhi che era solita tenere con una vera e propria conversazione.

Perchè mi dai da mangiare? Perchè mi tieni incatenato al tubo del lavandino in modo che non possa fare più strada che quella che separa il divano dal cesso? Perchè mi parli, perchè mi guardi? Perchè semplicemente non mi squarci la gola e mi dissangui una volta per tutte, come fanno i vampiri nei film, anziché torturarmi pian piano ogni giorno?

Si era fatto quelle domande più di una volta durante quei giorni di prigionia, eppure non aveva mai avuto né il coraggio né la forza di pronunciarle ad alta voce. Così fu anche in quell'occasione: spossato e impaurito, riuscì solo a indicare il suo piatto con un lieve cenno del capo. Ma a Ivory bastò quello per intuire l'intero discorso, e rise.

-Ah, Marcus-, sospirò, gettando all'indietro la chioma folta ed elegante. Marcus, Marcus, Marcus: continuava a ripetere ossessivamente il suo nome ad ogni frase, come se volesse insinuarsi sotto la sua pelle e prendere possesso del suo corpo e della sua anima. Sei il mio schiavo: era questo che in realtà gli sussurrava all'orecchio ogni qualvolta pronunciava il suo nome.

-In poche parole, tu vuoi sapere perchè ho cura di tenerti in vita, dico bene?-

La forchetta scricchiolò fastidiosamente contro la superficie liscia del piatto mentre mancava un boccone e annuiva, cercando di celare il disagio che lo paralizzava.

Lei rise, ancora.

-Hai visto troppi film, Marcus. Non tutti i vampiri sono dei pazzi assetati di sangue che saltano alla giugulare del primo malcapitato che incontrano, sai? All'inizio è così. I vampiri appena trasformati sono così bramosi di sangue che dissanguano chiunque capiti loro a tiro. E non sono mai sazi, mai. Ma io, caro Marcus, io sono in giro da parecchio tempo e non ho più queste turbe giovanili-.

Lo fissò, con occhio critico, e lui cercò in ogni modo di sottrarsi a quel contatto, pentendosi e maledendosi per essersi lasciato sfuggire quella domanda: si ostinò a fissare il suo piatto, ormai quasi vuoto, ma Ivory continuò a scrutarlo imperterrita.

-Cercherò di spiegartela in maniera più comprensibile-, riprese, senza sembrare minimamente intenzionata a lasciar cadere l'argomento. -Sia i vampiri che gli umani si nutrono, okay? Soltanto mangiano cose diverse: i vampiri il sangue, e gli uomini... La carne. Mangiano anche dell'altro, ma la carne è essenziale, ne convieni?- Marcus, ancora una volta, fu forzato e si forzò ad annuire, e lei riprese subito il suo discorso. -Bene, quindi gli uomini mangiano carne, carne che comprano al supermercato o dal macellaio. La comprano, Marcus, la mettono in frigo, e quando hanno voglia di mangiare li basta tirarla fuori e buttarla qualche minuto in una padella. Facile, no? Pensa un po' se ogni volta che ti viene fame dovessi uscire e andare a cacciare una vacca, Marcus: non sarebbe una gran rottura? Sei lì, con i crampi allo stomaco, e invece di avere la cena in frigo devi andare a procacciartela con le tue sole forze. Ecco, per me è la stessa cosa: perchè mai dovrei darmi da fare per adescare qualche ben giovanotto ogni volta che sono affamata quando posso avere uno spuntino sempre a portata di mano?-

Uno spuntino. Ecco che cos'era lui, il turista incatenato pieno di lividi e morsi, privo di energie e forze: la merenda di un vampiro.

-Sai, Marcus, di solito c'è chi pensa a procurarmi il cibo prima ancora che senta l'esigenza di nutrirmi. A casa, nel mio palazzo a Praga, ho sempre a portata di mano tutto ciò di cui ho bisogno. Ma ora che sono in trasferta in terra straniera mi devo arrangiare, e questa è la soluzione più pratica.-

Quindi finchè fosse rimasta a Bucarest, lui sarebbe rimasto vivo. Come spuntino, come soluzione più pratica, ma comunque vivo. La domanda che sorgeva spontanea era dunque questa: quanto si sarebbe fermata ancora? Quanto gli restava da vivere? Perchè fosse ancora così attaccato alla vita in una situazione tanto disperata, non sapeva spiegarselo.

-Ma ora, Marcus-, riprese lei, e volteggiò di nuovo fino al suo guardaroba. Prese in mano il vestito bianco e rosso di poco e prima e subito dopo ne afferrò un altro di un cupo blu notte. -Aiutami a scegliere. Ho un appuntamento con un vecchio amico, e ho proprio bisogno di un parere maschile-.



 

 

 

 

 

 

Postilla conclusiva:

Tengo molto a questi personaggi, quindi è altamente probabile che il mio Livejournal sia presto infestato da post che riguardano loro e più in generale la trama di questa storia.

Sulla mia pagina Facebook trovate invece aggiornamenti e varie!

 

   
 
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