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Autore: Melanyholland    13/04/2011    10 recensioni
Certi sogni non ti facevano svegliare con un grido ancora incastrato in gola, certi sogni non si frantumavano davanti ai tuoi occhi. Certi sogni erano grandi, erano belli, e potevi viverci per sempre.
Storia classificatasi prima nel Contest su Fabrizio de André indetto da Ray08.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Empire Burlesque

Autrice: Melanyholland

Iniziativa: Contest su Fabrizio de André indetto da Ray08

 (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9667120 )

Citazione usata: “Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi solo i sogni che non fanno svegliare?”, da Canzone del Padre.

Personaggi: un po’ tutti

Timeline: future-fic

Rating: arancione

Summary: Certi sogni non ti facevano svegliare con un grido ancora incastrato in gola, certi sogni non si frantumavano davanti ai tuoi occhi. Certi sogni erano grandi, erano belli, e potevi viverci per sempre.

Disclaimer: Gossip Girl non è mio, ho solo preso in  prestito i suoi personaggi per divertirmi un po’.

 

 

 

Empire Burlesque

 

 

“Congratulazioni. Le prenotazioni sono già aumentate del tredici percento.” annunciò K.C., voce squillante e ampio sorriso cerimonioso. “Praticamente ogni persona che conti qualcosa vuole partecipare al party.”

“Bene.” mormorò Chuck, prendendo un sorso di scotch.

“Sono tutti entusiasti. È stata un’idea fantastica”.

Ma certo che lo è stata, pensò Chuck. È un’idea di Blair, ed è lei a essere fantastica. Da sempre.

“In più...”, K.C. fece una pausa ad effetto, tirando fuori dalla borsa di coccodrillo una copia del New York Times: “...la festa e l’Empire sono in prima pagina”.

Chuck lanciò un’occhiata alla propria foto, sullo sfondo il suo albergo e in alto il titolo in grassetto che annunciava il tema del party imminente, e ricordò la caricatura di Bart sull’Observer, il giorno in cui aveva mostrato il suo primo locale a Blair. Gli parve quasi di sentire di nuovo la trepidazione e l’ansia al pensiero di mostrare a suo padre il progetto del Victrola, e il bisogno istintivo e quasi inconscio di avere l’approvazione di lei, prima di spiegare tutto sotto lo sguardo severo e il cipiglio intransigente di Bart. L’agitazione era stata una cosa viva, che gli crepitava elettrica sotto la pelle, impedendogli di restare fermo anche solo per un paio di minuti. E Blair lo aveva capito, quanto fosse importante per lui, e le sue prese in giro erano state leggere e scherzose, mentre lo incoraggiava con complimenti velati e sorrisi che, per una volta, non celavano alcuna malizia.

Blair lo aveva sempre compreso meglio di chiunque altro, perfino di se stesso. Sapeva che Chuck voleva tanto che Bart fosse fiero di lui e che non aveva mai smesso di desiderarlo, anche dopo che il padre era morto. Ora, con le Industrie Bass riunite sotto di lui e gli alberghi e i locali che gli facevano guadagnare ogni giorno milioni di dollari, Chuck era convinto di aver raggiunto il suo obiettivo, finalmente. Era diventato un uomo d’affari di successo. Se fosse stato ancora in vita, nemmeno l’austero Bart avrebbe potuto negare che era stato mostruosamente abile e decisamente all’altezza del prestigioso cognome che il genitore gli aveva trasmesso.

La festa di quella sera avrebbe sancito la sua posizione come finanziere più facoltoso di New York. Non solo la lista degli invitati annoverava i personaggi più illustri dell’alta società, ma anche personalità di spicco di Hollywood. L’atteggiamento trionfante di K.C. era comprensibile.

“Assicurati che sia tutto perfetto.” ordinò tagliente, prima di finire lo scotch in un unico sorso che gli arse la gola e gli fece stringere le labbra. L’abito che aveva comprato a Blair per la serata lo era decisamente. Lo aveva fatto confezionare da Valentino in esclusiva per lei. Senza spalline, per mettere in risalto le spalle lisce e la curva aggraziata del collo, con un’ampia gonna a balze che lasciava scoperte le belle gambe dalle ginocchia in giù. La vita sottile e la linea sporgente dei fianchi sarebbero state accentuate dalla sfarzosa cinta di raso scintillante. Il vestito invece era di seta e a fiori. Rossi, ovviamente. Il colore della passione, il colore delle labbra di Blair la prima volta che le aveva baciate.

Posò il bicchiere sul bancone della suite per versarsi un altro po’ di scotch. Solo un dito, perché non poteva certo presentarsi alla festa ubriaco, e mancava solo qualche ora (quattro ore e trentatrè minuti). Il suo stilista sarebbe stato lì tra poco per fargli provare il completo.  

“Vado subito ad accertarmi che il catering non abbia fatto altri danni.” annunciò K.C. e la voce le si increspò in un tono seccato. Chuck registrò l’informazione e subito la dimenticò, intrappolato nei propri angusti pensieri. Udì appena il campanello dell’ascensore mentre lanciava un’altra occhiata al giornale che la responsabile delle pubbliche relazioni aveva lasciato sul bancone accanto a lui prima di andare via. L’Impero di Chuck Bass verso la sua consacrazione. Sì, suo padre sarebbe stato orgoglioso. Chuck era diventato come lui.

Fin troppo.

 

~

 

Blair guardò l’abito sul proprio letto, appena estratto dalla scatola e dalla custodia vaporosa e frusciante di carta velina rosa.

“È meraviglioso, B.!” esclamò Serena, e lei non poteva che essere d’accordo. “Sarai bellissima.” aggiunse, con un sorriso caloroso. Blair rispose al sorriso, facendo scorrere la mano sulle balze della gonna. Erano morbide e leggere. Blair era certa che avrebbero ondeggiato dolcemente ad ogni passo, donando grazia ed eleganza al suo incedere.

Chuck aveva sempre avuto un gusto infallibile in fatto di regali, rifletté. Peccato che non fosse altrettanto bravo anche in altri campi. 

Devo essere bellissima, S. È una serata importante”.

Serena la guardò con affetto per un istante, poi il tono e il sorriso si colorirono di divertimento: “Sì, era piuttosto chiaro, dopo che hai terrorizzato quella povera responsabile del catering.”

 “Aveva fatto piegare i tovaglioli a forma di cigno, Serena.” le ricordò Blair, accigliandosi. “Io avevo detto chiaramente a forma di uccello del paradiso. Già che c’era, perché non ha decorato il salone di rose invece che di orchidee? Così, avremmo potuto cambiare il tema della festa in Le Sette Banalità del Mondo.”   

“Mi piacciono le rose”, puntualizzò sbadatamente Serena con una scrollata di spalle, ma ad un’occhiata irritata di Blair decise (saggiamente) di cambiare fulminea argomento: “Che te ne pare del mio vestito?”.

La sua migliore amica le rivolse uno sguardo brioso e poi fece una piroetta, un vortice di capelli biondi e chiffon azzurro, leggiadra come una ballerina nonostante tutti i tentativi di Lily di farla appassionare alla danza classica fossero falliti miseramente (troppa disciplina, per una bambina che amava correre libera e saltare gioiosa dappertutto). Blair occhieggiò con cura l’abito che fasciava in modo impeccabile il fisico longilineo e sensuale di Serena: la scollatura a V era fin troppo generosa e lasciava intravedere gran parte dei seni, come al solito, ma i brillanti sull’orlo del tessuto e intorno alla vita erano delicati e molto belli, e lo spacco sulla gonna riusciva a far sbirciare la lunga gamba sinuosa senza risultare volgare. 

“Sei splendida. Lo lascerai senza fiato.” la lodò sincera, poi non poté impedirsi di aggiungere, raffreddando il tono di un paio di gradi: “Come sempre”.

Serena non se la prese. Anzi, la visuale di Blair fu all’improvviso invasa da una nuvola di capelli dorati che le solleticarono il naso quando Serena la strinse in un abbraccio.

“Grazie, B.” bisbigliò, con tenerezza.

Blair ricambiò la stretta e si rilassò fra le braccia della sua migliore amica, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal calore avvolgente del suo corpo e dalla freschezza setosa dei suoi capelli.

L’abbraccio di Serena era sempre stato confortante per lei, un rifugio in cui si sentiva amata e al sicuro. Quando ripensava ai suoi momenti più bui (e al più oscuro in assoluto) il primo ricordo che le tornava in mente era proprio la sensazione delle braccia protettive di Serena intorno a lei, e la fragranza del costoso profumo che Blair stessa aveva scelto anni prima per la sua migliore amica, e che Serena non aveva mai cambiato, nemmeno durante i loro numerosi litigi.

“Di niente”, rispose piano, ed entrambe sapevano che non stavano parlando solo del complimento che le aveva fatto sulla scelta dell’abito. Dopo qualche secondo ancora, Blair sollevò le palpebre e  la sospinse via con dolcezza.

“Muoviamoci adesso, S. Dobbiamo pensare ai tuoi capelli.” dichiarò, passando le dita fra le ciocche rigogliose che le ricadevano disordinatamente sulle spalle, in quello stile distratto che avrebbe fatto apparire chiunque trasandato, ma che Serena riusciva a far diventare un tratto distintivo della sua bellezza, una bellezza spigliata, per cui non occorreva alcuno sforzo. Blair, che da sempre spendeva ore davanti allo specchio per arricciare la propria chioma in boccoli perfetti o per renderla liscia e impeccabile (con Dorota, ovviamente, perché lei non era Juliet Sharp), aveva sempre invidiato la disinvoltura con cui la sua migliore amica poteva uscire di casa effettivamente spettinata e risultare comunque affascinante, perfino con una coda di cavallo o uno chignon arrangiati all’ultimo minuto.  

Serena, per l’appunto, s’imbronciò:

“Pensavo di lasciarli sciolti.”

“Non se ne parla.” ribatté Blair, rigida. Serena alzò gli occhi al soffitto e sbuffò, ma un lieve sorriso le aleggiava sulle labbra rosee e negli occhi azzurri mentre si lasciava condurre verso lo specchio e una Dorota già armata di spazzola e phon.

 

~

 

Il salone dell’hotel era gremito di persone, un arcobaleno di abiti firmati e capigliature sofisticate, un brusio costante alimentato dalle chiacchiere degli invitati e punteggiato ogni tanto dal tintinnio dei bicchieri di cristallo l’uno contro l’altro, tenuti fra le dita adornate di gioielli. Chuck se ne stava al bar, in attesa dell’unica invitata che contasse veramente (non la moglie del senatore, che aveva salutato fascinoso con un bacio sulla mano un’ora prima, e nemmeno quella cantante poco più che adolescente, idolo delle teenager di tutto il mondo, per cui aveva riservato un salottino privato). La serata era già a metà e Blair non si era ancora vista.

“Vuoi sapere cosa penso?” lo apostrofò Blair da dietro le sue spalle, cogliendolo di sorpresa. Era quasi mezzanotte e lui era chino sul suo laptop nel salotto della suite, la testa che gli doleva e gli occhi che gli lacrimavano per lo sforzo.

“Mi spiace. Adesso arrivo.” sussurrò, perché le aveva promesso di raggiungerla subito a letto solo... più di un’ora prima. Blair lo cinse da dietro, e Chuck sentì il soffice tepore del suo seno contro la nuca, mentre le mani gli accarezzavano il petto e le labbra gli posavano un bacio amorevole sulla testa. Lei era calda per il sonno e profumava della crema per la pelle all’albicocca che si spalmava prima di andare a coricarsi.

“Non volevo sgridarti”. Ci pensò su e aggiunse, in tono pungente: “Anche se lo meriteresti. Lo sai che mi sveglio se rigirandomi nel letto trovo la tua parte vuota e fredda”.

Sì, aveva sempre adorato l’abitudine di Blair di accoccolarsi contro di lui, d’istinto, pochi minuti dopo che l’aveva raggiunta fra le lenzuola. Era raro che non si svegliassero abbracciati quando riposavano nello stesso letto, che fosse perché si erano addormentati in quella posizione dopo aver fatto l’amore, o perché appunto uno dei due si era rannicchiato addosso all’altro durante il sonno.

Era come se, perfino nell’incoscienza, i loro corpi fossero fatalmente attratti. 

“Scusa.” mormorò, ed era davvero dispiaciuto, ma il ricordo dei risvegli fra le braccia di Blair gli aveva regalato un lieve sorriso. Per fortuna che lei non lo stava guardando in faccia, altrimenti era probabile che si sentisse presa in giro, permalosa ed irritabile com’era.

“Quello che volevo dire è...”. Blair fece una pausa per raccogliere le idee, e anche se era dietro di lui e quindi poteva ascoltare solo la sua voce, Chuck non ebbe difficoltà ad immaginarsela con la fronte corrugata, a mordicchiarsi il labbro inferiore in quel modo allettante che lo faceva impazzire. Le prese la mano al cui anulare brillava il diamante Harry Winston  e le baciò il dorso con uno schiocco sonoro.

“Gli industriali, i politici, gli avvocati... quando viaggiano, pernottano sempre in hotel come l’Empire, o il Palace. Hai già quella fetta di mercato. Per battere gli Hilton, o i Thorpe, o chiunque altro, devi riuscire ad accaparrarti anche un altro tipo di clientela”.

Avvolto nell’intimo calore dell’abbraccio di lei, Chuck socchiuse gli occhi e sorrise pigramente:

“Ad esempio?”, e sapeva che la sua brillante regina aveva già la risposta.

“Ad esempio, per citare Carrie Bradshaw, la casta che tutti, ricchi e poveri, adorano senza riserve.”

“Le star di Hollywood?” indovinò, e Blair tremò deliziosamente contro di lui, scossa dalle risa.

“Chuck, sei un fan di Sex and the City?” lo pungolò, irridente. Chuck arrossì un poco, di nuovo lieto che lei potesse sbirciare il suo volto solo dal riflesso opaco sullo schermo del computer.

“Ho visto qualche puntata mentre ero fatto.” minimizzò, poi fece un sorrisetto vizioso. “Dimmi un po’, Blair: anche tu racconti a Serena quello che facciamo in camera da letto, quando vi vedete?”. L’idea, doveva ammetterlo, era piuttosto stuzzicante.

“Non solo in camera da letto, Chuck.” ammise lei, ilare e civettuola e si abbassò  per baciargli il collo, cosicché i seni ora gli premevano invitanti contro la schiena. Chuck rise sommessamente per l’adorabile sfacciataggine e poi mandò un sospiro estasiato  per la doppia, squisita sensazione.

“Comunque”, riprese lei, insinuandogli una mano nella vestaglia color lavanda per accarezzargli gentilmente i peli sul petto. “Se riuscissi ad avere nel tuo hotel qualche star, non ci sono dubbi sul fatto che molti altri, al momento di scegliere se alloggiare al lussuoso Empire o all’altrettanto lussuoso Hilton, opteranno per il primo. Non credi?”

“Credo che la mia fidanzata sia un genio.” dichiarò lui con convinzione e si girò, afferrandola per mettersela in grembo. Blair trasalì ed emise un gridolino di protesta, ma aveva un fisico così snello e leggero che non gli ci volle molto per averla tra le braccia, a portata di bacio. Sorpresa dal repentino cambio di posizione, si rilassò solo nel momento in cui Chuck schiacciò le labbra sulle sue e le affondò una mano nella cascata florida di boccoli scuri. Mentre la baciava con ardore, esplorando la bocca umida e accogliente con la lingua, Chuck percepì le unghie di Blair nelle spalle, dove gli si aggrappava sempre quando spingeva dentro di lei, e grugnì eccitato, posandole una mano su un seno. A quel punto Blair mugolò, inarcandosi e schiacciando la soda rotondità ancora di più contro il suo palmo, bisognosa. Chuck sorrise beato (era sempre così ricettiva, quella ragazza) e l’altra mano scese giù fino a palparle lasciva le coscia nuda sotto la corta camicia da notte.

“Chuck”, sospirò lei, soffiandogli calore sulle labbra bagnate, e quando divaricò le gambe allusiva, lui non poté che accontentare con estremo piacere  la sua tacita richiesta.

“Hai già un’idea di come attirare questi vip?” le domandò dopo, accaldato e ansimante, sdraiato sul divano. Portava ancora la vestaglia, mentre Blair era squisitamente nuda fra le sue braccia, la camicia da notte un cumulo indistinto abbandonato sul pavimento. Chuck non aveva smesso di accarezzarla, languido, e si godé la vista di un capezzolo che si irrigidiva per le sue impudiche attenzioni. Blair gli rivolse quel sorrisetto furbo che a Chuck faceva sempre venir voglia di baciarla ancora e ancora, gli occhi scintillanti di arguzia, le guance soffuse di rossore.  

“Può darsi...”

“Complimenti, Chuck. Questo party è un vero successo.” si congratulò Serena, sorridente. Era così concentrato in quei bei ricordi da non essersi accorto che lei e Nate gli si erano seduti ai fianchi. Scoccò un’occhiata al cocktail color arancia che la sua sorellastra teneva tra le dita, e notò con un sorrisetto asciutto che era perfettamente intonato all’abito che lei indossava.

“Arancia e..?” chiese, alludendo con un’occhiata al bicchiere.

“Vodka, e anche un po’ di Ginger Ale.” rispose Serena, il tono vivace ma gli occhi pieni di premurosa comprensione. “È un Sunshine Serena. Vuoi assaggiare?”

“Ho il mio scotch.”

“L’idea dei cocktail personalizzati è stata incredibile, amico.” dichiarò Nate, di slancio. “Tutti non vedono l’ora di farsene fare uno col loro nome. Ho visto in fila perfino Olivia Burke.”

“È stata un’idea di Blair.” li informò, e gli parve quasi di percepire sulla pelle il gelo che scese intorno a loro. Vide distintamente con la coda dell’occhio Serena che scoccava uno sguardo di rimprovero al suo accompagnatore, mentre lui arrossiva, a disagio.

“Arriverà, Chuck.” lo incoraggiò Serena, con quella voce dolce che Chuck l’aveva sentita rivolgergli solo quando era davvero preoccupata per lui. Seppe immediatamente che lei non credeva affatto alle sue stesse parole.

“Senza dubbio, amico.” concordò Nate zelante, forse per rimediare alla gaffe. Gli diede anche una pacca sulla spalla.

“Certo. Intanto, credo che farò un giro per salutare anche gli ultimi arrivati.” annunciò sbrigativo, più per liberarsi di loro che per una reale intenzione di comportarsi da bravo ospite. Non sopportava gli sguardi di commiserazione, anche se in buona fede e da parte dei suoi amici più cari.

Invece di vagare per la sala a sorridere e stringere mani, Chuck ripiegò verso il piano superiore, dove avrebbe potuto osservare il party affacciato alla ringhiera e senza essere disturbato. Anche in mezzo a tutta quella confusione, sapeva che avrebbe riconosciuto Blair nell’istante stesso in cui il suo grazioso piede avrebbe calcato il pavimento dell’Empire, calzato in un paio di tacchi all’ultima moda. Riusciva sempre a sentirla, quando erano nella stessa stanza.

“Ti prego.” sussurrò fra sé. Implorare non era da lui, ma non poteva farci niente. Blair doveva arrivare. Se fosse stato il personaggio di uno dei film che le piacevano tanto, avrebbe esclamato melodrammatico che non poteva vivere senza di lei. Vivere?, Chuck sbuffò, ironico. Quello era poco. Senza Blair, lui non era niente.   

“Congratulazioni, Chuck. Hai realizzato il tuo sogno. Sei proprio come lui”.

Una lacrima, nera di mascara, che le scivolava sulla guancia.

Un anello sulla sua mano, non al dito, però. Non più.

“Blair...”

“È finita”.

 

~

 

Durante il viaggio in limousine, dolorosamente conscia che lo avrebbe incontrato di nuovo dopo tanto tempo, Blair si era sentita irrequieta e a disagio, il cuore che le martellava il petto, le mani che strizzavano con foga la pochette da sera argentata che teneva in grembo. Continuava a mordersi il labbro nervosa, e di conseguenza ad estrarre lo specchietto dalla borsa per applicarsi di nuovo il rossetto e controllare che i denti non fossero macchiati. Era certa che quell’atteggiamento compulsivo la facesse sembrare sciocca e ridicola e si sentì sollevata al pensiero che fosse sola nell’abitacolo dell’automobile. Lei e Serena avevano in programma di andare insieme, ma all’ultimo minuto la sua imprevedibile migliore amica si era scusata e le aveva detto che doveva assolutamente fare un salto a Brooklyn per parlare da sola con Dan prima del party. “Mi farò perdonare”, le aveva assicurato, mentre allacciava la cinta del cappotto a vita alta. “Sicura che non sia un problema?”, aveva domandato premurosa un’ultima volta, probabilmente sentendosi un po’ in colpa. Blair le aveva ripetuto che poteva stare tranquilla, era una donna adulta e non aveva bisogno della scorta.   

Quando l’autista si fermò davanti alle porte dell’Empire, ripeté a se stessa quelle parole come un mantra, cercando di provare la stessa sicurezza con cui le aveva pronunciate nella sua confortevole casa. Ignorò convenientemente il particolare che si fosse attardata di proposito nella suddetta confortevole casa per arrivare quando Serena fosse già stata lì. Dopotutto, la ragione principale era che si era accorta di avere ai piedi Louboutin color rosso di Borgogna invece che bordeaux, la tonalità che era di moda quell’autunno, e aveva dovuto assolutamente correggere l’errore.

Sospirò. Era convinta che Chuck si sarebbe accorto subito di lei, ma era altrettanto consapevole che sarebbe toccato a lei andare da lui, comunicandogli che non era più arrabbiata, che non lo odiava per quello che era successo.

Era sempre stata Blair la più coraggiosa.

Così, entrò nel salone affollato, con indosso il Valentino che le aveva regalato lui, un segno che sperava gli avrebbe fatto capire subito che non c’era più alcun rancore da parte sua. Salutò cordiale Lily, che le fece i complimenti per l’organizzazione della festa, poi s’inoltrò tra la folla. Scorse Serena, raggiante al braccio del suo cavaliere, che chiacchierava con Jenny ed Eric, e rifletté se non fosse il caso di raggiungerla. Ma poi sollevò lo sguardo verso la balconata e fu allora che il cuore le salì in gola, mozzandole il respiro:

Chuck.

La stava guardando, ovviamente. Blair si sentì travolta da un’onda di emozioni intense mentre rispondeva allo sguardo dei suoi occhi attenti, puntati inesorabilmente su di lei. Era attraente come lo ricordava, impeccabile nel suo completo su misura e con i capelli ravviati all’indietro. Portava una cravatta rossa, la stessa, identica sfumatura dei fiori sul vestito che lei aveva indosso, un particolare che la riempì di una sensazione agrodolce.

La scalinata che li divideva le parve essere costituita da migliaia di gradini. La sua mente era straripante di pensieri, il suo cuore così ricolmo di sentimenti diversi che tutto ciò che riuscì a dire, quando finalmente lo raggiunse, fu:

“Chuck.”

“Blair”.

Il sorriso di lui era lieve e pieno di triste tenerezza.

“È bello vederti.” sussurrò Chuck pacato, e il suo sguardo le faceva male, perché anche quello era come lo ricordava. Innamorato

“Non me lo sarei perso per nulla al mondo.” dichiarò con calore, scoccando un’occhiata alla folla. Serena stava ridendo, divertita da qualcosa che Eric le aveva detto. O forse era stata Jenny.

“Lo so”. Sospirò, poi aggiunse, con sofferente rimpianto: “Se vuoi che me ne vada...”

“No.” lo bloccò, precipitosa.“È giusto che tu sia qui. E dolce”. 

Chuck annuì, e le fece piacere l’evidente sollievo che sbocciò sul suo viso.

“Il vestito ti sta molto bene. Sei meravigliosa.” la lodò, dopo qualche minuto di silenzio. Blair sorrise.

“Grazie. Anche tu sei carino”. Gli toccò la cravatta, leziosa, proprio come soleva fare anni prima, quando le cose fra loro andavano bene. Ma subito ritrasse la mano, aggredita da quei ricordi tanto spiacevoli.

“Chuck! Voglio Chuck!”

“Calmati, Blair”. Stretta nel consolante abbraccio di Serena.

“L’avete chiamato?”

“S-sì, tranquilla, sta arrivando”.

Ma Nate e Serena si scambiarono  uno sguardo che diceva più di mille rassicurazioni.

“Non verrà, vero?”. Tante volte aveva sentito il cuore spezzarsi per colpa sua, ma mai era stato così angosciante. Perché era tanto, tanto  spaventata, tremava dalla testa ai piedi e continuava a tornarle in mente tutto quel sangue... e lui non c’era, no, era da sola quando era successo, disperata e in lacrime e nessuno che l’aiutasse, soprattutto non il ragazzo che diceva di amarla. E che lei amava così tanto.

“N-non riusciamo a contattarlo.” confessò Nate, desolato, cincischiando con il colletto della felpa.

No, perché Chuck era lontano, ad occuparsi di altro, a Pechino. Era lontano mentre Blair si svegliava dolorante nel loro letto e scopriva con orrore le lenzuola e la camicia da notte imbrattate di sangue scuro; lontano ad occuparsi dei suoi affari, mentre Blair raccoglieva le forze per chiamare da sola un’ambulanza e subito dopo Serena, piangente.

“E il mio bambino? Come sta il mio bambino?” chiese, con voce rotta.

Serena e Nate si scambiarono un altro di quegli sguardi. E Blair si sentì morire.

Chuck era arrivato, alla fine, ma solo qualche giorno dopo (troppo tardi). Ci aveva provato, a starle vicino, Blair glielo concedeva, ma non era mai stato bravo a confortarla, soprattutto non quando lui stesso soffriva, e la perdita li aveva colpiti entrambi duramente. Inoltre, lei ce l’aveva così tanto con lui da respingere tutti i suoi inesperti tentativi di rincuorarla. Non poteva perdonargli di averla lasciata sola mentre suo figlio moriva dentro di lei. Razionalmente, sapeva che nessuno dei due avrebbe mai immaginato potesse accadere una cosa tanto orribile, e che non era colpa di Chuck; ma per la razionalità non c’era spazio quando la notte si svegliava urlante e sudata, avvelenata da sogni troppo vividi e vicini alla realtà per essere ignorati.

Non avrebbe mai dimenticato come si era sentita, sola, al buio, con fitte lancinanti al ventre e la sensazione appiccicosa del proprio sangue fra le cosce. Terrorizzata, aveva dimenticato perfino che Chuck non ci fosse, e aveva invocato il suo nome, disperata, implorante, ricevendo in risposta solo silenzio, e la sua stessa voce che echeggiava per la suite, spettrale.  

Non gli aveva mai confessato tutto ciò. Ma per Chuck, lei non aveva segreti, ed era sicura che avesse percepito tutto il suo rancore ogni volta che i loro occhi si erano incontrati, ogni volta che lei si era divincolata dal suo abbraccio. Provare rabbia era più facile che affrontare solo il dolore incalcolabile che la assaliva di continuo, quando passava davanti alla cameretta ormai inutile, quando vedeva un passeggino per strada, quando il sonaglio d’argento di Tiffany tintinnava nel cassetto del suo comò, nonostante fosse sepolto di proposito da strati e strati di biancheria.

Lo aveva ferito ingiustamente, lo sapeva, e sapeva anche che per reazione a tutto questo, un po’ per non pensare alla disgrazia, un po’ per non essere guardato da lei in quel modo, Chuck si era gettato ancora di più nel lavoro, allontanandosi inesorabilmente da lei. Le notti passate a letto da sola si erano moltiplicate, così come le mattine in cui entrambi si svegliavano schiena a schiena. La solitudine aveva alimentato il suo rancore, diffondendolo come un’infezione nel loro rapporto.

E, alla fine, Blair non ce l’aveva fatta più.

“Congratulazioni, Chuck. Hai realizzato il tuo sogno. Sei proprio come lui.” gli aveva sputato in faccia, l’ultima volta che si erano parlati. L’amara ironia era che si trattava della prima conversazione più lunga di qualche parola che facevano da mesi. Si era sfilata l’anello di fidanzamento, posandoselo sul palmo della mano.

“Blair...” aveva cercato di fermarla lui, smarrito, sconvolto, ma Blair era troppo arrabbiata, troppo addolorata per ascoltarlo. 

“È finita”.

“Ho saputo che la tua rivista va a gonfie vele.” le comunicò Chuck, per rompere un silenzio che forse anche per lui era pesante di ricordi strazianti.

“E tu sei l’uomo d’affari più facoltoso di New York.” annuì lei. “Sembra proprio che abbiamo realizzato tutti i nostri sogni”.

Certo, a quello dovevano pensare. Certi sogni non ti facevano svegliare con un grido ancora incastrato in gola, certi sogni non si frantumavano davanti ai tuoi occhi come quelli in cui indossavi un lungo abito bianco e dicevi felice “Lo voglio”, o tenevi tra le braccia un bimbo adorabile che aveva il naso uguale al tuo. Certi sogni erano grandi, erano belli, e potevi viverci per sempre.

“Non tutti.” la corresse Chuck, perché fra loro due era sempre stata lei la più brava a fingere che fosse tutto perfetto. “E sono quelli più fragili, che contano. Per cui vale la pena lottare.”

“Chuck...”. Pronunciò il suo nome quasi come un avvertimento.

Lui ignorò il rimprovero e la guardò dritta negli occhi, con un’intensità disarmante:

“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi solo i sogni che non fanno svegliare, Blair?”.

Lei scosse la testa, abbassando il capo. “Non è così semplice”.

Silenzio. Poteva sentire lo sguardo di Chuck su di sé, insistente. Alla fine, fu lui a rompere l’impasse.

“Vieni con me”.

Blair esitò, fissando la mano che lui aveva teso verso di lei e mordendosi di nuovo il labbro, e pensò che stava rovinando il rossetto, di nuovo, e sarebbe sembrato strano se avesse tirato fuori lo specchietto per controllare e rimetterlo, e quindi ora doveva stare lì, di fronte a Chuck, con il rossetto rovinato, a sembrare sciatta e ridicola. Pensava tutto questo, e sapeva che non era il vero problema per cui si sentiva così a disagio, esposta, vulnerabile. Ma non poteva farci niente.  

Chuck parve accorgersi del tono troppo perentorio e dello sconforto che l’aveva avviluppata perché sussurrò, sconfitto:

“Per favore”.

Fu la sua condanna. Non aveva mai resistito alle suppliche di quell’uomo tanto orgoglioso, che chinava la testa raramente e quasi sempre di fronte a lei. Accettò la sua mano ancora titubante e si lasciò condurre attraverso il salone.

 

~

 

Chuck aspettò tutta la sera, e man mano che lo scoramento si faceva più intenso, il bisogno di rivederla, quasi per farsi beffe di lui, cresceva con esso.

Blair non arrivò, come era prevedibile (ma il suo cuore aveva sperato fino all’ultimo secondo, testardo, fiducioso, implorante). La profonda depressione che seguì a quell’evento fu in minima parte ammortizzata da tutti i bicchieri che si era scolato, uno dopo l’altro, mentre osservava il salone dalla balconata. Perciò era atterrito al pensiero di quanto immenso sarebbe stato il dolore e il senso di solitudine una volta tornato sobrio.

“Charles, la festa è stata meravigliosa.” disse Lily, avvicinandosi per salutarlo prima di andare via. Gli accarezzò la schiena con dolcezza. “Tuo padre sarebbe stato fiero di te.”

“Grazie”.

Riuscì perfino a rivolgerle un sorriso, e si augurò che lei non  intuisse lo sforzo che gli ci era voluto. Ma negli occhi di Lily vide comprensione e affetto mentre lo ricambiava. In fondo, le madri erano sempre abili nel guardare dietro le maschere.

“Andrà tutto bene, Charles. Devi solo darle tempo”.

Annuì, ma non si sentiva più molto speranzoso. Voleva solo andare a letto (un letto vuoto, gli ricordò malevola la sua mente) e perdersi nell’oblio del sonno senza sogni che l’alcol riusciva sempre caritatevolmente a donargli.

“Oh, quasi dimenticavo: aggiungere al menu il cocktail Lily’s Lullaby è stato incantevole da parte tua.” dichiarò, forse per alleggerire l’atmosfera. Gli diede un bacio sulla guancia e stavolta il sorriso di Chuck fu più sentito.

Chi aveva prenotato una stanza aveva il diritto di creare il proprio cocktail, mentre gli altri invitati assaggiavano e votavano i nuovi drink durante tutta la serata. I più gustosi venivano annunciati a mezzanotte ed entravano definitivamente a far parte del menu nel bar esclusivo dell’hotel. A Chuck non interessava quali cocktail avrebbero vinto, ma era stato categorico su due di essi, che avrebbero dovuto assolutamente finire nel menu. Uno era Lily’s Lullaby, e l’altro era...  

 

~

 

Limo Kiss?” chiese Blair sorpresa, prendendo il bicchiere di cristallo ricolmo di liquido rosa. Ovviamente, quando un anno prima Serena era tornata dal party di Chuck, l’aveva subito informata che lui aveva realizzato in grande la sua idea dei cocktail personalizzati. A quel tempo, Blair era stata ancora troppo provata dalla disgrazia e troppo arrabbiata con Chuck per apprezzarlo davvero, ma ora, con quel drink tra le dita, si sentì profondamente colpita.

“Assaggialo.” la esortò lui, gli occhi brillanti di trepidazione. Blair obbedì, portando il bicchiere alle labbra e sentendo sulla lingua il contrasto fra il sapore dolce della ciliegia e quello aspro dello champagne, più un aroma pungente che, dopo qualche secondo di riflessione, riconobbe come limone.

“È delizioso.” giudicò, sincera. Chuck parve rassicurato dalla risposta e sorrise.

“Quando quella sera ti ho baciato”, raccontò, e non c’era bisogno che specificasse, perché entrambi sapevano a quale sera si stava riferendo, “Le tue labbra sapevano di ciliegia e il tuo fiato sapeva di champagne.”

“E il limone?” chiese lei, in un bisbiglio.

“L’odore dei tuoi capelli quando ti ho stretta a me.” dichiarò lui sicuro, e Blair sentì gli occhi che le pizzicavano mentre deglutiva, a fatica. Sì, quella sera aveva bevuto champagne, il suo rossetto era stato alla ciliegia e il suo shampoo al limone. Chuck ricordava senza esitazione ogni dettaglio della serata che per Blair era stata una delle più belle della sua vita, e aveva voluto ricrearlo in quel cocktail. Per lei. Per comunicarle, forse, che era stata la più bella anche per lui.

“È...  straordinario, Chuck.” disse, la voce gonfia di tutte le emozioni che le turbinavano nel cuore. “L’hai tenuto sul menu per tutto questo tempo”.

“Sì.” confermò lui. “Ogni party che ho organizzato da quella sera, ti ho aspettato. Lassù”. Accennò col capo alla ringhiera di ottone. Sorrise, un poco. “Non mi sembrava realistico sperare nella festa di fidanzamento di Serena per rivederti ma, a quanto pare, è stata proprio questa l’occasione che aspettavo da tanto tempo”.

Blair rise con lui: “Incredibile, vero? Stentavo a crederci anch’io.”

“Mi sei mancata.” confessò Chuck, all’improvviso. Blair stava ancora sorridendo per la battuta su Serena e, colta di sorpresa, non poté trattenere la lacrima che le solcò bruciante la guancia. Doveva sembrare così bizzarra, quella combinazione di gioia e tristezza sul suo viso, rifletté. Eppure, erano le stesse emozioni che riusciva a scorgere negli occhi di Chuck.

“Anche tu.” gli confidò con voce piccola, poi tirò su col naso e disse, risoluta: “Ma non posso, Chuck. Non di nuovo. Finisce sempre e fa così... male, tutte le volte.”

“Non è vero.” affermò lui sicuro, cingendole con delicatezza la vita fasciata dalla cinta di raso a fiocco, e Blair si accigliò, confusa, mentre una fitta di dolore le pungolava il petto.

“Non fa male?”

“Non finisce mai.” precisò lui. “Non per me, almeno”.

Blair distolse gli occhi dai suoi, posandoli sul drink che teneva fra le dita. Limo Kiss. L’inizio di tutto, del suo più grande e tormentato amore.

Le mani di Chuck la cingevano ancora e anche se entrambi sapevano che quel tocco era invadente e fuori luogo, Blair non riusciva a trovarlo fastidioso. Era così naturale, la sensazione di Chuck vicino a lei. Non solo perché sarebbe stata in grado consapevolmente di riconoscere ogni dettaglio di quella percezione –la marca del suo dopobarba, l’esatta sfumatura dei suoi occhi, la forza della sua stretta- ma soprattutto perché, a livello inconscio, il mondo sembrava okay solo quando erano insieme, a contatto. Si chiese se anche Chuck provasse lo stesso, se fosse per quel motivo che continuava a tenerla per la vita, cocciuto e spudorato.

“Balliamo.” stabilì all’istante, posando il bicchiere sul bancone. Chuck la accontentò senza fiatare, offrendole il braccio e scortandola sulla pista da ballo. I loro corpi cominciarono subito a muoversi al ritmo della musica, con quella disinvoltura che avevano acquisito in anni di feste e ricevimenti, e in sintonia l’uno con l’altro, con quella confidenza che avevano imparato in anni di intimità.

“Sicuro che non ci fosse un altro motivo per scegliere la ciliegia?” lo pungolò lei, con un sorrisetto furbo. Chuck sorrise a sua volta.

“Non capisco cosa intendi.” replicò, con falso candore.

“Oh lo sai, Chuck”, ribatté lei, inarcando le sopracciglia. “Qualcosa che ha a che fare con cogliere la mia ciliegia, per esempio?”.

Chuck rise sommessamente.

“Sei un po’ troppo maliziosa, Waldorf.”

“Forse. Ma non significa che abbia torto, Bass.” rimarcò, arguta.

“Vero.” concesse Chuck, ed entrambi risero, rilassandosi nella familiarità dei loro battibecchi, di quegli appellativi troppo a lungo accantonati e che da tanto aspettavano di pronunciare ancora. Per il momento, Blair non voleva pensare a ciò che avevano passato, alla sofferenza, agli ostacoli. Forse era solo una bolla di sapone, ma stava bene. In quell’atmosfera festante, tra le braccia del suo grande amore, il passato sembrava lontano, il futuro insignificante. C’era solo il presente, ed era piacevole, rassicurante, un rifugio.

Al dopo, avrebbero pensato entrambi... ma dopo.  

 

 

Fine

 

 

Note dell’Autrice:

[1] “Empire Burlesque” è il titolo di una canzone di Bob Dylan.

[2] La storia, benché ambientata qualche anno nel futuro rispetto alla stagione corrente, non tiene conto delle insensatezze sul povero Bart rivelate nell’episodio 4x17 (Empire of the Son), perché spero vivamente risultino fasulle.   

[3] Mi piace vedere Serena sia con Dan che con Nate, in linea di massima. Per questo ho fatto una scelta narrativa precisa che ormai avrete intuito. :)

[4] Ringrazio tutti i lettori in anticipo, e ovviamente risponderò a eventuali dubbi, osservazioni e/o critiche che vorrete farmi.

Alla prossima storia,

Melany

  

 

   

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    

 

  
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