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Autore: Ronnie02    13/04/2011    6 recensioni
Edward ed Emmett condividono lo stesso appartamento e la stessa passione per la musica. Il primo suona la chitarra e il secondo ama il rock.
Una sera, grazie al loro amico Jasper, riescono ad entrare al concerto delle rockstar più famose del momento: le "Burners", band rock che ha come frontwoman la famosa Bella Swan.
Spero avervi incuriositi!
Genere: Dark, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlie Swan, Jasper Hale, Rosalie Hale | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Ed ecco il primo vero captiolo di questa OOC, Spero vi piaccia quanto il prologo! 

Capitolo 1- Il concerto del secolo

“Emm ti prego smettila di agitarti, è solo un concerto”, lo supplicai mentre lo guardavo saltellare come un dodicenne. E invece aveva ventiquattro anni.
“Solo un concerto? No, amico, questo non è solo un concerto! Questo è il loro concerto!”, si esaltò ancora di più mostrandomi per la duecento diciannovesima volta i due biglietti per l’esibizione a Central Park.
“Quelle ragazze fanno solo della musica, non sono dee dell’Olimpo! Anche io suono la chitarra, ma non mi idolatri così tanto”, mi finsi offeso.
“Le dee dell’Olimpo non reggerebbero il confronto perché…”.
“Tu non sai nemmeno chi sono le dee dell’Olimpo”, terminai per lui la frase prendendolo in giro.
“Perché sono delle dannatissime ragazze che fanno del perfetto rock’n’roll!”, si elettrizzò di nuovo, non prendendo nemmeno in considerazione il mio commento. “E tu… bè, tu non sei una ragazza, caro Ed, per quello non ti idolaltro”.
“Idolatro! Non è una parola difficile, fratello!”, risi correggendolo.
“Senti genio della grammatica ti vuoi muovere! Faremo tardi!”, mi gridò nell’orecchio mentre io mi gustavo la mia birra appoggiato sulla soglia della porta che divideva la sala dalla cucina dell’appartamento che dividevamo.
“Mancano ancora due ore e per arrivare a Central Park ci mettiamo pochi minuti. Non delirare”.
“Jasper ci sta già aspettando. Mi ha mandato un messaggio dicendomi che se non ci muoviamo perderemo i posti migliori. Devo prenderti a schiaffi o muovi il tuo sederino?”, mi minacciò.
Jasper Withlock era un buttafuori che ci faceva passare ovunque. Non era grande e grosso, no quello era Emmett, ma in due secondi riusciva a farti capire che te ne dovevi andare. Come la prima volta che lo conobbi…
 
“Stasera, caro Edward, faremo faville”, mi disse Emm mentre svoltavamo l’angolo per arrivare alla nostra prima festa a New York. Ci eravamo trasferiti da poco dal Nord Carolina per cominciare una nuova vita e, cavolo, se era fantastica!
Arrivammo davanti all’entrata del locale, ma ovviamente c’erano i buttafuori. Festa privata.
“Non preoccuparti, ci pensa tuo fratello”, mi tranquillizzò Emmett. Sbaglio, grosso sbaglio!
Si avvicinò al buttafuori e cominciò a parlargli.
“Nominativo”, disse l’ometto che Emmett aveva preso di mira.
“Senti nanetto, non ci allarghiamo. Io devo entrare, quindi fai il grande piacere di esaudire la mia richiesta senza blaterare di nominato o quel che è”, sbottò.
“Lei è nato in questa città?”, gli chiese ancora il piccolo buttafuori.
“No, ma questo che c’entra? Faccia il favore di…”.
“Si spiega tutto. Bene signor Anonimo, o lei se ne va o io le mostrerò una cosa molto sgradevole”, lo minacciò tirando fuori dalla cintura che aveva indosso una pistola elettrica.
Dopo quella minaccia il mio fratellone si spaventò a morte, ma non si diede per vinto. Fu allo stremo che il buttafuori chiese di nuovo il nome al mio amico e, quando glielo disse, ci lasciò semplicemente passare con un «grazie mille».
Emmett si arrabbiò da morire, ma ad un’offerta di una birra gratis da quel tipetto il risentimento se ne andò.
 
Dopo quella sera tornammo ancora e la storia si ripeté. Passarono le serate e ogni volta dovevamo sempre riferire a Jasper solo il nome, con il beneficio che lui ci offriva da bere.
All’inizio era un modo per tenerci sotto controllo, ma dopo chissà quante bevute, Jasper diventò nostro amico.
La  cosa buona fu che la sua pistola elettrica venne abbandonata in un cestino del suo appartamento, dopo un nostro sentito consiglio.
“Muoviti bello addormentato!”, mi urlò ancora Emmett per farmi muovere.
“Vado, vado”, risposi tornando alla realtà, mettendo giù la mia birra e andandomi a preparare. Per la serata di musica scelsi il solito: non troppo elegante ne troppo casual, ovvero jeans e camicia.
Doveva essere un concerto rock, ma per la musica non c’era mai un tipo di abbigliamento adeguato, si andava a voglia.
 
“Se non la smetti di butto sotto un tram!”, minacciai Emmett, che non stava fermo un secondo, mentre stavamo svoltando per entrare in Central Park.
“Non ce la faccio Edward! Sono loro, le vedrò… io svengo!”, sussurrò tesissimo.
“Allora torniamo a casa”.
“Allora ti butto io sotto un tram”, ripose pronto.
“Allora calmati!”, replicai di nuovo.
Entrammo sotto l’arcata metallica che ci indicava il luogo del concerto e lo attraversammo. A metà strada Jasper ci stava aspettando. Era un po’ teso, ma non come Emmett.
“Dì il loro nome e ti faccio saltare la testa”, lo minacciai. Quel giorno ero in vena di uccidere qualcuno se non si calmavano.
“No, tranquillo. Anche perché se lo faccio salterà a lui senza che tu faccia niente”, rise guardando Emmett cominciare a sudare. “Mio Dio ragazzo, calmati!”.
“Senti, sono due anni che aspetto questo momento perché a quanto pare il Nord Carolina non è un buon posto per fare concerti e ora non puoi dirmi di stare calmo”, borbottò ancora più teso.
Io guardai Jazz e feci girare l’indice vicino alle tempie. «Pazzo», mimai.
Lui rise e ci spinse ancora più avanti, facendoci entrare in uno piazzo d’erba dove troneggiava un fantastico e soprattutto enorme palco. Su di esso spiccava una delle migliori batterie in circolazione. La chitarra, il microfono e il basso sarebbero entrati poi con le rispettive artiste.
Emmett stava per svenire, ma si fiondò immediatamente tra la folla per cercare di arrivare ai primi posti e noi gli andammo dietro.
Riuscì nel suo intento. Avevamo il palco davanti a noi e avremmo davvero vissuto come se fossimo lì sopra. Questo concerto cominciava a piacermi.
“Zitti! Mancano tre minuti e non voglio sentire volare neanche una mosca!”, urlò Emmett eccitato nel vedere la sceneggiatura cambiare e segnare i minuti che mancavano all’inizio.
Tre…
Due…
Uno…
“Are you ready to jump in the… FIRE?!”, urlò una voce fuori campo, la voce della cantante solita mentre sul muro dietro il palco si vedevano scoppiettare tanti ardenti fuocherelli rossi e arancioni.
Emmett aveva ormai gli occhi a cuore luccicanti mentre vedeva una ragazza dai capelli marroni scuri, vestita con pantaloncini argentei e una canottiera nera, uscire lentamente da sotto il palco, con una scala automatica, e sedersi sul pavimento.
E la canzone “Don’t touch me” partì.
 
La musica ormai faceva parte della mia anima. L’assolo di chitarra elettrica che armonizzava il bridge della canzone “If you hate love”  era quello che avevo sempre sognato di fare. Quelle ragazze, vestite leggere e con addosso strumenti rock, erano ciò che io fantasticavo di diventare.
Erano brave, lo erano davvero. Battevano qualsiasi cantante o musicista rock maschile. Erano loro le regine.
La cantante, Bella, era, secondo me, quella con più carisma: si muoveva leggera, come un puma, e cantava come un leone.
Quando si avvicinò alla folla, notai meglio il suo viso: i capelli non erano così scuri come sembravano, ma con dei tinti colpi di sole rosso ramato (quasi come i miei) e gli occhi, non troppo truccati, erano di un color cioccolato fondente che t’incantava.
“Non sono fantastiche?!”, mi chiese Emmett, un po’ più calmo ora che il concerto era più o meno a metà.
“Sì, meglio che in cd. Lì non si sente lo stridere dei graffi sul microfono!”, risi. Era successo davvero, nel bel mezzo della canzone “Fire and water”. Bella aveva, non ero sicuro se lo avesse sul serio fatto apposta, graffiato il microfono provocando un cigolio pazzesco.
Mani sulle orecchie non bastavano a non sentirlo, parola mia.
“Quello è forte! Ti carica!”, mi rispose Jasper mentre la batterista, una certa Rose Hale, attaccava una nuova canzone. “Uh, “Just Love”. Lenta ma stupenda!”.
Lenta… lenta per essere rock’n’roll!
Però era vero; era una delle loro canzoni più belle e metterla al centro della serata era stata una bella strategia. Calmare i fan prima della loro canzone più famosa.
“The White Rose”.
 
“I know our love is totally false
You don’t love me and I don’t love you
We’re together only for celebrity
And this is very uncool…
Split out with me and go away
But.. do it in the best way.
With The White Rose
 
Il concerto stava finendo, la chitarrista, Alice Vince, stava facendo l’ultimo assolo sulla canzone “Stop the breath”  e tutti stavano dando di matto.
La serata era stata fantastica, quasi irreale, e mi ero divertito un mondo. Emmett e Jazz non erano da meno. Erano in totale visibilio e urlavano come gli altri fan scatenati.
Appena “Stop the breath” finì, Bella Swan avanzò fino all’orlo del palco e parlò con un sottofondo musicale di basso e batteria.
“Voglio dirvi che questa serata è stata meravigliosa. Ti adoro New York! Adoro voi fan! Spero che la favola non finisca qui! Vi adoriamo tutte e… grazie! Buona notte!”, urlò uscendo di scena come era entrata mentre Rose Hale faceva una rullata di batteria finale.
Dopo di che uscirono tutte e lasciarono il palco vuoto dietro di loro.
Ma la serata non era davvero finita. C’era ancora una sorpresa di Jazz, che di lì a poco avrebbe ucciso Emm.
“Ho i biglietti per il backstage”, sbottò di colpo il nostro amico mentre i fan si diradavano per tornarsene a casa.
“Tu hai COSA?!”, urlò Emmett felicissimo. Okay, era un sogno per lui. Aveva aspettato una vita per questo momento.
Jasper alzò le sopracciglia e ci fece ridere. Poi però, con sguardo serio, tirò fuori i biglietti che servivano ad entrare.
“Forza ragazzi, o il loro manager Charlie le farà andare via!”, ci consigliò Emmett.
“Corriamo”, li incoraggiai io.
Mi erano piaciute. Erano davvero brave e volevo complimentarmi. E soprattutto volevo che il mio fratellone avesse la sua chance di conoscerle.
Essendo già ai primi posti, bastò raggiungere i lati e i buttafuori ci fecero entrare. Conoscevano Jazz, perciò non ci guardarono neppure i pass.
Entrammo nel backstage, un po’ oscuro, e in pochi minuti trovammo la stanza dove le nostre rockstar si stavamo rinfrescando post-concert.
“Okay ragazze. Ci siamo. Siete state fantastiche e anche New York ora vi ama… ma dobbiamo prepararci per le nuove tappe e per il nuovo disco. Ho già ingaggiato alcuni dei migliori autori e i testi dovrebbero essere pronti per la settimana prossima”, sentimmo dire da una voce maschile, forse il manager Charlie.
“Papà, mi sono stufata di cantare canzoni non mie. Non potremmo scriverle noi questi fottuti testi?”, si lamentò una. Bella, secondo me.
“Mi sono stufata… o povera piccola Bella! Bè, sai una cosa? A nessuno frega di cosa provi, chiaro? Nessuno vuole sentire cosa hai da dire tu! Ho lavorato per portarti fino a qui e l’unico modo per non mandare a rotoli tutto, è creare canzoni decenti. A nessuno interessi tu, a tutti interessa come ti muovi, piccola”, le urlò contro Charlie.
Papà? Come poteva definire «padre» un uomo così?
“Charlie, io credo che Bella abbia ragione. Sappiamo scrivere canzoni, e una è il nostro maggior successo. Perché pagare altri?”, disse un’altra voce. Alice, a giudicare da Jasper. La metteva sul piano economico, il piano preferito dei manager.
“Alice e Bella hanno ragione. Siamo una band, non cantiamo o suoniamo cose a noi sconosciute!”, disse una terza voce. Rose, mimò Emmett.
“Tanya? Vuoi sputare anche tu sul piatto di chi ti ha preparato una bella cenetta?”, sbraitò Charlie.
“No… no, secondo me hai ragione”, parlò una quarta, timida e sottomessa. Tanya, a quanto avevo sentito dire.
“E figurati se non gli dava ragione”, sbottò una.
“Bella, finiscila di lamentarti o ti rispedisco da tua madre a fare la commessa! Non provocarmi”, la minacciò il manager.
“Se sbatti fuori me, ti rovini da solo. Senza band, sei solo un povero illuso!”, urlò di nuovo Bella.
A quel punto, Jasper si decise a bussare alla porta mezza sfasciata e un «avanti» ci fece accomodare.
“Salve signor Swan. Ragazze. Noi siamo dei vostri fan e, scusate il disturbo, ma vorremmo complimentarci”, parlò per primo il nostro buttafuori.
Il manager, un uomo nella media con i capelli riccioluti e i baffi, si alzò dalla poltroncina su cui era seduto e, sbuffando, se ne andò spalancando un’altra porta.
“Scusatelo, l’ansia del tour ci rende tutti un po’ nervosi”, si scusò Bella, con una voce più dolce di quella che aveva sul palco. Una voce che ti prende l’anima e la cura.
“Dovrebbe farsi dosi di camomilla invece che di Dio sa cosa!”, mi lamentò Rose girandosi tra le dita le sue bacchette.
“Ragazze…”, cominciò Tanya.
“Nessuno vuole sentire il tuo parere”, la finì Alice.
Dopo ciò un momento di puro silenzio attraversò l’ intera stanza senza che nessuno accorresse in aiuto. Uno di quegli istanti in cui l’imbarazzo regna sovrano e speri che finisca presto.
Fortunatamente ci salvò Emmett e la sua passione per quel gruppo.
“Siete state meravigliose! Stasera mi sono divertito un sacco e, ragazzi, che spettacolo!”, si esaltò ancora. “E’ stato il concerto del secolo”.
“Contenta che ti sia piaciuto… come ti chiami?”, gli chiese la batterista.
“Emmett McCarty. Piacere, piacerissimo, di conoscerti Rosalie Hale”, disse tremando.
“Piacerissimo?”, rise lei porgendogli la mano.
“E’ noto per inventarsi le parole”, gli spiegai mentre Emmett lottava contro la vergogna per stringere la mano alla ragazza dei suoi sogni.
“E voi come vi chiamate ragazzi?”, ci chiese Alice.
“Io sono Jasper Withlock e questo è il mio amico Edward Cullen”, mi presentò Jazz facendosi largo verso Alice.
“Bè, voi vivete da tanto qui a New York?”, ci chiese Tanya.
“Da un anno e mezzo più o meno”, risposi facendo un po’ i conti.
“Oh. Sai, volevamo fare un giro della Grande Mela, ma Charlie è troppo tirchio anche riguardo al tempo!”, commentò Bella. “Ci fareste fare un giro?”.
E così Emmett svenne.
 
Il giro alla fine consistette nel tragitto che portava da Central Park all’ospedale più vicino. E almeno le ragazze, colpite da un attimo di bontà definito da Charlie anti-rock, ci accompagnarono. Tutte tranne Tanya; lei rimase a sistemare il suo basso.
“E’ la preferita di Charlie. Gli da sempre ragione e non si ribella mai! Se ci fosse una bassista migliore la butteremmo fuori a calci subito… ma i provini vanno talmente male che rimane solo lei”, ci raccontò Alice mentre eravamo seduti in sala d’attesta ad aspettare Emmett.
“Mio padre è decisamente pazzo, non ragiona più”, commentò Bella.
“Come è iniziata?”, le chiesi io, sperando che la sua voce continuasse a entrarmi in testa e non uscire più.
«Fermati un attimo, Edward. Che cavolo stai facendo? Non puoi flirtare con lei. E’ una rockstar!», mi mise in riga il mio cervello.
“Due anni e mezzo fa papà si rese conto che per mantenermi non serviva solo il suo stipendio, per i miei gusti già troppo alto, ma voleva di più e perciò usò la mia passione per il canto. Appena gli rivelai che con Alice, già mia migliore amica, facevamo canzoni e prove, impazzì e cominciò i provini per batteriste”, mi raccontò. “Lì incontrammo Rose”.
“Fu una gran figata andare a quel provino. Era il mio sogno e lo volevo da quando ero bambina. Seppi della audizioni in un volantino fuori dalle discoteche di Hollywood, dove abitiamo. Andai immediatamente la mattina dopo e Charlie mi disse, appena finii, che ero nella band. Senza consultare le altre. Non so se fosse così esperto di musica da riuscire a decidere tra me e un’altra, ma in quel momento non m’importa. Sono felice di essere qui con Bella ed Alice”, ci spiegò anche Rose.
“E poi arrivarono i provini per le bassiste”, sospirò Alice. “Tutte volevano far parte della band, sapevano già che avremmo sfondato, ma a Hollywood c’è una maggioranza insaziabile di sole chitarriste per ciò ci trovammo davanti a una scelta: o una chitarrista che provava per la prima o seconda volta un basso, o una bassista vera come Tanya. Fidandoci di Charlie, sbagliando, decidemmo di accettare la canadese e terminare i provini, per poi cominciare a scrivere e provare”.
“Come vi siete fatte notare?”, chiese Jasper, affamato della loro storia musicale.
“Papà conosce mille agenti e loro conoscono mille produttori. Mio padre sa il fatto suo e organizzò immediatamente un provino. Ottenemmo il contratto e papà cominciò ad ingaggiare autori. Solo poche canzoni sono effettivamente nostre”, si lamentò la cantante.
“Però sono le migliori! Solo per la fretta quel dannato ha preferito comprarne altre”.
Fire and water è vostra?”, chiese speranzoso Jazz, pregando che la sua canzone preferita fosse davvero loro.
“Sì quella è nostra. Te l’ho detto, le migliori le abbiamo scritte tutte noi. Alice è una brava scrittrice”, commentò Rose.
“Evitiamo i complimenti, grazie”, pretese la chitarrista quasi arrossendo.
“Ma quello non è il problema. Il fatto sta che Charlie continua a trattarci come bambole per il suo scopo di prendere una barca di soldi e noi siamo stufe marce. A volte vorrei mollare e tornare sul serio da mia madre a Jacksonville con il suo nuovo marito Phil”, sussurrò Bella, un po’ triste.
“L’unica soddisfazione sono i concerti. Sapere che delle persone ci amano così tanto ci fa stare molto meglio”, disse Rose.
“Signor Cullen?”, mi sentii chiamare da dietro. Distolsi lo sguardo dalle musiciste e mi voltai. Davanti a me c’era un uomo vestito con un camice bianco e una cartelletta in mano.
“Sì, sono io”.
“Il  suo coinquilino sta molto meglio, è stata la pressione e lo stress a farlo cedere. Starà qui per stanotte, per smaltire la tensione. Potrete portarlo a casa domani”, mi comunicò.
“Posso parlargli?”, chiesi.
“Assolutamente. Camera 11B”, acconsentì.
Feci un breve saluto a Jazz e alle ragazze e mi diressi verso la camera di Emmett. Era la penultima di quel corridoio e la porta era chiusa.
L’aprii e vidi un Emmett rintanato in un lettino bianco troppo piccolo per uno come lui. Ma almeno aveva la camera tutta per sé.
“Bella serata, eh fratello?”, sorrisi facendomi sentire.
“Stai zitto! Avevo l’occasione di conoscerle e stare con loro tutta la serata! E ovviamente mi viene un mezzo infarto!”, s’arrabbiò con se stesso. “Sono un idiota”.
“Bè, l’idiota ha fatto colpo, secondo me”, lo tranquillizzai. “Chiedevano tutte di te in viaggio”.
“Anche Rose?”, domandò di nuovo su di giri.
“Anche Rose”, confermai. “Sareste bene insieme”.
“Sì, io con la batterista delle Burners. È come se tu stessi con Rihanna!”, mi umiliò.
“Oh, bè, sei un amico!”.
“Sai cosa intendo. Noi siamo gente comune, non personaggi famosi”, mi spiegò meglio. “E anche se diventassimo loro amici, saremo sempre un gradino più in basso rispetto ai vip di loro conoscenza. Si chiama celebrità, caro mio Edward”.
Aveva ragione. Come l’avevo avuta io pensando a Bella, poco fa. Ma questo non lo dissi.
“Buona notte, fratello”.
“Buona notte”, mi rispose girandosi dall’altra parte e chiudendo gli occhi. Lo stress del concerto cominciava a svanire.
Tornai indietro, richiudendo la porta e facendo un cenno di saluto al dottore, e mi sedetti al mio posto, di fianco a Jazz che aspettava con le Burners.
“Come sta?”, mi chiese lui.
“Bene, credo che tra un po’ si addormenterà”, risposi.
“Andiamo a casa?”, chiese Bella ad Alice.
“Vi accompagniamo se volete”, proposi io, guardando poi Jazz e vendendo che mi sorrideva. Stava per dire la stessa cosa.
“Come volete. Alloggiamo vicino alla St.Patrick Cathedral. Va bene?”, ci informò Rose.
“E’ perfetto!”, dissi mettendo a fuoco il posto e realizzando che non era affatto lontano.
“Bene, allora accettiamo volentieri”, rispose sorridendo Rose.
Uscimmo dall’ospedale e chiamammo un taxi. Arrivò quasi subito e, visto che il taxista le conosceva, scambiammo il costo della corsa con i loro autografi. Risi quando il tipo glieli chiese. Per me non era realmente fattibile una cosa del genere.
“Fin quando restate qui a New York?”, chiese Jazz a metà strada.
“Partiremo per Boston lunedì”, rispose Alice facendo il conto. Era venerdì sera, mancavano solo due giorni e mezzo.
“Quando finirà il tour?”, chiesi io impaziente.
“Tra due settimane. Ormai siamo quasi alla fine, finalmente!”, sospirò Bella. “E poi, appena il tour sarà finito, torneremo a Hollywood per registrare un nuovo disco. Sempre tutto di fretta!”.
“E dopo che il cd verrà rilasciato dovremmo andare di nuovo in tour per pubblicizzarlo”, concluse Alice, deprimendomi ancora di più. “Odio Charlie!”.
Bella la zittì in un secondo. Se quella dichiarazione fosse uscita da quel taxi Charlie le avrebbe fatte tornare a Hollywood e riformato un’altra band in un nanosecondo vista la discussione in camerino. E per quanto fosse invitante la cosa, alla fine essere rockstar non dispiaceva loro. Si vedeva da come si relazionavano con noi fan sul palco.
Sì, noi fan. Noi eravamo solo dei fan per loro. Incontrati nel loro concerto del secolo, ma sempre solo dei fan.
 
Le riportammo a casa e poi Jazz venne da me a bere qualcosa.
“Serata fuori di testa, stasera, eh Edward?”, mi disse quando entrammo nel mio appartamento con uno sguardo tra l’assonnato e il sognante.
“Totalmente”.
“Andremo domani con loro al Rockefeller Center?”, mi chiese buttandosi sul divano e accendendo la televisione. La luce invase i nostri occhi, ma ciò che vennero maggiormente colpite furono le orecchie nel sentire cosa si diceva in tv.
«Notizia Shock! Tanya Lexinton, la bassista delle famose Burners, il gruppo rock, è stata trovata svenuta nella sua stanza d’albergo. Di fianco a lei della polvere di eroina. Le sono stati ordinati tre giorni in prigione, intanto che i magistrati decidano la sentenza. Martedì in tribunale sentiremo come andrà a finire la storia di Tanya e, a quanto sembra, di tutto la band», diceva il giornalista, seguito da foto o video di Tanya mezza fatta sia in casa che fuori dalla prigione.
In quel momento accaddero due cose principalmente: Jazz cadde dal divano, sporcandosi della sua birra, ed io venni colpito in pieno da diverse emozioni.
La prima, assoluta tristezza per il fatto che le Burners potessero sciogliersi.
La seconda, pena per quella poveretta di Tanya.
La terza, felicità per il fatto che, a causa sua, Bella e le altre sarebbero rimaste qui più a lungo.


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