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Autore: Mizar19    13/04/2011    13 recensioni
Seconda classificata al "Ladies' contest"
Vera Baudino è fidanzata da ormai tre anni con la crucca Amaryllis Keller, con la quale divide anche un appartamento a Berlino.
Quando Vera insinua l'ipotesi del matrimonio subito scatta un problema: la famiglia torinese dell'italiana, all'oscuro della loro relazione. Così inizia il soggiorno delle due nella città natale di Vera, Torino, dove Amaryllis avrà l'occasione di confrontarsi con un eterogeneo gruppo di strambi personaggi, dalla nonna hippie alla zia meridionale senza peli sulla lingua, dallo zio poeta (fallito) al cugino psicologo, per non parlare dell'austero signor Baudino e del suo avvinazzato fratello!
Insomma, Amaryllis dovrà sfoderare tutte le sue armi per sopravvivere a quel branco di Italiani scatenati!
[...] - Ma’, pensavo di portare Amaryllis a fare un giro per Torino dopo pranzo: è la vigilia, sarà pieno di luci e colori! Per non parlare della folla. Voglio farle respirare la nostra aria natalizia – la madre annuì approvando la scelta della figlia e osservandola con espressione fiera – Mi passi l’insalata? Grazie. Ah, fra l’altro, pensavo che sarebbe stato carino dirvi che sono omosessuale. Ma le lasagne erano davvero squisite... – [...]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vicenda semiseria di Vera e Amaryllis'
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II CLASSIFICATA AL LADIES’ CONTEST INDETTO DA SIGNORINO_ (IFHEAVENFALLSAPART)


Autore: Mizar19
Titolo:
Die Verlobte von der Mitbewohnerin – La fidanzata della coinquilina
Genere: Romantico, Commedia
Avvertimenti: Femslash
Rating: arancione

Personaggi:
Le nostre eroine: Vera Baudino e Amaryllis Keller
Genitori di Amaryllis: Edwig Schindler e Konstantin Keller (deceduto)
Genitori di Vera: Giampaolo Baudino e Mariangela Rosso
Fratelli: Sara Baudino e Gabriele Baudino
Nonni paterni: Luciano Baudino e Teresa Casetta
Nonni materni: Dante Rosso (deceduto) e Catterina Grimaldi

Zio paterno e consorte: Piero Baudino e Renata Delle Noci
Cugini paterni: Giovanni Baudino, Cecilia Baudino ed Elisa Baudino
Zia materna e compagno: Marisa Rosso e Carmelo Martorana (non presente fisicamente)

Zio materno e compagna: Giuseppe Rosso e Vita Spadaro
Cugini materni: Maria Vittoria Rosso e Vincenzo Rosso

Note d’autore:

Anzitutto, ci tengo a sottolineare che tengo moltissimo a questa storia: è nata quasi casualmente da un’idea balzana campata in aria e che poi, come al solito, mi è sfuggita di mano ed è diventata tutto ciò che stai per leggere. Vera Baudino e Amaryllis Keller sono personaggi assolutamente originali, scaturiti dalla mia mente malata e i casi di omonimia sono puramente casuali. I luoghi, invece, sono reali (essendo ambientata a Torino, non potevo inventarmi nulla), così come i vari cibi e vini che vengono nominati come tipici piemontesi, confermo che sono tradizionali della zona.

Spendo ancora due parole per quanto riguarda le note: per conferire maggiore realismo alla storia, alcune parti sono riportate in tedesco, altre in piemontese (di Torino e dintorni) e altre ancora in siciliano (di Palermo), mentre una piccolissima parte in inglese. Per quanto riguarda tedesco, inglese e piemontese ho attinto alla mia conoscenza personale di queste lingue, mentre per il siciliano ho chiesto ad un’amica palermitana. Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori di scrittura in piemontese e siciliano, ma non sono eccessivamente ferrata sulla scrittura del piemontese, mentre per il siciliano proprio zero, mi sono fidata di come mi scriveva lei le frasi! Il tedesco, invece, è correttissimo.

Talvolta, invece, Amaryllis parla in italiano e parla “sgrammaticato”, le frasi con errori volontari sono segnalate dal corsivo.

Infine, questa storia si configura come il sequel della storia che ho scritto per l’Only yuri contest di Volk, anche se cronologicamente l’idea per questa mi è venuta prima (te lo dico solo per farti capire il motivo del titolo!), dunque “Die Mitbewohnerin – La coinquilina” non va letta per comprendere questa, in quanto “Die Verlobte von der Mitbewohnerin” è completa in se stessa.

Mi sembra di aver detto fin troppo, buona lettura!


Battuta/e scelta/e:

9. “Che cosa c’è?”
“Mi chiedevo se non stessi aspettando che i vestiti si tolgano da soli”.

11. “Senti, non è che vorrai portarmi da tuo padre e chiedergli la benedizione, vero?”
“Sarebbe una cosa tanto terrificante?”
“Per me, non molto. È di tuo padre che mi preoccupo”.

Prima di lasciarvi tranquilli alla lettura, devo ringraziare calorosamente due persone: Kabubi e Calypso che mi hanno seguita in ogni sclero che ha accompagnato la stesura di questa storia.

Die Verlobte von der Mitbewohnerin è dedicata interamente a Nessie che non solo mi ha aiutata con il dialetto palermitano, ma più di tutte ha seguito con entusiasmo la stesura e mi ha supportata in quest'eroica impresa!

***

DIE VERLOBTE VOR DER MITBEWOHNERIN

PARTE 1

Seduta a gambe incrociate sulla scrivania, Vera mordicchiava assorta il retro di una matita HB, la schiena contro il muro. Contraeva ritmicamente le dita dei piedi nudi, le unghie laccate di blu. Aggiunse qualche linea allo schizzo che reggeva contro le ginocchia su un supporto rigido.

Fuori nevicava. Anzi, sarebbe stato più corretto dire che fuori una bufera di neve si stava riversando impietosa su Berlino. All’interno dell’appartamento, però, il caldo era quasi eccessivo. Tutta colpa del riscaldamento centralizzato. Così lei indossava un paio di calzoncini grigi e una maglietta sformata bianca, ricordo di un torneo calcistico disputato nemmeno troppi anni prima.

Si tamponò il sudore sulla fronte con il dorso dell’avambraccio, osservando indecisa quelle confuse linee che si accumulavano sul foglio bianco: non era per nulla convinta.

Afferrò di scatto la gomma e cancellò furiosamente quei segni di grafite, infondendo nel gesto una tale foga da stropicciare il foglio. Imprecò fra i denti e ridusse il pezzo di carta ad una pallina, che lanciò nel cestino dall’altra parte della stanza, centrandolo. Ormai era allenata.

Lasciò cadere il supporto rigido e si stropicciò gli occhi doloranti con le mani. Stava tentando di portarsi avanti con quel progetto d’illustrazioni per un libro per bambini: doveva essere completato per il rientro dalle vacanze natalizie, che sarebbero iniziate di lì ad una settimana. Vera si coricò sulla scrivania, inarcando la schiena per distendere la spina dorsale, poi allungò le gambe e le braccia. Rilassò infine i muscoli sbuffando.

Si era trasferita a Berlino quattro anni prima per frequentare l’Universität der Künste di Berlino, ovvero la versione tedesca dell’Accademia di belle arti. Amava la Germania, i suoi abitanti, i luoghi e, soprattutto, amava Berlino, dove voleva trascorrere il resto della sua esistenza.

Vera piegò la testa all’indietro, osservando al contrario le lancette dell’orologio: erano quasi le sette, Amaryllis sarebbe rientrata a momenti.

Si ricompose rapidamente. Sciolse il nodo disordinato in cui aveva stretto i folti e lunghi capelli castani, per poi riannodarli in una coda di cavallo più ordinata. Dopo averle raccolte, impilò le carte sparse sulla scrivania, sulle quali si era seduta senza farsi troppi scrupoli.

Scese la ripida scala a chiocciola di legno, rischiando di scivolare come al solito, poi si diresse verso il frigorifero alla ricerca di un po’ d’acqua fresca.

L’appartamento in cui vivevano non era molto grande, ma loro lo amavano. La porta d’ingresso dava direttamente nel salotto cucina, dove era incastrato un piano cottura e in un angolo un piccolo tavolo con due sole sedie. Dalla parte opposta, invece, stavano un divano a due posti, foderato da una vecchia coperta patchwork, e una televisione nera, molto simile ad un grosso scatolone. Lì accanto si apriva anche la porta del bagno. Tramite la scala a chiocciola invece si accedeva al soppalco mansardato, dove trovavano spazio il letto matrimoniale, appoggiato contro una parete nella parte bassa del soffitto, un ampio cassettone e la scrivania sulla quale Vera era seduta fino a poco prima. Il resto delle loro cose era stipato su una serie di scaffali che avevano inchiodato personalmente anni prima.

Si sedette sul bancone della cucina. Aveva quest’abitudine di sedersi su ogni mobile o superficie piana disponibile, come una scimmia che trova spazio in ogni nicchia. Non era molto alta, anzi, arrivava appena al metro e sessantacinque. Se c’era bisogno di raggiungere il ripiano più alto dei mobili della cucina doveva per forza salire in piedi su una sedia e questo le bastava appena. Per fortuna Amaryllis era di quindici centimetri più alta di lei. Una perfetta donna tedesca: capelli fulvi, occhi azzurri, zigomi alti, spalle larghe e gambe lunghe.

Vera la trovava terribilmente affascinante e non riusciva a non associare a lei la parola sessualmente attraente. Certamente non era pura passione carnale: amavano discorrere a lungo, abbracciate sul divano, o distese sotto le spesse coperte color sangue, dopo aver fatto l’amore. Era anzitutto un’intesa a livello intellettuale che, fortunatamente, coincideva anche sul piano fisico.

Amaryllis era uscita quattro ore prima con Jutte, sua cugina, per il rituale shopping natalizio dell’ultimo minuto, durante il quale avrebbero comprato regali pacchiani per le loro prozie e altri vecchi parenti. Vera, da sola, era nervosa. La mano con cui reggeva il bicchiere tremava leggermente. Mandò giù l’ultimo sorso.

Proprio mentre sospirava profondamente, udì la chiave girare nella toppa. Balzò in piedi, animata da nuovo ardore, attendendo pazientemente che il naso della compagna sbucasse oltre lo stipite. Amava prenderla adorabilmente in giro per quel naso che definiva importante e che era l’unica nota stonata nel suo bellissimo viso. A parere di Vera, contrariamente a ciò che Amaryllis pensava, le conferiva una bellezza ancora più marcata.

- Scheisse[1] – imprecò Amaryllis, sbattendo una borsa contro lo stipite.

Vera rise silenziosamente, le natiche poggiate contro il bancone e le braccia incrociate, osservando divertita la compagna.

La giacca beige era ricoperta di neve, così come il morbido berretto di lana. Le guance e il naso erano più rossi dei suoi capelli, nascosti quasi interamente dal berretto. Gli occhi chiari erano ridotti a fessure e le tremavano impercettibilmente le labbra, screpolate per il freddo pungente.

- Amore! – trillò Vera non appena Amaryllis ebbe posato al suolo le due borse che reggeva, una per mano. Le saltò letteralmente in braccio, incurante della neve che si incollava alla sua pelle nuda.

- Ehi, cucciola – mormorò Amaryllis, stringendola con forza a sé, impedendole di scivolare al suolo.

- Ho voglia di mangiarti di baci – mormorò Vera al suo orecchio, concretizzando in maniera limitata ciò che aveva appena espresso a parole. L’altra ragazza rise di gusto, mentre la costringeva a scendere a terra.

- Lascia almeno che mi tolga la giacca –

Vera la osservò con occhi languidi mentre si sfilava l’indumento, rivelando una spessa felpa verde acido. Spostò in un angolo le due borse e dal modo in cui le trattava pareva le procurassero molto fastidio. Toltasi i moon boot e quella felpa, rimase in t-shirt e jeans.

Allungò le mani fredde e indolenzite verso il viso della compagna, posandogliele dolcemente ai lati del capo. Poi la baciò. Vera si abbandonò completamente fra le sue braccia, gli occhi serrati, lo stomaco in subbuglio.

- Te-soro... – mormorò Amaryllis. Parlavano principalmente in tedesco (dato che ormai Vera lo padroneggiava fluentemente), talvolta preferivano discorrere in inglese, ma sempre più spesso Amaryllis utilizzava frasi o intercalari italiani perché stava cercando di avvicinarsi, anche se con alcune difficoltà, alla lingua natia della compagna.

Vera strofinò prima uno dei piedi nudi contro i jeans dell’altra ragazza, utilizzando a poco a poco tutta la gamba. Amaryllis le afferrò saldamente una coscia con la mano sinistra, spostando poi la mano sul gluteo nascosto dai calzoncini color asfalto, massaggiandolo.

- Fammi... fammi cambiare – balbettò Amaryllis, chiamandosi lentamente fuori da quell’erotico amoreggiare.

- Sì, poi dobbiamo parlare un attimo... – squittì Vera, riprendendo fiato e appollaiandosi sullo schienale del divano. Amaryllis salì sul soppalco con tutte le sue cose per andare ad appenderle ai ganci a parete o per riporle nel cassettone.

- Hai sentito i tuoi? – domandò cauta Amaryllis dall’alto, mentre si spogliava.

- Sì. Mamma ha detto che sarebbe meglio partissimo la mattina, in modo da essere là per l’ora di pranzo. Per loro è più comodo –

Amaryllis non rispose: era terrorizzata. Si stava prestando a quella pagliacciata solo per far felice la sua ragazza, ma l’idea di conoscere i suoi genitori e di essere presentata come la compagna ufficiale della loro primogenita non la riempiva di entusiasmo.

- Mya, ti prego. Lo so che sarà... imbarazzante, ma ci tengo molto... –

Amaryllis continuò a restare chiusa nel suo silenzio. Scovò la sua sformata maglietta blu scuro e un paio di pantaloni a quadretti del pigiama.

- Per favore, rispondimi – sussurrò Vera preoccupata, la voce ridotta ad un tremolio. Avevano litigato furiosamente meno di due settimane prima perché Amaryllis si rifiutava categoricamente di trascorrere le vacanze natalizie in casa Baudino. La scusa era che non avrebbe potuto non trascorrere nemmeno un giorno con la sua famiglia ma la verità era che il padre di Vera la spaventava a morte.

Erano venuti a trovarla un paio di volte, soprattutto in primavera, e non le erano mai andati a genio, specialmente il signor Baudino, così severo e burbero, rigido. La madre, invece, era stata talmente apprensiva a soffocante che Amaryllis si era sentita mancare l’aria, nonostante non fosse lei l’oggetto delle sue attenzioni.

I signori Baudino non era al corrente del fatto che la loro primogenita fosse omosessuale, non l’avevano mai saputo, né sospettato, accecati dai numerosi traguardi tagliati dalla figlia e dal suo carisma, grazie al quale riusciva a convincerli di qualunque cosa.

Scese silenziosamente la scala a chiocciola, per poi andare ad abbracciare quella piagnucolona della sua ragazza.

- Tu sei un noia – le disse, baciandole la fronte. Vera ridacchiò, evitando di correggerla per non offendere la sua autostima.

- Non potrò dire ai miei che sono lesbica il giorno del nostro matrimonio, devo dar loro del tempo per metabolizzare la notizia – spiegò Vera lasciandosi cadere sul divano e trascinando Amaryllis con sé.

- Ah, ci sposeremo? – domandò ironica Amaryllis, sollevando un sopracciglio.

Vera annuì con un’espressione da cucciolo gioioso dipinta sul volto, osservando quello della compagna a pochi centimetri dal suo.

- E me lo dici così?! – s’indignò Amaryllis, iniziando a fare il solletico alla compagna, che si contorceva sotto di lei in preda al riso convulso. Quando smise, la bloccò con il peso del suo corpo, baciandole le spalle e il collo, carezzandole i fianchi e i capelli. Il petto di Vera si alzava e si abbassava rapidamente.

La ragazza supina mugugnò, aggrappandosi alla schiena della compagna con forza. Si strinsero l’una fra le braccia dell’altra, avvolgendosi completamente. Amaryllis posava a intervalli regolari delicati baci sulla gota arrossata di Vera, le cui labbra erano curvate in un impercettibile sorriso di soddisfazione.

- Ho voglia di coccole – mormorò Vera, lasciando che la compagna la stringesse con più intensità.

- Andiamo nel letto, staremo più comode – propose Amaryllis posando una dito sulla punta del suo naso.

Vera si alzò controvoglia precedendo la compagna sulla scala a chiocciola, per poi tuffarsi con grazia sul piumone. Amaryllis si coricò accanto a lei, abbracciandola.

- Profumi – mormorò la ragazza mora, chiudendo gli occhi e premendo il naso contro il collo della compagna.

- Credo sia sudore, sai? – ironizzò lei, grattandole delicatamente la schiena. Vera rabbrividì di piacere.

- Allora, sei così disperata? – domandò improvvisamente la ragazza italiana, coricandosi sopra la compagna, che replicò con un gran sospiro.

- Sì –

Vera rise in una maniera talmente genuina e spontanea che anche le labbra di Amaryllis s’incurvarono.

- Sei sciocca, lo sai? – sogghignò, baciandole la fronte, divertita dalla sua angoscia.

- Ti ho promesso che verrò, quindi non hai da temere. Ho solo una folle ed ingiustificata paura della tua famiglia. Perché devi dirgli che stiamo assieme? E se non gli andrà giù che la loro deliziosa figliola sprechi le doti che Madre Natura le ha concesso per una qualunque crucca dai capelli rossi? –

- Non sei una qualunque crucca dai capelli rossi, patata, sei la mia crucca dai capelli rossi. E ho intenzione di andare dai miei e dire esattamente questo: genitori adorati, lei è la donna della mia vita! –

- Oh! Senti, non è che vorrai portarmi da tuo padre e chiedergli la benedizione, vero? –

- Sarebbe una cosa tanto terrificante? –

- Per me non molto. È di tuo padre che mi preoccupo – si lagnò Amaryllis, mordendole con delicatezza una guancia.

- E’ tempo di affrontarlo. E non solo lui! Mia madre, mia sorella, mio fratello, la nonna... –

Amaryllis gemette, zittendo la sua ragazza con una mano premuta contro le sue labbra, per poi costringerla sotto di sé.

- Ora chiudi quel forno che ti ritrovi, perché voglio baciarti – mormorò, concretizzando le sue parole. Vera si lasciò sfuggire un risolino quando la mano di Amaryllis scostò l’elastico di quei pantaloncini color asfalto.

Amaryllis si svegliò per prima, stordita, i capelli arruffati. Era coricata trasversalmente nel letto, avvinghiata a Vera, che dormiva su un fianco con la bocca dischiusa, un rivolo di bava che bagnava il cuscino. La ragazza distese le gambe e i piedi nudi fecero capolino da sotto le coperte. Provò una spiacevole sensazione di gelo.

Sbirciando la sveglia si accorse che erano le tre di notte: si erano addormentate senza nemmeno cenare! In quel momento si rese conto di cosa l’avesse svegliata: l’insistente brontolio del suo stomaco esigente. Sgusciò dalla stretta di Vera, che protestò debolmente, borbottando qualche parola in italiano e, fortunatamente, chiudendo la bocca.

Scivolò fuori dal letto in deshabillé, rabbrividendo. Durante la notte i termosifoni venivano spenti e dunque si creava la situazione opposta a quella diurna: la casa si avvolgeva di un cupo gelo che le faceva tremare le gambe.

Afferrò rapida un pigiama lungo di pile, abbottonandosi la maglia il più velocemente possibile. Quando anche l’ultimo bottone trovò il suo posto nell’asola gemella, la sensazione di gelo che l’aveva afferrata parve attenuare sensibilmente la morsa. Si voltò dunque verso la compagna.

La stava osservando, vigile, i grandi occhi scuri spalancati, la sagoma del suo corpo visibile grazie alla luce dei lampioni che filtrava attraverso le tende. Non avevano nemmeno chiuso le persiane.

- Ciao – mormorò, la voce impastata di sonno.

- Ho fame – disse Amaryllis, avvicinandosi al letto e posandole una mano sulla guancia. Vera mugolò, strofinando il volto contro il palmo che l’altra ragazza le aveva offerto.

- Anch’io –

Vera allontanò con un calcio il piumone rosso porpora e rabbrividì violentemente quando la sua pelle bollente venne sfiorata dalla gelida aria notturna dell’appartamento. Amaryllis fu lesta a porgerle la vestaglia di pile e un paio di pantaloni della tuta. Senza scendere dal letto, Vera si rivestì per poi abbracciare Amaryllis stringendo le braccia attorno al suo collo.

- Cosa vorresti mangiare? – le domandò posandole un bacio sulla guancia.

- Penso siano avanzate delle scatolette di tonno... –

- Pasta con il pomodoro e il tonno alle tre di notte – sentenziò Vera allegra, lasciando la presa e precedendo la compagna giù per la scala a chiocciola.

Forse l’allegria della compagna, forse la forza di volontà che aveva sempre posseduto in abbondanza, ma l’idea così terrificante di presentarsi come fidanzata ufficiale di Vera ai suoi genitori non la spaventava più così tanto. Anzi, era felice di poter, in un certo senso, legittimare il loro rapporto.

*

- Dammi la cintura – disse Amaryllis, porgendo il palmo della mano aperta alla sua ragazza, che stava riponendo gli oggetti di metallo nelle abituali scatole di plastica per poter passare sotto al metal detector. Vera le porse la cintura di cuoio e passò indenne sotto lo strumento. Poco dopo la raggiunse anche Amaryllis.

Recuperarono i loro bagagli a mano e si avviarono verso la zona d’imbarco.

- Fa caldo – si lamentò Vera, strattonando il morbido collo del suo maglione di lana blu. Si era già tolta il cappotto e la sciarpa, che ora reggeva con un braccio.

- E’ perché ti sei vestita come se dovessi andare a scalare l’Everest – mormorò Amaryllis, baciandole un orecchio.

- Ma fuori fa freddo! – protestò la ragazza italiana ridendo, meritandosi un dolce spintone da parte della compagna, stufa delle sue lamentele.

- Allora, come ti senti? – domandò Vera all’altra, mentre si sedevano sulle morbide poltroncine, posando le giacche nel posto vuoto accanto a loro.

- Nervosa? No, il termine più corretto è angosciata – specificò Amaryllis, accompagnando la frase con un gesto rapido dell’indice, come a bacchettare l’aria.

- Ti piaceranno i miei genitori. Sono un po’... particolari, ma penso che non si scandalizzeranno tanto. In fondo sono la loro adorata figliuola – sogghignò Vera, gingillandosi del suo successo scolastico, che rendeva tanto fieri di lei i signori Baudino.

- Per quel poco che li ho visti ammetto di non poter avere un’opinione basata su concrete osservazioni. Irrazionalmente, però, me li immagino come due giaguari appostati fra dimenticate rovine azteche pronti a sbranarmi non appena metterò piede nel loro territorio – confessò Amaryllis, procurando una ridarella isterica alla sua compagna.

Vera si ricompose quando il suo telefono squillò. La parole “mamma” lampeggiò con insistenza sul display, mentre si diffondevano nella sala le note di Shiny happy people, una vecchia canzone dei REM che riusciva a metterla sempre di buon umore, anche nei momenti più tetri.

Amaryllis sgranò gli occhi e s’infossò nella poltrona, come se la madre di Vera potesse vederla attraverso il telefono cellulare.

- Pronto? – rispose Vera, osservando la reazione dell’altra con una luce divertita negli occhi.

- Nini[2], stai bene? – le domandò apprensiva la signora Baudino.

- Sì, mamma, tranquilla. Siamo in aeroporto, stiamo aspettando che ci chiamino per l’imbarco. Com’è il tempo a Torino? –

Amaryllis aveva afferrato qualcosa della conversazione e si era tranquillizzata. Era solo la madre apprensiva che telefonava alla figlia lontana. Tutto qui. Senz’altro.

- Papà am ha dime[3] che lì nevica, fate attenzione, ne! Qua ha smesso da poco –

- Mamma, tranquilla, qua nevica sempre! –

- E la tua amica, com’è che si chiama? Non riesco a ricordarmelo mai... –

- Amaryllis, ma tu limitati a chiamarla Mya. Andrà benissimo –

- Nini, ma doveva proprio venire? Non è per cattiveria... ma... –

- E allora se non è cattiveria non vedo quale sia il problema. Ci tengo a presentarvela, okay? – s’infervorò Vera, agitando una mano, mentre Amaryllis la osservava terrorizzata. Cogliere il suo nome era stato un trauma. Soprattutto a causa del tono di voce che usato da Vera subito dopo.

- Ma certo, nini, e siamo contenti che tu voglia conciliare la tua vita in Germania con noi, ma i parenti... sarà difficile comunicare. Nemmeno noi parliamo così bene l’inglese, ne. Figurati la nonna! –

- Mamma, Mya parla un po’ di italiano e poi ci sarò io. Per me è molto importante che la conosciate – s’accorò Vera, stringendo la mano chiusa e premendola contro il ventre.

- Oh Signur, cosa avrà mai di tanto speciale? L’abbiamo già vista altre volte... – continuò la signora Baudino, affannata. Proprio non riusciva a comprendere la testardaggine della figlia, ma non aveva potuto negarle una cosa a cui pareva tenere tanto.

- Non dire cavolate! Vi siete a malapena salutati! Viviamo insieme da tre anni, mi sembra ora che scambiate due parole con lei – s’infervorò Vera, il pugno sempre più chiuso. Amaryllis la osservava, notando la sfumatura porpora che stava iniziando a farsi strada sulle guance della compagna. Allungò una mano, carezzandole quella chiusa a morsa, insinuandovi l’indice e costringendola ad allentare la presa, mentre intrecciava le loro dita. Poi le posò la testa sulla spalla.

- Nini, non ti agitare. State venendo qua, va tutto bene. Ci saranno papà e Sara ad aspettarti, okay? -, Vera stava per rispondere, quando Amaryllis le indicò il soffitto, facendole intuire che stavano chiamando il loro volo.

- Sì, mamma devo andare. Ci imbarcano! Atterrerò nel giro di un’oretta, baci – staccò il telefono senza ascoltare la sua risposta. Poi lo spense, onde evitare di essere richiamata dalla madre offesa.

Amaryllis intuì che qualcosa non andava, ma il suo tatto le suggerì di non domandare. Si limitò ad abbracciare Vera non appena si furono sistemate in coda. Lei chiuse gli occhi, appoggiando con piacere il viso contro il seno dell’altra. La ragazza tedesca le carezzava i capelli lunghi con gesti lenti e dolci, posandole saltuariamente morbidi baci sul capo.

- Enschuldigung[4] – mormorò Vera, tirando su col naso e lasciando scivolare lentamente la stoffa della felpa di Amaryllis che aveva stretto fra le dita quando l’aveva abbracciata.

- Sh, stai sitta. Va tutto bene – tentennò Amaryllis, strappando un sorriso a Vera con il suo marcato accento tedesco.

- Mia madre ha paura che non riusciate a comunicare. Una scusa per dirmi che era meglio se non ti avessi invitata. Lo fa di proposito, ne sono convinta: quando glielo proposi, ne fu entusiasta, ringraziandomi perché ero stata così premurosa da volerti portare da loro. Forse non pensava che l’avrei fatto sul serio. Davvero, non lo so. E ora se ne esce con queste... queste... cazzate! -, Amaryllis non ebbe bisogno di traduzioni, le parolacce gliele aveva insegnate tutte, di modo da trovarsi preparata in caso sua sorella o suo fratello si fossero comportati scortesemente, approfittando del suo non capire la lingua.

- Magari è solo agitata... conosci tua madre meglio di me: è meticolosa, abitudinaria. Le scombussolerò la daily routine! – scherzò Amaryllis, grattandole la schiena per farla sorridere.

- Non vedo l’ora di farti assaggiare i budini della nonna... – mormorò Vera, che aveva ritrovato il buonumore.

- Io non vedo l’ora che questo Natale trascorra e che arrivi gennaio, così potrò rotolarmi di nuovo nel letto con te – mormorò Amaryllis, le labbra premute contro il padiglione auricolare dell’altra. Vera avvampò, sorridendo maliziosa.

- Chi ti ha detto che ho intenzione di aspettare il ritorno a Berlino? – sollevò un sopracciglio con aria interrogativa e scettica. Amaryllis non poté far altro che limitarsi ad udire il suo stomaco contorcersi. Un conto era andare a chiedere la benedizione, un conto era fare l’amore sotto il loro naso.

- Saremo discrete – aggiunse Vera, annuendo coraggiosamente.

- Certo, per come sei discreta tu anche l’Australia sa cosa combiniamo sotto a quel piumone –

*

La voce del comandante annunciò l’arrivo a Torino prima in italiano, poi in inglese e, infine, in tedesco. Informò i passeggeri delle condizione meteorologiche all’esterno e li invitò a restare seduti fino al completo arresto del velivolo.

Amaryllis si stava massaggiando le orecchie, che le provocavano un forte fastidio a causa della rapida discesa e il conseguente sbalzo di pressione. Il suo stomaco era sempre più chiuso e accartocciato, come uno qualunque dei tentativi fallimentari dei disegni della sua compagna, ridotto poi ad una pallina di carta straccia e gettato con precisione nel cestino. Si massaggiò le tempie, sbuffando. Era sudata, si sentiva più accaldata del solito e le mancava l’aria. Sperava di scendere rapidamente da quella trappola con le ali.

- Honey, everything’s going to be fine[5] – le ricordò per l’ennesima volta Vera, carezzandole un braccio come si farebbe con il delicato capo di un chihuahua e baciandole una spalla a intervalli regolari.

Amaryllis non rispose, continuava a fissare ostinatamente il segnale luminoso che perdurava l’obbligo d’indossare le cinture, pregando perché si spegnesse dato che ormai erano praticamente fermi. Quando finalmente fu esaudita, si liberò di scatto della costrizione e recuperò il suo bagaglio a mano.

Riuscirono ad uscire dall’aereo col primo gruppo di passeggeri.

Il cielo di Torino era grigio, spento, ma la luce che filtrava dalle nuvole era accecante. L’aria gelida e pungente. Rientrarono nell’aeroporto per ritirare i bagagli, avvicinandosi rapidamente al nastro trasportatore, attendendo le valigie come predatori in agguato fra le sterpaglie.

- Ti senti meglio? – domandò Vera ad Amaryllis, stringendole una mano. La ragazza tedesca annuì, scusandosi per il suo comportamento maleducato di poco prima.

- E’ che sono un po’... nervosa –

- Tranquilla, lo capisco. Anch’io ero nervosa quando mi hai presentato tua madre – la rassicurò Vera, che ora si era avvinghiata al suo braccio. Era quasi un’azione automatica quella di aggrapparsi, avvolgersi, stringersi alla compagna, che le fosse offerta una mano, una gamba o tutto il corpo.

Furono fortunate e la loro valigia comparì quasi subito sul nastro. Amaryllis si sporse per afferrarla e la trascinò a terra sbuffando per lo sforzo: l’avevano riempita ben oltre la capienza massima suggerita.

- Mi sta prendendo il panico. Mi tremano le mani – sussurrò Amaryllis, mentre si avviavano all’uscita, dove avrebbero dovuto attenderle il signor Baudino e la sorella di Vera, Sara.

Si ritrovarono in una sala gremita di persone che reggevano cartelli, foto, scritte, tutte ammassate attorno alla porta, pronte a recuperare la persona da cui tentavano di farsi notare. Vera e Amaryllis li oltrepassarono a spintoni perché quelli parevano essersi cementificati e saltellavano sventolando i loro fogli, preoccupati di non essere visti.

- C’è? Lo vedi? – domandò Amaryllis, che sperava irrazionalmente che si fossero scordati di loro.

- No, Mya, lasciami guardare – disse Vera. Si erano fermate circa al centro della sala, punto da cui godevano di ottima visuale e avrebbero potuto identificare più rapidamente il signor Baudino e Sara.

- Vera! – chiamò una voce acuta proveniente da sinistra. Le due ragazze si voltarono di scatto. Era stata Sara a chiamarle a gran voce.

Due figure, una bassa e tarchiata, una alta e slanciata, le attendevano, braccia conserte e gambe ben salde.

Sara aveva lunghi capelli scuri, simili a quelli di Vera, ma era evidente la cura con cui li aveva sottoposti alla tortura della piastra. Era molto più alta della sorella, il naso più appuntito, la bocca più grande, ma era innegabile la somiglianza fra le due. Sulle guance il fard eccedeva e gli occhi erano segnati da una spessa linea di eye-liner nero. Indossava una specie di bomber nero e un paio di jeans molto aderenti, ai piedi un paio di kawasaki fucsia. Masticava nervosamente una gomma.

Il signor Baudino era la prova evidente che Vera era sua figlia, dato che l’altezza doveva averla per forza ereditata da lui. Portava i capelli corti, brizzolati e un principio di calvizie avanzava dalla fronte. Se ne stava immobile, serio nel suo cappotto marrone, dal cui scollo si intravedeva una sciarpa di un colore neutro ed insignificante, le scarpe talmente lucide da potercisi specchiare dentro. Il volto contratto, forse per la concentrazione nella ricerca della figlia. Quando la vide parve rilassarsi e i suoi occhi si aprirono, rivelandosi simili a quelli grandi e scuri di Vera, il volto rasato con cura non sembrava però mostrare segni di gioia.

Amaryllis udì nuovamente il lamento del suo stomaco e dovette trattenersi dal portarsi una mano al ventre. Non voleva mostrar loro che si sentiva uno straccio cencioso.

- Ciao papà, ciao Sara! – esclamò Vera, salutando entrambi con un gesto della mano e un sorriso.

- Ciao tesoro, lei è la tua amica? – domandò immediatamente il signor Baudino, osservando diffidente la rossa.

- Allora – Vera si schiarì la gola, pronta a fare le presentazioni e parlando italiano molto lentamente, in modo da permettere alla sua ragazza di capire – Lei è Amaryllis, la mia coinquilina. Mya, loro sono mio papà Giampaolo e mia sorella Sara –

Amaryllis fece un cenno imbarazzato con il capo, per poi porgere la mano destra. Sara la strinse controvoglia, il signor Baudino le stritolò le falangi, facendola quasi sussultare.

- Piacere Amaryllis. Sei la benvenuta – sillabò lentamente il signor Baudino, per poi rivolgersi con tono sbrigativo alla figlia. – Andiamo che mamma ci aspetta. Non vorrai mica fare tardi –

- Certo che no, sbrighiamoci –

Amaryllis si occupò della valigia, sorda alle proteste di Vera. Sara le osservava in modo curioso quando parlavano in tedesco, pensando forse che le stessero nascondendo qualche misterioso segreto templare.

Durante il tragitto in macchina parlò principalmente il signor Baudino, che spiegava alla figlia il programma dettagliato non solo della giornata stessa, ma anche di quella a venire e dei giorni ancora successivi, elencando una sfilza di parenti da andare a trovare controvoglia. Inoltre, quel giorno a pranzo la nonna non sarebbe stata presente perché era con la famiglia del fratello della signora Baudino a godersi una bourghignon.

Amaryllis non capiva una parola: il signor Baudino non stava parlando italiano, ma il dialetto della regione e lei era atterrita, rigida, non pareva nemmeno lei. Solitamente era dinamica, forte, carismatica, prendeva l’iniziativa in ogni momento senza farsi scrupoli. Ora temeva solo che il padre della compagna la cacciasse, costringendola a prendere il primo aereo per Berlino.

Il signor Baudino si destreggiò con abilità nel traffico di Torino, costeggiando il Po lungo Via Fiocchetto e procedendo verso la periferia. Dopo non molto si arrestò di fronte ad un cancello, attendendo che esso scorresse lateralmente, permettendo l’accesso della Punto nera.

Era un alto palazzo di mattoni, anzi, per l’esattezza era un complesso di palazzi che facevano riferimento ad un unico cortile, nel quale vi era persino un giardino con alcune attrezzature per bambini. Sulle altalene si stavano dondolando, ridendo forte, una bambina araba e una riccia biondina. Amaryllis sorrise a quella visione che le ricordava la sua multietnica Germania.

Sara prese la valigia di Amaryllis, che era talmente agitata da non riuscire nemmeno a ricordare la formula per ringraziare italiana. Se ne uscì dunque con uno stentato thank you, suscitando notevole ilarità in Vera.

- Du bist so nervös[6]... – mormorò, prendendole una mano e sorridendo con fare rassicurante. Amaryllis però non riusciva a calmarsi. Sara era dietro di loro e si sentiva il suo sguardo fisso contro la nuca. Le formicolava la pelle del collo sentendosi tanto osservata. Sara intuiva qualcosa, ne era certa. La guardava in modo troppo strano per essere semplice diffidenza dettata dall’essere sconosciute.

- Vado a piedi – disse Sara davanti alle porte aperte dell’ascensore, lasciando la valigia di Amaryllis sul pianerottolo, poi iniziò a salire.

- Cos’ha Sara, papà? – domandò Vera, mentre mettevano le valigie nell’ascensore. Il signor Baudino le lanciò uno sguardo piuttosto duro.

- Non mi sembra il momento di discuterne, ti pare? –

- Sì – chiuse il discorso Vera, pigiando il numero sei sulla pulsantiera di metallo.

Stretta in quel piccolo ascensore, Vera si sentiva mancare l’aria. Non le era mai piaciuto, così soffocante e angusto. Ma era una buona scusa per potersi stringere ad Amaryllis senza destare troppi sospetti. Non aveva intenzione di affrontare l’argomento in quella gabbia claustrofobica. Abbandonò il capo sul seno della compagna, che rimase immobile. Normalmente l’avrebbe abbracciata e ricoperta di umidi baci. Amaryllis si trattenne a stento dal farlo.

Finalmente le porte si riaprirono con un cigolio sinistro sul pianerottolo del sesto piano. Il signor Baudino si occupò di portar fuori le valigie, seguito dalle due ragazze. Sulla soglia di un’anonima porta marrone stava una donna di mezza età. Era addirittura più bassa di Vera, magrolina, il volto tirato e segnato da rughe sottili. Sembrava più giovane dei cinquantasei anni che le attribuiva Vera.

Mariangela Rosso indossava un paio di pantaloni grigi e un maglione nero a collo alto, al polso destro luccicava un orologio d’argento. Attorno al collo, adagiata sul seno piuttosto pronunciato, una collana di perle faceva bella mostra di sé. I capelli castani tagliati sulle spalle erano stati sistemati con cura dietro alle orecchie. Sorrise quando incrociò lo sguardo di Amaryllis, spalancando la porta.

- Mamma! – esclamò Vera, andando ad abbracciarla. La ragazza tedesca fece per afferrare la maniglia della valigia, ma urtò la mano fredda del signor Baudino, trasalendo. Lui non disse nulla, si limitò ad osservarla. Il suo sguardo indecifrabile le fece tremare i polsi.

- Venite dentro – disse la signora Baudino, allontanandosi dalla soglia per permettere ai tre di entrare. Sara si era già tolta il giubbotto e lo stava riponendo nell’armadio, rimanendo con indosso una semplice felpa grigia con il cappuccio.

- Mamma, lei è Amaryllis, la mia coinquilina e amica – disse Vera lentamente, indicando l’imbarazzata ragazza tedesca, colta nell’attimo di sfilarsi il cappotto e dunque con entrambe le mani occupate. Con un certo impaccio si liberò dell’indumento e strinse la mano alla signora Baudino, gracchiando uno stentato “piacere mio”.

- Gabriele! – chiamò il signor Baudino alzando la voce. Un ragazzino nel pieno dello sviluppo puberale sbucò da una porta laterale del corridoio. Portava un grosso paio di occhiali neri, sotto i quali si allungava un naso un po’ schiacciato, le orecchie erano leggermente a sventola e camminava curvato in avanti dal peso dell’adolescenza. Li raggiunse strascicando i piedi e masticando una gomma.

- Sputa quell’affare e stai dritto! Diventerai un verme – lo minacciò il signor Baudino. Il ragazzo sbuffò, poi andò in cucina senza nemmeno salutare la sorella.

Solamente quando ritornò nell’ingresso parve notare l’alta ragazza dai capelli rossi che tentava di nascondersi con scarso successo dietro a Vera. Avvampò osservandola attentamente.

- Amaryllis, lui è il mio fratellino Gabriele. Gabri, lei è la mia amica Amaryllis, la ragazza con cui vivo – disse per l’ennesima volta la primogenita Baudino, invitandolo a stringerle la mano. Gabriele la osservò stralunato e la sorella notò in lui un improvviso disagio. Porse una mano tremante alla tedesca. Vera intuì cos’era successo nel momento esatto in cui Gabriele incrociò le gambe e tentò di abbassarsi la felpa il più possibile, tirandone il bordo inferiore.

- Sei disgustoso – sbuffò Sara, dandogli uno spintone.

- E tu sei una cretina! – strillò lui, la voce fattasi improvvisamente acuta.

- Ragazzi, smettetela. Abbiamo un ospite, comportatevi con decenza – li ammonì il signor Baudino con tono severo, indicando la porta dietro alla quale si nascondeva la sala da pranzo, come per invitarli ad oltrepassare la soglia. I due fratelli obbedirono senza protestare.

- Andate, vi raggiungiamo subito. Scambio due parole con lei – disse Vera sbrigativa, mentre il resto della famiglia andava a sedersi a tavola, sulla quale il pranzo era già stato servito.

- Wie geht’s[7]? – domandò premurosa Vera, stringendo le mani della compagna. Amaryllis fece una smorfia con il naso, poi le posò un bacio sulla fronte.

- Bah, più o meno... tuo padre mi terrorizza, con tua madre ci ho parlato troppo poco per capire cosa provo per lei. Penso non sia molto diverso dall’angoscia. I tuoi fratelli invece mi spaventano. Il maschietto – non pronunciò il nome per timore di essere udita – non ha per caso avuto... –

- Oh sì! – scoppiò a ridere Vera.

- Avevo giusto bisogno di un adolescente arrapato che mi osserva con occhi da triglia e diventa inabile alla parola quando gliela rivolgo io. Ci sono già io di imbarazzata qua dentro, è più che sufficiente –

- Es ist denn du bist wunderschön[8] – miagolò Vera stringendosi a lei e strofinando la guancia contro il suo seno. Amaryllis le sussurrò all’orecchio che, solamente perché i suoi non capivano una parola di quel che dicevano, non era però così stupidi da non saper interpretare il tono di voce.

- Ora andremo in cucina e tu sfodererai il tuo sorriso più affabile, loro saranno cordiali con te, tu ricambierai, poi io gli dirò che sei la mia fidanzata. Tutto chiaro? –

- Per nulla – sibilò Amaryllis, percependo nuovamente il suo stomaco contrarsi.

- Perfetto! –

Vera trotterellò allegramente in cucina, apparentemente immune all’ansia che stava nuovamente prendendo possesso del corpo di Amaryllis.

Il signor Baudino occupava il posto capotavola, alla sua destra sedeva con gli occhi bassi la moglie, accanto alla quale Gabriele stava smangiucchiando nervosamente la punta di un grissino. Sara, alla sinistra del padre, osservava annoiata le due ragazze fare il loro ingresso. Vera si sistemò accanto alla sorella, invitando Amaryllis ad occupare il posto capotavola di fronte a suo padre.

- Cara, come antipasto abbiamo carne cruda all’albese, ne vuoi? – domandò lentamente la signora Baudino, indicando un piatto su cui erano adagiate sottili fette di carne cruda, insaporite con olio e scaglie di parmigiano.

Amaryllis annuì, non del tutto certa di ciò che aveva detto la sua interlocutrice, ma abbastanza sicura di aver capito che stesse parlando di quel piatto. Lo allungò alla signora Baudino, che si occupò di servirla.

- Nini, com’è andato il volo? –

- Tutto bene, ma’, sono qui davanti a te! C’era molta gente che viaggiava, soprattutto famiglie. E il volo è stato tranquillo nonostante la neve –

- Ti piace Torino, Amaryllis? – domandò la madre di Vera scandendo lentamente le parole.

- Io ho visto poco, ma Vera parla tanto di Torino e sembra come se la conosco – tentò Amaryllis, monitorando il volto della sua ragazza, in cerca di segnali d’approvazione. Li trovò in un caldo sorriso.

- Parli abbastanza bene italiano. E’ stata mia figlia ad insegnartelo? – s’informò il signor Baudino.

- Sì, io lo ha chiesto. Io voleva di imparare prima di venire a Torino

Amaryllis era un po’ più tranquilla, ma le sue scorte di italiano stavano per terminare. Si riempì dunque la bocca di quella squisita carne cruda, sperando che ciò facesse desistere i coniugi Baudino dal porle altre domande. E così fu: la signora Baudino iniziò a parlare con la figlia minore, domandandole di alcuni amici con cui si era vista il giorno precedente.

Amaryllis sollevò gli occhi e incrociò lo sguardo di Gabriele. Il ragazzino arrossì furiosamente, abbassando la testa nel piatto e dimenandosi sulla sedia.

- Quanti anni hai? – gli domandò improvvisamente, presa da un’improvvisa tenerezza verso quel ragazzino imbarazzato.

- Q-quasi q-quattordici – balbettò, gli occhi fissi sulla tovaglia.

Vera stava ascoltando la conversazione fra la madre e la sorella: a quanto pareva Chiara e Benedetta avevano litigato, mentre Jessica si era messa con Antonio. Vera ricordava vagamente quei nomi, erano amiche di Sara, una serie di ragazzine dai lunghi capelli lisci di piastra e gli occhi eccessivamente truccati. Per non parlare dell’orrenda musica che ascoltavano. La ragazza lanciò anche un’occhiata alla sorella, che tentava di parlare con Gabriele. Vera trattenne una risatina al pensiero di ciò che il fratellino provava vedendo Amaryllis.

- No, cioè, non te lo immagini: Mirko è proprio frocio! – esclamò Sara diretta alla madre, attirando l’attenzione di Vera.

- Che ha fatto? – domandò la maggiore delle Baudino, curiosa. Le idee politiche della sorella la divertivano sempre molto. Come la sua ignoranza.

- Ha toccato il sedere a Franco! E poi cioè lo vedi che è frocio da come cammina –

- Tu sapresti distinguere una persona omosessuale da una eterosessuale in base al modo di camminare? – domandò Vera scoppiando a ridere, divertita.

- Be’, se sculetta come una velina direi che è piuttosto semplice, non ti pare? – intervenne ridacchiando il signor Baudino. Vera non replicò, infastidita. Detestava la mentalità ristretta di suo padre ancor più di quella della sorella.

- Was passiert[9]? – domandò Amaryllis, insospettita dall’improvviso incupirsi dell’espressione di Vera.

- Mia sorella e mio padre sono omofobi e disgustosi, ecco cosa succede – rispose Vera con un largo sorriso gioviale, parlando il più rapidamente possibile. – Mi ha chiesto cosa c’è come primo e le ho risposto che hai preparato le lasagne – spiegò, mentendo, a beneficio della famiglia, che non capiva mezza parola di tedesco.

- Sì nini, ne vuole? – sorrise la madre.

- Oh no, non ancora. Deve finire la carne cruda –

- Comunque tu dovresti saperlo come camminano i froci – la pungolò Sara, ritornando sull’argomento con sadica consapevolezza.

- E perché mai? – chiese Vera senza scomporsi, sollevando il sopracciglio destro, abilità non comune a tutti.

- Sara, smettila con queste assurdità. L’università di tua sorella è frequentata da gente perbene e lei è una ragazza ammodo, non frequenta certa gente – l’ammonì il signor Baudino, per poi ordinare alla moglie di portare le lasagne.

- Mia sorella ha appena fatto un velato riferimento al mio appartenere al Partito Arcobaleno – spiegò Vera per Amaryllis, che non stava più capendo una parola e si era rassegnata a terminare quel delizioso antipasto. Questa volta non tradusse nemmeno una qualsiasi bugia per la sua famiglia.

Sapeva che c’era del buono in suo padre, l’avrebbe accettata senz’altro. Magari avrebbe fatto un po’ di fatica, ma alla fine avrebbe capito. Almeno lo sperava. Di sua sorella, invece, non le importava molto.

- Amaryllis, cosa stai studiando? Hai la stessa età di Vera, ne? – domandò la signora Baudino, servendole una porzione di lasagne decisamente consistente.

- Sì, io ho venti e tre anni. Io studio... Vera, hilf mir, bitte[10] - s’interruppe Amaryllis che proprio non aveva idea di come spiegare alla madre della sua ragazza la facoltà a cui era iscritta e il tipo di cose che studiava.

- Amaryllis studia biotecnologie, non ci capisco molto, ma è interessante. Lavora nel campo della ricerca – spiegò venendole in soccorso, mentre l’altra annuiva con foga.

- Mm, sembra utile – sorrise con una gentilezza di facciata la signora Baudino, mentre Vera udì chiaramente suo padre borbottare che i ricercatori erano una delle tante sanguisughe della società.

- Papà, ti prego. Non mi sembra il caso – lo redarguì la figlia, arrabbiata per la maleducazione che mostrava. Proprio perché Amaryllis non era in grado di capire e dunque di replicare era ancora più scorretto fare quelle affermazioni sentenziose senza darle la possibilità di difendersi.

- E’ lampante, Vera. E non sono solo loro! Pensa a tutti quei giornalisti e a quelle prostitute che si sono fatti i soldi inventandosi baggianate su Berlusconi e perseguitandolo con accuse pretestuose! –

- Oh mio Dio, ti prego! Io vivo a Berlino, leggo i giornali tedeschi: siamo lo zimbello dell’Europa – replicò pungente Vera, tagliando a cubetti regolari le sue lasagne e osservando le sottili volute di fumo attorcigliarsi su loro stesse e svanire lentamente.

- E cosa sta facendo la sinistra per il paese? Quel branco di incapaci è solo in grado di chiedere le dimissioni al Presidente del consiglio, ma fatti concreti non se ne vedono –

- Non mi pare che la destra abbia concretizzato molto... Preferisco di gran lunga la Germania. Non tornerò in Italia – decretò Vera, che aveva preso quella decisione già da molto tempo.

- Oh Signur! Vera, scherza mac[11]! - esclamò sua madre, impallidendo.

- No, mamma, là mi trovo bene. Ho tutto quello di cui ho bisogno. Un paese come l’Italia non mi offre un futuro –

- Oh sì, hai proprio tutto. E il surrogato di ciò che non puoi avere – ironizzò Sara, giocherellando con un avanzo di lasagne.

- Cosa intendi dire, Sara? – le domandò il signor Baudino deglutendo l’ultimo boccone.

- Io? Nulla. Ha tutto là, l’ha detto lei – si mise sulla difensiva la ragazzina, lasciando cadere la posata, che tintinnò contro il piatto.

Vera cambiò rapida argomento dimostrando un’abile tecnica oratoria e una padronanza eccezionale del proprio autocontrollo. Si complimentò con la madre per l’ottima qualità del pranzo, domandò a suo padre come procedesse il lavoro alla Fiat e s’interessò persino agli ultimi esperimenti di scienze eseguiti a scuola dal fratello, grande appassionato della materia.

I genitori di Vera si dimostrarono gentili e disponibili, tentando in tutti i modi di coinvolgere l’ospite nelle loro conversazioni, che si stavano mantenendo su una linea piuttosto vaga e banale, ma l’ostacolo linguistico impediva di trattare argomenti più seri e profondi, dato che Vera avrebbe dovuto prestarsi a fare da traduttrice a tempo pieno.

Fu dopo che la signora Baudino ebbe riportato in cucina la teglia di lasagne e posato sul tavolo un grilletto di insalata, che Amaryllis notò l’impazienza di Vera. Non doveva mancare molto alla confessione.

- Ma’, pensavo di portare Amaryllis a fare un giro per Torino dopo pranzo: è la vigilia, sarà pieno di luci e colori! Per non parlare della folla. Voglio farle respirare la nostra aria natalizia – la madre annuì approvando la scelta della figlia e osservandola con espressione fiera – Mi passi l’insalata? Grazie. Ah, fra l’altro, pensavo che sarebbe stato carino dirvi che sono omosessuale. Ma le lasagne erano davvero squisite... –

Il signor Baudino iniziò a tossire convulsamente a causa di una foglia d’insalata incastrata nella sua epiglottide. Si portò una mano al petto, percuotendosi con forza. La signora Baudino iniziò a bombardarlo di domande con tono isterico, porgendogli affannata un bicchiere d’acqua, con il solo risultato di versargliene metà sulla camicia.

- L’hai fatta grossa – ridacchiò Sara, infossata sulla sedia, rivolgendole un’occhiata obliqua.

Amaryllis era, come ormai da un paio di giorni, terrorizzata. Il signor Baudino stava soffocando e la moglie era in preda ad una crisi isterica. Si limitò ad osservare la scena con occhi sgranati, mentre Gabriele la osservava con la medesima espressione, ma le vibrazioni che emanavano erano totalmente diverse.

Ci vollero alcuni minuti prima che il signor Baudino tornasse a respirare normalmente e il volto riacquistasse un colorito salutare. La signora Baudino si stava facendo aria con il tovagliolo, le labbra serrate in una linea sottile. Vera attese ancora una manciata di secondi, poi esordì con la sua confessione ufficiale.

- Mamma, papà... devo dirvi una cosa – iniziò Vera con uno scintillio di sicurezza e orgoglio negli occhi. Sara assunse un’espressione di trionfo, Gabriele invece era ancora assorto ad osservare incantato la bella amica della sorella maggiore, di cui si era invaghito e il calore proveniente dalle sue mutande ne era la prova lampante.

- Vera, non farmi altri scherzi, ne – la pregò la madre portandosi una mano sul cuore. Vera scrollò le spalle, poi fissò intensamente il suo sguardo in quello del padre, la persona seduta a quel tavolo che temeva maggiormente.

- Amaryllis è la mia fidanzata, stiamo assieme da tre anni – disse ex abrupto. Voleva strappare quel dente con un solo strattone, sarebbe stato meno difficile e doloroso.

Il silenzio calò sulla tavola: il signor Baudino divenne rapidamente di un delicato color porpora, senza però scomporsi minimamente, l’unico segno della sua alterazione erano le dita della mano destra serrate convulsamente al tovagliolo di stoffa; la signora Baudino, al contrario, sbiancò, lasciandosi cadere contro lo schienale della sedie e portandosi le mani al volto; Sara sogghignò entusiasta di aver fatto centro e di essere riuscita, per la prima volta, a mettere la sorella in una condizione di inferiorità agli occhi dei genitori; Gabriele, dal canto suo, rimase piuttosto indifferente, ancora troppo concentrato sull’ospite tedesca.

- Hai... è... ce lo dici così? – balbettò il signor Baudino, osservando con rabbia la ragazza seduta di fronte a lui, che era diventata dello stesso colore del ragù con cui erano state condite le lasagne e stava osservando il proprio piatto vuoto..

- Sì, non avevo altra scelta. Volevo farvela conoscere, per me significherebbe molto che voi siate cortesi con lei e la trattiate con rispetto –

La signora Baudino non diede segno di aver udito mezza parola, mentre il padre sibilò solamente che ne avrebbero parlato ancora, rimuginando qualcosa fra sé e sé.

Il pranzo continuò con un lungo ed imbarazzato silenzio, rotto saltuariamente dai sospiri della signora Baudino, dalla tosse di Gabriele e dal rumore delle posate nei piatti.

- Sistemiamo la valigia, poi usciamo – disse Vera, prima di alzarsi da tavola.

- Sistemala nella stanza degli ospiti, tu puoi dormire nel tuo vecchio letto – disse la madre con sguardo vacuo.

- No, io dormo con lei nella stanza degli ospiti –

- Vera... – ringhiò il signor Baudino, pugnalandola con lo sguardo. La ragazza rabbrividì ma non cedette.

- No, dormirò con lei nella stanza degli ospiti. Qual è il problema? Hai paura che possiamo fare certe cose? Viviamo assieme da tre anni: se c’era qualcosa da fare, l’abbiamo già fatto – ribadì alzandosi in piedi e afferrando Amaryllis per un gomito, facendole segno di alzarsi in piedi. La sua compagna era madida di imbarazzo e le sue guance parevano in fiamme. Si diresse verso l’ingresso per recuperare la valigia, che avevano abbandonato lì perché il pranzo era già pronto. L’ultima cosa che vide con la coda dell’occhio fu la signora Baudino che afferrava la bottiglia di Dolcetto d’Alba e se la portava alla bocca, rovesciando il capo all’indietro senza ritegno.

Vera trascinò quella valigia sovraccarica con fatica nella stanza degli ospiti. Non era molto ampia, ma conteneva un letto matrimoniale dal design essenziale, acquistato all’Ikea molti anni prima, un piccolo mobile in legno dalle ante scorrevoli, una sedia e un ficus d’appartamento.

- L’hanno presa bene, che ne dici? – domandò Vera ridacchiando ad Amaryllis, stringendosi ai suoi fianchi. L’altra la osservò con aria dubbiosa, incerta se la stesse prendendo in giro o se fosse seria, effettivamente i signori Baudino avrebbero potuto reagire in modo più violento. Magari sua madre avrebbe spaccato un piatto e suo padre le avrebbe spaccato la testa.

- Mi senti? – rise Vera schioccando le dita davanti al naso di Amaryllis, assorta ad osservare il film che la sua mente stava proiettando. La primogenita Baudino salì in piedi sul letto per trovarsi ad un’altezza superiore a quella della compagna, poi la baciò con forza sulle labbra.

- Pensavo di portarti a passeggiare in Via Roma – mormorò Vera fra le labbra dischiuse della tedesca.

- Potresti anche portarmi in Finlandia, non noterei la differenza e soprattutto non chiedere consigli a me che non sono mai stata in Italia! –, rise posandole le mani sui glutei e premendo il proprio corpo contro il suo.

- Dai, usciamo! – sentenziò Vera, saltandole in braccio senza complimenti e azzannandole un’orecchia.



[1] “Merda”

[2] Vezzeggiativo tipico del dialetto piemontese usato indifferentemente al maschile o al femminile

[3] “Papà mi ha detto”

[4] “Scusa”

[5] “Tesoro, andrà tutto bene”

[6] “Sei così nervosa”

[7] “Come stai?”

[8] “E’ perché sei stupenda”

[9] “Cosa succede?”

[10] “Aiutami, per favore”

[11] “non scherzare”


   
 
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