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Autore: Darkshin    17/04/2011    1 recensioni
In un mondo che si appresta a entrare in una nuova guerra tra dei, nuovi cavalieri sorgeranno per difendere la dea Atena e il mondo.
Ma ogni grande viaggio, comincia con un piccolo passo.
Questa è la storia di uno dei nuovi cavalieri, Gunther, e del suo viaggio che lo porterà dall'America alle vette del Santuario.
Collegata a "Saint Seiya New Dawn", di naruhina91.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Saint Seiya Gunther  Un ragazzo difficile


Chicago non è un buon posto dove nascere.
Industrializzata fino al midollo, la sua skyline è una infinita selva di grattacieli e di ciminiere che instancabili come vulcani mai sopiti, vomitano sulla città il loro fumo denso e greve, puzzolente di olio e motori.
Laggiù, avvolti nelle sue spire grigie, osano vivere uomini che giorno dopo giorno continuano a perdere diritto a tale appellativo, immersi fino al collo in quella fabbrica a cielo aperto che un domani li avrebbe resi evanescenti come fantasmi e grigi come macchine spente e silenziose.
Non si scherzava mai, a Chicago. Non c'era tempo.
Nessuno lì, in effetti, aveva mai tempo per qualcosa che non fosse aumentare la produttività in una giornata scandita da impegni precisi e consuetudini ritmiche, definiti dal moment in cui aprivano gli occhi a quello in cui li chiudevano, quando, unico e vero istante di libertà della giornata, si chiedevano se l'indomani li avrebbero riaperti.
Perchè la grande metropoli era anche questo: nei palazzi, le macchine la facevano da padrone, ma le strade appartenevano ad ogni sorta di rifiuto della società: chi aveva perso il passo con i ritmi frenetici ed era stato "eliminato" dal sistema e chi nel sistema non aveva voluto avere a che fare, ora governava quel regno di immondizia e sudiciume, fango, sporco e lacrime; piccoli re che cercavano di mangiarsi l'uno con l'altro per accrescere quello che per loro era potere.
Accadeva anche, talvolta, che taluni di questi piccoli re crescesse fino al punto di rientrare nei palazzi dai quali erano stati cacciati; ma, se la crudeltà necessaria non mancava a nessuno, lo stesso non si poteva dire dell'intelligenza e della forza di volontà necessari ad arrivare in cima.
Gunther aveva sempre pensato, anzi, saputo, che lui sarebbe stato uno di quelli che ce la avrebbe fatta.
Ogni volta che chiudeva gli occhi, poteva quasi assaggiare, estatico, la sensazione del potere su quela città di morti che magari sarebbe stato solo il primo passo verso ben altre mete.
Il sedicenne dai capelli blu, alto per la sua età, si concesse un sorriso ferino mentre si beava nelle sue fantasie all'ombra di un muretto dove aspettava il suo primo, vero incarico importante.
Certi tipi gli avevano proposto di portare una valigetta ad altri tipi. Non ci voleva un genio per capire quello che avrebbe dovuto fare, probabilmente sarebbe stata droga o al massimo armi.
Potendo scegliere, avrebbe preferito la prima: nel caso in cui avesse incontrato sbirri, con un pò di polvere si poteva sistemare tutto e magari il destinatario non si sarebbe accorto di nulla mentre con le armi sarebbe stato più difficile contrattare.
Sapere che stava per aiutare una persona ad ammazzarsi o ad ammazzarne altre non gli causava alcun problema: dal suo punto di vista, lui non si impicciava degli affari della gente e la gente non doveva fargli girare le scatole o avrebbe assaggiato la potenza dei suo pugni.
Assorto nei suoi pensieri, non si era reso conto dell'arrivo di un uomo, che ora lo sovrastava dall'alto. La pelle scura e l'abito di ottimo taglio lo denotavano immediatamente come straniero, ma quello che inquetava davvero era il volto fermo e inespressivo, non malvagio o particolarmente cattivo quasi un blocco di pietra dove solo gli occhi testimoniavano la vita.
Occhi che sembravano scavare a fondo in quel ragazzino che sedeva nella polvere, muto e con la bocca leggermente aperta in una espressione sorpresa.
Una delle regole fondamentali della strada era capire al volo chi potevi fottere e chi no.
Era bastato incrociare gli occhi per capire che non poteva fargli del male in alcun modo.
"E... Hey, amico! Tutto bene?" sorrise, un pò strafottente tanto per spezzare la cappa di silenzio che si era venuta a creare. "Ti sei perso, per caso?"
"... Così pare." ammise senza problemi l'altro senza smettere di fissarlo.
Quasi come se se lo fosse aspettato, la voce non trapelava nessun sentimento o intonazione particolare, se si escludeva il pesante accento che lo etichettava come prodotto non made in USA.
I minuti passavano lenti, ma l'uomo non si decideva ad aggiungere altro, mentre Gunther stava per perdere la poca pazienza che aveva: che quello fosse stato uno sbirro in incognito? Scartò immediatamente l'idea: il buonsenso gli diceva che un tipo così appariscente non sarebbe mai potuto passare in incognito.
Appariscente, poi? A guardarlo distrattamente, non sarebbe mai sembrata la parola giusta, ma quel tipo riempiva l'aria con la sua presenza.
Per la prima volta nella sua vita, Gunther sentì il cuore rallentare i battiti, come un lago increspato che finalmente sta tornando piatto e limpido come uno specchio.
Non c'era più spazio per la paura, solo per una assurda sensazione di pace e benessere.
"Non dovresti rilasciare così il tuo cosmo, Anil"
Un altro tipo strano si stava avvicinando.
Come l'uomo che aveva chiamato Anil, vestiva uno splendido completo, più chiaro rispetto all'altro.
I corti capelli biondo platino gli conferivano un aura dura, confermata dal volto freddo e spietato come il ghiaccio. Era anche più alto di Anil stesso, ma non era tanto questo a spaventare quanto il fatto che a prima vista si indovinava come il tipo capace di ucciderti con il semplice respiro.
"Io ho finito. Se non sbaglio, ti avevo chiesto di aspettare alla stazione."
Nemmeno lui era americano. Probabilmente europeo o giù di lì.
L'asiatico non sembrava particolarmente impressionato dal tono dell'altro, ma almeno sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi.
"Scusami. Volevo vedere come era fatta una vera città".
"Hm. Lasciamo perdere, abbiamo altri posti da controllare".
Un ultimo sguardo al ragazzino e finalmente Anil si decise ad andare, per seguire il suo compagno che nonostante i modi freddi, sembrava godere della sua fiducia.
Ad una certa distanza, il biondo si decise a parlare.
"E' successo qualcosa, Anil?"
"Quel ragazzino. Non hai notato niente di strano?"
"Nulla di particolare... se non che avrebbe bisogno di una bella doccia, perchè?"
"Nulla... solo una impressione" mormorò, più a sè stesso che all'altro.

"Porca.... che gente!" sibilò Gunther, accorgendosi solo adesso che aveva praticamente trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui era stato sotto lo sguardo dell'indiano.
"Yoooooo... ? Gun! Bastardo, dove sei?"
"Non urlare, coglione! Sto qua!" gridò in risposta, decidendo all'istante di dimenticare quello che era appena successo.
"Yooo, Gun... lavato il collo? Cambiato le mutande? Sai, ti succedesse qualcosa e finissi in ospedale..."
"Fanculo, pagliaccio!"
"Brutta storia, affidare roba preziosa ai mocciosi... dove andremo a finire?"
Il rumore sordo di una pietra che si frantumava nella mano di Gunther fece capire a quel pesce piccolo che non era il caso di tirare troppo la corda: diversi prima di lui avevano osato prenderlo in giro e tutti erano finiti a fare compagnia al letto per molte, molte settimane.
"Calmo, bello" cercò di conciliare l'altro "Ecco la roba" gli lanciò una sorta di borsone da squadra di basket, verde e con una cinghia che permetteva di portarlo appeso su una spalla.
"Finalmente" ringhiò il ragazzino "Se mi dicono qualcosa dò la colpa e te e poi ti vengo a cercare!" urlò, mentre l'altro se ne andava agitando con strafottenza una mano.
"Tsk... bastardo".
Protestare non sarebbe servito a niente, quindi si risolse a mettersi all'opera. Giocando tutto il giorno per quei quartieri, aveva acquisito una conoscenza impareggiabile sulle strade migliori da percorrere, specie quando si vuole passare inosservati agli occhi della "legge". 
Eppure, anche passare per i vicoli bui e nascosti della città, cosa che lo faceva sentire sempre come se ne fosse stato il sovrano, non lo tranquillizzò del tutto nè gli diede un minimo barlime di gioia. Aveva ancora davanti a sè gli occhi dello straniero, neri e luccicanti come una piccola galassia.
"Psst... Gun!"
"Che ca... Leon!" sorrise il ragazzino sorpreso, riconoscendo un vecchio compagno di giochi, il vecchio Leon dai capelli castani e lo sguardo serio di chi è cresciuto troppo velocemente.
"Ohi, man... ci sono anche io, aspettate!" un altro tipo con cui aveva passato la vita, un ragazzino con un giubbino smanicato verde e una bandana rossa che copriva i lunghi capelli neri e arruffati.
"Ralf! Che fate da queste parti? Non stavate più su?"
"Lavoro, cretino" sorrisero, mostrando i diversi zaini che portavano a loro volta.
I ragazzini si concessero un rapido sorriso complice, che svanì nell'apprendere il fatto che avrebbero dovuto consegnare tutti la roba alla stessa persona.
"Ma a che gioco sta giocando, quello?"
Leon si passò la mano dietro la nuca, mentre rifletteva furiosamente.
"Chiedere rifornimenti a tre clan diversi... qui qualcosa puzza!"
"Scusate, colpa mia!"
"Ma che schifo, Ralf!"
Ancora preoccupati, raggiunsero finalmente la loro destinazione, un vecchio drive-in abbandonato.
Solo delle tenui luci riuscivano ad oltrepassare l'alta staccionata di legno, rinforzata da quando era stato eletto covo ufficiale del capoccia locale. All'ingresso, due gorilla facevano la guardia, fucili in pugno, ma senza fare storie e contrariamente alle loro aspettative lasciarono che i ragazzini entrassero.
Era una sua impressione o gli era sembrato che i due si scambiassero un sogghigno complice? Forse era solo paranoia...
-Anche volendo... che potrei fare?- si chiese, il cuore che andava a mille. Ralf sembrava spensierato, ma Leon doveva condividere più o meno i suoi stessi pensieri, a giudicare dal viso pù contratto del solito.
Il capo era più o meno identico a tanti altri che aveva incontrato, compreso il suo attuale datore di lavoro. La testa rasata e gli occhiali da sole erano una sorta di status symbol per tipi come quello: Gunther aveva deciso da tempo che non avrebbe mai toccato i suoi splendidi capelli blu che lo facevano spiccare al di sopra della massa.
Sorrise, quasi a volersi ingraziare i tre e invitarli a farsi avanti, ma il suo più che un sorriso sembrava un taglio netto e sottile come quello di un serpente.
"Prego, prego, non siate timidi" ghignò "Voi dovreste essere i corrieri, giusto?"
Ad uno schiocco delle sue dita, alcuni dei suoi uomini strapparono gli zainetti dai ragazzini che esplosero in versi di indignazione, per poi depositarli ai piedi del capo. Uno di loro, aprendo lo zaino di Gunther, saggiò la qualità della polvere contenuta in un sacchetto, per sputarla un attimo dopo disgustato.
"Un taglio di merda, non è nemmeno un terzo di roba, questo! Avevamo chiesto tre quarti, ci prendono per il culo!"
"Aha..." commentò il capo, conciliante, come se si aspettasse una cosa del genere, per poi voltarsi verso i ragazzini con aria dispiaciuta.
"Questa è una grave offesa, piccoli miei. I vostri capi ci vogliono fottere, e non è mica giusto, non trovate?"
"Non so di che parlate. Noi consegnamo la roba e basta" lo sfidò Gunther, prima di essere spedito la tappeto da un calcio arrivatogli da qualcuno alle sue spalle.
"Ambasciator non porta pena, eh? Mi spiace, piccoli miei, ma qui è una regola che non vale" sorrise, sadico "penso proprio che vi riconsegnerò a chi vi ha mandato... tagliati male come questo schifo, si intende".
"Rispediamoli a rate!" urlò qualcuno, acclamato dagli altri che risero come pazzi, mentre il loro capo tirava fuori un coltellaccio da uno degli stivali che indossava.
Inaspettatamente il primo a partire fu Ralf, che si lanciò urlando in una folle carica contro il capo a testa bassa. 
Come se se lo aspettasse, il capo arretrò di un passo per farlo andare a vuoto, inchiodandolo a terra con una mano per il collo, mentre Leon e Gunther venivano tenuti bloccati e tenuti in ginocchio. I due amici, immobili, furono costretti ad assistere allo spettacolino del capoccia che affilava il coltellaccio contro una cinghia e lo passava delicato sulla guancia di Ralf, quasi carezzandolo, prima di staccargli come se fosse stato di burro un orecchio.
Gunther non sentiva più niente: le voci dei delinquenti, le urla rabbiose di Leon, gli strilli acuti di Ralf... tutto stava sparendo pian piano, lasciando il posto ad una fitta oscurità: il lago del suo cuore cominciò ad agitarsi come mai prima d'ora, vorticando furiosamente; dentro di sè sentiva una rabbia mai provata, una sorta di esplosione, come un fiume di luce che gli scorreva in ogni singola fibra del corpo.
Fu un attimo, in cui la sua presenza riempì l'aria intorno a sè, rilucendo come una stella mentre alle voci divertite si sostituivano mormorii impauriti.
"LASCIALO!" ringhiò Gunther, facendo volare via i suoi aguzzini con la sola forza dell'aria. "STARE!!!"
Non ci fu il tempo di regire, che la testa di quel delinquente prese a ciondolare, il collo spezzato di netto.
Solo per un attimo, il malavitoso si resse ancora sulle ginocchia prima di crollare a terra dove il suo sangue si mescolò alla polvere formando una larga pozza.
La breve esplosione di rabbia aveva lasciato tutti intimoriti, ma furono lesti a riprendersi e a puntare le armi da fuoco contro il ragazzino.
"Non so che trucco tu abbia usato, bastardo" esclamò il tipo che aveva controllato la droga "Ma fa un solo passo e ti ritrovi con più piombo che carne"
"Avevo ragione, a quanto pare" mormorò una voce bassa, mentre fiocchi di neve cominciavano a cristallizzarsi nell'aria.
"Neve? A luglio? Ma che ca..."
Dove prima c'erano solo i ragazzini, ora si stagliavano due alte figure che fissavano con algido disprezzo i delinquenti.
Anil giunse le mani sull'orecchio ferito di Ralf, interrompendo la perdita di sangue: sembrava che dalle sue mani venisse proiettata una sorta di luce d'oro, quasi brillante come quella delle stelle, che mozzò il fiato a Leon e Gunther.
"Ecco fatto. Per l'orecchio perduto non posso fare nulla, ma almeno non perderai più sangue".
"Gr...grazie, signore"
Anil annuì, prima di riprendere il suo posto di fianco al biondo.
"E voi da dove cavolo spuntate? Fateli secchi, ragazzi!"
Ma il freddo, di colpo, si fece più pungente che mai: le armi si rivestivano in un lampo di una spessa coltre gelida per frantumarsi nelle mani dei possessori.
"A noi Santi di Atena è proibito usare il cosmo contro semplici esseri umani, per quanto questi possano rivelarsi infimi e disgustosi. Tuttavia, non sfidate troppo la sorte o ne pagherete il prezzo." affermò con fredda superiorità il biondo. Molti, cedendo più alle sue parole che alla sua tecnica, cominciarono a scappare, ma altri, incarogniti e sconvolti, si lanciarono in un disperato assalto.
"Arretra, Milan. Se continui potresti fare loro del male: penserò io a loro."
Senza scomporsi, Anil giunse le mani in preghiera, lasciando che il suo cosmo si raccogliesse intorno a sè. Diverso dal gelido vento del nord scatenato dal suo compagno, il suo cosmo era il sole sulle foglie in una giornata d'estate.
"Tenbu Horin. (Celeste Danza del Prezioso Circolo)" sussurrò.
Una luce accecante investì tutti i presenti: al suo dissiparsi, i ragazzini si accorsero che i delinquenti erano fermi, immobili come statue. Alcuni tremavano, agitando disorientati le mani innanzi e intorno, altri avevano la bocca aperta in un urlo completamente muto. Sembravano nulla più che burattini retti da fili invisibili.
"Avete riso della sofferenza, vi ho tolto la voce. Non avete udito le urla delle vittime, vi privo dell'udito. Vi siete deliziati delle torure, tatto e vista vi hanno abbandonato. Rimanete così, privi dei vostri sensi, finchè la Dea non decida altrimenti".
La condanna di Anil arrivò, implacabile ed esatta come la giustizia stessa.
"Penso avrebbero preferito una fine più clemente, Anil".
"Non sta a noi scegliere se spegnere le vite. Forse, anche per loro ci sarà speranza dopo l'espiazione".
"Scusate... "
A parlare era stato Gunther, che aveva lasciato Leon ad occuparsi di Ralf.
"Ma voi, chi siete?"
"Noi siamo Santi di Atena, ragazzo" gli spiegò Milan, altero. "E tu potresti essere uno di noi"
"I.. IO!?"
Anil annuì "Quando ci siamo incontrati, ero sicuro di avere sentito il cosmo agitarsi dentro di te: è evidente che deve avere reagito in risposta alla nostra presenza, per questo sei stato in grado di evocarlo, prima. La preoccupazione per i tuoi amici ha tirato fuori il tuo vero essere".
Il ragazzino arrossì leggermente di fronte ad una spiegazione così "da femminuccia"
"Ed è stata una vera fortuna: se non avessimo avvertito l'esplosione del tuo cosmo non saremmo mai potuti arrivare in tempo".
"Io... io non capisco niente... Cosmo? Santi?"
"Se vuoi una risposta, seguici. Ti porteremo in Grecia, al Grande Tempio" concesse Milan "Là, scoprirai se sei degno o meno di indossare una armatura e diventare anche tu un Santo".

Gunther alzò lo sguardo, fissando stupefatto in cielo. Il potente sole del Mediterraneo faceva risplendere i marmi bianchi dei templi e  faceva sembrare roventi le alte rocce brune che racchiudevano il capo di addestramento dei futuri Santi di Atena
Davvero era quella, la Grecia? Anche se erano passati alcuni mesi da quando era arrivato, comparato a Chicago sembrava sempre un posto ultraterreno, quasi un altro pianeta.
Aveva scoperto al suo arrivo che nei dintorni del luogo si trovavano diversi villaggi, i cui abitanti riverivano da tempo immemorabile Atena e i suoi cavalieri conservando nelle linde e sobrie case ricordi di un epoca passata; da uno di questi, era stato condotto lungo una lunga e stretta scalinata, quasi infinita, che li avevano portati nel cuore delle montagne.
Nè Anil nè Milan avevano parlato molto con lui, dopo il loro incontro, men che meno per dargli ragguagli sulla vita di un cavaliere aggiungendo che non sembrava loro corretto; almeno, questo fu Anil ad aggiungerlo, perchè Milan era più il tipo da fissarlo sprezzante.
Ora si trovava il mezzo ad un ampio spiazzale rotondo, ricoperto di marmo, aspettando come di consueto il momento di cominciare con malcelata inpazienza.
Il semplice abito di lino bianco che indossava era abbastanza fresco per il clima e non gli spiaceva affatto; tuttavia, quello che di più apprezzava di quella divisa era la sommaria armatura in cuoio, semplici sandali e un giustacuore in cuoio che copriva solo la parte sinistra del torace assieme a lunghi bendaggi dello stesso materiale avvolti intorno alle braccia.
Portandosi i pugni davanti al volto, sentì l'odore acre del cuoio che gli andava dritto nel cervello, esaltandolo come non mai, quasi come tornare a respirare profumo di casa dopo una lunga assenza.
Da diversi sentieri che conducevano a spartane casette disseminate lungo il pendio del monte, glli altri allievi stavano arrivando alla spicciolata, ragazzi di età compresa dai dodici ai diciotto anni; non c'era un periodo preciso di anni da dedicare all'allenamento, come gli era stato spiegato: i cavalieri combattono con il cosmo e prima questo viene risvegliato appieno, prima si potrà ottenere un armatura e cominciare a fare sul serio. Non erano un esercito, per niente: era il valore individuale a sabilire chi andava avanti e chi pasteggiava a pane e polvere.
Il ragazzo aguzzò lo sguardo: su una alta rupe gli era parso di distinguere un tipo alto dalla testa rasata, scomparso appena aveva provato a guardarlo direttamente.
"Dove stai guardando, Gunther?"
La voce bassa lo colse di sorpresa: Anil era improvvisamente comparso al suo fianco quando meno di un secondo prima avrebbe giurato che fosse distante più degli altri in fondo al viale.
"Gh".
"Non essere in collera, non ne hai motivo. Nessun allievo cavaliere può avere la pretesa di percepire al primo tentativo i movimenti di un cavaliere d'oro".
"Grande Anil!"
Gli altri ragazzi del corso li avevano finalmente raggiunti: tra questi spiccava un rosso che aveva praticamente instaurato un rapporto di cordiale antipatia con Gunther dal primo momento che si erano visti.
"Grande Anil, cosa ci fate, qui?"
"Sono in partenza per una piccola missione, ma prima volevo vedere la nostra prima leva di aspiranti cavalieri".
Non lo dava mai a vedere e nessuno, non conoscendolo, ci avrebbe mai scommesso; ma il saggio Anil amava osservare da vicino la loro crescita, non con l'occhio affettuoso del padre e del fratello quanto di quello del giardiniere, che vuole che le sue piante crescano dritte e sane per portare ombra e frutti.
Gunther, al contrario degli altri, non lo ascoltava minimamente, essendo piuttosto impegnato a girargli intorno per osservare e ammirare a suo piacimento il grande cubo d'oro massiccio che Anil indossva a mo' di zaino sulle spalle. Non aveva la minima idea di cosa rappresentasse la figura scolpita sopra, ma sapeva che l'oro contraddistingueva il grado più alto tra i cavalieri e che davvero pochi potevano ambire a tale onore e potere.
-Uhm... Sembra davvero oro, oro vero... magari quando avrò anche io una armatura così mi rivendo la scatola, chissà se mi ci compro una moto... o due, se sono fortunato. Ma che cavolo c'è sopra, una donna? Un armatura hentai?-
Niente di meglio che chiedere spiegazioni ad Anil stesso, anche se la cosa lo infastidiva.
"Anil, questa è la tua amatura?"
"Grande, Anil, idiota! Non mancargli di rispetto!"
"Arceus, rivoglimi ancora la parola e il massimo che potrai fare è annaffiare i fiori" ringhiò il giovane.
Anil, per evitare che si azzuffassero, cosa molto sgradita al tempio, decise di frapporsi ai due: un semplice dito sulla fronte bastò per scagliarli via a qualche metro di distanza.
"Non si litiga tra compagni".
"Ow... è un dito o una barra d'acciaio?" piagnucolò Arceus, mentre Gunther tornava alla carica.
Il Santo guardò gli allievi, pensandoci su. Poi, lasciando cadere a terra lo scrigno, decise che avrebbe dato loro quello che stavano anelando silenziosamente: pochi secondi dopo, Anil indossava la sua armatura d'oro completa, splendente come una gemma fatta di pura luce.
"Quando ci conoscemmo, tempo fa" si rivolse a Gunther, che sembrava paralizzato "Ho omesso di presentarmi in maniera adeguata. Perdona tale scortesia. Io sono Anil, cavaliere di Virgo, Santo d'oro protettore della sesta casa".
Un sospiro strozzato sfuggì dalla gola di tutti i presenti: mai, in tutta la loro vita, avevano immaginato potesse esistere qualcosa di simile; un cavaliere d'oro era qualcosa che trascendeva i loro sogni più folli.
"Se volete, questo è anche un ulteriore motivo della mia visita: il cammino di un uomo è come un ponte sospeso nel vuoto, che per reggersi ha bisogno di essere saldamete ancorato a due rive, l'inizio e la fine. Voi, apprendisti cavalieri, cominciate ora ad attraversare questo sentiero periglioso; io e i miei compagni siamo sull'altra riva, rappresentiamo quello che sarete se avrete la forza e la volontà di perseverare. Ce la farete a raggiungerci, o vi perderete nelle nebbie a metà strada?"
"... tsk. Esibizionista. Vuole solo mettersi in mostra, il cavaliere della donna" borbottò a bassa voce l'americano; tutti lo udirono, ringhiando la loro disapprovazione per quella mancanza di rispetto, ma Anil sorrise.
"Se per te è un incentivo migliore, così sia, Gunther. Questo è il potere di un cavaliere d'oro, a cui non puoi per ora nemmeno aspirare".
"Argh! Anil di Virgo" fece, scimmiottando il modo in cui si era presentato "Non cullarti troppo! Dammi un paio d'anni e ti costringerò ad ammettere che sono diventato un cavaliere migliore di te!"
"Aspetto con ansia tale momento" concluse accondiscendente il cavaliere, quasi lasciandosi scappare un breve sorriso.
Le menti che cedevano facilmente all'ira e all'orgoglio erano così facili da manipolare....

Così, il giovane cominciò il suo periodo d'addestramento. Animato dallo spirito di rivalsa nei confronti del cavaliere della Vergine e di Milan, che aveva scoperto essere il cavaliere di Acquario, non interrompeva per un solo giorno gli allenamenti, costringendosi agli esercizi più massacranti, con il sole e con la pioggia.
Non si accorgeva, che contro la sua stessa volontà il modo di pensare, di agire dei Santi lo stava plasmando: un vero mondo di onore e rispetto, non di quello fasullo delle strade dove è solo una parola e un incrociarsi di pugni; una vita in cui dimostrarsi più forti, pronti e veloci era tutto, ma che non lasciava spazio a trucchi o scorciatoie di sorta.
Piano piano, il ragazzino che fumava nelle strade e si divertiva a fare casino con le moto veniva lasciato indietro, soppiantato dall'uomo che stava diventando.
Ma se Gunther faceva passi da gigante, gli altri non erano da meno: ogni giorno, ormai, uno o due dei suoi compagni venivano portati via per diventare cavalieri a tutti gli effetti e spediti a conquistarsi l'armatura, ma non si concedeva più di un istante per pensare a loro; i loro cosmi, paragonati a quello che sentiva proprio, erano risibili. Si sarebbe stupito che questi potessero ottenere più di una semplice armatura di bronzo.
Persino Arceus aveva conquistato una armatura, addirittura una d'argento, quella dell'Auriga, come si era premurato di fargli sapere presentandosi in pompa magna durante uno dei suoi allenamenti  per pavoneggiarsi; Gunther si era limitato a un ghigno leggermente sprezzante, così il ragazzo aveva deciso bene di attaccarlo.
Era la prima volta che combatteva contro un vero cavaliere e fu sorpreso da quanto indossare l'armatura o meno incidesse sulle capacità di un guerriero: era riuscito addirittura a tenergli testa per più di dieci minuti, prima che venisse sbattuto al tappeto come al suo solito sotto gli ochci vigili e nascosti di osservatori interessati.
"Maledizione, ancora lui" borbottò con disapprovazione Etiènne
"Non passa giorno che non litighi con qualcuno. Uno così può davvero essere degno di indossare una armatura?" inveì
"Se è la volontà delle stelle, nemmeno tu potrai opporti, Etiènne di Capricorn" mormorò la donna che lo accompagnava, assorta.
"Mi perdoni, mademoiselle. Un uomo così irascibile, rissoso, irrispettoso... A costui non importa nulla di servire la giustizia, combatte solo per se stesso".
La donna sembrò riflettere alle parole dell'uomo, ma alla fine scosse il capo.
"Ci sono molti modi di perseguire la giustizia, a questo mondo. Inoltre, ho sempre diffidato degli uomini che affermano a parole di volere difendere la giustizia. Costoro in genere sono i primi a ritirarsi quando le cose si fanno serie. Preferisco una persona come lui... e come te, per inciso: non vi nascondete e siete sempre sinceri con voi stessi".
Annichilito, l'altro chinò il capo, promettendosi che avrebbe comunque tenuto d'occhio quel giovane che gli era sempre sembrato tutto meno che un cavaliere.

Erano ormai passati due anni da quando era stato salvato, quando tornando al tramonto dal consueto allenamento, incrociò sulla sua strada Anil e Milan, con indosso le rispettive armature.
Lo sguardo tagliente dei due gli ricacciò le parole sfrontate in gola: i due gli diedero le spalle, ordinandogli, sommessamente di seguirli.





  
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