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Autore: Persychan    17/04/2011    4 recensioni
Alessandro non crede ai segni, ma crede nelle suonerie che portano male e che essere soltanto una rispettabilissima guardia del corpo gli renderebbe la vita molto più semplice.
"Non posso sopportare di vederlo soffrire ancora."
[Personaggi originali - Alessandro/Lucio]
[Avventure parallele]
[Racconto della Famiglia Rivolta]
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Presagio
Fandom: Katekyo Hitman Reborn/Originale. Vedi note.
Personaggi/coppia: Alessandro/Lucio. Personaggi della Famiglia Rivolta
Parte: 1/1 + Special
Rating: PG13
Riassunto: Alessandro non crede ai segni, ma crede nelle suonerie che portano male e che essere soltanto una rispettabilissima guardia del corpo gli renderebbe la vita molto più semplice.
"Non posso sopportare di vederlo soffrire ancora."
Note:  - L’ambientazione è quella di Katekyo Hitman Reborn e in storie successive potranno comparire, sia nominati che in persona, vari personaggi della serie. Per il momento si tratta di una sorta di storia parallela ambientata nello stesso universo in contemporanea con gli avvenimenti che hanno come protagonisti Tsuna e guardiani. In fondo la famiglia Vongola è una della tante famiglie mafiose italiane.
[Per altre storie della stessa ambientazione andate qui]
- E' consigliabile leggere la storia Fidarsi dell'Oscuritàin quanto i personaggi sono i medesimi e la fic precedente spiega bene il loro rapporto. In ogni caso le due storie sono leggibili separatamente.
- Questa storia è dedicata elyhanachan che è stata la crudele donna che mi ha affibbiato il prompt. (Io ero andata da lei, invece che dalla senpai, sperando di beccarmi qualcosa di fluffoso e adorabile, invece quando le chiesi cosa volesse, lei mi guardo con i suoi dolci occhioni cioccolata e mi disse: "Voglio Lucio e Alessandro che fanno una missione presso un boss maniaco,magari sadico. Sì e Lucio finisce per essere il suo giocattolino". E questo insegna a non fidarsi delle apparenze)
- Non betata


 
Presagio
(II storia di una spia e di un guerriero)

                                        


Alessandro non era una persona superstiziosa, non credeva nel Karma né in altisonanti cagate pseudo mistiche e neppure in quei segni divini o presagi che sua nonna, tra un Ave Maria e l’altra, amava tanto leggere negli avvenimenti. Sapeva però, per esperienza, che lo svegliarsi alle sei di mattina conCalma e sangue freddo era sinonimo di giornata di merda, soprattutto da quando Lucio aveva messo quella stramaledetta canzone – che, era certo, avrebbe finito per canticchiare tutto il giorno - come suoneria per le chiamate ufficiali della boss.

Se poi a questo si aggiungeva la presenza di un bigliettino invece del precedentemente nominato Lucio che, fino a prova contraria, era il suo ragazzo – da etero come si era sempre considerato gli faceva ancora strano quell’ultima vocale – e quindi si sarebbe dovuto trovare nel loro letto impegnato a rubargli la coperta, allora quella certezza diventava un assoluto.

“Pronto?”
 
“Alessandro ti voglio entro mezz’ora al giardino interno.”
 
“Va bene, boss.”
 
“A dopo.”
 
“Aspetti boss!”
 
“Si?”
 
“E Lucio?”
 
“Lucio è già qui. Sbrigati.”


E Alessandro si trovò a parlare con il tu-tu-tu del telefono.
 
 
Uno dei motivi per cui amava l’abitare nella residenza padronale – oltre al fatto che non ci si vedeva a vivere in una casetta a schiera con lo steccato bianco – era che bastavanoteoricamente pochi minuti per raggiungere uno qualunque dei abituali luoghi d’appuntamento della boss lasciandiandogli quindi un sacco di tempo extra.

Non che lui ne avesse bisogno per prepararsi o vestiti – era Lucio quello che passava ore in bagno a farsi il trucco. E non stava esagerando: era tutto cronometrato – infatti quell’intervallo gli serviva per arrivare fisicamente sul luogo dell’incontro: lo svantaggio di abitare alla villa era la villa stessa.

Quel posto era immenso e labirintico e, sfortunatamente, quando ci abitavi tutti davano per scontata la tua capacità di orientarvisi dentro. Mai nulla di più lontano dalla realtà fu detto: Alessandro era in grado di perdervisi in tutte e quattro le direzioni e in tutte le dimensioni – si, compresa quella temporale – semplicemente abbandonando la propria camera.

Anche Lucio non era messo molto meglio – gli unici in grado di muoversi tranquillamente per quel mostro di palazzo sembravano essere la Boss, Samuele e i fratelli Monforte – ma, stranamente, quando si smarriva finiva sempre in camera di Celeste che, per toglierselo di torno, lo accompagnava al posto designato.
Lui, invece, si perdeva e basta.

Quando finalmente vide l’imponente figura di Samuele vicino ad una delle colonne che circondava il parco seppe di essere nel posto giusto. Certo, ci era arrivato con un quarto d’ora di ritardo e dopo aver, praticamente percorso tutti i corridoi della villa, ma questi erano dettagli.

Di Lucio,invece, neanche l’ombra, ma, se non aveva frainteso le parole della Boss, si doveva trovare con lei e la presenza di Samuele gli assicurava che ci fossero entrambi, poiché era fatto noto che non si allontanasse dal capofamiglia, se non dietro suo preciso ordine, di non più di un paio di metri. Anche per questo motivo era stato soprannominato, da Alessandro, UomoCane – ovviamente Samuele non era a conoscenza del nomignolo, altrimenti la sua morte sarebbe stata assicurata e anche estremamente dolorosa.

Dovette spingersi molto più vicino, girando quasi intorno a una delle colonne, prima di intravedere finalmente Lucio, ma quello che vide non gli piacque per niente: per prima cosa Lucio era nudo, non nel senso comune del termine – quel tipo di panorama gli piaceva eccome -, ma che era privo dei soliti orpelli e artifizi che, normalmente, nascondevano al mondo il suo vero aspetto e Alessandro sapeva per esperienza – come per Calma e sangue freddo – che non era decisamente un buon segno.

In secondo luogo, la Boss gli teneva una mano sulla spalla e se una persona normale avrebbe detto che non vi era nulla di strano, Alessandro nella sua ormai lunga conosceva del capo e delle sue abitudini, tra le quali vi era un poco amore per il contatto visico che, anzi, limitava il più possibile, leggeva in tale gesto, se nel precedente un attivo presagio,  l’annuncio di una catastrofe.

“Finalmente sei arrivato, Alessandro. ”
 
“Come mi aveva chiesto, boss”
 

E nonostante stesse parlando con il suo capo, con colei che poteva decidere della sua vita e della sua morte, con la donna cui aveva giurato fedeltà e a cui doveva il massimo rispetto, Alessandro non riusciva a spostare lo sguardo dalla figura contrita di Lucio.
Era una visione assurda, talmente paradossale da risultargli quasi inconcepibile perchè era come se Lucio stesse cercando di sparisse all’interno dei propri vestiti – una pantalone amorfo che non credeva potesse trovare posto nel suo immenso guardaroba e una maglietta stranamente familiare –in una mostruosa caricatura di quello che era suo compagno, invece di splendere verso il mondo con quella luce interiore che gli aveva sempre invidiato.

“ Conosci Giuseppe Pierno, Alessandro?”
 
“Intende dire Beppe di Pierno? Quello che ha fottuto carico di cocaina alla famiglia Del Castello?”
 
“Esatto, proprio di lui stiamo parlando.”
 
“Ci hanno richiesto di recuperare la droga?”
 
“Anche, ma principalmente dovete scoprire il nome della talpa che gli ha permesso di commettere il furto. Sarà questo il vostro obiettivo.”
 
“Ha già un piano, boss?”
 
“Abbiamo i contatti per farvi ammettere nella sua cerchia di collaboratori senza sospetti, poi toccherà a voi. Tu diventerai una delle sue guardie del corpo, non credo ti sarà difficile: in fondo per il mondo intero è questo il tuo lavoro ufficiale. E Lucio sa già cosa deve fare…”
 
“Boss, guardi che può dirlo, non mi vergogno mica per una cosa del genere. Fortunatamente per noi, i suoi gusti coincidono con ciò che io posso offrigli e quindi il mio compito diventare il suo amante per avere accesso alla sua camera e, beh, al suo cuore.”



Lucio rise e nel sentirlo lo stomaco di Alessandro si strinse - stronzate che il cuore era l’organo dell’amore, lo era decisamente di più la pancia .
Fingere era la massima abilità di Lucio, al punto che, qualche volta, anche lui faceva fatica a capire se quello che diceva fosse la verità o no, ma quella risata era la cosa più “visibilmente” falsa che sentisse da tempo. Nessuno, neanche il più scemo degli scemi, avrebbe mai potuto credere a quel verso, più simile al latrato di un cane che a un suono umano.

Doveva essere veramente sconvolto per fallire nella sottile arte dell’inganno che era suo massimo appannaggio da tempo, ma Alessandro non riusciva a capirne il motivo: non era la prima volta che gli venivano assegnate quel tipo di missioni, essere il migliore portava certi svantaggi, e Lucio sapeva che lui non sarebbe mai stato geloso di una questione di lavoro - sarebbe stato insensato, come se Lucio si fosse infastidito dal fatto che lui era un sicario -

Poi ricordò per quale altro motivo Beppe di Pierno era famoso.
Forse sbiancò o, comunque, ebbe una qualche reazione strana, perché Lucio indovinò il suo pensiero e lo espresse ad alta voce.
 

“Si, è quel Beppe, quello famoso per essere più bravo con il frustino che con gli affari.”

 
E quelli erano i momenti in cui Alessandro avrebbe voluto essere soltanto una rispettabilissima guardia del corpo.






[Sedicesimo giorno – 09:32 pm  – Villa di Pierno, salotto centrale]


“Su, Ann, fa vedere al tuo paparino come sei educato nel mangiare”


Lucio prese un cioccolatino dalla mano dell’uomo sfiorandogli, anche se non era necessario, le dita con la lingua come un gattino e Alessandro fu sul punto di scagliare per terra il vaso che aveva di fianco, per poi sgozzare quel maledetto maiale con un coccio. In teoria aveva due pistole addosso e una spada sulla schiena, ma con quelle la morte sarebbe stata troppo veloce.

Non era geloso, ma era piuttosto estremamente incazzato - cosa assai diversa - e non perché Lucio si stava praticamente strusciando contro all’uomo, ma perché sapeva che, finito quel cioccolatino, i due si sarebbero ritirati in camera. E anche qui il problema non era che facesse sesso con quel tizio – capitava abbastanza spesso, soprattutto per motivi di lavoro, che finissero a letto con altre persone - ma che questi potesse vederlo senza trucco e vestiti. Fino a quando Lucio era davanti agli altri  doveva, per la buona riuscita della missione, rimanere “immerso” nella sua parte Alessandro e di questa lui non era geloso – Ann non era Lucio, ma solo un ragazzino dall’orribile nome da donna e un taglio a caschetto che lo faceva sembrare il membro mancante dei Beatles - ma quando si allontanavano, non poteva più sapere quanto del vero Lucio sfuggisse alla maschera.

“Oh, come sei bravo! Mio piccolo e adorabile cucciolo.”


L’uomo si alzò e Ann – perché quello non era Lucio, non era il suo orgoglioso e irritante Lucio – scese dalle sue ginocchia inarcando la schiena in modo che la maglietta si sollevasse quel tanto da rivelare un piccolo frammento di pelle bianca che Giuseppe non esitò a pizzicare e Alessandro si trovò a sperare che anche il modo cui gemeva Ann fosse diverso da quello di Lucio quanto lo era il suo modo di parlare.
Dio, come odiava quella voce carezzevole e infantile!

“Ahi, così mi fate male.”
 
“Per così poco, Ann? Credevo di averti addestrato meglio”
 
“Forse ho bisogno di un po’ di ripetizioni, master”



E l’idea di quei cocci gli divenne ancora più allettante.

“ Alexandre?”
 
“Si, capo?”
 
“Puoi andare, non credo che per il resto della giornata avrò bisogno dei tuoi servigi.”
 
“Come desiderate.”
 


Alessandro – nome di copertura Alexandre. No, la fantasia non era uno dei requisiti per essere assunti - si inchinò e li oltrepassò per raggiungere il corridoio laterale che lo avrebbe condotto alla sua camera. Ann scosse il capo, ridendo a qualcosa che lui non aveva sentito ma nel farlo incontrò il suo sguardo e Alessandro poté vedere, anche se solo per un istante, due occhi color ghiaccio brillare sotto le lenti a contatto.





[Settantunesimo giorno – 07:02 am  – Villa di Pierno, ala dipendenti, stanza 43]


Era sveglio. E non dovevano essere più delle sette di mattina, se il suo orologio interno non si sbagliava edifficilmente capitava, al punto che questa sua capacità che gli era valsa il titolo di Vulcaniano. E ciò era molto strano: lui non era affatto un tipo mattiniero.

Un rumore. Anzi, il rumore, quel suono familiare che lo perseguitava fin troppo spesso quando si trovava a casa, riempì l’aria e lo sfregare della limetta da manicure spezzò il fragile silenzio.

Quando, infatti, Alessandro aprì gli occhi, Lucio era già seduto sull’unica sedia della stanza completamente truccato e vestito, con uno dei quei completini che gli costavano metà della paga, intento a farsi le unghie.

“ Questa scena ha del familiare, non credi?”
 
“Mmh, si.”



La prima volta che lo aveva trovato a comportarsi così era stato dopo la notte che li aveva visti, ubriachi, passare dalla semplice amicizia a una relazione solo di sesso – che poi fortunatamente si era ulteriormente evoluta in una relazione e basta - ma non era stata l’unico caso. Quando Lucio era preoccupato per qualcosa, pensieroso o anche soltanto stanco della situazione – questo normalmente avveniva dopo i loro rari litigi – Alessandro se lo ritrovava in camera a farsi la manicure agli orari più impensabili.

Doveva veramente non poterne più per avere un simile comportamento in missione.

“Come mai sei qui?”
 
“Cos’è per caso non mi volevi?”
 
“No, era solo per chiedere. Non credevo che il paparino ti lasciasse andare in giro da solo.”
 
“Non ti preoccupare, ogni tanto me lo toglie il guinzaglio.”
 
“Scusami, non volevo..”
 
“Neanche io.”
 
“…”
 
“…”
 
“Tutto bene?”
 
“Si.”
 
“Veramente?”
 
“Si, cazzo. Tutto bene, Ale. Come te lo devo dire?”




Lucio si alzò di scatto sollevandosi dalla sedia forse per potergli urlare contro meglio oppure per andarsene, ma Alessandro non lo seppe mai perché a metà del movimento si fermò e cadde.

Fortunatamente non si trovava molto lontano dal letto e quindi il suo atterraggio fu morbido e di sicuro non si poté far male nella caduta, ma quando Alessandro gli si avvicinò, per chiedergli come stava, fu certo che fosse una lacrima quella che gli scorreva lungo la guancia.

Gli prese il polso per costringerlo a guardarlo negli occhi e a gli ripeteva quella patetica bugia, ma tolse subito la mano quando lo vide stringere i denti per non urlare: il polso della camicetta era ora sporco di sangue come le sue dita.

"Che diavolo è successo al tuo polso?”
 
“…”
 
“Cosa cazzo hai fatto?
 
“Immagina! Vuoi forse un disegnino o ti accontenti di vedere i segni delle frustate? No, dai perché se vuoi c’è anche il tour completo dei lividi…”


Crollò il silenzio. Alessandro sentì un singhiozzo, ma poi nuovamente nessun suono.

Lucio si alzò lentamente, tenendosi il polso macchiato di sangue con l’altra mano, prima di fare qualche incerto passo verso l'uscita. Avrebbe dovuto fermarlo, avrebbe voluto fermarlo, ma sapeva che non era quello né il luogo né il tempo. Lo vide scivolare fino alla porta, appoggiandosi all’architrave prima di voltarsi verso di lui mormorando quattro sole parole che Alessandro a lungo ebbe il dubbio di aver solo sognato.

“Voglio tornare a casa”

E se ne andò. La missione non era ancora finita.



 

[Ottantesimo giorno - 02.13 am - Dintorni di Villa di Pierno]



Fingere un rapimento non era una cosa difficile, sfuggire a quel piccolo esercito chiamato “Corpo delle Guardie di Sicurezza di Beppe Di Pierno” invece era molto più complicato, soprattutto con un peso morto di un n chili – ormai non osava neanche più pensare al peso di Lucio dopo che questi lo aveva praticamente castrato per un commento non troppo carino sulla sua linea – su una spalla.

Era in momenti simili che Alessandro riusciva a vedere distintamente le differenze tra l’essere il boss o uno dei tanti sottoposti: lei architettava i piani geniali e lui schivava le pallottole seguendoli.

In fondo, però, era stato lui a supplicarla di trovare un modo per finire il prima possibile quella missione perchè non riusciva più a sopportare di vedere Lucio in quello stato.

“Boss, non c’è proprio modo di risolvere la cosa in fretta?”
 
“Fammi pensare”
 
“…”
 
“Avete almeno il nome della talpa?”
 
“Si”
 
“Ma non riuscite a recuperare la droga, esatto?”
 
“Esatto, il magazzino è fin troppo sorvegliato.”
 
“Passami Lucio.”
 
“Eh?”
 
“Ti ho detto passami Lucio.”
 
“Certo, subito Boss.”


Gli aveva passato il telefono e, nel vederlo tenere a malapena in mano l’apparecchio, Alessandro aveva giurato che avrebbe accettato qualunque decisione della boss pur di portarlo via di lì.

 “Quanto ci tiene Beppe a te?”
 
“In che senso?”
 
“Quanto sarebbe disposto a pagare per riaverti?”
 
“Credo parecchio...”
 
“Credi o ne sei sicuro?”
 
“...Ne sono sicuro, sono pur sempre il suo animaletto preferito.”
 
“Bene. Allora preparati ad essere rapito, sarai un ottimo ostaggio.”




Decisamente la Boss aveva visto troppi film da bambina.



[Novantottesimo giorno - 04.45 pm - Villa Principale Rivolta - Salotto verde ala ovest ]
 
 

“ Su, continua a raccontare...”
 
“Dicev...allora quando è uscito dalla stanza lasciandomi solo, io sono  sgattaiolato fin al computer, ho oltrepassato le password, che tra parentesi erano tutte ovvissime, e ho cercato nella sua rubrica fino a che non ho trovato un nome che combaciasse con la lista degli affiliati alla famiglia Del Castello. Tsk, neanche gli pseudonimi usava quell’idiota. Ho rimesso tutto in ordine e sono tornato al mio posto. E quell’idiota non si è accorto di nulla.”






Lucio sorrideva, seduto su uno dei tanti divani di uno degli ancor più innumerevoli salotti della villa, intento a raccontava la versione prontamente edulcorata e censurata della loro missione al piccolo Isaia che, stravaccato sulla poltrona opposta, lo ascoltava con interesse.
Alessandro si era invece piazzato per terra ai suoi piedi, come a fargli da sostegno, fintamente intento nel lucidare la sua spada e Celeste, altrettanto casualmente, – non era mica lì per tener d'occhio il suo fratellino, ma stavate scherzando? – era al lavoro alla scrivania più vicina e, tra un conteggio e l’altro, alzava la testa per controllare la situazione.
Pace. Ne avevano entrambi veramente bisogno.

Quando poi, verso le nove di sera, Celeste se ne andò portando con sé il fratellino, probabilmente per metterlo a letto, e loro si ritrovarono, come non capitava da molto tempo, soli.

Alessandro si alzò da terra e porta una mano a Lucio ancora un po’ vacillante lo aiutò a tirarsi su, stando ben attento a non stringere troppo la presa – sotto il tessuto della maglietta poteva ancora intravedere il bianco delle bende – per poi accompagnarlo fino alla loro camera dove, con gesti quasi delicati e quasi solenni nella loro cortesia, lo aveva aiutato a cambiarsi.

Lucio aveva un aspetto notevolmente migliore rispetto agli ultimi giorni di missione, ma sul suo corpo si potevano ancora leggere tutti i segni di ciò che era accaduto e che aveva dovuto sopportare.
Alessandro gli baciò il polso, giusto all’altezza di quei dannati segni che ancora sanguinavano, prima di sdraiarsi sul letto e trascinarlo giù con sé. Crollandogli addosso, Lucio rise come un ragazzino, spostandosi una ciocca di disordinati capelli castani dagli occhi chiarissimi.
Bello.
E assolutamente suo.
Gli diede un piccolissimo bacio sul naso e poi uno sulla fronte, meritandosi un’occhiata stranita.

“ Ehi, guarda che non mi sono mica trasformato in una ragazza!”
 
“ Lo so.”
 
“E allora mi spieghi questo tuo assurdo comportamento?”
 
“Mi piace guardarti e prendermi cura di te. E no,tu non hai alcuna voce in capitolo.”



Forse Lucio avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma venne zittito da un bacio - quella era una tecnica che aveva imparato fin dal loro primo giorno come amanti: era veloce e funzionava sempre. – e costretto a sdraiarsi.

“Ma non sto così male”
 
“Zitto e dormi.”
 
“Sono solo le nove di sera.”
 
“Dormi o ti vengono le occhiaie.”
 
“Ok.”




Gli passò un braccio sotto la testa e Lucio si accoccolò contro il suo petto respirando, già, con quella cadenza pesante che faceva presagire l’arrivo del sonno; Alessandro sospirò chiudendo gli occhi, mentre prometteva al silenzio che li circondava che lui sarebbe stato, d’ora in poi, l’unica persona che Lucio avrebbe mai abbracciato.


Fine




 
 
****
Questa storia è stata scritta per il Fluffathon quindi ammetto che il  finale è stato un po' tagliato per dare questa atmosfera famigliare e, per l'appunto, fluff, infatti esiste una sorta di mini "sequel" con la vera fine, che pubblicherò domani/dopodomani, decisamente più violento e...oh beh, lo vedrete <3
Comunque, come sempre, i commenti sono ben voluti. Decisamente <3
   
 
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