Film > The Phantom of the Opera
Segui la storia  |       
Autore: Keyra93    18/04/2011    3 recensioni
Brevi (?) one-shot sui pensieri della Chris sul suo angioletto, e i pensieri di Erik su di lei... e sui loro ricordi del loro primo incontro.
Il primo capitolo è dal punto di vista della Chris, il secondo da quello di Erik. Niente di che ma... enjoy :)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Protegée

Protégé

 

Erik cantava, per lei, ancora una volta.

Tante volte, da quando non era che un bambino, aveva cantato; aveva sempre trovato nel dolce suono della musica un balsamo, effimero purificatore, per quelle sue ferite troppo profonde per guarire del tutto, e così s’era sempre dedicato a quell’arte che era la Musica. Ma allora cantava per se stesso. Non aveva pubblico né ascoltatori, non conosceva il sapore di un complimento o di un canto in coppia, tutto ciò di cui era a conoscenza erano la solitudine e l’oscurità.

Solitudine. Eppure... eppure da quel giorno, il vuoto non l’aveva più sopraffatto. Quel giorno...

Si abbandonò ai ricordi, mentre cantava per lei: c’era stato un giorno in cui aveva cantato per lei, ma inconsapevolmente, senza volerlo. Era salito, quella volta, uscito dai bui sotterranei che ormai gli facevano da casa, e si era recato nei pressi della cappella. Il luogo da cui era entrato, il primo luogo che aveva visto del Teatro dell’Opera quando la sua salvatrice l’aveva fatto fuggire da coloro che l’avevano torturato per anni, che da quel momento aveva considerato come una porta verso un nuovo mondo... verso una nuova prigione, aveva riflettuto amaramente alle volte. Sì, perché in fondo, cos’era quella se non l’ennesima prigionia? Se non un altro luogo dal quale non poteva uscire, nel quale era costretto a muoversi attraverso le ombre... come un insidioso serpente, un infido ragno, come un mostro. E ancora non poteva convincersi di esserlo sul serio! Ma, con gli anni, non aveva saputo far altro che cedere ai continui insulti del resto dell’umanità: sì, lui non era altro che mostruosità, orribile deformazione di quella specie che si definiva da sempre la più grande... e ne era stato convinto, finché non aveva conosciuto lei.

Lei, le sue lacrime, la sua voce... all’inizio così incerta, così debole e piccola; era una bambina, e nient’altro che una bambina... ma del resto, anche lui era nulla più che un ragazzo, e forse era segno del Destino che s’incontrassero...

Quelli erano stati tempi duri; si era ormai convinto che il suo futuro sarebbe stato quello di infestare il Teatro, che come una matrigna lo aveva accolto come casa, ma era pieno di persone che lo odiavano con tutte le proprie forze. La sua vita consisteva in ruberie e scherzi a quei personaggi indegni, che si credevano divinità per i loro soldi ereditati da altri; però aveva la Musica. Ah, sì, questo era vero, la Musica non l’aveva mai abbandonato... da tempo immemore - non avrebbe potuto dire quando essa era entrata nella sua vita - ogni giorno era scandito dalle sue ispirazioni, dai suoi colpi di genio che non riuscivano a staccarlo da un pezzo di carta per appuntare parole e note... e quando era riuscito a terminare il suo organo, tutto, tutto era stato più bello... lo strumento era la prova che lui avesse il potere di fare ciò che voleva: chi altri avrebbe mai potuto costruirne uno di quel genere, così maestoso e tecnicamente perfetto, nelle sue stesse condizioni? Chi avrebbe potuto adornarlo di mille decorazioni, quando egli stesso non aveva mai visto quasi null’altro che le orribili tende di quegli zingari che lo tenevano prigioniero? Chi avrebbe potuto creare note d’infinita bellezza - potenti, passionali, vere - dal prodigioso nulla che costituiva la sua vita fin dal primo respiro di quel piccolo corpo deforme?

L’ironia della sorte era la lama di un coltello fin troppo affilato, sottile e terribile: il suo cuore impregnato di melodie celestiali, la sua voce capace di raggiungere le più alte vette, la sua anima pronta ad aprirsi per accogliere interi mondi, tutto ciò era rinchiuso in un corpo che... in un maledetto, misero, orrendo corpo, che nulla aveva a che vedere con ciò che lui era davvero, nulla! E come l’avevano fatto diventare! Costretto ad uccidere! Sì, sì, costretto! Aveva avuto forse scelta, lui, per cercare di trovare una vita più degna? Non era forse un essere umano anche lui?

Ma quella era una domanda alla quale non poteva ancora rispondere. Perché anche adesso, quando sembrava aver raggiunto un momento in cui la sua vita aveva aspetti... positivi... poteva forse essere chiamato uomo, da lei?

Eccola lì, bella come una dea: un singolo, scuro ricciolo scendeva - morbido - sul suo collo, la pelle - morbida... - era bianca come latte e dall’aspetto di seta, la linea dolce del collo che non formava alcuno spigolo col viso... quelle labbra rosse, carnose, così desiderabili! Come poteva starsene chiuso lì dietro, quando lei faceva sfoggio di una bellezza così divina, ancora non se lo spiegava; evidentemente, un po’ di umanità c’era in quel mostro, se riusciva a renderle questo rispetto e non prenderla tra le braccia ogni volta che la vedeva. Quelle labbra, ah, quelle labbra!..

Distolse lo sguardo dal riflesso di quelle dolci labbra, per evitare di smascherare il suo ardore nella dolce musica che le stava cantando: lei chiuse gli occhi, e lui tornò ad abbassare i suoi su quelle labbra così invitanti, che si levarono in un leggero sorriso adorante. E anche lui sorrise, e cantò con più tenerezza, guardandola oscillare un poco al suono delle sue note. Ecco che ritornava quel ricordo, quel ricordo di lei bambina che lo sentiva piangere... che lo udiva quando nessuno, nessuno aveva mai udito nulla.

Rimembrò ancora quella sera, quando aveva voluto uscire dalle buie mura della sua dimora sotterranea, non per vedere la luce del sole ma per trovare un po’ di pace in una notte più aperta; si era diretto su, sempre più su, e un’inspiegabile malinconia aveva preso il suo cuore. In quel momento, aveva provato il desiderio di una compagnia, magari anche non umana, ma l’aveva provato con tutto il suo cuore: di solito impediva al suo cuore di indugiare troppo in certi pensieri, perché quel dolore infinito era inutile, dannoso fino a renderlo nient’altro che una larva piagnucolante, se avesse davvero guardato in faccia la totale mancanza di umanità della sua vita. Eppure, quella notte, l’idea delle stelle che scintillavano oltre quelle mura che lo circondavano l’aveva spinto a piangere; e col pianto, certo non potevano mancare note di straziante tristezza.

Ricordava quelle note... certo, lui ricordava ogni nota mai creata, e quelle non facevano eccezione; sembrava quasi che potessero davvero farlo sentire meglio, quelle note sempre più ardite e dolci, che potessero lenire le sue ferite; la sua Musica, ancora una volta, lo cullava in un abbraccio di cui non conosceva il corrispondente umano. E poi l’aveva sentita.

- Chi c’è?

Aveva smesso immediatamente di cantare. E cos’altro ci si poteva aspettare? Lui, un essere così mostruoso e schivo, solitario, non era mai stato ascoltato da nessuno; l’unica persona che mai lo avesse aiutato era stata Madame Giry, e nessun altro dopo di lei aveva sentito la sua voce. Nessuno aveva mai osato origliare... nessuno aveva mai potuto, del resto: solitamente viveva a tali profondità sotto il teatro che nemmeno nei momenti di maggiore furia o passione si poteva sentire la sua voce, da sopra. Eppure adesso c’era qualcuno che l’aveva sentito.

Chinandosi su una fessura tra le travi del pavimento, aveva guardato sotto di sé: nella cappella c’era una bambina. Non l’aveva mai vista, e sembrava avere una voce così dolce... sembrava incuriosita e preoccupata al contempo. Da quanto tempo lo stava ascoltando? Aveva sentito la sua voce per molto? Aveva solo goduto del suo canto meraviglioso, o forse si era resa conto anche lei della tristezza che lo stava attanagliando in quel momento, essere solo al mondo? Le guance della bimba sembravano rigate di lacrime - non poteva esserne sicuro, da quella distanza - e i suoi occhi sembravano tristi quanto quelli di Erik stesso. Possibile mai?

Ed ecco, una lacrima fresca era scesa sulla sua rosea guancia, e il giovane musicista si era sentito il cuore stretto in una breve morsa: l’aveva fatta piangere! Ancora non la conosceva, ancora non sapeva della sua esistenza, e già era riuscito a farla piangere! Oh sì, se lo meritava davvero l’appellativo di mostro... ma mentre la bimba scappava via piangendo, mentre il sole illuminava dei suoi primi raggi la cappella, mentre un nuovo giorno iniziava, Erik era ridisceso nel suo eterno buio, nelle profondità dell’Opéra. E intanto si era chiesto se davvero dovesse preoccuparsi di quella bambina; del resto, non l’aveva mai vista prima. Non la conosceva. Non sapeva chi fosse, né perché avesse il volto rigato di lacrime. E oltretutto, l’aveva ascoltato quando lui non le aveva né chiesto di farlo, né tantomeno gliene aveva concesso la possibilità!

In un moto di stizza, il ragazzo s’era imbronciato, assumendo un’andatura più veloce e scalciando l’aria vuota attorno a lui. Come si è permessa... ma qualcosa sembrava dirgli che quell’orgoglio altro non era che un tentativo di nascondere la sua curiosità per quella bambina, l’unica che l’avesse sentito piangere. E non solo sentito, rifletteva, ma proprio ascoltato. O almeno credeva. Ma del resto, importava? Certo che no; lui avrebbe continuato la sua vita di tutti i giorni, lì in fondo al teatro, nel buio, nel silenzio riempito solo dalla sua musica. Non voleva essere disturbato, lui, da stupide bambine frignone... a malapena si concedeva il tempo per mangiare e dormire, e avrebbe dovuto perdere tempo con una bambina? No, non faceva per lui.

E del resto era fuori discussione: se lei l’avesse visto, sarebbe fuggita a gambe levate in un battibaleno, dimenticando quella curiosità che sembrava aver mostrato in quel primo momento.

Tuttavia, nonostante tutti i suoi nobili propositi di restarsene rintanato nei suoi sotterranei e di non perdere il suo prezioso tempo con “stupide femmine”, Erik aveva cominciato a vagare tra i corridoi del teatro più spesso. Ovviamente nessuno lo vedeva, se non come una fuggevole ombra; però lui vedeva tutti. Vedeva lei. L’aveva  osservata a lungo, per qualche settimana, sempre di più ogni giorno che passava. Ogni volta gli era sembrata più dolce, più sensibile, più buona. Aveva imparato ad amare quel nome, Christine, quando le sue amiche la chiamavano; e aveva scoperto con piacere che suonava perfettamente quando usciva dalle sue labbra di mostro. Gli era sembrata, quella bambina, sempre più una poesia vivente: così gentile e innocente con tutti, ogni notte tornava nella cappella a pregare l’immagine di suo padre, ogni notte una maggiore aspettativa nei suoi occhi. E aveva una voce così bella... Erik era certo che sarebbe stata una splendida cantante, se avesse avuto il giusto maestro.

Un giorno, mentre la osservava dall’alto giocare con le sue bambole, l’aveva sentita che raccontava loro delle favole: aveva scoperto in tal modo che Christine - dolce nome! - proveniva dalla lontana Scandinavia, paese che lui allora non conosceva ancora; e che la sua storia preferita era quella dell’Angelo della Musica. Era una storia semplice, quasi banale, però al tempo stesso affascinante... perché a uno come Erik, mostro dalla voce di Angelo, e infinitamente innamorato della musica, sembrava che la storia fosse fatta apposta per lui. Così, nella mente dell’allora giovane ragazzo si era andata formando un’idea... perché lui, che conosceva e amava la musica così tanto, non avrebbe potuto insegnarle quell’arte tanto meravigliosa? Ma certo, lui sarebbe stato il suo personale Angelo! Lui le avrebbe insegnato tutto ciò che sapeva, lui avrebbe preso tra le mani quella piccola e inesperta colomba che era la voce di Christine e le avrebbe fatto spiccare il volo! E allora, forse, le si sarebbe potuto mostrare... e forse lei l’avrebbe accettato come amico, e forse, una volta cresciuti, magari...

Le guance di Erik erano arrossite al pensiero. Una così piccola bambina non meritava tali idee da parte sua! Maledicendo se stesso e quel rossore che sembrava non volersene andare, Erik si era deciso a dichiararsi il suo Angelo della Musica, e a insegnarle tutto ciò che poteva e conosceva. Che nuova vita avrebbe avuto, da quel momento in poi!

Ma il tempo passava, i giorni sembravano scivolare via più veloci che mai, e ogni notte la piccola Christine sembrava più delusa dal persistente silenzio che la circondava. Erik non riusciva a decidersi... doveva sul serio dichiararsi un angelo? Sarebbe significato ingannarla, quando ancora non si conoscevano! E sarebbe significato mettersi in gioco, e farlo sul serio, per una bambina che probabilmente non lo avrebbe mai compreso. Poteva comprendere davvero il mistero della sua voce, lei? E lui poteva permetterle di provarci?.. Mentre continuava a rimuginare, il tempo sembrava scorrere in fretta, più in fretta, troppo in fretta; i giorni e le notti passavano, e lui ancora non riusciva a raccogliere il coraggio di parlare, cantare, farsi sentire in alcun modo. E lei era sempre più triste...

Una notte, Christine non aveva più nessuna aspettativa nello sguardo. Un cipiglio indignato, che non le si confaceva affatto e la rendeva quasi divertente a vedersi, sostituiva il suo solito dolce sorriso; Erik si era chiesto, allora, cosa stesse pensando la bambina. E mentre egli ancora non riusciva a spiegarsi quel suo sguardo, Christine era improvvisamente scoppiata a piangere. Piangeva, ma non del solito pianto che accompagnava le sue preghiere per l’amato padre, bensì lacrime di rabbia, di delusione, una bruciante delusione e disillusione che la faceva singhiozzare in un modo che Erik non aveva mai visto prima. E in un attimo, egli si era reso conto di esserne l’unico responsabile. Era lui l’unica causa di quel pianto disperato! Lei aveva aspettato la sua voce per tanto tempo, e lui ancora non si era rivelato, e lei piangeva per colpa sua!

- Chi c’è?

Aveva cercato di essere il più dolce e gentile possibile, con quelle due brevi parole; e il pianto di lei era cessato all’istante, nient’altro che lievi fremiti ancora a scuoterla. L’aveva vista allora guardarsi intorno, per cercare d’individuare da dove provenisse la sua voce... ma si era ben curato di donare a quelle parole una lieve eco, un leggero rimbombo che dava l’effetto di una voce incorporea.

- Tu sei... il mio Angelo della Musica?

Quel sussurro aveva colpito Erik come non si era aspettato. Sapeva che glielo avrebbe detto, alla fine; sapeva che non avrebbe potuto perdere quell’unica occasione che aveva, lui essere solitario e disprezzato dal mondo intero, per riuscire ad acquistare un po’ si stima... forse addirittura affetto... da quella creatura tanto dolce. Era rimasto zitto per un po’, non riuscendo a trovare il coraggio per risponderle, per legare definitivamente il suo destino a quello di lei, per darsi una possibilità... ma alla fine lo fece.

- ...Sì.

Aveva visto allora meraviglia e gioia dipingersi sul volto della bambina, felice di essere stata finalmente esaudita nelle sue preghiere; e dopo qualche attimo di reciproco silenzio, lei aveva mormorato una preghiera, la voce ancora rotta da un lieve singhiozzo, quasi una lamentela... e come avrebbe potuto biasimarla, dopo quell’interminabile silenzio che lui aveva così caparbiamente mantenuto?

- Canta per me...

Erik, un lieve sorriso - un vero sorriso! - sulle labbra, aveva cominciato a cantarle una dolce sinfonia, una ninna nanna che aveva sentito cantare una volta da una zingara alla sua figlioletta... quelle parole di un’altra lingua non avevano avuto nessun conto per la piccola Christine, che si beava di ogni nota della voce di quel suo Angelo della Musica, lui poteva leggerglielo negli occhi; e mentre lei si beava della sua voce, lui si beava di quel sorriso tenero, di un sorriso sincero che una bambina sconosciuta e conosciuta insieme gli offriva; un sorriso in cambio di un canto.

Erik aveva deciso, in quel momento, che se avesse potuto continuare a farla sorridere, quello soltanto gli sarebbe bastato per tutta la vita.

Eppure, l’uomo che era ormai diventato non poteva essere d’accordo... e mentre terminava l’ultima dolce nota del carezzevole canto per la sua musa, ancora una volta si trovò a sognare di poterla accarezzare davvero, con le dita, le mani, le labbra... ancora una volta, si maledì e benedì insieme per quella sua scelta di farle da maestro, per quella curiosità che aveva provato per lei all’inizio, per quel suo continuare a mettere ogni più piccola speranza in lei. Ancora una volta, si maledì e benedì per quanto follemente l’amava.

 

***

E dunque, eccoci qui.

Queste due one-shot le ho presentate come capitoli, ma in realtà sono semplicemente la stessa cosa vista dai due punti di vista dei nostri eroi... e non è che mi piacciano più di tanto... né l’una né l’altra. Non credo che Christine lo volesse umano, lei non lo amava in quel senso. E lui non mi piace uguale, non so nemmeno perché... forse è troppo superficiale, o forse il modo in cui scrivevo quando ho iniziato sta benedetta fic (l’anno scorso) mi è talmente estraneo da considerarlo insopportabile. Non so se ci siano differenze tra la prima e la seconda metà di questo capitolo, ma ho cercato di rimanere sullo stesso stile iniziale... del resto non mi andava proprio di riscrivere tutto...

In ogni caso, per qualsiasi cosa ogni più piccolo commento/recensione/critica è OVVIAMENTE benvenuto :)

Buon *insert day moment here* a tutti voi, e grazie per l’attenzione. :)

Key

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Phantom of the Opera / Vai alla pagina dell'autore: Keyra93