Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: ardenteurophile    18/04/2011    3 recensioni
Sherlock prova alcune varietà di stimolanti legali. (Traduzione dall'inglese a cura di Madame Butterfly.)
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono di proprietà degli aventi diritto, BBC e duo Moffat-Gatiss in primis. L’autrice del racconto qui sotto non li possiede in alcun modo, la traduttrice idem. Sono certa che siamo entrambe molto tristi per questo. *annuisce sconsolata*

(Traduzione a cura di Madame Butterfly - link al permesso di traduzione qui - la storia originale la potete trovare a questo indirizzo. E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)




3.


VENERDI'

Fu necessario attendere fino alle 11 del mattino successivo perché Sherlock finalmente ricomparisse. John era stato multitasking per tutta la mattina: un occhio lo teneva sul paziente di fronte a lui e il resto della sua attenzione era focalizzato sul navigare ossessivamente tra i notiziari per trovare una traccia che gli permettesse di scoprire dove fosse andato Sherlock. Non ce n'erano, e non c'erano neanche aggiornamenti sul suo blog. Aveva appena ricaricato la pagina per quella che doveva essere la quinta volta quando arrivò un gradito bip dal suo telefono.

MESSAGGIO RICEVUTO
E’ APPENA COMPARSO DAVANTI ALLA MIA PORTA. M

A: MYCROFT HOLMES
GRAZIE A DIO. STA BENE? JW

MESSAGGIO RICEVUTO
STA ANCORA RONZANDO COME LA PROVERBIALE VUVUZELA. NIENTE CHE NON POSSA GESTIRE, LE ASSICURO. M

A: MYCROFT HOLMES
OTTIMO. GLI DICA CHE E’ NEI GUAI PER ESSERE SCOMPARSO! JW (PS BUONA FORTUNA)

John si risedette sulla sua sedia e sorrise, un po' per il sollievo e un po' divertito dal pensiero di Mycroft costretto ad avere a che fare con Sherlock nel suo stato caffeinoso. D'altro canto, se Mycroft era tutto quello che Sherlock diceva di lui - il Governo Britannico, i Servizi Segreti Britannici e la CIA - era certo che potesse farcela con suo fratello minore e un semplice eccesso di Red Bull.

Passò circa mezz'ora prima che il suo telefono squillasse.

John lanciò uno sguardo di scuse alla sua attuale paziente al di là della scrivania, guardando giù verso il suo cellulare e sollevando un sopracciglio all'ID del chiamante.

IN ARRIVO: MYCROFT HOLMES

Cancellò la chiamata, decidendo che qualunque cosa fosse poteva attendere per dieci minuti finché fosse finito il colloquio con la sua paziente; aveva sempre pensato che fosse maleducazione ignorare le persone che gli stavano vicino per rispondere ad un telefono che suona; odiava particolarmente quando era in fila e la commessa tirava su il telefono invece di servire. Avrebbe richiamato Mycroft in un secondo momento, pensò, prendendo una penna e iniziando a buttar giù sintomi sul blocco di fronte a lui.

Tutti i telefoni della clinica iniziarono a squillare simultaneamente.

John fissò il telefono sulla sua scrivania, inorridito dalla cacofonia prodotta dai differenti squilli provenienti da ogni direzione. La sua paziente - Mrs. Higgins, che era un'adorabile vecchietta e non si meritava un simile disturbo – iniziò ad agitarsi, nervosa. Aveva appena allungato una mano ad afferrare il telefono quando tutti si zittirono bruscamente e, circa trenta secondi più tardi, Sarah fece irruzione dalla porta.

"John, devi andare," disse con urgenza, aggiungendo un rapido, "Mi spiace molto, Mrs. Higgins," quando notò che era con un paziente.

"Che c'è?"

"C'è un certo Mr. Mycroft Holmes," disse lei, sollevando un sopracciglio. "Un tuo amico? Dice che devi andare a casa sua immediatamente, per ordine del Governo Britannico."

"Oh, non dirà sul serio..." iniziò John.

"L'ho pensato anch'io, all'inizio, ma ha faxato tutta la relativa documentazione," disse lei, sembrando scoraggiata, "Ad ogni fax dell'edificio, in realtà. È definitivamente una cosa ufficiale. John, chi è quel tipo?"

La povera Mrs. Higgins sembrava terrorizzata. John si strofinò gli occhi, stancamente.

"Il fratello di Sherlock, lui è - be', una rottura di scatole, ad essere sinceri, ma sembra sia un tratto di famiglia."

Sarah sorrise leggermente, apparendo ancora un po' preoccupata. John sbatté il pugno sulla scrivania, sentendosi improvvisamente arrabbiato.

"Dannazione, Sarah, sono al lavoro, non posso scapparmene via ogni volta che lo dice uno dei fratelli Holmes."

"Non sembra che tu abbia scelta..." disse lei, dubbiosa.

"Non puoi far funzionare l'ambulatorio con un dottore in meno! Non posso piantare tutti in asso, è ridicolo. Gli telefonerò e gli farò sapere che non sto andando da lui, e-"

La porta si aprì all'improvviso e un uomo in completo scivolò dentro, con una valigetta in mano. John e Sarah si voltarono a guardarlo e lui diede ad entrambi uno sguardo di apprezzamento.

"Dottor Watson," disse, consultando un piccolo notepad che teneva in mano, "E dottoressa Sawyer."

Si girò a guardare l'anziana signora seduta dall'altra parte della scrivania rispetto a John, e consultò nuovamente il suo notepad.

"Mrs. Emelia Higgins, nata nel 1934, 47 Lower Inhedge, vedova. Un gatto, Bess."

John batté le palpebre.

"Chi diavolo è lei?" chiese, quasi temendo la risposta. L'uomo sorrise all'istante.

"Il suo sostituto, dottor Watson," disse, offrendo la mano a Sarah, "Dottor Mark Dryer, guardia medica. Le darò una mano nella clinica con le persone che rimangono mentre il qui presente dottor Watson è occupato con... affari di stato."

"Affari di stato!" esclamò John, alzandosi dalla sedia, "È solo Sherlock che fa l'idiota come al solito e Mycroft che non è capace di-"

"Attento," disse l'uomo, assottigliando gli occhi. John si bloccò e prese un respiro profondo. Sarah lo stava osservando, dubbiosa. Capì di essere stato sconfitto.

"Ok, ok," disse, alzando le mani in segno di resa, "Sto andando. Presumo ci sia una macchina orribilmente sinistra che mi aspetta fuori."

L'uomo gli rivolse quello che sembrava la traccia di un sorrisetto, e fece un gesto verso la porta, congedando John dal suo stesso ufficio. Lui sospirò e si incamminò verso l'uscita della clinica - colleghi e pazienti che lo guardavano incuriositi - fino all'inevitabile limousine nera posteggiata boriosamente fuori dalla porta.

Il viaggio non durò molto; la casa di Mycroft era nel centro di Londra, da qualche parte vicino all'Embankment, ma non fece caso al nome della strada. Appena a un tiro di schioppo da Westminster, gli parve, quindi poteva trovarsi tra quei due posti. Era una casa signorile ma compatta - John ricordò che Sherlock gli aveva menzionato che Mycroft aveva residenze sia in città che fuori - con un ordinato prato all'inglese sul davanti. John notò che un paio di alberelli del viale erano stati sradicati, quasi come se un piccolo tornado fosse passato in quella zona. Sospettò di non essere troppo lontano dalla verità.

Il maggiore dei fratelli Holmes lo salutò sulla porta, tenendo stretta una tazza di tè in entrambe le mani con un'espressione stravolta sul volto.

"Dottor Watson," disse, suadente, "Entri. Grazie per essere venuto con così poco preavviso."

"Non è che avessi scelta," borbottò John, togliendosi il cappotto, "Io ho un lavoro, lo sa? Ho dei doveri."

"Ah, ma il suo primo dovere è verso il suo paese, naturalmente," disse Mycroft, "Come militare, sono certo che comprende."

"Non sono sicuro che questo sia davvero-"

"Lo è," disse Mycroft con fermezza, guidando John lungo uno spazioso corridoio, "Il paese ha bisogno di me e io ho bisogno- be’, quello di cui certamente non ho bisogno, dottor Watson, è questo."

Spalancò la porta della stanza di fronte a loro. John batté le palpebre. Sembrava essere un ufficio, pensò, tranne che gli uffici di solito non erano completamente coperti di fili di lana incrociati. Dalla stanza proveniva anche uno strano rumore di qualcosa di trascinato, e John fece un passo avanti per fare cautamente capolino con la testa dalla porta.

L'intera camera era stata arrangiata con qualche sorta di spago, teso attraverso la stanza come un'enorme ragnatela e attorcigliato intorno ad ogni centimetro di mobile che poteva vedere: gambe di sedie, lampade da tavolo, serrature delle finestre. Nel bel mezzo di tutto questo stava Sherlock, che piroettava stranamente e si contorceva tra i fili, facendosi largo attraverso la stanza. John diede un leggero colpo di tosse e Sherlock si bloccò a metà mentre faceva il limbo sotto un filo, riconoscendolo.

"John!" disse, con il volume della voce troppo alto per l'aspetto tetro della stanza in cui si trovava, "Dottore, Dottore, Dottore, così tanti dottori, un solo John, stavo pensando - entra."

Gli occhi di Sherlock erano scuri e sembrava costantemente allarmato, come se le cose nella stanza si stessero lanciando verso di lui tutte in una volta. Continuò a muoversi tra le corde, i suoi movimenti aggraziati ma frenetici, più coordinati di quanto avessero il diritto di essere, con così tanta Red Bull in corpo e così poco sonno. John si voltò impotente verso Mycroft, che scosse la testa.

"È così da quando è arrivato qui, temo. E non ho idea di dove sia stato, quando glielo chiesto ha solo detto che stava 'pensando'. Non sono convinto che lui stesso lo sappia. Dottor Watson, ho davvero bisogno di riavere indietro il mio ufficio."

John annuì, facendosi forza e avanzando un poco nella stanza, piegandosi per evitare una corda.

"Che stai facendo, Sherlock?" chiese, con una leggera trepidazione nella voce.

"Allenandomi. Laser," disse Sherlock, "In caso serva. Dovresti far pratica anche tu, mi aspetto che sarai lì."

"Sarò lì - scusa, quando sarò lì?"

Sherlock si voltò, evitando per un pelo di attorcigliarsi con le gambe, e guardò fisso John.

"Sempre, John, ovviamente, e specialmente se ci saranno dei laser. Sarà particolarmente pericoloso, cosa che entrambi sappiamo ti diverte. Non hai dormito bene, perché? Potrei fare delle ipotesi ma temo che le mie conclusioni sarebbero errate; molti dei miei schemi mentali sembrano un po'... contorti, al momento, hanno perso eleganza. Come te - è la camicia di ieri, quella?"

"Come sai che - Non ti ho mai visto ieri, Sherlock," disse John, accigliandosi.

Sherlock emise una bassa risatina.

"Cieco come una talpa e le tue deduzioni non sono migliori. Perché credi che semplicemente perché non hai visto qualcuno, quel qualcuno non abbia visto te?"

John aprì la bocca, poi il significato delle parole di Sherlock lo colpirono, insieme ad una discreta quantità di rabbia.

"Tu mi hai visto ieri?! Sherlock, ero preoccupato per te, eri scomparso! Il tuo cellulare era morto! Se mi hai visto, potevi almeno farmi sapere che stavi bene, che diavolo stavi-"

"No, no no, fartelo sapere avrebbe invalidato l'intero esperimento; così è stato un discreto successo, anche se è ambiguo in certe aree; dannazione. Nessun gruppo di controllo, capisci, nessun controllo, oh, nessun controllo per niente, temo," fece una pausa per ridacchiare maniacalmente, passandosi una mano fra i capelli ispidi, "Non hai dormito, perché non hai dormito?"

"Senti, vieni fin qui così posso controllarti le pulsazioni," disse John, nel tono più fermo che riuscì a raccogliere, "Ho intenzione di tenerti sotto controllo tutti i giorni di questo tuo stupidissimo esperimento; la devi piantare di andare a spasso - vieni qui."

Sherlock gli rivolse uno sguardo per un momento, poi eseguì una serie di improvvisi piegamenti, salti e giravolte, in qualche modo evitando tutti i fili e approdando di fronte a John.

"Eccomi qui, John. John. Salve," disse, incombendo su di lui con ancor meno riguardo del solito per lo spazio personale. C'erano delle occhiaie sotto i suoi occhi, che lucevano stranamente, e benché il suo corpo sembrasse scoppiare di energia, John pensò che non sarebbe andato avanti molto prima di crollare di nuovo.

"Erm, sì. Salve."

Iniziò controllando nuovamente i segni vitali del suo amico, che sembravano più o meno gli stessi dell'ultima volta, nonostante fosse possibile che le sue pupille apparissero anche più scure e più dilatate, il suo respiro un po' più rapido. Condussero un qualche tipo di mutuo esame molto strano, fermi lì sulla porta dell'ufficio di Mycroft; gli occhi di Sherlock vagavano su di lui e catalogavano ogni cambiamento dall'ultima volta che l'aveva visto, mormorando in continuazione tra il respiro. John premette le dita sul suo collo, testando le sue pulsazioni, e fu sorpreso quando lui inspirò con un sibilo e si tirò indietro.

"Scusa," disse John automaticamente, "Scusa, io- probabilmente senti un po' di sovraccarico sensoriale al momento, giusto?"

Sherlock si limitò a guardarlo stranamente, socchiudendo gli occhi. Piegò la testa di lato.

"È normale?"

"Va tutto bene," disse John, rassicurante, mentre ricordava a se stesso che nessuno di loro sapeva più cosa significava la parola 'normale', "Hai solo bisogno di calmarti e di concederti un po' di riposo. Andiamo, torniamo a Baker Street, ci facciamo una bella tazza di- be', magari per te solo latte."

Sherlock annuì, e con un balzo improvviso lo oltrepassò e si trovò nell'anticamera, dove Mycroft stava ancora aspettando, guardandoli con attenzione.

"Adesso John mi porta a casa, Mycroft," disse, nella voce una spruzzata di pesante sarcasmo che era presente ogni volta che i due fratelli si vedevano, "Saluta Mamma da parte mia quando la vedi."

"Lo farò," disse Mycroft, esaminandosi le unghie, "Sarà molto lieta di sentire che hai finalmente trovato una balia.”

Sherlock gli rivolse un'occhiataccia.

"Lui non è la mia balia, lui è..." iniziò, prima di lasciar cadere la frase mentre cercava di aprire il portone d'ingresso e lo trovava chiuso. Lo fissò con furia e poi iniziò a raspare freneticamente i vari catenacci e serrature sulla porta nel vano tentativo di aprirli. Si voltò verso John, il viso scioccato.

"John, c'è un problema con questa porta."

Quindi si girò verso Mycroft, sospettosamente.

"Che cosa gli hai fatto?"

Mycroft fece un passo avanti e fece slittare un catenaccio, senza fatica, poi aprì facilmente la porta. Sherlock la fissò, sembrando totalmente disorientato.

"Un trucco ingegnoso!" esclamò, poi si precipitò fuori dalla casa e giù per i gradini, John che gli correva dietro. Lo raggiunse al cancello del giardino, ma solo perché Sherlock si fermò bruscamente e si voltò a guardarlo in faccia.

"Dove stiamo andando?" disse, il volto confuso.

"A casa, Sherlock. Ricordi?"

"Oh!"

John voltò il suo amico e lo spinse fuori attraverso il cancello, diretti all'enorme macchina che stava ancora attendendo per riportarli entrambi a Baker Street. Avevano fatto un paio di metri quando Sherlock si bloccò di nuovo.

"Che c'è adesso?" chiese John. Sherlock lo guardò con curiosità, come avesse notato solo in quel momento che era lì.

"Dove sono stato?"

John emise un gemito e lo spinse nella macchina, chiedendosi se la perdita di memoria fosse un normale effetto collaterale di un eccesso di Red Bull o solo uno sherlockiano, e se avrebbe mai capito esattamente dove fosse stato il suo coinquilino negli ultimi due giorni.

"Siediti e basta, Sherlock. Avrai un sacco di tempo per dedurre dove sei stato nelle ultime 48 ore dopo che ti sarai fatto una buona, lunga dormita. E molta acqua. E assolutamente niente stimolanti di nessun genere."

"Oh, noioso."

"Sì, be', a dire il vero ad alcuni di noi piace un po' di tedio nella vita, ad alcuni di noi non piace dover ammanettare il proprio coinquilino alla sedia solo per tenerlo fermo - non ho intenzione di chiederti come hai fatto a liberarti, comunque - alcuni di noi vogliono poter trascorrere almeno un giorno di lavoro senza dover spendere metà della giornata agitandosi o lasciando tutto a metà, ad alcuni di noi piace avere soggiorni che non sono coperti di grani di caffè e giochi in scatola e lana di pecora - che comunque vedrai di pulire domani, Sherlock, mi stai ascolt-"

Cambiò posizione sul sedile della macchina per guardare il suo amico, che si era allungato con braccia e gambe divaricate sul sedile opposto, come al solito sembrando come se si fosse messo di proposito in una posa il più drammatico possibile.

Sherlock si era addormentato in fretta, sbavando piano sulla sciarpa.



SABATO

John si svegliò nel silenzio, e immediatamente andò nel panico al pensiero che Sherlock se ne fosse scappato via di nuovo. Lo aveva lasciato svenuto sul divano la notte prima, dopo aver arrancato su per le scale con il suo corpo inconscio; il suo amico sembrava a pezzi, pensò, con occhiaie sotto gli occhi e la pelle grigiastra. Era riuscito a svegliarlo abbastanza da costringerlo a bere dell'acqua, poi aveva trascinato via il piumino dalla camera di Sherlock e glielo aveva rimboccato addosso, sul divano.

Sembrava perfettamente fermo, ed era certo che avesse semplicemente bisogno di dormire, ma John sentì ugualmente un leggero senso di colpa nell’andarsene di sopra a dormire nella propria camera; contemplò perfino l'idea di sistemarsi sul divano al fianco di Sherlock, giusto per poterlo tenere d'occhio durante la notte. Alla fine, comunque, il conforto del suo letto lo chiamò e lui salì stancamente le scale, mai così grato che l'indomani iniziasse il fine settimana.

Ora si trascinò giù dal sopraccitato letto e gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino. Era passato mezzogiorno, notò con sorpresa; normalmente sarebbe stato svegliato ore prima dallo stridio del violino di Sherlock o dal rumore di una qualche non identificabile esplosione. Ad essere onesti, normalmente di suo si svegliava più presto di così, ma era stata una settimana sfibrante.

Scese quatto quatto le scale, preoccupato di quanto poteva trovare. Si era ricordato di nascondere il caffè rimasto? Era abbastanza sicuro che Sherlock fosse alla fine del suo esperimento ma magari sperava troppo.

Sherlock era esattamente dove lo aveva lasciato, disteso sul divano, addormentato. John emise un sospiro di sollievo e si lasciò cadere sulla sedia che aveva di fronte.

Sherlock aprì un occhio.

"Mi annoio."

John sbuffò.

"Di già? Ti sei appena svegliato! Come è possibile che ti annoi?"

Sherlock sorrise e si inclinò nella sua posizione preferita, mezzo capovolto. John sentì uno strano senso di déjà-vu.

"Ho fatto dei sogni davvero insoliti, sai," disse Sherlock, torcendosi per guardarlo, "C'eri anche tu."

John annuì vagamente al suo coinquilino e accese la tivù.

"Allora presumo che l'esperimento sia finito?" chiese con tono noncurante.

"Quale?" chiese Sherlock, pigramente, appoggiandosi in grembo il violino e pizzicando le corde senza guardarle.

"Be', quello con la - quello con la Red Bull, Sherlock, c'era più di esperimento?!"

Sherlock fece spallucce e si tirò dritto sul divano.

"Sempre, John," mormorò, fissandolo con quello sguardo intento e curioso che John aveva sempre trovato sia esasperante che emozionante, "Necessito di qualcosa con cui occupare il tempo, dopotutto."

John sospirò e cambiò canale. Odiava la tivù del sabato pomeriggio.

"Perché non puoi occupare il tuo tempo come una persona normale?" brontolò.

Sherlock inclinò la testa da un lato e tirò fuori una lunga nota dal violino.

"E cosa fanno le persone normali?"

"Cose normali," disse John, stringendosi nelle spalle, "Non so. Jogging. Lavorare a maglia. Cucinare."

Sherlock sollevò lo sguardo all'ultima, un lampo di interesse in fondo agli occhi.

"Ah, cucinare," disse, gustando quel termine sulla lingua, con curiosità, "Questo è interessante."

Si alzò all'improvviso della sua postazione e agguantò il cappotto, legandosi intorno la sciarpa, mentre prendeva la strada per la porta.

"Vado al negozio, vuoi qualcosa?"

"Latte. Cornetti. Aspetta, tu stai andando a fare la spesa?! Non vai mai a fare la spesa, perché vai a fare la spesa?"

Sherlock spalancò la porta e rivolse a John un enorme, spaventoso sorriso.

"Ingredienti," disse, e sparì giù per le scale.

John sentì il proprio stomaco stringersi dal nervosismo.

Avrebbe finito per pentirsene.



FINE.




---

Note della traduttrice. Ho postato questo ultimo capitolo con un ritardo spaventoso e per questo chiedo scusa a tutti, ci sono stati degli imprevisti :\ Ringrazio infinitamente l'autrice per avermi concesso di tradurre questa sua divertentissima fic, ringrazio tutti coloro che hanno letto/commentato/inserito questa storia in una lista. Grazie mille *inchino*.
Inoltre ringrazio enormemente Francesca, alias sailor_jup88 per aver tradotto i vostri commenti e avermi così permesso di spedirli all'autrice, visto che ho un periodo assurdo e non trovavo il tempo di farlo io. Ti amo, Fra! <3

(P.S. Uno dei fattori che mi ha spinto ad amare questa fic è il capitolo finale, che trovo sì divertente ma anche tenero: l'avete capito, vero, qual'era il secondo esperimento di Sherlock? ;D)

  
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