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Autore: csgiovanna    19/04/2011    3 recensioni
Il dolore per la perdita della sua famiglia potrebbe davvero aver spinto Patrick Jane a compiere un folle gesto? E' questo il dilemma che Teresa Lisbon dovrà affrontare mettendo in discussione molte delle sue certezze.
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con l'epilogo della nostra storia... c'è voluto un po'... Ringrazio tutti per le belle recensioni siete sempre fantastiche!!  Finalmente veniamo a capo del nostro mistero... Tutto troverà risposta...

Buona lettura e spero vi piaccia!!

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A sei giorni dal risveglio di Patrick e, dopo aver sorvegliato inutilmente l’appartamento di Eleonor Norris, fu chiaro a tutti che avevano a che fare con un osso duro. Nonostante il discreto vantaggio acquistato nelle indagini grazie alle deduzioni di Jane, in qualche modo la donna pur non sapendo di essere stata scoperta non aveva fatto ritorno alla sua abitazione. Lisbon e il resto del team brancolavano nel buio. Avevano passato al vaglio la vita della Norris e tutti i luoghi in qualche modo a lei collegati, ma non avevano idea di dove poterla scovare.

L’unico dato positivo al momento era che nel SUV esploso non c’erano tracce biologiche di Alec Robertson. Il Senatore non era all’interno dell’auto. Questo non escludeva che potesse essere già morto, ma l’unico pensiero di Lisbon, al momento, era trovare quella donna. Ogni minuto era prezioso.
Teresa era nervosa. Non solo l’indagine sembrava essere ad un punto morto, ma lei doveva sopportare 24 ore su 24 la presenza di una scorta.
Lei, l’agente tutto d’un pezzo, Teresa Lisbon? Non poteva sopportarlo, ma Hightower era stata irremovibile. o accettava la scorta oppure era fuori dal caso. Dopo il ritrovamento del veleno nei fantomatici dolcetti, la donna non aveva voluto sentire ragioni: gli agenti federali Crowford e Miles erano diventati la sua ombra.
Sospirò. Dovevano risolvere in fretta il caso o sarebbe impazzita.
“Cho! Chiama la polizia di Davis, chiedi che mettano un paio di poliziotti a sorvegliare l’appartamento e ci chiamino se la Norris dovesse farvi ritorno. Stiamo perdendo tempo prezioso qui. - sbottò accendendo il motore - Rigsby, dì agli angeli custodi  lì dietro che ci muoviamo” - disse accennando alla berlina blu dell’FBI parcheggiata poco distante.
“Certo, Boss!” - Wayne aprì la porta e si diresse verso l’auto scura, rientrando poco dopo.
“Hey capo... Tornando al CBI, potremmo fare una breve deviazione al Mercy e salutare Jane?" - propose Van Pelt con tono supplichevole.
Lisbon la fissò dallo specchietto retrovisore e le fece un sorriso.
“Ok, ma solo un saluto. Abbiamo un caso da risolvere, e piuttosto velocemente. Non voglio avere Crowford e Miles tra i piedi ancora per molto!” - borbottò, ma in cuor suo non vedeva l’ora di rivedere Jane. Da quando si era risvegliato dal coma non aveva avuto molte occasioni di fargli visita.
Van Pelt annuì soddisfatta. Teresa ingranò la marcia e partì velocemente. Guidare la rilassava, il traffico a quell’ora era scorrevole e in breve tempo raggiunsero l’ospedale. Una volta arrivati riuscì anche a convincere la scorta che all’interno sarebbe stata al sicuro, così i due agenti rimasero ad aspettarla fuori.
All’ingresso Rigsby lamentò subito un languorino e si allontanò per recuperare del cibo, seguito da un silenzioso Cho. Van Pelt, invece, decise di acquistare qualcosa per Jane come augurio di pronta guarigione e si allontanò velocemente, lasciando Teresa da sola nella Hall del Mercy.
Lisbon sospirò, quindi borbottando tra sé s’incamminò verso l’ascensore per raggiungere il reparto dove Patrick era ricoverato.
Entrò nella stanza con un gran sorriso, che le morì immediatamente sulle labbra non appena si accorse che il letto di Jane era vuoto. Il cuore cominciò a battere all’impazzata, mentre una sensazione di panico si faceva rapidamente strada nella sua mente. Dov’era finito Jane? Si era sentito male? Aveva avuto una ricaduta?
“Hey Lisbon!” - una voce familiare interruppe il filo dei suoi pensieri.
Si voltò di scatto. Sul suo volto si poteva leggere chiaramente la paura.
Jane era seduto su una sedia a rotelle e le sorrideva. Il suo viso aveva ripreso un colorito normale, le occhiaie erano quasi del tutto sparite. Non indossava il solito completo tre pezzi, ma un maglione blu, che metteva in risalto i capelli e gli occhi chiari, ed un semplice paio di jeans. Stava bene.
“E’ tutto ok?” - le chiese Jane preoccupato, notando la sua espressione.
Lisbon ridacchiò imbarazzata - “Ehm ... tutto a posto, ho solo pensato che …" - e lasciò la frase a metà.
L’infermiere afro-americano, che accompagnava Jane, le sorrise - “Non si preoccupi Signora Jane, abbiamo portato suo marito a fare gli ultimi controlli prima di dimetterlo. E’ tutto a posto e domani torna a casa!”  
“Oh, ottimo... ma io non sono sua m...moglie… - provò a rispondere Lisbon, mentre le sue guance diventavano improvvisamente color porpora.
“Oh mi scusi … Comunque se la deve terner stretta, sa?  - disse poi l’infermiere rivolgendosi a Patrick, che lo fissava divertito - la sua fidanzata non l’ha lasciata un attimo. Tutte le notti è rimasta seduta qui a vegliarla. E’ davvero un uomo fortunato!” - concluse facendo l’occhiolino ad entrambi. Li salutò con un gran sorriso spingendo la sedia a rotelle fuori dalla camera.
Lisbon avrebbe tanto voluto che una voragine si aprisse nel pavimento e la risucchiasse evitando l’imbarazzo di quel momento. Non aveva più il coraggio di  alzare lo sguardo su Jane. Lui invece se ne stava tranquillo a guardarla con un sorrisetto ironico.
“Jane! - l’ingresso di Van Pelt e degli altri membri del team la salvò - Come stai?” - si abbracciarono e la rossa gli porse un sacchetto di carta ed una tazza di tea fumante.
Lisbon sospirò grata, per una volta, per il tempismo dei suoi uomini.
“Oh grazie Grace! - esclamò Patrick assaporando il tea - Hum … perfetto!”
Cho, Rigsby e Van Pelt chiaccherarono con Jane qualche minuto. Aggiornandolo sugli ultimi eventi, chiedendogli di svelargli come avesse potuto risolvere il caso anche in stato di coma. Lo fissavano stupiti, pendendo dalla sue labbra come dei bambini che stessero aspettando la loro favola preferita.
“Ehm... Jane, quand’eri in coma hai visto... qualcosa?” - chiese inaspettatamente Van Pelt.
“Qualcosa?” - chiesero in coro Teresa e Jane.
“Si. Molte persone quando escono dal coma raccontano di aver avuto strane visioni. Alcuni riferiscono di aver attraversato un tunnel di luce e alla fine di aver incontrato entità o parenti morti, altri di aver vissuto esperienze extracorporee...” - si giustificò la rossa leggermente imbarazzata.
Rigsby e Cho la fissarono con un sorrisetto sulle labbra. Lisbon, invece, sgranò gli occhi pensando alla moglie e alla figlia di Jane. Trattenne il respiro temendo per lui.
“Oh … - Jane sorrise - ora che ci penso… luce eh?- chiese.
Van Pelt annuì speranzosa.
“Si, in effetti c’era tanta luce … e ho visto qualcosa, sì… era, era..." -  fece una pausa d’effetto.
“Cos’era Jane?”- i tre agenti si avvicinarono incuriositi.
“Hum... un grande e comodo divano!” - rispose Jane stiracchiandosi.
“Ma certo! - rise Lisbon - Cos’altro poteva essere?”.
Van Pelt alzò gli occhi al cielo e ridacchiò.
“Lo so, lo so. Vi sono mancato, eh?”
“Già, come no... - sbottò Lisbon tra i denti - come un fastidio al culo”
“Comunque devi ancora dirci come hai fatto a risolvere il caso!”  - insistette Rigsby.
“Ho sentito un'interferenza nella forza...” - rispose Jane criptico.
“Certo, ho capito..." - sbuffò Wayne allungando 30 dollari a Cho.
“Ok, la festa è finita, dobbiamo andare abbiamo un caso da risolvere!” - intervenne Lisbon.
Van Pelt, Cho e Rigsby salutarono Jane e uscirono dalla stanza allontanandosi nel corridoio. Lisbon stava per seguirli, ma Patrick la trattenne.
“Teresa” - disse in un soffio.
Da quando la chiamava per nome? E con quel tono così tenero? Si domandò tremando.
“Volevo ringraziarti” - la stava guardando così intensamente che Lisbon sentì il cuore impazzire.
“Non è necessario, io…" - cercò di minimizzare. La voce le usciva strozzata.
“Grazie per essermi rimasta accanto.” - insistette lui, accarezzandole la mano. Un tocco lieve, appena accennato.
Lisbon arrossì - “Tu avresti fatto la stessa cosa per me…”-
Jane sorrise illuminando il volto. Lisbon non poteva fare a meno di sorridere a sua volta. Era così contaggioso. Avrebbe ucciso per poter continuare a vedere quel sorriso.
Distolse lo sguardo imbarazzata e uscì.
Per la fretta urtò contro una giovane infermiera che spingeva una sedia a rotelle vuota. Lisbon si scusò, ma la donna bionda non la degnò nemmeno di uno sguardo, proseguendo lungo il corridoio ed entrando nella stanza di Jane.
Lisbon s’incamminò verso l’ascensore. Una vocina nella testa le diceva che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ed una strana inquietudine l’assalì. Qualcosa le stava sfuggendo.
Si bloccò all’improvviso. Jane aveva finito i controlli, le era stato detto pochi minuti prima, allora perché quell’infermiera era entrata nella sua stanza? Dove aveva già visto quella donna?
Il sangue le si gelò nelle vene. Era lei... Indossava degli occhiali e i capelli erano acconciati diversamente, ma era sicuramente Eleonor Norris.
Non ci pensò un’attimo e fece dietro front. Cho e Rigsby, che la stavano aspettando in fondo al corridoio, la videro schizzare verso la stanza di Jane. Si scambiarono uno sguardo, quindi decisero di seguirla.
Fortunatamente aveva con sé la sua Glock, si disse Lisbon impugnando la pistola. Si affacciò con cautela all’interno della stanza.
Jane era seduto sulla sedia a rotelle, immobile, il volto teso. La donna stava dietro di lui con il corpo sottile così vicino a quello di Jane, che non riusciva a capire se impugnasse un’arma. Sicuramente aveva una pistola, si disse Teresa.
“Oh, è qui Agente Lisbon!” - la canzonò la giovane, spostando di lato la testa e spingendo Jane verso la porta.
“Lascialo andare subito! Non puoi scappare!” - ringhiò Teresa, puntandole l’arma contro.
La donna in tutta risposta ridacchiò, scostandosi appena dalla sedia per mostrarle la pistola. La stava puntando all’altezza della schiena di Patrick. Teresa s’immobilizzò: fissava Jane dritto negli occhi nel tentativo di tranquillizzarlo.
“Ora dimmi, agente Lisbon, quanto vale il tuo amico?”
“Prendi me…  - disse calma - lui non c’entra in tutto questo, non è vero? Tu vuoi me!”
Jane la fissò turbato ma non osò dire nulla.  
La donna rise - “Oh come sei dolce, davvero! Ma credo che lui verrà con me, comunque… Sai, ho già dei progetti per lui!” - e afferrò Jane per i capelli costringendolo a voltarsi a guardarla.
“E’ proprio carino… lo devo ammettere, in fatto di uomini hai davvero buon gusto, Teresa!”
Lisbon la fissò minacciosa. Doveva fare qualcosa, si disse. Con la coda dell’occhio vide Cho e Rigsby avvicinarsi ed allontanare medici e pazienti. Il corridoio era vuoto ora.
“Ascolta, manteniamo la calma … noi possiamo trovare il modo di aiutarti” - intervenne Lisbon indietreggiando lentamente, mentre la donna avanzava verso la porta.
“So che sei arrabbiata per la morte di Greg”  - continuò, lanciando occhiate furtive in direzione di Rigsby e Cho.
“No! - urlò in tutta risposta la bionda, premendo l’arma contro Jane - Non osare nominarlo! TU non puoi, TU non ti puoi permettere!” - sibilò, il volto livido per la rabbia.
“Lisbon per l’amor di Dio!” - piagnucolò Jane.
“Ok, ok..." - Teresa fece un altro passo indietro, la pistola sempre salda in pugno.
“Metti giù la pistola, Agente Lisbon … Non vorrai che mi parta un colpo, vero?”
Lisbon obbedì e lentamente abbassò l’arma, lasciandola scivolare sul pavimento.
“Hum … Sai una cosa? Ho avuto bel colpo di fortuna a trovarti qui. Ti piacerà lo spettacolo che ho in mente! - ridacchiò la donna - Cammina! Dì ai tuoi uomini di abbassare le armi... Se solo uno di loro fa un gesto, lui muore. Sono stata chiara?” - minacciò uscendo dalla stanza.
Lisbon annuì indietreggiando. Le cose le stavano sfuggendo di mano, doveva fermare quella pazza. Cosa aveva in mente? Come diavolo erano finiti in quella situazione? Una parte di lei continuava a ripeterle che se non fossero passati a salutare Jane non l’avrebbe più rivisto, l’altra cercava una via di uscita. Smettila Teresa, si rimproverò cercando di mettere ordine ai suoi pensieri. Doveva mantenere la calma se voleva salvare entrambi.
Rigsby e Cho, abbassarono le armi e rimasero immobili a fissare i tre che si allontanavano lungo il corridoio deserto. Ancora pochi passi e sarebbero arrivati all’ascensore. Teresa camminava accanto a Jane, cercando di trovare il momento più adatto per un’azione diversiva.
Cosa poteva fare senza rischiare di farli ammazzare entrambi?
Ad un tratto scorse Van Pelt appiattita dietro ad una porta. Avevano solo una possibilità, si disse Lisbon e si augurò che la Norris non avesse l’avesse notata.
La porta dell’ascensore si aprì all’improvviso, approffittando del momento di sorpresa, Van Pelt uscì dalla stanza e si gettò contro la donna. Lisbon reagì subito e coprì Jane con il suo corpo, gettando lui e la sedia rotelle a terra.
Van Pelt e la donna lottavano sul pavimento. L’agente la colpì un paio di volte al volto nel tentativo di stordirla e riuscire a strapparle di mano la pistola. Eleonor reagì e partì un colpo.
Rigsby e Cho corsero in aiuto di Van Pelt che, con fatica, era riuscita bloccare la giovane donna. Anche gli agenti Crowford e Miles, usciti dall’ascensore, accorsero in aiuto armi in pugno.
“No! - urlava la Norris dimenandosi salvaggiamente - No, no, noooooo!”
“Ferma! ‘Sta ferma accidenti!” - le urlò Rigsby riuscendo a bloccarla. La sollevò quasi di peso e l’ammanettò. La consegnò quindi all’agente Miles che la trascinò via.
“Tutto bene Grace? - chiese Wayne alla rossa, ancora seduta sul pavimento.
Lei annuì ansimante, quindi si rimise in piedi. Diede uno sguardo a Jane e Lisbon ancora a terra.
Una pozza di sangue intorno ai loro corpi immobili, la raggelò. Guardò prima Rigsby e poi Cho. Nessuno sembrava aver il coraggio di fare nulla.
“Beh … qualcuno vuole aiutarci o pensate di rimanere lì impalati per tutto il tempo?” - sbottò Lisbon, sollevando un braccio nel tentativo di rialzarsi. Era incastrata tra la sedia a rotelle e il corpo di Jane.
“Hum... sei una falsa magra ... te l’ha mai detto nessuno, Lisbon?" - sbuffò Patrick cercando di spostarla.
“Oh... stai zitto Jane!”
“State bene? Siete feriti?” - chiese preoccupata Van Pelt, aiutandoli a rialzarsi. C’era sangue ovunque.
“Io, sto bene …” - esclamò Teresa guardandosi alla ricerca di ferite, quindi si voltò preoccupata verso Jane.
“Anche io…” - sospirò Patrick tastandosi il corpo dolorante.
“Credo di aver trovato il ferito” - disse Cho con il suo consueto tono, indicando un flacone di sangue poco lontano.
Van Pelt si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

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Eleonor Norris se ne stava immobile a fissare il vuoto. Da quando era entrata nella sala interrogatori tre non aveva aperto bocca, né aveva cambiato espressione. Sembrava assente.
Dopo l’ennesima domanda a cui non avevano ricevuto risposta, Lisbon e Jane si scambiarono un rapido sguardo. Il consulente sorrise, prese una sorsata del suo tea preferito, quindi aprì il sacchettino che aveva davanti a sé. Lisbon lo osservò perplessa, un sorrisetto imbarazzato.
“Jane” - sussurrò con dolcezza.
Lui rispose con un sorriso e si sistemò il panciotto.
“Lo sai Lisbon che il segreto per un buon muffin è la pigrizia?” - le disse addentando un bluberry e porgendogliene uno.
La Norris spostò lo sguardo su di lui, ma non disse nulla.
“Beh ... chi meglio di te può saperlo” - rispose Lisbon un po’ acida, rifiutando il muffin.
“Il segreto è non mescolare troppo l’impasto” - sussurrò la donna, come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno.
“Visto? Che ti avevo detto Lisbon? Io l’ho scoperto su Internet!” - disse divertito.
“Su Internet si trova di tutto, ormai” - intervenne Lisbon asciutta.
“Hum, è vero! Si può imparate tutto sui veleni - disse Jane sempre sorridendo - o su come costruire una bomba!”
Eleonor sorrise. Patrick Jane le piaceva, dopo tutto.
“Immagino che ti chieda come ho fatto a capire che eri tu” - le disse all’improvviso.
“No” - si limitò a rispondere.
“Bugiarda - rise lui - ti dirò come ho fatto, se tu ci dirai dov’è il Senatore. Mi sembra un’equo scambio”.
“No” - ripetè, ma era stata meno risoluta nel rispondere questa volta.
Lisbon la fissò minacciosa, senza dire nulla. Avrebbe voluto prendere quella donna a calci per farsi rivelare dov’era Alec, ma fino a quel momento la sua linea d’interrogatorio non aveva portato a nulla di buono, quindi doveva lasciar fare a Patrick. Si morse il labbro per non parlare.
“Non lo vuoi sapere?” - le chiese.
“Tanto è già morto a quest’ora” - esclamò lei con un sorriso beffardo.
“Oh, no Eleonor - Jane era serio ora - avevi intenzione di ucciderci tutti insieme. Uno alla volta, in modo che soffrissimo. Come stai soffrendo tu, ora. Prima avresti ucciso me, poi Lisbon ed infine... Robertson! ”
Lei smise di ridere. Non lo trovava più così divertente.
“Quindi, no. Il Senatore Robertson non è morto. Forse era il tuo piano all’inizio. Uccidere Lisbon, facendo ricadere la colpa su Robertson, poi simularne il suicidio... Ma ho rovinato il tuo piano e hai dovuto improvvisare … Devi sapere che lo troveremo, in ogni caso, con o senza il tuo aiuto. A te la scelta.”
Eleonor non disse nulla, un lieve fremito alla palpebra però rivelò il suo nervosismo. Così come era riuscito a capire, aldilà di ogni logica, che c’era lei dietro al cianuro e al rapimento, così avrebbe ritrovato Robertson. Ma come aveva fatto a scoprirla? Era stata così cauta. Era curiosa, terribilmente curiosa.
Sospirò - “Avrei dovuto metterci una dose doppia” - si limitò a dire.
“La prossima volta... magari” - replicò Patrick.
“Dov’è?” - intervenne Lisbon, impaziente.
“Dove dovrebbe essere - le rispose lei quasi annoiata - al cimitero.”
“Ma certo! -  esclamò Jane balzando dalla sedia - Sicuramente Robertson ha una tomba di famiglia!”
Lisbon guardò il vetro dietro di lei e fece cenno a Wayne di controllare.
“Ora tocca a te - sibilò Eleonor - come mi hai scoperta?”.
“Oh, certo... Tre settimane fa allo Yum Yum Shop eri così triste. Tu, sempre allegra e solare, nascondevi a stento il tuo dolore. Mi sono chiesto perché mai avessi pianto. Chi ti avesse fatto piangere. Ho notato una lettera con il timbro di Corcoran. La prigione di stato è lì, non è così? Era una lettera di Greg. L’ultima in cui ti diceva della condanna a morte.”
Eleonor ebbe un fremito, ma non disse nulla.
“E poi lo Yum Yum Shop era chiuso da un paio di giorni, eppure i dolcetti sulla scrivania di Lisbon sono arrivati quella mattina. Così ho fatto due più due.”
Una lacrima scese lungo la guancia della giovane donna. Quella lettera l’aveva annientata.
“Lo hanno abbandonato. Hanno permesso che morisse” - sussurrò tra le lacrime puntando il dito contro Lisbon.
“Aveva ucciso a sangue freddo due persone innocenti - le rispose Jane - sua madre era incinta...”.
“Non era come dicevano. Era buono! Lui mi amava... lui mi ascoltava, mi capiva... lui" - singhiozzò.
“Certo! Lui amava te, e Linda e Vanessa ..." - intervenne Lisbon, gettando sul tavolo le lettere che Greg scriveva dal carcere.
Eleonor spalancò gli occhi, prese un paio di lettere, quindi scosse la testa incredula e confusa.
“Greg … lui...” - ammutolì.
Jane la guardò un’ultima volta, con pietà. In silenzio uscì dalla stanza.

…...............................

“Volevo complimentarmi con voi e dirvi che il Sindaco è molto soddisfatto di come avete risolto il caso” - Hightower aveva raggiunto Lisbon, Jane e il resto della squadra mentre stavano mangiando la pizza caso chiuso.
“Grazie Signora. Tutto è bene quel che finisce bene” - disse Teresa sorridendo un po’ imbarazzata, ricordando che, quello che per lei era stato il caso più difficile della sua carriera, si era concluso nel migliore dei modi: sia Jane che Alec erano sani e salvi ed il colpevole era sottochiave.
“Jane … - disse poi la donna rivolgendosi al biondo consulente - bentornato nella squadra!”.
“Grazie Madeleine” - rispose con uno dei suoi sorrisi.
Hightower si congedò dal gruppo e i cinque ripresero a mangiare allegramente.
“A Jane e al caso chiuso” - esclamò ad un certo punto, Rigsby alzando un bicchiere.
Tutti si unirono a lui.
“Anche se non ci dirà mai come ha fatto” - concluse Cho sorridendo compiaciuto.
“Ogni mago ha i suoi trucchi!” - rispose Jane addentando una fetta di pizza.
Teresa era silenziosa. Spostava il suo sguardo da Jane al resto del team.
Grace, ingenua, dolce e premurosa. Rigsby impacciato, onesto e spontaneo.
Cho, intelligente, acuto e intelliggibile.
E poi Jane.
Erano la sua famiglia. Doveva proteggerli.
Bevve un sorso di birra e si alzò.
“Hey Boss... vai già via?” - chiese Van Pelt.
“Ho del lavoro da finire...” - cercò di giustificarsi, con un sorriso imbarazzato.
In realtà il lavoro burocratico avrebbe potuto aspettare, ma aveva bisogno di stare sola.
Salutò tutti, evitando di incrociare lo sguardo curioso di Jane, quindi si chiuse nel suo ufficio.
Doveva pensare.
C’era una questione che fino a quel momento aveva volutamente evitato ma che ora, dal momento che tutto era finito per il meglio, doveva affrontare. Si sentiva confusa e terrorizzata.
Abbassò lo sguardo sul libro di poesie di William Blake.
Jane le aveva mentito.
Sospirò. Era arrabbiata, delusa e... triste.
Doveva aspettarselo, no? Jane mentiva e manipolava chiunque, da sempre.
Perché mai lei avrebbe dovuto costituire un’eccezione? Lei non era diversa, no?
Cosa doveva fare adesso?
Doveva proteggere  la sua squadra, si disse. Il comportamento di Jane rischiava di metterli tutti in pericolo.
Guardò per l’ennesima volta il libro come se potesse trovarvi la risposta che cercava.
Sentì bussare, ma non rispose.
La porta si aprì e una testa bionda fece capolino nel suo ufficio.
“Tutto bene, Lisbon?” - le chiese.
“No” - ripose sincera fissandolo triste.
Jane chiuse la porta e le si avvicinò. Abbassò lo sguardo verso il libro di Blake.
“Oh” - disse soltanto.
“Van Pelt l’ha trovato mentre cercava di interpretare il messaggio di Red John... Dammi una sola ragione perché non dovrei cacciarti su due piedi dal CBI! - lo implorò lei trattanendo a stento la rabbia - E non dirmi che chiudi i casi, perché non è più sufficiente, te lo giuro!”
“Lisbon... Io volevo solo proteggerti... volevo tenerti al sicuro” - si giustificò cercando i suoi occhi.
“Oh non prendermi per il culo, Patrick Jane! - sibilò dura - Credi che nascondermi informazioni sul caso possa salvarmi la vita? Davvero?”
“Vuoi sapere qual’è la verità? - sbottò poi con rabbia- Tu volevi solo essere un passo avanti a noi, per poter prendere Red John! Per poter raggiungere il tuo scopo! Per vendicarti! Questa è la verità, Jane!”
Lui non disse nulla. La fissava in silenzio con le mani in tasca.
Lisbon ansimava.
Perché non diceva nulla? Perché non provava a convincerla che non era così che stavano le cose?
Dì qualcosa Jane. Dì qualcosa, implorò.
“Hai ragione. - disse, la voce ridotta ad un sussurro - Quando Red John mi ha salvato e mi ha sussurrato quel brano di Blake, ho pensato che avrei potuto tenermelo per me. Che avrei potuto interpretarlo e poi scovarlo, Perché devo catturarlo Lisbon. Lo devo fare per mia moglie e mia figlia! Non ti ho mai mentito su questo, lo sai.”
Jane la fissò intensamente. Lei sentì salirle un nodo alla gola.
“Catturare Red John è stato l’unica cosa che mi ha permesso di resistere. Che mi ha dato una ragione per vivere... - le confidò.
Lei abbassò lo sguardo. Lei e il team non contavano davvero nulla per lui?
“Lo so....- rispose Teresa con voce tremante. Aveva sempre sperato che sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
“Era l’unico motivo, Lisbon... almeno fino a quando qualcuno non mi ha fatto capire che avevo una nuova famiglia, che non ero più solo...” - le disse avvicinandosi.
Lisbon si ritrasse confusa.
“Devo tenerti lontana da John. Finché non diventerai una minaccia per lui, allora sarai al sicuro! Non conosco altro modo per proteggerti!”
“Non ho bisogno che mi proteggi, sono in grado di cavarmela da sola! Sono un poliziotto!” - rispose lei stringendo i pugni.
“Cosa credi che succederebbe Lisbon, se dovessi perdere la mia famiglia un’altra volta?”
Lisbon lo fissò perplessa. Ma non aveva la forza di dire nulla.
“Quando ero in coma ho visto il mio funerale” - esclamò ad un tratto, come se non avessero parlato d’altro fino ad allora. Come se stessero discutendo del più e del meno.
“C’eravate tutti. Tu,  Minelli, Grace, Rigsby, Cho. Niente visioni del paradiso... Niente Angela o Charlotte. Sono rimasto qui con voi... con te.”
Lisbon lo fissò a bocca aperta. Stava tremando.
“Mi dispiace Lisbon, davvero.”
“Ci farai uccidere tutti, Jane.” - sussurrò lei con un nodo alla gola.
“Cosa vuoi che faccia?” - disse.
“Devi dirmi tutto. Niente più segreti, niente più bugie. Altrimenti sarò costretta a... - si interruppe non riusciva nemmeno a pensare al team senza Jane - sarò costretta a cacciarti dalla squadra.”
“Capisco.” - sospirò, mentre pensava alla pistola nascosta in soffitta e alla morte di Todd Johnson.
“Cosa significa quella poesia - iniziò lei indicando il libro - sei riuscito a capirci qualcosa?”
Lui si strinse nelle spalle “No, non molto in verità.”
“C’è dell’altro vero?”- non era una domanda.
Jane sorrise stancamente - “L’allieva supera il maestro... ci sono un paio si cose che non ti ho detto”
“Ti ascolto”- disse incrociando le braccia al petto.
E lui le raccontò tutto. Dapprima era stato incerto e titubante, poi le parole avevano iniziato a uscire sempre più facilmente, come se non stesse aspettando altro che confidarsi con lei. Lisbon ascoltava in silenzio, annuendo di tanto in tanto.
“Chi credi sia la talpa?” - disse una volta che Jane aveva terminato.
Non era arrabbiata ora, ma solo preoccupata.
“Hum... è difficile dirlo.”
“Incredibile! Patrick Jane è in difficoltà! Se non fosse una situazione drammatica ci sarebbe da riderne!” - esclamò Teresa sollevando un sopracciglio.
“Van Pelt ha scoperto qualcosa riguardo a Blake?” - chiese lui pensieroso.
“No, non abbiamo più seguito quella pista. Ha solo trovato il collegamento tra una frase del messaggio e la strofa che avevi sottolineato tu... niente di più.”
“Oh...”- rispose con un’espressione indecifrabile - Cho e Rigsby avranno scommesso anche su quello” - aggiunse con un sorriso
“Ci metterei la mano sul fuoco!”
Lui sorrise - “Pace?”- chiese guardandola intensamente.
“Non lo so...- rispose lei facendo il broncio - Prima devi consegnarmi la pistola.”
Lui annuì, quindi le si avvicinò e le sfiorò la guancia con un bacio. Un tocco leggero che la fece tremare.
“Non credere che un bacio possa sistemare tutto - esclamò poi imbarazzata - se mi nascondi ancora qualcosa ti sparo!”
Patrick annuì senza allontanarsi da lei. Le sfiorava il braccio con una mano e manteneva il contatto visivo.
“E’ stato bello parlare con te... - le disse con un tono di voce caldo e profondo - Mi ha fatto bene. Non ti senti meglio anche tu? Più rilassata e serena?”
Teresa annuì si sentiva meglio era vero, ma anche incredibilmente stanca. Sentiva Jane sussurrarle qualcosa ma non ne capiva il senso, sentiva solo le palpebre pesanti. Voleva così tanto dormire e dimenticare tutto.
Jane la fece sedere sul divano, continuando a parlarle con voce suadente e profonda.
“Perdonami Lisbon - le sussurrò dopo averla ipnotizzata - devo proteggerti e questo è l’unico modo che conosco...”
Le diede un leggero bacio sulla fronte, quindi si alzò dal divano avvicinandosi alla scrivania. Aprì il fascicolo del caso, lo sfogliò alla ricerca di riferimenti a Blake e non trovando nulla sorrise compiaciuto, quindi prese il libro e se lo mise in tasca.
Tornò da Lisbon, la fissò per un istante. Era così indifesa ora.
“Mi dispiace tanto... - sussurrò accarezzandole una guancia -  quando ti risveglierai ti sentirai serena e riposata, non avrai nessun dubbio, non ricorderai nulla di quello che ti ho detto... Questa discussione non c’è mai stata, Lisbon. Non c’è niente da scoprire, nessuna verità nascosta, è tutto a posto ora, Teresa. E’ tutto a posto...”
Sospirò, si alzò dal divano e le toccò la spalla.
“Che vuoi Jane?” - chiese lei un po’ confusa aprendo gli occhi.
Cosa ci faceva sul divano e perché Jane era così vicino? Doveva aver bevuto un goccio di troppo, si rimproverò arrossendo lievemente. Era andata nel suo ufficio per compilare i rapporti e... doveva essersi addormentata.
“Ehm Lisbon... scusami non volevo svegliarti - le sussurrò - ero venuto a cercare la giacca che indossavo quella sera... hai idea di che fine abbia fatto?” - le chiese con il suo consueto sorriso malizioso.
“La tua giacca? Perché mai dovrei saperlo?” - disse con un’alzata di spalle.
“Hum... non importa. Proverò a chiedere a Van Pelt e agli altri se l’hanno vista.”
“Buona fortuna allora... notte Jane” - disse sbadigliando.
“Buona notte mia cara” -  lui accennò un saluto con la mano.
Teresa lo fissò allontanarsi, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
Quando fu certa di essere nuovo sola, si lasciò cadere sul divano, spostò il cuscino e ne tirò fuori una giacca da uomo. La portò al viso ispirandone il profumo.
Dovresti ridargliela, si rimproverò. E lo sai che non sta bene dire le bugie, Teresa.
Aveva tenuto con sé la giacca di Jane da quella tragica sera. Una specie di ancora di salvezza nei giorni in cui lui era stato in coma. Ora che stava di nuovo bene avrebbe dovuto restituirgliela.
Lo sai che non puoi tenerla.... La sua coscenza si faceva sentire.
Sbuffò. Aspettiamo fino a domani, che male c’è...
Prometto domani gliela restituisco. Sì, sorrise, domani gliela restituisco.

   
 
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