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Autore: Hiromi    19/04/2011    12 recensioni
"Abitiamo in paesi diversi, entrambe vogliamo conoscere i nostri genitori, ma cosa possiamo fare normalmente? Ed ecco che io vado in Russia da te, e tu torni in Inghilterra presentandoti come me. Geniale, no?" Daphne Tachibana e Nadja Hiwatari si incontrano per caso a Parigi, e architettano un piano per riprendersi un loro diritto: conoscere i loro genitori. I guai sono alle porte!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Kei Hiwatari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Russie mon Amour

Russie mon Amour

 

 

Takao si allentò la cravatta entrando nella sua camera da letto; era terminata, per lui, un’altra mattinata di lavoro, - l’ultima, grazie al cielo, visto che aveva concluso l’affare, - e adesso poteva ritenersi grandemente soddisfatto.

Posò la cartelletta accanto all’armadio e, sospirando, si buttò sul letto: era distrutto, quella mattina si era dovuto svegliare qualche minuto prima delle sette, e non aveva nemmeno dormito bene… Urgeva recuperare.

 

Certe persone si meravigliavano ancora del fatto che lui, che in passato era stato tutto beyblade, ozio e cibo, adesso fosse un gran lavoratore, un uomo affidabile e sicuro di sé, ma era così.

Aveva un lavoro che gli piaceva tantissimo, la moglie più bella del mondo, e viveva in Francia, a Parigi. Certo, talvolta il Giappone gli mancava, ma con Karen, di viaggi intorno al mondo non ne mancavano mai, quindi non poteva certo dire di annoiarsi.

Amava la sua vita, sua moglie, il suo lavoro. Era un uomo fortunato.

 

“Ehi, quando sei tornato?” Karen comparve poco dopo, avvolta nella vestaglia di seta bianca, i capelli biondi lasciati sciolti sulle spalle che le conferivano un’aria pressoché sensuale.

 

“Da poco.” mormorò, andandole incontro e prendendo a baciarle le spalle; la sentì ridere e rovesciare la testa indietro, ma gli si sottrasse subito dopo, risoluta.

 

“No.” aveva un’aria strana: era luminosa, solare, ma pareva anche in attesa di qualcosa. “Sai, Hilary è appena arrivata, la sono andati a prendere Max e Maryam.”

 

Mmm…” Takao non ne voleva proprio sapere di smettere di baciarla: il suo collo aveva un profumo così buono, ed era così liscio…

 

“E dai!” la donna rise, spingendolo via delicatamente. “Stavo dicendo che è appena arrivata, la sono andati a prendere e Nadja mi ha detto che Daphne trama qualcosa... Non sei contento?”

 

Takao sbuffò. “Kary, tra moglie e marito…”

 

“Sì, lo so, ma non mi arrendo. Non manca molto prima che io e te dovremmo andarcene, e prima di levare le tende vorrei esser d’aiuto a Kai, in qualche modo.”

 

“In realtà ho concluso l’affare oggi.” le rivelò lui.

 

Lei annuì. “Me l’avevi detto ieri. Ah, sai cosa? Anche io ho concluso un certo affare oggi.” assunse un’aria pensierosa. “No, per la verità necessità ancora di qualche mese… Diciamo pure che sono in trattativa…

 

Il giapponese sbatté le palpebre. “Eh?”

 

“Ma sì, per concluderlo, questo affare, mi ci vorranno un paio di mesi. Nove, all’incirca.” sorrise largamente, gettandogli le braccia al collo. “Sono incinta, babbeo! Ora è più chiaro?”

 

Takao dapprima la guardò senza dire alcunché, poi scoppiò a ridere, e ricambiò l’abbraccio. “Non ci credo…” sussurrò, dopodiché le stampò un lungo bacio sulle labbra. “Ti amo.” le sillabò, sulla bocca.

 

Lei intrecciò le sue dita con quelle di lui. “Anch’io ti amo.” e, appoggiando la testa sulla spalla del marito, si ritrovò ad augurare la stessa gioia a due testoni di sua conoscenza.

 

 

 

 

Gwen aveva ventotto anni, ed era la classica rosa inglese: bionda con gli occhi azzurri, minuta, lentiggini sul volto, svolgeva il suo lavoro da segretaria con passione, anche perché aveva avuto la fortuna, anni prima, di trovare un capo simpatico, affidabile e divertente: Hilary Tachibana, l’avvocato che, in quegli ultimi anni, si stava davvero facendo conoscere per la sua bravura, a Londra.

Certo, in quei giorni era mancata per motivi familiari ed era dovuta partire su due piedi dovendo chiudere lo studio, ma erano cose che potevano accadere.

 

Quello che Gwen non si aspettava, era al ritorno, di trovare il suo capo così cambiato.

Era sempre stata allegra, divertente, affabile, piena di energie, ed erano queste qualità che avevano contribuito alla sua scalata sociale, ma quel giorno pareva non esserci completamente. Stava nel suo studio a fissare il computer con occhi sbarrati, come se non sapesse cosa fare, e aveva trangugiato un caffè dopo l’altro.

 

Solitamente era lei che si occupava di revisionare i suoi scritti al pc, visto che – come aveva ammesso Hilary stessa, ridendo – era una vera nullità al computer, e sapeva fare soltanto le cose base, ma quel giorno pareva non riuscisse a fare nemmeno quelle.

 

“E’ tutto a posto? Posso aiutarla?” bussando timidamente al suo studio, decise di rompere quel silenzio devastante. Fortuna che non vi erano clienti.

 

“Oh, Gwen…” sbattendo lentamente le palpebre, si riscosse in maniera minima: era intenta ad osservare un ciondolo che, prontamente, ricacciò in tasca. “Non sono riuscita a scrivere nemmeno una riga sul divorzio Stevenson – Brady… Oggi non ho proprio testa.”

 

La bionda si ravviò una ciocca dietro l’orecchio. “Se si sente male può andare a casa.” propose, scrollando le spalle. “Ci penso io a chiudere qui, sul serio.”

 

Hilary si morse le labbra, pensandoci un po’ su. “Sai cosa?” sospirò lentamente. “Temo di… Aver bisogno della… Dottoressa Bennett.” sospirò, come se stesse ammettendo una verità scomoda. “Vedi se c’è un posto libero il prima possibile, per piacere, anche oggi… Ma ne dubito.”

 

Gwen annuì. “A qualunque ora?”

 

“Sì, sì. Ne ho… proprio bisogno. Dille che è un’emergenza.”

 

 

 

 

Daphne aveva in braccio Daisy, e, rilassandosi mentre le faceva le treccine, guardava sua zia sfornare una torta al cioccolato.

Liz e Sam erano appena andate via dopo averla riabbracciata e salutata, in quel momento si stava dedicando alla famiglia.

“E’ pronto il tè, zia?” mettendo per terra la bambina, raggiunse il posto dove si trovava la donna per vedere se aveva bisogno di aiuto.

 

“Sì, tra un po’ la teiera dovrebbe fischiare…” Maryam dispose la torta su un vassoio. “Prendi le tazze, per favore.”

 

“Certo.” portando il tutto in sala da pranzo, trovarono Daisy che tentava di arrampicarsi su per una sedia; una volta fatta sedere accuratamente la bimba, iniziarono il rituale inglese delle cinque.

 

“Ora stai meglio?” la donna le porse una fetta di torta. “Eri così nervosa ieri sera, non ti ho mai vista così arrabbiata con tua madre...”

 

Daphne le lanciò una lunga occhiata neutrale. “Sto meglio, ma non vuol dire che sia più calma.” fece notare.

“Lo zio ti ha spiegato come sono andate le cose, e scommetto che quando sono andata a dormire mamma vi ha pure detto delle cose che non so, cose che mancano al mio puzzle.” qui sospirò. “Ma non cambio idea: sta rovinando la vita a tutti. Quattordici anni fa aveva ragione lei, ora no.”

 

Maryam sorseggiò il suo tè a lungo, prima di parlare, dopodiché la fissò dritta negli occhi. “Quando affronti determinate cose, nella vita, hai paura che ritornino.” spiegò. “Io credo che Hilary tema non solo per se stessa, ma anche per te e Nadja. Poi c’è un fattore non da sottovalutare.”

 

Daphne corrucciò le sopracciglia. “Cioè?”

 

“Non sa ancora cosa prova per tuo padre.”

 

“Ma se si vede lontano un miglio che si amano!”

 

La donna sorrise. “La gente vede chiaramente negli altri, ma non riesce a vedere altrettanto chiaramente in se stessa.”

 

La ragazzina dapprima restò attonita, poi sorrise. “Lo sai, zia, mi sei mancata.”

 

“Oh, non ne dubito.”

 

 

 

 

Mao si ravviò i capelli chiari, lasciati liberi di ricadere sulla schiena.

Sin da ragazzina li aveva sempre avuti lunghi fino ai gomiti, ed erano sempre stati la sua particolarità, il suo vanto. Ora che ragazzina lo era un po’ meno, li aveva accorciati fino un po’ sotto le spalle, sempre lunghi ma molti centimetri di meno rispetto a vent’anni prima. Un po’ una via di mezzo tra quello che era stata e quello che era.

 

Karen le aveva dato appuntamento in quel pub dove, sere prima, si erano incontrate anche con Hilary. Solo a ripensare alla bruna sentiva una morsa allo stomaco.

Si diceva che le amiche ci dovessero essere sempre, che dovessero essere leali, che non dovessero giudicare… Su quest’ultima cosa non si trovava molto d’accordo. O meglio: secondo lei, aveva delle eccezioni: quando la migliore amica di una vita sta per fare una stronzata colossale, come si faceva a starsene zitta e muta?

Con molta pazienza era riuscita a non farle un casino, e a dirle quella frase, il giorno in cui era venuta a casa sua a salutarla, ma non sapeva neanche dove avesse trovato la forza.

 

Forse se le avessi detto di più… Magari…

 

Ricacciò con forza quest’ultimo pensiero: Hilary era una donna fortemente indipendente, e altamente testarda; se decideva una cosa, non cambiava idea nemmeno se la si supplicava in ginocchio, a meno che non capiva lei di avere sbagliato.

Ed era su quello che dovevano puntare.

Dovevano far capire a Hilary che lei amava Kai, che si appartenevano, accidenti.

 

“Ehi, sei qui da molto?” una Karen stretta in un tubino viola le si parò davanti, sorridendole.

 

Mao, che sorseggiava un sex on the beach, mise da parte il drink per abbracciarla. “No, solo cinque minuti. Ciao, comunque.”

 

La bionda si sedette sullo sgabello, e richiamò il barista, ordinando della coca cola. “Allora, che mi racconti?”

 

Guardandola con occhi sospettosi, la cinese mescolò il suo cocktail con la cannuccia. “Io niente, tu, signora coca cola?”

 

Karen, ricevendo la lattina, diede al barista una banconota, dicendogli sbrigativamente di tenere il resto. “Sono incinta!” esclamò, con un sorriso enorme sulle labbra.

 

Mao batté le mani, scendendo dallo sgabello ed andandola ad abbracciare. “Cielo, come sono contenta!”

 

“L’ho scoperto due giorni fa, e non dovrei essere di molto…” spiegò, mordendosi le labbra, contenta. “Appena torniamo in Francia prenderò l’appuntamento con la ginecologa.”

 

L’altra assunse un’aria delusa. “Ah, già. Andrete via…”

 

Karen sospirò. “Takao ha concluso il suo affare, e io l’ho pregato di rimanere qui qualche altro giorno. Vorrei vedere come si evolvono le cose tra Kai e Hilary. Vorrei tornare a Parigi contenta davvero, senza pensieri, godendomi spensieratamente la gravidanza.

 

Mao sorseggiò il cocktail. “Ma se continua così…”

 

“Io sono ottimista.” la bionda sorrise. “Nadja mi ha spiegato cosa lei e Daphne hanno organizzato in questi giorni per far mettere insieme i due. Le gemelle sono diaboliche.”

 

“Sì, ma serve un altro piano altrettanto diabolico per far crollare Hilary.”

 

“A quanto pare Daph ce l’ha.” Karen sorrise. “E io non ho nessuna intenzione di partire con un pensiero in più per Parigi. E quando mi metto in testa una cosa…”

 

 

 

 

Per Gillian doveva essere ora di pranzo, ma quando aveva ricevuto, ore prima, una telefonata da parte di Gwendolen Richards, la segretaria di una delle sue clienti più datate, per così dire, non aveva esitato a comunicarle quell’orario e a far arrivare Hilary Tachibana il più presto possibile.

 

“Ho ordinato thailandese, spero ti piaccia.” la rossa estrasse dei pacchettini da un sacchetto. “Il ristorante a due isolati da qui cucina del cibo davvero ottimo. Prego.” porgendole un pacchetto, che l’altra prese quasi meccanicamente, Gill prese a mangiare. “Ti ascolto.”

 

“Ho lo stomaco chiuso.” Hilary mise da parte il cibo. “Non faccio che pensare a lui, e alla litigata, a tutto quello che mi dicevano tutti, e… Tu non stai capendo nulla.”

 

“Non molto in effetti, no.” asciugandosi le mani su un tovagliolo, Gill si sistemò ben benino gli occhiali dalla spessa montatura.

 

“Sono andata a Mosca. E’ stato fantastico, mi sono innamorata di quella città, si è come… fatta perdonare.

 

“In che senso?”

 

Sospirando, Hilary cacciò fuori dalla tasca un ciondolo e prese a giocarci nervosamente, lanciandogli qualche occhiata di tanto in tanto. “Beh, quattordici anni fa la odiavo, custodiva dei ricordi orribili con Kai, Cindy e tutto il resto, ma ora… Ho ritrovato Takao, Karen, Mao… E anche lui.”

 

Gillian mangiucchiò un pezzetto di pollo. “Devo dedurre che l’hai ritrovato in un modo un po’ diverso da come hai ritrovato gli altri amici?”

 

Arrossì. “Alla fine siamo finiti a letto insieme. Vedessi, dicevo a Karen e Mao che si sbagliavano, che costruivano castelli in aria, che la vedevano rosa, invece…

 

“Invece avevano ragione?”

 

“Beh, a quanto pare sì.” arrossì, e, non riuscendo a sollevare lo sguardo, prese a mordersi le labbra, trovando, a quanto pareva, molto interessante quel misterioso ciondolo. “Dopo che abbiamo fatto l’amore è successo una cosa strana: nonostante tutto il tempo passato a ripetermi che era un errore, che ero una madre e che dovevo pensare alle gemelle e non a me, che non ero un ormone ambulante… Ho gettato queste cose nel cesso, automaticamente. Era come se Kai mi attirasse sempre di più. Avevo voglia di essere sua, sua soltanto, di fare l’amore tutto il giorno, sempre…” sospirò, ravviandosi i capelli. “Non mi capisco.”

 

“Cos’è successo?”

 

Nadja ha avuto una gara di beyblade, e l’ha vinta. Per tutto il giorno non ci siamo potuti vedere, tranne, poi, la sera successiva, quando abbiamo brindato, e stavamo per dedicarci un po’ a noi. Ma lui ha cominciato a dire che voleva una famiglia, che voleva tornare con me… E io mi spaventata a morte.”

 

Gillian si asciugò le labbra con tovagliolo, aggrottando la fronte. “Perché?”

 

“Perché non voglio ridiventare depressa!” sbottò. “E’ così difficile da capire?” gemette. “Non so se con lui sarei felice, ma so che stare con lui è difficile.”

 

“Hilary.” accavallando le gambe, la dottoressa sorrise brevemente, facendole cenno di fermarsi. “Tu non cadrai nuovamente in depressione.”

 

Sbattendo gli occhi, la bruna la fissò come se non le credesse. “Cosa?”

 

“Esatto. Hai seguito un percorso invidiabile in questi anni, e hai una vita serena. Io credo che il problema sia un altro. Ti ha detto dove andrete a vivere?”

 

“Ecco!” sobbalzò, come se si fosse ricordata di un particolare importante. “Ha parlato di trasferirmi, ma io… Perché diavolo dovrei trasferirmi? Sto bene a Londra, sto benissimo! Ho il mio lavoro, Max, Maryam…”

 

Inarcando un sopracciglio, l’altra notò qualcos’altro. “Saresti disposta a lasciarli?”

 

Ritrovandosi a boccheggiare, Hilary non seppe cosa dire. “Io non… No!”

 

“Forse il problema potrebbe essere anche questo, non credi?” concedendole un sorriso, Gillian scrollò le spalle. “Sei mia paziente da anni, so quanto tu sia legata ai coniugi Mizuhara e so quanto hanno fatto per te. Ma se tu dovessi tagliare il cordone ombelicale?

 

“Perché dovrei farlo?” ritrovandosi improvvisamente accaldata, prese di scatto un tovagliolo, con il quale si tamponò la fronte.

 

“Per un motivo qualsiasi. Valido, ovviamente.” precisò. “Il che non vuol dire non vedersi mai più. Significa… Diverso da ora.”

 

Hilary stette a pensare per un bel po’, e all’improvviso nella stanza tutto quello che si udì fu il ticchettio dell’orologio: le due donne si fissarono a lungo; la rossa, sicura di sé e sorridente, la bruna, timorosa e spaventata.

“Non lo so.” esalò infine.

 

“Credi che Kai sia una valida ragione per tutto questo?” incalzò. “Ricorda che il lavoro potrai ricominciarlo da un’altra parte. Ma ricorda, Hilary: non ha senso mentire a se stessi.

 

“Perché mentire?” ridacchiando e abbassando lo sguardo, lanciò il tovagliolo sul tavolo. “Non lo amo, punto.”

 

“Mi fai un favore? Ecco. Pensa a tutto quello che senti quando sei in sua compagnia. Emozioni, sensazioni, pensieri… Tutto. Poi mi rispondi. Abbiamo tutto il tempo. Chiudi anche gli occhi, se vuoi.”

 

La donna emise un lungo sospiro, dopodiché il ricordo di quegli occhi viola la strinse a sé con tanta forza da farla irrigidire.

 

Ricordò i suoi baci, il modo in cui le loro bocche si incastravano alla perfezione, la loro maniera appassionata di fare l’amore, nella quale i loro corpi parevano fondersi insieme, quasi fossero fatti apposta per combaciare… E i suoi sorrisi, i suoi bronci che lei trasformava in risate, il modo in cui la sua mano si stringeva alla sua, e anche come la faceva disperare… O anche quando faceva lo stronzo, il che era poi così sexy, perché se da un lato avrebbe voluto schiaffeggiarlo, dall’altro il desiderio di baciarlo era ancora più forte…

E poi abbassò lo sguardo al ciondolo di Rei e Mao e spalancò occhi e bocca, non sapendo se ridere o piangere.

 

La verità le piovve addosso come una cascata, facendola impallidire inevitabilmente: innamorata, lei era innamorata di Kai Hiwatari.

E qualunque cosa avesse fatto per fuggire sarebbe stata inutile, perché non vi era soluzione. Lo amava disperatamente, follemente e veramente, e la cosa stupida, ma davvero stupida sarebbe stata farsi frenare dalla razionalità e dalle paure.

 

“Oddio…” inghiottendo a vuoto, fu capace soltanto di portarsi una mano alla bocca, mentre con l’altra osservava meglio quella collana.

Furbi, quei due. Di certo sapevano con cosa darle le giuste imbeccate.

 

“Cos’è?” sporgendosi per vedere, Gillian ammirò la collanina e il ciondolo dello yin e dello yang.

 

“Me l’hanno regalato Mao e Rei. Non hanno detto, ma ora ho capito cosa volevano dire: secondo la tradizione cinese sono i due opposti per eccellenza, come fuoco e acqua, bene e male, ma l’uno non può esistere… senza l’altro.” concluse, con voce roca. “E’ così.”

 

Quindi sai cosa devi fare.” Hilary annuì.

 

 

 

 

Quando Rei andò a villa Hiwatari per vedere come procedeva la situazione, trovò una Nadja imbronciata che si preparava per andare agli allenamenti di beyblade, e Karen e Takao che si coccolavano a vicenda, acciambellati sul divano.

Kai era nel suo studio, tra scartoffie e documenti vari, a controllare le buste e i pagamenti della palestra.

 

“Doveri e oneri di un dirigente, eh?” appoggiato al muro, non aspettò nemmeno che l’amico lo invitasse ad entrare: ormai lo conosceva abbastanza per sapere che non l’avrebbe mai fatto. Kai Hiwatari non si formalizzava a tanto.

 

“Già.” rispose, laconico.

 

“Allora, zietto, come hai preso la notizia?”

 

Kai mise via un documento particolarmente sostanzioso e scrollò le spalle. “Una buona nuova fa piacere, di tanto in tanto.”

 

“Se lo vuoi sapere, a me fa senso pensare a Takao padre.” fece, ridacchiando. “Chiederò a Karen di filmarlo mentre cambia i pannolini.”

 

L’altro sorrise appena. “Se te lo stai chiedendo, sto bene.” inarcando le sopracciglia, lo guardò con aria di sfida. “Non mi impiccherò da nessuna parte.”

 

“Non che io lo temessi.” Rei scrollò le spalle. “La storia la so, non sono qui per fartela raccontare un’altra volta. Sono qui per dirti solo una cosa.” fece, alzandosi. “Tu le hai proposto di trasferirsi e lei si è arrabbiata.” Kai incrociò le braccia al petto. “E se fossi tu ad andare da lei?”

 

 

 

 

Maryam prese i piatti, stando bene attenta a posizionarli sulla tavola: l’ora di cena era arrivata e quella sera aveva ordinato la pizza, che stava aspettando solo di essere mangiata.

Daphne, da quando era tornata, non era felicissima, più che altro si era mostrata preoccupata e nervosa, ma lei e Max avevano assicurato alla ragazza che avrebbero parlato alla madre quanto prima. Capivano che era una situazione intricata che andava risolta.

 

“Passami il piatto.” fece, nella direzione del marito.

 

“Zia, ci penso io. Tu siediti.” Daphne squadrò il pancione al terzo trimestre abbondante di Maryam e si alzò, distribuendo velocemente i tranci di pizza. “Buon appetito.” quando si avvicinò alla sedia, il campanello venne suonato con energia. Tutti si guardarono, sorpresi. Hilary in genere smetteva di lavorare un’ora più tardi, quindi…

 

E invece era proprio lei, e pareva aver fatto spese, a giudicare dalla quantità di sacchetti che si era portata dietro.

“Ciao.” si fece strada verso la sala da pranzo, rivolgendo un sorriso a tutti; pareva nervosa, e anche leggermente sulle spine. “Oggi è stata una giornata particolare. Sono stata da Gillian.”

 

Sentendo nominare la sua analista, l’attenzione di tutti venne concentrata su di lei in toto. “Hai avuto dei problemi?” Hilary andava regolarmente da lei, ma era raro che ci andasse senza appuntamento, come quel giorno.

 

“Sì.” dichiarò, dopo qualche secondo di silenzio. “Con me stessa. E lei… E’ stata davvero grande, perché ha districato l’enorme massa dei miei pensieri.” fece, con un sospiro.

“Io… Io sono innamorata di Kai, e mi dispiace averci messo tanto a capirlo. O ad accettarlo, fate voi.” lo disse con un filo di voce, quasi timida.

 

“Finalmente!” trillò Daphne, raggiante.

 

Alleluja!” fece eco Max, alzando gli occhi al cielo mentre Maryam le sorrideva, complice.

 

“Mammina, siamo contenti?” chiedeva Daisy, mangiucchiando la pizza e sporcandosi il faccino.

 

“Sì, amore, tantissimo.” la donna rinunciò a  pulirle il visetto, pensando che se lo sarebbe sporcato nuovamente due secondi dopo.

 

“E ora?” Daphne andò dalla madre, stampandole due sonori baci sulla guancia.

 

“Oh, per schiarirmi le idee ho fatto shopping…” ridacchiò, nervosa. “Sapete, in Russia fa freddo…” Max e Daphne batterono le mani, e a loro si unì la piccola Daisy, anche se non capiva il perché. “Ho paura…”

 

“L’amore fa paura.” Maryam la fissò negli occhi. “Ma capisci che ne vale la pena quando trovi certi abbracci.” allo sguardo interrogativo della donna, lei sorrise, sibillina. “Perché ci sono braccia che son più casa di casa mia.

 

Hilary la fissò per qualche istante, confusa, poi decise di lasciar perdere. “Sentite, ho bisogno dell’aiuto di tutti quanti, perciò organizziamoci. Ho un piano, e per metterlo in atto ho fatto una telefonata. Daphne? Prepara la valigia: si parte tra qualche ora. Max? Mi accompagni all’aeroporto?”

 

Lui sorrise. “A tua disposizione.”

 

 

 

 

Nadja si svegliò presto l’indomani, e non fu sorpresa di trovare suo padre con tanto di valigia in mano; lei, del resto, era già vestita di tutto punto, ma fu divertente quando, alla vista del suo trolley, vide lui inarcare le sopracciglia.

 

“Dove pensi di andare?”

 

“Tipo nella tua stessa direzione… Mi dai un passaggio?” lo disse senz’ombra di sfida, fu una frase buttata lì, per caso, ma carica di significato.

Si fronteggiarono per un po’, poi l’uomo cedette, perché si incamminò verso la porta, lasciandogliela aperta.

 

Per quelle occasioni, tipo andare ad un party esclusivo, o pigliare l’aereo, prendevano sempre la limousine. Dava nell’occhio, ma era necessaria, se non volevano lasciare la Jaguar incustodita.

 

 

Il viaggio durò meno di un’ora, un’ora che la ragazza trascorse guardando fuori dal finestrino e pensando a tutto; la sua vita soleva essere semplice, liscia, lineare. Invece era bastato un viaggio a Parigi per scombinargliela completamente.

Daphne era entrata nella sua esistenza come un tornado, avevano scoperto di essere gemelle, e da lì avevano architettato quel piano pazzo per conoscere i rispettivi genitori. E poi… dalla conoscenza al farli tornare insieme?

 

Oddio, ma come ci siamo arrivate?

 

Quasi sorridendo, pensò a tutte le avventure affrontate, tutte le risate, le chiacchiere, tutte le volte in cui con Daphne si erano chiuse nella loro stanza ad architettare i loro piani…

 

E ora… Siamo qui.

 

Si sorprese di notare quanto fosse nervosa, quanto fosse anche cambiata rispetto a settimane prima. Era un po’ più spigliata, più vivace, si era… Tachibanizzata, ecco.

Con sorpresa, si rese conto che Daphne e sua madre le mancavano tantissimo, e che non vedeva l’ora di riabbracciarle.

 

Spero solo vada tutto bene.

 

La limousine si fermò proprio sulla pista, di fronte ai jet privati in partenza e in arrivo, e loro due scesero subito dopo.

Una hostess trafelata arrivò immediatamente, accogliendoli. “Signor Hiwatari, salve. Il suo jet atterrerà tra cinque minuti, la preghiamo di attendere da questa distanza.

 

Kai la guadò come fosse pazza. “Il mio jet doveva partire, non arrivare.” sibilò.

 

Quella sbatté gli occhi. “C-Così mi è stato riferito dalla torre di controllo.” balbettò.

 

“Papà, rilassati.” Nadja decise di intervenire per non far rischiare ad una povera hostess innocente il licenziamento. “E aspettiamo.”

 

Quello la squadrò attentamente. “C’entri qualcosa?”

 

“Potrei.” fece, imitando il tono laconico di marca Hiwatari. “E ora, se non ti dispiace, dovremmo attendere un volo.”

 

Nadezda, che diamine-”

 

Ben sapendo che quando la chiamava con il suo nome intero le cose erano gravi, la ragazza decise di intervenire con un sorriso. “Guarda, quello è l’aereo.” scrollò le spalle, indicando un punto, in alto. “Non ci resta che attendere qualche secondo.”

 

Kai seguì il tragittò del jet con il cuore in gola, pur stando attento a mantenere l’aria distaccata che si riservava sempre di mostrare all’esterno.

 

Quando, minuti più tardi, da lì scese una Daphne che cacciò un urlo di gioia e corse ad abbracciare la gemella, facendola girare… Restò paralizzato, si sentiva come ingessato, inamidato, assolutamente bloccato e sconvolto.

 

“Senza parole, Hiwatari?” Hilary scese le scale con una lentezza che pareva misurata. Indossava un cappotto di pelliccia color panna, e trascinava con sé una sostanziosa valigia.

 

Le gemelle ridacchiarono. “E’ diventato di sale.”

 

“Voi state zitte, malefiche!” la donna fece finta di prendersela con loro, arricciando il naso. “Ne avete combinate abbastanza.”

 

Ma per prenotare jet privati in modo da essere qui in meno tempo ti serviamo, eh?” Nadja incrociò le braccia al petto, facendola ridere.

 

“Dai, andiamo, lasciamoli ai loro affari.” fece Daphne. “Chissà se i negozi degli aeroporti sono davvero più cari come si dice…

 

Uscite dalla visuale, Hilary si avvicinò a Kai, sorridendogli. “Battuto sul tempo.” si morse le labbra. “Okay, per una volta.” vedendo che non rispondeva, lo fissò dritto negli occhi. “Ti ho sorpreso?”

 

“Lo fai sempre.” il tono di lui era neutro, l’espressione indecifrabile.

 

“E non sempre positivamente, lo so.” annuendo, la donna sbuffò. “Abbiamo avuto una storia… complicata. E siamo… complicati.” dicendo nuovamente la parola, ridacchiò. “Ma sai cosa? Forse queste ore lontane da te sono state un bene. Ho capito tante cose.”

 

“Tipo?”

 

“Avevo paura di cadere nuovamente in depressione, e quando mi han confermato che non è possibile, beh, wow, è stato una preoccupazione meno.” notando che l’espressione tesa di lui si scioglieva man mano, lei continuò, un po’ più sicura.

“E poi mi hanno fatto capire che avevo uno spasmodico senso di attaccamento a Max e Maryam… Non sai quanto hanno fatto per me, e sarà difficile star lontana da loro, ma… E’ giusto tagliare il cordone ombelicale.”

 

“E il tuo lavoro?”

 

 “Una scusa.” ammise, e le guancie le presero fuoco. “Posso fare l’avvocato dovunque e… Beh, all’inizio mi preoccupavo anche per Daphne, ma lei sarebbe contenta se si potesse fare e…

 

“Si potesse fare cosa?” con un sorrisetto particolarmente irritante, Kai incalzò nel punto dolente con tenacia e astuzia.

 

Le guancie di Hilary divennero color mattone. “Guarda, un tempo ti avrei ricoperto di insulti per questo.” decise di prenderla con ironia, ridacchiando. “Ma ti conosco, e so che a modo tuo mi stai facendo pagare tutto quello che hai dovuto passare. Quindi okay, ci sto.” si schiarì la voce, mordicchiandosi le labbra.

“Apri bene le orecchie, Hiwatari: io ti amo.” scandì, mordendosi le labbra. “Beh, se la proposta è ancora valida, per me va bene. Che tu decida di andare a vivere qui, a Tokyo, a Londra, in Papuasia, non mi importa. Ci sei tu? Ci sono le mie bambine? Beh, allora va bene.”

Kai ridacchiò, distogliendo lo sguardo, e lasciando la donna inebetita che, dapprima lo fissò, incredula, poi gli schiaffeggiò la spalla.

“Cioè, io mi dichiaro e tu mi ridi sopra? Ma che stronzo!”

 

Stava per mettere le braccia conserte, offesa, ma una sua mano venne fermata da quella di lui, che le bloccò il polso. I suoi occhi vennero attirati da due pozze color ametista, e quando incontrò un sorriso dolce come il miele, il suo cuore rischiò di sciogliersi come burro.

“Ti amo.” le sussurrò. “Casa è dove ci sei tu, non importa il luogo.”

 

Quando le sue labbra trovarono quelle di lei, Hilary capì cosa aveva voluto dire.

 

In quegli anni si erano separati, avevano visto altre persone, le avevano frequentate, ma nessuna mai avrebbe potuto prendere il posto l’uno dell’altra.

 

Si appartenevano, erano l’una il pezzo mancante del puzzle dell’altro, e potevano negarlo, ma non per questo la realtà sarebbe cambiata.

 

In quattordici anni erano maturati, forse un po’ cambiati, e per due gemelle dispettose si erano ritrovati lì, a Mosca, quella città che aveva avuto l’ardire di farli dividere e che adesso si stava facendo decisamente perdonare.

E, in quell’istante, mentre suggellavano con un bacio la tacita promessa di non dividersi mai più e di realizzare la famiglia che tanto volevano, Hilary capì perché, stretta in quell’abbraccio, labbra contro labbra, quello era il posto che poteva dichiarare casa.

 

Perché ci sono braccia che sono più casa di casa mia.

Era vero.

 

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

Ooooh. *.*

 

Ed eccoci qui, dopo ben quindici settimane, a mettere la parola fine a questa storia che, per me, è stata molto importante. Che dire? Spero davvero non vi abbia deluso: ci sono state alcune recensioni che minacciavano Hilary di morte semmai si fosse recata lei da lui ma, vedete… Ci ho riflettuto e riflettuto, e qui davanti avete quella che Kai lo tratta peggio di tutti, in qualità di autrice (xD) però… Oh, andiamo: si sono incontrati a metà strada! *ç* Lui stava per andare da lei, mollando tutto! Solo che, ho pensato: con tutti i casini che hanno, forse verrebbe male a lui lasciare la scuola di bey, mentre Hila ha un lavoro autonomo… Mmm… Quindi è solo per questo motivo che ho fatto spostare lei e non il contrario, altrimenti l’Hiwatari chiappesode avrebbe mosso il culone, parola mia. u___u

 

Comunque, spero davvero che come conclusione vi sia piaciuta e… Beh, che altro dire? Vi auguro una buona pasqua (e la auguro pure a me, visto che prevedo già come andrà a finire…   .-.) e delle belle vacanze.

 

Non disperategioite troppo, e vi consiglio di segnare il primo Maggio sul calendario…

 

Perché?

 

 

Ma perché è festa, ovvio. ;D    (come no)

 

 

Un bacione, vi adoro tutti,

 

Hiromi

   
 
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