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Autore: Elkade    19/04/2011    1 recensioni
"Da due anni continuava così, due anni di inutili spargimenti di sangue, di fame, di incubi. Due anni di guerra."
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aizel abbassò gli occhi sul fuoco del camino, assonnata ed immersa nel calore delle fiamme che scoppiettavano placide. Minuscole scintille si rincorrevano, simili a stelle d’oro che morivano inghiottite dalle tenebre. Tutto era avvolto da una tetra luce giallastra che fendeva a stento il buio della cucina, il freddo s’insinuava nella stanza dalla finestra semichiusa, il vento gelido che ululava tra i battenti, lugubre e malinconico. Si strinse di più nel lungo mantello di lana, coprendo meglio il fagottino che teneva tra le braccia. Le accarezzò una guancia ed avvertì il lieve tepore della sua pelle sulle dita. Era pallida, bianca come neve, e piccola. Capelli candidi le ricadevano sulla fronte e le orecchie a punta ed incorniciavano i grandi occhi chiusi, le ciglia tremolanti davano l’impressione che stesse sognando. Era incredibile la sua somiglianza con lui: in lei vedeva il suo riflesso, più cresceva e più diventavano simili. Il suo ricordo era ancora vivido e presente, un fantasma del passato che ancora non accennava a scomparire, a trovare pace. Riaffiorava amaro come bile ad ogni sguardo.

Le soffiò un bacio leggero e si alzò, cercando di non svegliarla con scossoni o sussulti. Scivolò verso la finestra e chiuse i battenti, poi afferrò la coperta che aveva appoggiato sullo schienale della sedia per avvolgere la bambina. Un rumore lieve di passi la riscosse, ed intravide una figura maschile sotto lo stipite della porta. Si irrigidì, trattenne il respiro per un istante, raggelata. Ancora, dopo tanto tempo, la sua mente continuava ad evocare in altri ciò che aveva perso, a trasformare la mancanza in una presenza inquietante. Quando finalmente l’intruso fu entrato, tirò un sospiro di sollievo nel riconoscerlo. Spesso, quando era sola e sveglia nel cuore della notte, lui la raggiungeva per sfruttare ogni istante con lei. «Aizel…» Voltò di nuovo il capo per ignorarlo e spostò l’attenzione sulla piccola che continuava a dormire tranquilla. Lo sentì avvicinarsi, poi avvertì la sua mano sulla spalla. A volte si era illusa che quel tocco fosse di un altro, più noto e familiare, ed era stata tentata di abbandonarsi completamente a quel contatto, lasciarsi abbracciare, stringere forte. Lo aveva desiderato, lo aveva voluto, ma aveva capito che era solo un modo per illudersi che fosse un’altra vita, che nulla fosse successo. Si impose freddezza, e restò muta, come se fosse sola nella stanza. «Perché mi eviti?» Protestò lui. «Serdar…» Sospirò lei, le pupille piantate come spilli nel buio denso del corridoio. Si accorse che ora era più vicino, e si scansò senza nemmeno pensarci. La chiamava di nuovo, la voce rauca che pareva chiedere compassione. Si chiese per cosa dovesse mostrargli pietà. «Non posso sopportare un’altra notte a sentirti piangere». La sua espressione mutò in puro disprezzo a quell’affermazione: non era lui che soffriva, non era lui ad aver perso il proprio mondo in una notte soltanto, la propria ragione di vita. Non era lui ad avere ogni ragione per disperarsi quando gli affanni consolatori del giorno lasciavano il passo alla solitudine opprimente della notte. Non soffocava sotto il peso dell’angoscia di anni.
Non osò replicare, si limitò a fingere di essere sola, di nuovo. Strinse al petto la piccola e con il passo di un gatto raggiunse le scale.

   
 
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