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Autore: Mizar19    20/04/2011    6 recensioni
Seconda classificata al "Ladies' contest"
Vera Baudino è fidanzata da ormai tre anni con la crucca Amaryllis Keller, con la quale divide anche un appartamento a Berlino.
Quando Vera insinua l'ipotesi del matrimonio subito scatta un problema: la famiglia torinese dell'italiana, all'oscuro della loro relazione. Così inizia il soggiorno delle due nella città natale di Vera, Torino, dove Amaryllis avrà l'occasione di confrontarsi con un eterogeneo gruppo di strambi personaggi, dalla nonna hippie alla zia meridionale senza peli sulla lingua, dallo zio poeta (fallito) al cugino psicologo, per non parlare dell'austero signor Baudino e del suo avvinazzato fratello!
Insomma, Amaryllis dovrà sfoderare tutte le sue armi per sopravvivere a quel branco di Italiani scatenati!
[...] - Ma’, pensavo di portare Amaryllis a fare un giro per Torino dopo pranzo: è la vigilia, sarà pieno di luci e colori! Per non parlare della folla. Voglio farle respirare la nostra aria natalizia – la madre annuì approvando la scelta della figlia e osservandola con espressione fiera – Mi passi l’insalata? Grazie. Ah, fra l’altro, pensavo che sarebbe stato carino dirvi che sono omosessuale. Ma le lasagne erano davvero squisite... – [...]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vicenda semiseria di Vera e Amaryllis'
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Bene, la storia è conclusa! Spero vi sia piaciuta questa commedia romantica senza pretese, se non quella di divertirvi un po' offrendovi una panoramica su una tipica e al contempo stravagante famiglia piemontese. 

Ringrazio tutti i lettori, sia quelli anonimi, sia chi ha inserito la storia tra le preferite o le seguite, e i recensitori!

***

PARTE 2

 

La notte di Natale l’avevano trascorso sotto al piumone, le gambe intrecciate, la schiena di Vera contro il ventre di Amaryllis, le loro mani aggrovigliate. Durante la cena della Vigilia, i signori Baudino si erano comportati con naturalezza, come se nulla fosse successo, nonostante Vera intuisse una certa rigidità nei movimenti del padre. Come quando si fece scivolare di mano l’aceto invocando una lunga serie di santi e beati che turbò ulteriormente la ormai fragile psiche di Amaryllis.

La mattina del venticinque si era risolta in uno strappare vivace di pacchetti, scambiandosi gli auguri in modo pacifico e nel pieno spirito natalizio. Vera aveva ricevuto dai suoi genitori una borsa di stoffa rossa e gialla e un elegante orologio, dai suoi fratelli una nuova tavolozza per i suoi colori. I signori Baudino avevano persino comprato qualcosa per Amaryllis: nell’indecisione, dato che volevano farle una sorpresa, si erano affidati puramente al loro intuito e si erano recati alla Feltrinelli dove avevano acquistato un libro di fiabe e favole tradizionali italiane.

- Grazie tanto – aveva balbettato Amaryllis, arrossendo. Lei gli aveva portato solamente del cibo, in particolare wurstel: Vera le aveva confidato che i suoi ne andavano matti, così ne aveva comprati di diversi tipi.

Gabriele aveva trascorso la mattina attaccato alla sua play station a provare il nuovo videogioco ricevuto, mentre Sara si pavoneggiava con un’elegante collana.

Si erano dunque vestiti e agghindati per il tradizionale pranzo in famiglia, che si svolgeva ritualmente a casa dello zio Piero, fratello del padre di Vera.

Vera aveva indossato un semplice paio di jeans chiari, una cintura di cuoio a stringerli in vita, e un maglioncino prugna; i capelli sciolti sulle spalle, sistemati senza particolare cura. Mentre Vera seduta sul cassettone si specchiava nell’ovale riflettente sovrastante, Amaryllis si allacciava le polacchine blu scuro. A lavoro terminato, si era alzata in piedi ed era strisciata alle spalle della compagna, per poi afferrarla bruscamente, ridendo, e scaraventarla sul letto. Vera era scoppiata a ridere, ma il riso si era trasformato in gemito quando Amaryllis si era distesa sopra di lei e le aveva baciato con trasporto le labbra, per poi affondare un altro intenso bacio sotto il suo ombelico.

- Mya, datti un contegno – le aveva poi bisbigliato, sistemandole la morbida maglietta color vinaccia, stropicciatasi all’altezza dei fianchi.

Si erano dunque divisi in due macchine, perché l’utilitaria del signor Baudino non avrebbe potuto contenere sei persone. Vera si era messa quindi al volante dell’altra automobile, una Panda bordeaux degli anni novanta, seguita da Amaryllis e da una riottosa Sara.

La casa dello zio Piero era poco fuori Torino, a Moncalieri: una piccola villetta con un modesto giardino, ma abbastanza grande per ospitare la famiglia al completo il giorno di Natale. Dato che sua moglie Renata era figlia unica, erano soliti invitare anche i fratelli della signora Baudino per vivacizzare l’atmosfera.

- Quanta gente ci sarà? – domandò Amaryllis, già nervosa.

- Prendi fiato un attimo! Ci saranno solamente il fratello di mio padre, con mia zia e i loro tre figli, poi i miei nonni paterni, la sorella di mia madre, una zitella acida che non te ne fai un’idea, il fratello di mia madre, sua moglie e i loro due figli. E la nonna materna, si capisce – elencò Vera sorridendo.

- Potreste degnarvi di includermi nella conversazione? – s’intromise Sara dal sedile posteriore, sbuffando come un mantice.

- Scusa Sà, le stavo solo dicendo chi verrà al pranzo. Non ho voglia di fare la traduttrice tutto il tempo, se parlo inglese capisci? – domandò alla sorella, che rispose affermativamente.

 - So, are you still nervous?[1] – domandò Vera, posando una mano sulla gamba di Amaryllis.

- Now, I feel worst than before! Why didn’t you tell me that there’s going to be all those people?[2]si indignò Amaryllis, incrociando le braccia.

- Oh, come on! I’ve just forgotten it: trust me, I didn’t mean to lie, especially to you…[3] - disse Vera, mentre il suo tono di voce si modulava su toni differenti man mano che procedeva nella frase, terminando con uno stucchevole miagolio.

- Shut up[4] – sussurrò Amaryllis, posandole un bacio su una guancia, incurante o forse addirittura dimentica della presenza di Sara.

Quando riuscirono a raggiungere la porta d’ingresso, lo zio si presentò sulla soglia con un gran sorriso allegro e le guance arrossate. Probabilmente aveva già buttato giù un paio di bicchieri.

Piero Baudino aveva quattro anni in meno del padre di Vera e molti capelli in più. Indossava un paio di pantaloni di velluto a coste color panna e un una camicia azzurra.

- Ben arrivati! Buon Natale! – esclamò sorridendo e ammiccando in direzione della signora Baudino. Sì, aveva decisamente bevuto.

- Prego, prego, entrate. Mia moglie è in cucina e i nonni sono di là con lei – spiegò Piero Baudino, aiutandoli con i giubbotti e portandoli nella stanza da letto, dove li accatastò sul letto matrimoniale.

- Giampaolo, Mariangela! – esclamò Renata Delle Noci andando salutarli con pacata cortesia e un sorriso di plastica.

Amaryllis si avvicinò automaticamente a Vera, stringendole un braccio con tanta forza da farla sobbalzare.

- Ah, vedo che hai compagnia! Non ci presenti la tua amica? – domandò cordiale la zia e Vera annuì, voltandosi a guardare la compagna, il cui volto era più rosso dei capelli.

- Certo, lei è Amaryllis, ma potete chiamarla Mya. Mya, sie ist tante Renata und er ist onkle Piero[5] - spiegò Vera e i suoi zii strinsero la mano a quella ragazza, che gli avevano anticipato essere la coinquilina tedesca della nipote.

- Giò, venite giù! – urlò la zia Renata, rivolta verso il piano superiore, mentre Vera, Sara e Gabriele andavano ad abbracciare i nonni paterni, Luciano Baudino e Teresa Casetta.

- Le mie bele matotine[6]! – esclamò la nonna, abbracciandoli tutti e tre contemporaneamente, cosa che le risultò abbastanza ostica. Ma nulla può frapporsi fra una nonna iperprotettiva e i suoi adorati nipotini.

Vera provvide a presentare Amaryllis anche ai suoi nonni, che la salutarono con una morbida stretta di mano e un buffetto sulla guancia.

Finalmente si affacciarono nella sala da pranzo i tre figli di Piero e Renata.

- Lui è Giovanni – Vera indicò ad Amaryllis un ragazzo sulla ventina con corti capelli scuri e un paio di occhiali senza montatura – Lei è Cecilia – procedette la ragazza, indicando una diciassettenne dai lunghi capelli castano chiaro, che scivolano con eleganza sulla maglietta nera – E lei è Elisa – una bionda bimbetta sorrise, agitando una mano in segno di saluto.

- Ragazzi, lei è la mia coinquilina tedesca, Amaryllis – ricambiò le presentazioni, poi salutò i cugini con un abbraccio.

La stanza pareva essersi improvvisamente ristretta a causa del numero di persone che la occupava dunque Piero Baudino si premurò di far accomodare a tavola i presenti, nonostante il pranzo non potesse essere ancora servito a causa della mancanza dei parenti di Mariangela Rosso.

- Dovrebbero arrivare a momenti – disse la signora Baudino, osservando l’orologio con aria di scusa.

- Tranquilla, non abbiamo fretta – sorrise leziosa Renata, nonostante i suoi occhi dicessero esattamente il contrario.

Vera si sedette fra Giovanni ed Amaryllis, la quale si trovava di fronte a Sara, che stava già puntando uno sguardo ostile contro la cugina Cecilia a capotavola. Non si erano mai sopportate: fin da piccole avevano sempre mostrato un’indole differente, addirittura opposta, entrambe dal carattere forte e dominante, tendevano a imporsi senza successo l’una sull’altra, finché desistettero e iniziarono ad odiarsi in maniera più subdola e meno violenta.

- Hai intenzione di dirlo anche a loro? – domandò Amaryllis a Vera, sottovoce. Nonostante non stesse parlando italiano, il terrore che potessero capire il tedesco non la abbandonava.

- Sì, certo. Voglio essere onesta, solo così mi sentirò meglio –

- Se tutto ciò ti renderà felice, allora ben venga: sono disposta a sopportare per amor tuo, Vera –

La ragazza italiana le sorrise con dolcezza, posandole la testa su una spalla e una mano sulla coscia.

Il signor Baudino si schiarì la gola con eloquenza, per poi portarsi alle labbra un bicchiere colmo d’acqua frizzante. Dopo la rivelazione della figlia si era sentito prima arrabbiato, poi in colpa, infine sbalordito. Non riusciva a capacitarsi che la sua piccolina si accoppiasse con quella pertica crucca! Era assurdo! La signora Baudino, invece, era rimasta inerme dopo l’iniziale sconforto: il vino non l’aveva aiutata, anzi, aveva alimentato le sue fantasie sul rapporto di sua figlia e quella sconosciuta. Con quale diritto aveva messo le mani addosso (e dentro) la sua bambina? Solo a pensarci le si chiudeva lo stomaco. Eppure Vera sembrava felice.

Sara e Cecilia si fissavano in cagnesco, la prima disgustata dal collare di borchie dell’altra, la seconda stomacata dalla striminzita maglietta magenta di marca di sua cugina, come tutto ciò che la secondogenita Baudino possedeva. Ma Sara non pensava solamente a quella sciattona metallara di Cecilia: la maggior parte dei suoi pensieri andava alla sorella. Sperava che avesse il buongusto di chiudere la bocca e tenersi per sé il fatto che si scopasse una donna da tre anni circa. Cosa ne sarebbe stato della sua reputazione nel branco? Loro non tolleravano i finocchi: aveva impresso a fuoco nella mente il modo in cui trattavano Mirko ogni volta che lo incrociavano a scuola. Non voleva essere emarginata per colpa della sorella.

Gabriele, dal canto suo, fingeva di ascoltare la piccola Elisa, molto impegnata ad illustrargli le qualità del suo ultimo saggio di danza, mentre tutta la sua attenzione convergeva sulla ragazza di sua sorella. Non aveva propriamente afferrato la situazione, era ancora stordito e incantato dall’alta figura di Amaryllis, dai suoi occhi azzurri, gli zigomi alti e quel naso importante, stonato nel bel viso. Si era decisamente preso una cotta mostruosa per quella ragazza. Non avrebbe potuto spiegare in altro modo quel fastidioso alzabandiera ogniqualvolta lei sostasse nel raggio di due metri quadrati.

- Posso dirti una cosa? – mormorò Vera con voce maliziosa, sportasi sulla sua ragazza, il naso premuto contro il suo orecchio.

- Penso di non volerla sapere – si lamentò Amaryllis laconica.

- Mm, io penso di sì! Ho voglia di baciarti... – sussurrò Vera, strusciandosi in modo molto discreto contro il fianco dell’altra.

- Ah, bene – sospirò l’altra, che, conoscendola, si era aspettata ben altro.

- ... fra le gambe – completò Vera, causando nella compagna un isterico attacco di tosse secca. Gli sguardi degli adulti conversero su di loro all’unisono e si ritrovarono ad osservare Vera ridere di gusto e Amaryllis percuotersi il petto per placare gli spasmi.

- Enschuldigung -  borbottò Amaryllis arrossendo e allungando una mano tremante verso la bottiglia dell’acqua.

- Cara, tranquilla. Parli italiano? – le domandò la zia Renata, porgendole ciò di cui aveva bisogno.

- Ja... sì, un poco – balbettò Amaryllis riempiendosi il bicchiere.

- E’ timida, ne? – domandò lo zio Piero a Vera, che annuì sorridendo teneramente.

- Di solito no, ma questa è un’occasione particolare. Normalmente lei è solare, parla molto, a volte troppo, estroversa, le piace controllare la situazione... – elencò la ragazza, lo sguardo trasognato.

Sara borbottò qualcosa che sfuggì a Vera, ma non ad Amaryllis. Quattro parole talmente semplici che persino lei era riuscita a cogliere e capire: lei è l’uomo.

- Was sagt meine Schwester?[7] – domandò Vera, aggrottando le sopracciglia.

- Ich bin der Mensch[8] – ironizzò Amaryllis con tono pomposo, suscitando una genuina risata nella compagna.

- Amaryllis, cosa studi? – le domandò Giovanni. Evidentemente Gabriele non era l’unico ad avere ceduto al fascino nordico della rossa.

- Biotecnologie. Rispondo io perché lei non saprebbe ripeterlo – spiegò Vera affabilmente e la ragazza al suo fianco confermò annuendo.

- Mi piace... è interessante, io lavoro in uno laboratorio – balbettò Amaryllis, giocherellando con l’angolo del tovagliolo piegato cura accanto al suo piatto.

- Biotecnologie sarebbe stata la mia seconda scelta. Comunque io frequento da qualche mese la facoltà di farmacia – spiegò Giovanni, annuendo con serietà.

- Oh sì, Giò sta andando benissimo! Ha superato poco fa il primo esame di chimica con trenta! – trillò la zia Renata, orgogliosa del suo pargolo.

- Io sto lavorando ad un importante progetto: una serie di illustrazioni per un libro di favole tedesche. Mi pagheranno bene –

Anche Mariangela Rosso sorrise, fiera della propria primogenita. Forse non le importava poi molto dove mettesse le mani, era pur sempre il suo angioletto vincitore.

Il suono del campanello vibrò con forza attraverso la stanza, facendo sobbalzare i presenti.

- Eccoli, finalmente – disse sollevata la signora Baudino, alzandosi in piedi.

- Liebe[9], sono arrivati i miei parenti materni – spiegò Vera ad Amaryllis, prendendole una mano.

- Ciò significa che fra poco dirai a tutti di noi due? – inquisì la crucca improvvisamente affannata.

Il signor Baudino probabilmente intuì qualcosa dal tono di voce o dai gesti delle due e si alzò, facendo segno alla figlia di seguirlo un momento nell’altra stanza. Amaryllis lasciò a malincuore la mano della compagna e la osservò sparire nell’ingresso.

Il signor Baudino condusse la figlia fin nella camera matrimoniale di Piero e Renata, arredata con mobilio antico e prezioso.

- Cos’avete intenzione di fare? – domandò Giampaolo Baudino, le cui guance erano già rubizze.

- In gergo si dice “uscire dallo stanzino” – Vera mimò le virgolette flettendo l’indice e il medio di ambedue le mani.

- E in italiano corrente? – ringhiò l’uomo strattonandosi il colletto della camicia, troppo aderente al collo sudato.

- Intendo dire alla mia famiglia che sono omosessuale e che Amaryllis è la mia fidanzata. Ci sposeremo, papà –

Il signor Baudino rimase immobile, sconcertato, osservando con occhi vacui la tappezzeria barocca alle spalle di Vera.

- Vi sposerete? Dove? Quando?! – s’agitò poi repentinamente, afferrandola per le spalle e scuotendola.

- Papà, calmati! Ci sposeremo il prossimo inverno, a Berlino. La madre di Amaryllis è un pastore: si farà conferire l’autorità dal Comune per sposarci – spiegò Vera.

- Ah. E... ehm... noi siamo invitati? – balbettò il signor Baudino, imbarazzato. Nonostante tutta questa faccenda fosse piuttosto eccentrica per i suoi gusti e le sue abitudini grigie e monotone, desiderava la felicità della figlia.

- Certamente! – sorrise Vera che si sentiva davvero entusiasta di fronte alla reazione del padre, tanto da abbracciarlo. Lui ricambiò la stretta con una certa esitazione.

- Come sono i genitori della tua... ehm... fidanzata? – domandò il signor Baudino, ancora imbarazzato ma contento di aver appianato la situazione. Lui adorava la sua primogenita, stravedeva per lei e lei, in cambio, l’aveva sempre reso tanto orgoglioso.

- Sua madre, come ti dicevo, è un pastore in un piccolo paesino non molto lontano da Berlino. E’ una donna di mezza età molto piacevole e molto colta – spiegò Vera mentre tornavano nella sala da pranzo.

- E suo padre? –

- Oh, suo padre è morto quando lei aveva sette anni: aveva un negozio di articoli sportivi, sono entrati dei ladruncoli e gli hanno sparato per portarsi via quei quattro marchi che aveva in cassa. È stata una vicenda molto triste... –

- Mi dispiace molto per il signor... Vera, come si chiama di cognome? – domandò il padre, all’improvviso perplesso. Si era reso conto che c’erano davvero molte cose che ignorava della vita di sua figlia e se ne rammaricava.

- Keller, Amaryllis Keller. Suo padre era Konstantin Keller, la madre invece si chiama Hedwig Schindler – aggiunse Vera.

- Ah... come “Schindler’s list” – fu tutto ciò che riuscì a dire suo padre, ancora un po’ scosso.

L’altra stanza si era affollata ulteriormente: una donna alta e allampanata con lisci capelli scuri, che le ricadevano sulle spalle in modo ordinato, teneva a braccetto un’anziana signora vestita in modo elegante ma semplice, accanto a loro un uomo di mezza età dalle folte sopracciglia ma privo di capelli teneva un braccio attorno alle spalle di quella che doveva essere sua moglie, una rotonda signora dai lunghi e folti capelli neri e la pelle abbronzata. Seduti a tavola, due ragazzi sulla ventina erano già impegnati a discorrere con Giovanni, Cecilia e Sara.

- Vera, tesoro! – esclamò la donna, sottraendosi alle attenzioni del marito per stringere la nipote.

- Ciao zia – ricambiò lei felice.

Vita Spadaro aveva sposato Giuseppe, il fratello minore di sua madre: si erano conosciuti molto tempo addietro, durante una vacanza di Giuseppe Rosso a Palermo. Lì Vita lavorava in una gelateria per arrotondare. Aveva cominciato ad andarla a trovare almeno due volte al giorno per sette giorni prima di riuscire a trovare il coraggio di chiederle un appuntamento.

Maria Vittoria e Vincenzo erano nati non molti anni dopo: dal padre avevano ereditato gli occhi azzurri, mentre dalla madre i folti e spessi capelli neri.

- Mari, Vincè, guardate chi c’è! – esclamò gioviale la zia Vita mentre i due ragazzi si alzavano per salutarla: non si vedevano da almeno sei mesi.

- Ciao Vera, come stai? –

- Mm, non c’è male. Avete già conosciuto Amaryllis? –

- A picciotta con i capiddi rossi? Sì, ci ‘risse ca è tua amica[10] – rise Vita, indicando l’imbarazzatissima Amaryllis.

- Vedo che hai conosciuto gli altri miei parenti – rise Vera affiancando Amaryllis.

- Sì, sono un po’... ehm... molto cordiali. E affettuosi. Tua zia mi ha... toccata – mormorò la crucca, stupita e un po’ preoccupata per tutte quelle attenzioni.

- Tranquilla, è normale! Lo fanno sempre – le spiegò Vera, carezzandole un braccio – E mia zia Marisa e la nonna? Le hai conosciute? –

- Veramente no... –

- U parri buono u tedescu, Vera, brava! ‘Chi significa chiddu ca vi ricistivu[11]? –

- Che devo presentarle zia Marisa e la nonna! Vieni, Mya – la primogenita Baudino afferrò il polso della compagna e la trascinò accanto al divano, dove Marisa La Morte Rosso e Catterina Grimaldi attendevano silenziose: la prima con il solito sguardo funereo e tetro, la seconda con un gioviale sorriso tipico delle nonne che comprano il preparato per budini in attesa che i nipoti vadano a far loro visita.

- Zia, nonna, lei è la mia amica Amaryllis, la ragazza con cui vivo a Berlino. Mya, loro sono zia Marisa e nonna Catterina –

- Oh, ma che bela matota! Com’ha ti dis che s’ciama[12]? – domandò la nonna, che era un po’ sorda.

- Tranquilla, nonna, puoi chiamarla Mya! –

- Ah, Mya. Oh, che bel nome! E chila capis l’italiano[13]? –

Nonna Catterina stringeva gli occhi scuri dietro alle spesse lenti, appoggiate su un piccolo naso all’insù. I capelli bianchi erano tagliati corti e pettinati all’indietro con cura.

- Sì, nonna, l’italiano, non il piemontese... ma non troppo – precisò Vera, baciando la nonna su una guancia.

- Mya, dimmi – la nonna si sforzò di non utilizzare il dialetto, cosa a cui era abituata – Tu ami mia nipote, vero? –

Nella sala da pranzo scese per un attimo il silenzio: Amaryllis avvampò, gli occhi di Vera si dilatarono a dismisura, zia Marisa (anche detta La Morte per quella sua attitudine a parere perennemente a lutto) ammonì la madre di non dire stupidaggini, Mariangela Rosso si lasciò quasi sfuggire il bicchiere di vino fra le dita, mentre suo marito si metteva a sedere, temendo che le gambe non avrebbero retto il suo peso.

- Mamma, non è carino fare queste insinuazioni – la ammonì Giuseppe Rosso, affiancandola e guidandola al tavolo.

- Tutti uguali! Niun c’ha vist niente![14] – borbottò nonna Catterina, prendendo posto capotavola, accanto a nonna Teresa. Poi le due anziane signore iniziarono a disquisire amorevolmente dei nipoti.

- Bonu, ci semu tutti! Putemu assittarci e accuminciare[15] – esclamò allegra zia Vita, prendendo posto fra suo marito e la cognata.

- Vera, tua nonna... scherzava, vero? Come diamine ha fatto a... non è umana! Lo sapevo, anche tu sei troppo strana per essere una terrestre – balbettò Amaryllis, sedendosi nuovamente a tavola.

Fra gli adulti la questione si era risolta con un “la nonna vede complotti ovunque, sono le manie di persecuzione degli anziani” e ora tutti ridevano e chiacchieravano come se nulla fosse successo.

- Certe volte tua nonna ha idee molto balzane – ridacchiò Giovanni, sistemandosi gli occhiali.

- Già, proprio... – ridacchiò Vera. Nonostante l’obiettivo del pranzo fosse quello di annunciare il suo matrimonio con quel bel pezzo di ragazza che si era portata dalla Germania, non desiderava certamente che l’intuitiva nonnina la precedesse insinuando il loro lesbismo con affermazioni profetiche.

- Secondo me è tutta questione di... occhio – sibilò Sara sistemandosi il tovagliolo sulle cosce.

- Che intendi? – domandò Vincenzo dubbioso. Il ventunenne studiava psicologia (sperando di non finire in mezzo alla strada dopo la laurea) e s’interessava ad ogni disquisizione di carattere sociale.

- Insomma, se uno si abitua a stare in mezzo alle checche, dopo un po’ le riconosce subito – spiegò la secondogenita Baudino con aria sera ed eloquente. Dentro Vera bruciava rovente la fiamma dell’ira e della vendetta, ma cercava di trattenersi e risparmiare alla lavatrice di dover ripulire la tovaglia candida dai globuli rossi della sorella.

- Oh, ecco la fascistella che impone la sua omofobia – ghignò Cecilia sistemandosi il collare borchiato.

- Taci, puntaspilli: non voglio che una bambola voodoo venga a farmi la morale! – ringhiò Sara sfoderando i canini.

- Buone ragazze, buone! – si lamentò Giovanni, stufo dei loro battibecchi, anche se la cugina gli dava decisamente sui nervi.

- Sembrate due mastini – sogghignò Maria Vittoria, seduta di fronte a Giovanni, con cui prese a ridacchiare. Amaryllis, dal canto suo, se ne stava zitta e immobile, desiderando che si dimenticassero della sua presenza o forse sperando di trasformarsi in un ficus d’appartamento. Eppure non le pareva di essere così mascolina: certo, rispetto a Vera lei era praticamente un camionista tedesco che sopravvive di sola birra e wurstel e ama esternare con piacere le conseguenze della propria digestione, ma le pareva di essersi comportata in modo impeccabile e per una volta si era sforzata di essere femminile. Non si era portata nemmeno un paio di boxer! Eppure la nonna di Vera, la vate Catterina Rosso, era riuscita a leggerle dentro come fosse una rivista di giardinaggio (ormai si sentiva in sintonia con i ficus). E mentre si spremeva le meningi per capire cosa l’avesse tradita, la zia Renata le servì un tortino di zucca appena sfornato.

- Grazie tanto – disse Amaryllis inclinando leggermente il capo e osservando quella specie di piccolo budino arancione.

- E’ buono, mangialo – le disse Vera con lo stesso tono che si userebbe per convincere i bambini ad assaggiare qualche verdura dal bizzarro colore.

- Du bist nich lustig[16] - replicò gelida Amaryllis, affondando la punta del coltello nel tortino.

- Amore... scherzavo – mormorò Vera, ferita dal modo in cui aveva pronunciato quelle parole.

- Scusa, scusami tanto. È che sono... agitata, nervosa, stressata, non lo so, scegli il sinonimo che preferisci ma il concetto rimane quello – con uno scatto del polso tranciò a metà il tortino di zucca, che si afflosciò verso il centro.

- Cerca di calmarti: non capiterà nulla di tremendo. Eri nervosa anche quando dovevamo dirlo ai miei, no? Eppure è andato tutto bene... –

- Sì, ma cerca di capire: è la prima volta che mi ritrovo con questa gabbia di matti, in senso buono, sia chiaro, che è la tua famiglia e di certo non inizierò con il piede giusto – sbuffò Amaryllis, osservando il fumo sollevarsi dal pezzo di tortino che aveva infilzato e si era portata all’altezza degli occhi.

- E’ difficile il tedesco? – domandò all’improvviso Cecilia, seduta alla sinistra di Amaryllis, che era stata intenta ad osservarle discutere nella lingua teutonica fino a quel momento.

- Bah... più o meno, una volta imparata la grammatica non è poi così tremendo – spiegò Vera facendo spallucce.

- Io penso che italiano è difficile più di tedesco per verbi – disse Amaryllis lentamente, mentre Maria Vittoria, di fronte a Vera, annuiva.

- Ma anche i verbi tedeschi sono difficili – brontolò Vera.

- Tu lo parli molto bene – annuì Vincenzo, supportato da Giovanni.

- Le lezioni che frequento all’Universität der Kunste sono in tedesco, quindi ho dovuto impararlo per forza –

- Tornerai in Italia? – domandò Maria Vittoria, la bocca piena di tortino.

- No, non credo proprio. Resterò a vivere a Berlino, mi piace la vita di quella città – sospirò Vera raccogliendo le ultime briciole del delizioso antipasto con la forchetta.

 

Mentre Renata e Cecilia, alzatasi per aiutare sua madre, servivano il tonno di coniglio (- Was ist das?[17] -, - Kaninchen![18] -, - Urgh! -), dall’altra parte del tavolo gli adulti discutevano animatamente.

- Pare ‘na brava picciotta l’amica di tua figlia. Comu si conoscieru?[19] – domandò Vita a Giampaolo, che tossicchiò qualcosa imbarazzato.

- Ehm... penso che avessero... amici in comune -, il signor Baudino si era appena reso conto di non sapere esattamente come le due fossero diventate amiche e, evidentemente, anche qualcos’altro.

- L’importante è che vadano d’accordo, ne: anch’io dividevo un appartamento all’università con un altro ragazzo. Mi ricordo che gli puzzavano i piedi in modo tremendo! – sghignazzò lo zio Piero, ammonito da un’occhiata severa della moglie.

- Io non amo la convivenza – disse la zia Marisa fra i denti, le labbra strette e lo sguardo infuocato. Un mormorio imbarazzato scorse fra i parenti: era sempre quella la loro reazione di fronte alle taglienti frasi di Marisa Rosso.

- Amunì Mari, tu hai u to poeta[20]! – esclamò Vita spontaneamente, sorridendole.

Marisa le lanciò un tagliente sguardo trasversale, fulminandola con gli occhi scuri.

Vera aveva orecchiato quell’ultima parte di conversazione ed era scoppiata a ridere silenziosamente, la bocca dischiusa in un’ilarità muta. Rischiò di soffocarsi con una forchettata di tajarin[21]al ragù.

- Ehi, respira! Tutto bene? – domandò agitata Amaryllis battendole alcune pacche spiacevoli sul dorso e facendo tossicchiare la fidanzata.

- Sì... sto bene... – sghignazzò Vera, immersa in una serie di ricordi che Amaryllis le vedeva sfilare dietro alle pupille ma dei quali lei ignorava l’esistenza. Doveva essere qualcosa di molto, molto esilarante.

- Cosa succede? – domandò nella sua lingua natia, ma Cecilia intuì la domanda e rispose al posto di Vera.

- La zia di Vera, Marisa, è fidanzata con un poeta – disse atteggiandosi con fare pomposo ma trattenendo a stento le risate. Anche gli altri cugini sghignazzavano senza ritegno.

- Sì, ma spiegale decentemente! – mormorò concitato Giovanni, sporgendosi in avanti sulla tavola, mentre Maria Vittoria rideva con le mani premute contro il volto.

- Si chiama Carmelo Martorana, è fidanzato con zia Marisa da quasi quindici anni e ha pubblicato un paio di libri di poesie – aggiunse Vincenzo sottovoce, mentre Gabriele si avvicinava a loro, incuriosito da quel mormorare concitato.

- E fin qui, apparentemente, sembra tutto normale. Il fatto è che scrive versi tremendi, è un poetastro da due soldi! Scrive componimenti di una banalità e uno squallore che trattano i soliti argomenti che piacciono tanto ai sociologi, come il disagio nell’età adolescenziale o la guerra in Jugoslavia –

- Ascolto il canto zuccherino degli uccelli la mattina presto: Vaffanculo! Mi alzo dal letto e mi accorgo di avere trentacinque anni perché mi duole il piede sinistro! Vaffanculo! – declamò Vera per l’ilarità generale.

Amaryllis la guardava con occhi allucinati: aveva capito solamente la metà di ciò che avevano detto i cugini di Vera, ma aveva abbastanza intuito da comprendere che questo tale Carmelo Martorana non era un poeta caro alle Muse.

- E’ questo il trend, Mya, non sto scherzando. Vuoi sentire qualcos’altro? – domandò Vera, afferrando il braccio di una terrorizzata crucca più pallida del solito. Quell’allegria che non comprendeva pienamente la metteva a disagio.

- Oh sì, ti prego – la supplicò Maria Vittoria congiungendo le mani e sbattendo le lunghe ciglia.

Vera rifletté qualche istante, poi il sorrise sulle sue labbra indicò agli altri che doveva avere in mente uno dei suoi (di Carmelo Martorana) pezzi forti.

- Luna! Massonerie e tecnicismo. Corpi come sospensione tecnologica. E’ quel vuoto esistenziale, quel solipsismo oltre gli argini. Fiume! Purulenza. Mortificazione metafisica!

Tutti scoppiarono a ridere, le lacrime agli occhi, compresa Sara che aveva mantenuto un’espressione neutra tendente al disgusto fino a poco prima.

Amaryllis la osservava perplessa: dopo la prima parola si era persa completamente. Vera le fece una carezza affettuosa sul capo, di quelle che sarebbe opportuno fare ad un dolce barboncino dallo sguardo languido.

- E’ molto difficile da dire in tedesco, non saprei tradurti ogni parola – si scusò Vera, alzando le spalle – Comunque è una serie di parole tenute assieme da pallidi fantasmi di collegamenti logici –

Amaryllis annuì con qualche certezza in più, soprattutto riguardo al livello di sanità mentale della famiglia della sua compagna.

- Nini, spero che tu abbia la decenza di renderci partecipi! – esclamò improvvisamente nonna Catterina, dall’altro capo del tavolo.

- Come? – domandò Vera, che fra un verso senza senso e l’altro (- Rinfodero il bavero della mia ipermetropia. Quell’abisso telefonico di numeri e logaritmi. Esponenziali della teodicea e quell’odore di arrosto -) aveva perso la cognizione delle forme a priori.

- A me non la dai a bere, giovanotta. Sono stata anch’io un’adolescente con gli ormoni in subbuglio, anche se ora mi limito ai budini! –

- Mamma! – esclamò Mariangela, sgranando gli occhi.

- Tesoro, come pensi di essere nata? Oh, tuo padre mi faceva girare la testa, era proprio uno stallone e quel... –

- Mamma, ti prego! – ruggì Marisa e una ciocca dei lisci capelli scuri sfuggì alla perfetta messa in piega, adagiandosi come la nera ala di una rondine sul suo zigomo.

 I ragazzi ridacchiavano apertamente, mentre gli adulti tentavano ancora di mantenere un certo contegno.

- Tranquilla nonna! – intervenne Vera annuendo.

- Brava nini, la tua nonna è fiera di te – l’anziana signora alzò il pugno sinistro, al cui polso teneva un vecchio bracciale di cuoio, ricordo del suo passato di sessantottina.

- Vostra nonna è proprio matta come un cavallo – rise Giovanni.

- No, è solo una persona che ha fatto molte... esperienze –

- C’è stato un tempo in cui passava i pomeriggi a farsi le canne pascolando le pecore – spiegò Maria Vittoria.

- Per non parlare di quando si era messa in testa di entrare in una banda di motociclisti! –

- Certo che voi siete proprio strani – disse Amaryllis, rimasta in silenzio fino a quel momento – Non lo dico con cattiveria, anzi, è divertente. Avrete un sacco di cose da raccontare! La mia famiglia è molto più noiosa... –

- Be’, diciamo che i miei parenti offrono parecchi spunti –

- Pensi di fare ora il grande annuncio? – domandò Amaryllis sottovoce, nonostante gli altri non stessero ascoltando. E se anche fossero stati in ascolto con le orecchie protese, nessuno di loro capiva mezza parola di tedesco. Il loro vocabolario si componeva di parole quali wurst, kartoffel, bier, ja e Audi zentrum.

- Sì, appena trovo un po’ di coraggio: ero partita bene, giuro, ma ora mi tremano le ginocchia –

 

Dall’altra parte del tavolo, l’argomento si era di nuovo spostato sul fidanzato storico della zia Marisa La Morte Rosso.

- Un vivete ancora ‘nsemmula[22]?! – domandò stupita Vita, ravvivandosi i folti capelli scuri.

- No. E va bene così –

- Nini, non è sano che non facciate sesso regolarmente – intervenne la nonna Catterina facendo tingere di porpora le guance della silenziosa (e nervosa) Marisa.

- Mamma, ti prego, che cosa ne sai? –

- Ma se abitate in due case diverse come fate? Insomma, non è la stessa cosa che dormire ogni notte assieme! Tuo padre ed io... –

- Mamma! E comunque io voglio la mia indipendenza e poi lui... insomma, questioni di soldi – borbottò zia Marisa che non aveva alcuna intenzione di discutere di Carmelo con la sua famiglia, tantomeno con quell’impicciona invadente di Vita Spadaro.

- Ah, le poesie – sospirò Mariangela Rosso.

- 'Nsumma, diciemu ca su chiuttostu... particulari, sì, particulari e liberamente interpretabili.[23] Ma non sono così male! –

Marisa ringhiò qualcosa fra i denti, maledicendo la cognata.

- Oh Vita, nini, pensa che una volta suo padre ed io facemmo l’amore in macchina: era una vecchia Fiat 850, blu scuro, e noi avevamo parcheggiato proprio dietro il Caffè Agnello, non a Torino ma in un paesino di montagna. Insomma, eravamo in questo vicolo isolato e ci stavamo proprio dando dentro alla grande, quando sbuca un’anziana signora, pace all’anima sua, e si mette ad urlare come un’ossessa – la nonna Catterina sorrise piacevolmente al ricordo. Dante, il suo amato marito, era ormai morto da sei anni.

- E poi chi succiriu?![24] – domandò Vita curiosa. Adorava la suocera, era l’unica della famiglia con cui si potesse fare un discorso diverso dal solito.

- E’ tornata in casa ed è uscita con una scopa! Ha iniziato a battere sulla macchina e allora Dante ha messo subito in moto: non abbiamo osato rallentare fino ad aver attraversato il paese. Ed eravamo completamente nudi! Avresti dovuto vedere le persone di quel posto: non scorderò mai quello stupore indignato, come se loro non facessero del sesso! Ipocriti villani –

Vita rise di cuore, mentre la zia Marisa si limitava a ripulire i rimasugli di ragù dal piatto con un pezzo di pane: detestava la leggerezza con cui sua madre parlava del suo passato libertino.

- Insomma, Carmelo ha pubblicato la nuova raccolta o no? – domandò Renata, con un maligno ghigno consapevole. Le piaceva rigirare il coltello nella piega e mettere a disagio le persone, un sadico passatempo per la sua monotona esistenza.

- No – rispose seccata Marisa.

- Vado a prendere il secondo se avete finito! – trillò zia Renata alzandosi in piedi e facendo segno al marito di darle una mano con i piatti sporchi. Piero scostò la sedia controvoglia, sempre più rubizzo a causa dell’ottimo vino che non aveva smesso di bere dall’inizio della mattinata.

- Oh sì, portate i secondi che poi vi devo dire una cosa – disse Vera a sua zia, avvertendo improvvisamente il battito cardiaco accelerare.

- Che cosa, cara? – domandò la donna con tono lezioso. Se c’era da rendere pubblici un po’ di fatti altrui lei era schierata in prima linea.

- Dopo, zia, tranquilla – replicò Vera muovendo lentamente la mano, come ad indicarle di rallentare. Effettivamente in quel momento un massaggio cardiopolmonare le sarebbe stato utile: non si era mai sentita tanto in affanno e le pareva di avere dentro sé un sovraccarico di anidride carbonica perché le girava la testa.

- Come mai così misteriosa? – domandò Maria Vittoria aggrottando le sopracciglia perplessa.

- Tranquilli, non è nulla di drammatico! Appena avrete i piatti pieni ve lo dirò –

- Ist... das ist... [25]- balbettò Amaryllis asciugandosi il sudore sulla fronte con un tovagliolo.

- Ja[26] - rispose semplicemente Vera sorridendole. Amaryllis s’infossò nella sedia sospirando: non solo la terrorizzava quella stramba accozzaglia di personaggi apparentemente simili a mille altri, era soprattutto nervosa per quello che avrebbero potuto chiederle e lei non avrebbe capito nulla, non era in grado di difendersi a parole e questo l’angosciava.

La zia Renata e lo zio Piero sistemarono su due sottopentola altrettante pentole di bollito, per poi distribuire lungo la tavola i diversi contenitori delle salse.

- Allora Vera, ch’avevi a dirici?[27]

Vera Baudino si alzò in piedi facendo stridere rumorosamente la sedia sulle piastrelle in cotto, fece un respiro profondo osservando la sua famiglia radunata attorno a lei per festeggiare quel Natale.

- Ho voluto aspettare di avervi tutti qui accanto a me prima di dirvi quello che sto per dire. È una cosa importante ed è altrettanto importante per me che da parte vostra ci sia rispetto per la mia scelta – fece una breve pausa, per lanciare un’occhiata ad Amaryllis che la incoraggiò con un cenno del capo – Voglio dirvi con estremo piacere che siete tutti invitati al mio matrimonio... –

Prima che Vera potesse terminare il discorso si levò un vociare festante che le soffocò le parole in gola.

- Oh, come sono felice! –

- E come mai tutto questo mistero? Mi sembra una bella cosa! Beviamo! –

- E’ un bel ragazzo? La famiglia è rispettabile? –

- Nini...! – la spronò la nonna, lanciandole un’occhiataccia.

- Silenzio, per favore, non... ascoltatemi! Non avevo finito. Dicevo, siete invitati al mio matrimonio. Io e Amaryllis ci sposeremo il prossimo inverno, a Berlino –

Il brusio s’interruppe di botto e se ci fosse stata dell’erba mobile, quello sarebbe stato il momento esatto nel quale si sarebbero messe a rotolare accompagnata dal fischio del vento.

- Non ci hai parlato del matrimonio! – s’indignò Mariangela Rosso sbattendo il palmo della mano sul tavolo.

- In realtà l’ha detto solo a me – borbottò Giampaolo Baudino.

- Ah... ehm... – la zia Renata tossicchiò il suo disagio.

- Oh nini, mi sun propri cuntenta, ne![28] – esclamò la nonna Catterina applaudendo.

- Dici... dici sul serio? Ma ha l’è pusibile ‘sa cosa si?[29] – la nonna Teresa, invece, pareva perplessa.

- Certo nonna, in Germania sì – annuì Vera. La confessione aveva fatto scivolare via ogni traccia di esitazione o imbarazzo.

- Be’... allora auguri – disse Giovanni sorridendo e alzando le spalle, per poi stringere la mano di un’imbarazzata Amaryllis, che si era di nuovo persa in quella lingua che non capiva.

- 'Nsumma, chi è tuttu stu silenziu? Vera, tesoru, sì felice cu Amaryllis[30]? – domandò la zia Vita prendendo controllo della situazione. La primogenita Baudino annuì.

- E a to vita sessuale ti suddisfa[31]? – insistette, mentre la zia Marisa sgranava gli occhi e storceva il naso.

- Eccome – sorrise Vera.

- E chi problemi ci sunnu? Fai ‘nu beddu sesso? Buonu[32]! – sdrammatizzò la zia Vita con un gran sorriso.

- Be’ certo, ma... ne sei sicura? Insomma, mi ricordo bene di Paolo... – balbettò stupita la zia Renata.

- Ehm, in effetti dovrei dirvelo: Paolo era solo una copertura. Era così gentile da prestarsi come mio ragazzo di copertina, ecco. Ovviamente quando si è poi innamorato di una ragazza che ricambiava mi ha detto che avrebbe smesso – spiegò Vera rimettendosi a sedere con quella mezza verità: Paolo era omosessuale e si erano, in un certo senso, usati vicendevolmente.

- So, was passiert[33]? – domandò nervosa Amaryllis spronandola a parlare con un gesto della mano.

- Tranquilla, amore, va tutto bene. Gliel’ho detto e come puoi vedere non stanno volando coltelli e nessuno alza la voce – le sorrise Vera.

- Non hai idea di quanto mi senta meglio – sospirò Amaryllis sollevate, prima di essere colta da una ridarella isterica.

- Si sente bene? – domandò la zia Renata, indicando stranita la crucca, che si stava asciugando le lacrime con il tovagliolo.

- Da bun! L’è solo cuntenta, ha ti nen vist[34]?! – esclamò la nonna Catterina, più vivace del solito.

- Sì, nonna, è sollevata che non le abbiate tirato dietro qualche stoviglia o coltello... – ridacchiò Vera posando una mano sulla spalla della compagna.

- Ah, ma dai! Se solo riuscissi a parlarle sono sicuro che sarebbe molto simpatica, ne – disse lo zio Piero, per poi alzarsi in piedi e proporre un brindisi.

- Piero, hai bevuto troppo – ringhiò fra i denti sua moglie, incarognita.

- Andiamo Renata! Forza signori, un brindisi per Vera e Ama...marille! – proclamò lo zio Piero levando il calice pieno di Barolo d’annata.

- Sì, cin-cin! – esclamò la nonna imitando l’uomo.

Anche i genitori di Vera si alzarono tenendo con tre dita lo stretto collo dei calici e sorridendo orgogliosi alla primogenita, che stava imitando il resto della famiglia.

- Tanta gioia e felicità! – esclamò la zia Vita, facendo tintinnare il suo bicchiere contro quello della suocera.

- Ma sì, auguri, ne! – si unì anche lo zio Giuseppe al coro.

Le uniche che non parteciparono nemmeno fingendo un po’ di comprensione furono la zia Renata e la zia Marisa. Persino Sara aveva fatto gli auguri alle due ragazze con un sorriso molto tirato a deformarle il volto in una stramba smorfia.

- Andiamo Mari, brinda almeno con noi – la esortò Mariangela Rosso, sua sorella minore.

- Non mi pare il caso –

- Dai zia, si sposano e io non vedo l’ora di partecipare! – disse Maria Vittoria alla zia Marisa facendole segno di alzarsi in piedi.

- Glielo permettete? – domandò scettica la zia Renata rivolta ai cognati, afferrando il suo bicchiere controvoglia e mettendosi eretta.

- Senz’altro. E non vedo l’ora di conoscere la signora Keller che, da cosa mi ha detto Vera, deve essere una donna meravigliosa – sentenziò Giampaolo Baudino rivolgendo un sorriso alla figlia primogenita, che ricambiò con un cenno del capo e del bicchiere.

- Ma voi lo sapevate già?! – domandò improvvisamente il nonno Luciano al figlio.

- Sì, papà, ma solamente da ieri e me ne dispiaccio, avrei voluto saperlo prima –

- Mi spiace papà... non avevo il coraggio di dirvelo... – si scusò Vera con un sospiro.

- Tranquilla nini, l’importante è che ora tu l’ha dis e mi sun cuntenta che ti voti spusete[35] - la tranquillizzò la madre.

Finalmente tutti brindarono augurando alle due, con maggiore o minore sincerità, di essere felici assieme.

- Oh, ora ci vuole un bacio – ridacchiò Cecilia, le guance arrossate. Forse anche lei aveva esagerato con il vino. D’altronde, tale padre tale figlia.

- Oh Dio risparmiaci – brontolò Sara, incrociando le braccia.

- Sì, mi sun d’acurd[36]! – sentenziò la nonna Catterina, spalleggiata dalla gioviale zia Vita.

- Non è il caso – balbettò Vera, arrossendo.

- Cosa dice? – domandò Amaryllis nel suo italiano faticoso.

- Wir müssen uns küsschen[37] – tradusse Vera temendo una violenta reazione imbarazzata da parte della compagna.

- Mm, willst du[38]? – replicò invece Amaryllis osservandola divertita. Pareva aver ripreso il controllo della situazione, come suo solito.

Senza replicare, Vera si sporse verso Amaryllis premendo le proprie labbra sulle sue. Seguì un applauso e i bicchieri tintinnarono nuovamente, mentre lo zio Piero sollecitava i famigliari per un altro giro di brindisi.

Le strinse le braccia attorno al collo, baciandola con trasporto e contemporaneamente ridevano assieme agli altri.

- Vive le spose! – applaudì la zia Vita.

E fu così che Amaryllis, circondata da quella stramba famiglia, sentì finalmente quel calore che solo una casa in cui tornare e l’amore ti sanno dare. Osservando Maria Vittoria, Giovanni e Vincenzo scommettere su chi di loro avrebbe afferrato il bouquet, Cecilia che si accapigliava con Sara per qualche futile pretesto ideologico, la piccola Elisa osservare con occhi alienati l’intera folle scena, gli adulti che, ridendo allegramente, si mobilitavano già con i dettagli organizzativi, si sentì finalmente rilassata e in pace con l’Italia e quella famiglia che tanto temeva.

Riuscì anche ad udire distintamente il rumore del cuore spezzato di Gabriele.

 

*

 

La mezzanotte era passata da pochi minuti e il vociare non si era ancora placato, anzi: nell’appartamento di Marta ogni rumore pareva amplificato.

Marta Bernadotti era l’amica storica di Vera Baudino: compagne di banco alle scuole elementari, separate durante i tre anni delle medie e ritrovatesi poi alle scuole superiori, nuovamente compagne di banco. Il tempo pareva non essere trascorso e le due erano tornate ad essere amiche più di prima. Marta viveva a Torino con la famiglia in un ampio appartamento antico dietro a Piazza Vittorio Veneto. La sera di Capodanno, come da ormai cinque o sei anni a quella parte, i signori Bernadotti si recavano da amici per festeggiare il passaggio nell’anno nuovo e lasciavano l’appartamento alla figlia, assieme al permesso di invitare un ristretto numero di amici intimi con cui trascorrere la serata (e la notte).

In quel momento Marta stava avvinghiata al suo ragazzo, Dario Caviglia, un fighetto di venticinque anni con camicia azzurra e jeans a vita bassa, troppo gel nei capelli e poco ritegno, ma in fondo un bravo ragazzo. Erano ormai fidanzati da tre anni, proprio come Vera e Amaryllis.

- Non ti gira la testa? – ridacchiò Vera strusciandosi in modo indecente contro il fianco di Amaryllis.

- Hai bevuto? – le domandò stupita Amaryllis togliendole dalle mani un bicchiere che si rivelò essere pieno di lemonsoda.

- Lo sai che io non bevo... – mormorò Vera posandole una mano sul ventre e insinuando un dito nello spazio fra un bottone e l’altro della camicia bianca della compagna. Le sfiorò la canottiera che portava sotto l’indumento.

- Vera... – mugolò Amaryllis stringendola a sé. Lei le rispose alzandosi in punta di piedi per raggiungere le sue labbra.

Amaryllis la stringeva con forza per le spalle massaggiandola dolcemente, mentre Vera era totalmente abbandonata al suo abbraccio.

- Uh uh! –

Sia Vera che Marta si separarono dai rispettivi compagni udendo quella voce. Era stata Luana Camisola, altra storica amica di Marta e Vera, appena uscita dal salotto con indosso quell’elegante abito corto che stava facendo vedere le stelle al suo ragazzo, che la seguiva dall’inizio della serata come un cagnolino bavoso.

- Ci state dando dentro, ne – ridacchiò ravvivandosi i lunghi e vaporosi capelli scuri con un gesto simile alle modelle in posa per lascivi scatti in riva al mare.

- Oh sì – rise Vera voltandosi verso l’amica e poggiando la schiena contro il ventre di Amaryllis, lasciandosi abbracciare a baciare il capo con affetto. Squittì di piacere.

- Vera, Veruccia, di ad Amaryllis che è stato un piacere rivederla – disse Luana, appoggiandosi allo stipite della porta, mentre il suo cicisbeo le poggiava le mani sui fianchi con fare protettivo.

Vera Baudino alzò il capo verso la compagna, riferendole le parole di Luana Camisola.

- Danke[39] e io è felice che vede lei ancora – disse Amaryllis, spettinando con le dita le ciocche di capelli che incorniciavano il viso di Vera.

- Lu’, hai sentito tu stessa –

- Già, è stato un piacere! – esclamò, per poi tornare nel salotto dagli altri ragazzi che stavano ancora bevendo e guardando Carlo Conti che su Rai 1 si esibiva nel solito spettacolo di fine-inizio anno.

- Pensi che Luana abbia bevuto un po’? – domandò Marta avvicinandosi alle due ragazze trascinando con sé anche Dario, tenendolo stretto per la mano.

- Mm, sì, direi di sì. Chi è che non ha bevuto oltre a noi? –

- Lei ha bevuto! – contestò Marta ridendo, riferendosi ad Amaryllis.

- Marta, lei è tedesca. Hai idea di quanta birra bevano? La buttano giù come acqua! – spiegò Vera, per poi tradurre subito dopo per la sua compagna.

- Ma dai! Non sono una spugna! – protestò lei, non affatto contenta del ritratto da alcolista che aveva appena fatto di lei. Vera scoppiò a ridere voltando il capo e baciandole una guancia.

- Sei una lurida ruffiana – ringhiò Amaryllis cedendo immediatamente alle sue attenzioni.

- Venite di là, facciamo un altro po’ di baldoria! – rise Marta afferrando Vera per un braccio e allontanandola dalla compagna. La ragazza afferrò Amaryllis per la camicia e la trascinò a sua volta con sé. Fecero così il loro trionfale ingresso nel salotto.

- Oh, finalmente! Volete da bere? – domandò Enrico Luccio, sollevando una bottiglia di Moscato.

- No, grazie, va bene così –

- Propongo un momento di raccoglimento – disse Giulia Sibona, rannicchiata sul pavimento, stretta nel suo tubino grigio e nero.

- Per cosa? – replicò Luana Camisola, che si era appena coricata con il capo sulle gambe del fidanzato, Mattia Grattarola.

- Rievocare i vecchi tempi, Tia – sbuffò lei, sbrigativa.

- Mm, parliamo di Vera – propose Paolo Alice, il suo ex ragazzo di copertura, omosessuale dichiarato da un paio d’anni.

- No, ti prego – si lagnò lei, prendendo posto in grembo alla sua compagna.

- Vi ricordate della gita a Parigi? Quando Vera vomitò sulla Tour Eiffel – rise Luana portandosi una mano sugli occhi.

- O quando s’inciampò sulle gradinate dell’hotel! – le fece eco Paolo.

- Per non parlare di come fece cadere la professoressa con una spallata – ricordò Enrico.

Vera gemette al ricordo della sua goffa adolescenza: era sempre quella fuori luogo, quella sbagliata e imbranata. Il grande riscatto era arrivato verso i diciannove anni, soprattutto quando aveva conosciuto Amaryllis in quel pub di Berlino.

 

- Che ore... che ore sono? – balbettò Amaryllis strofinandosi gli occhi gonfi di sonno.

- Quasi le quattro del mattino – rispose Vera, molto concentrata nella guida per le strade stranamente semideserte di Torino.

Amaryllis gemette, portandosi una mano alla fronte.

- Hai mal di testa? –

- No, ho solo un tremendo sonno –

- Be’, però ti sei divertita con loro, vero? Ti ha fatto piacere rivederli? – domandò premurosa Vera, posandole una mano sulla coscia, mano che Amaryllis strinse nella sua con dolce decisione.

- Certo che mi ha fatto piacere! Sono molto simpatici. E non lo sto dicendo per obbligo come pensi, mi stavano simpatici già quando vennero a trovarti a Berlino lo scorso Capodanno – aggiunse Amaryllis strappando un sorriso colpevole a Vera.

Il resto del tragitto lo percorsero in un religioso silenzio, che permise ad Amaryllis di sonnecchiare pigramente. Almeno finché Vera la scosse con poca gentilezza afferrandola per il bavero del giubbotto.

Imprecando come ai vecchi tempi, la rossa scese dalla Panda e si avviarono verso l’appartamento, attraversando il cortile comune, per poi rintanarsi all’interno del palazzo e stringersi nell’ascensore.

Vera infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni di Amaryllis palpeggiandole tranquillamente i glutei.

- Ehi, che fai? – si lagnò Amaryllis piegando il capo in avanti e posando le sua labbra sui capelli di Vera.

- Ti tocco il culo –

- Ah, come siamo delicati oggi – rise la ragazza tedesca abbracciando la compagna. Improvvisamente la stanchezza si era dissipata, come una cortina di fumo dopo una folata di vento.

- Ich liebe dich[40] – sussurrò Vera, sfregando il naso contro il suo seno.

- Ich auch[41], Vera –

Finalmente le porte dell’ascensore si riaprirono e Vera vi balzò fuori stringendo forte la mano della compagna e trascinandola con sé.

Inserì la chiave nella toppa cercando di fare il meno rumore possibile: i suoi genitori sicuramente dormivano, mentre suo fratello e sua sorella erano a casa di amici e si sarebbero fermati là per la notte. Mentre trafficava nel più assoluto silenzio, Amaryllis la strinse dolcemente baciandole il collo. La pelle della compagna era calda, invitante: se non avesse avuto un minimo di decenza, l’avrebbe spogliata seduta stante su quel pianerottolo spoglio e freddo, le sue mani già pronte sulla patta dei jeans di Vera.

- A-aspetta... – balbettò Vera chiudendo gli occhi e spalancando la porta. Lo slancio le fece perdere l’equilibrio e cadde a terra sbilanciando anche Amaryllis, che piombò su di lei.

- Scheisse![42] – ringhiò Amaryllis, che non si era fatta molto male dato che il corpo della compagna le aveva attutito l’urto al suolo. Rotolò di lato scendendo dalla schiena di Vera, che fu percorsa da un tremito.

- Ti sei fatta male? – le domandò cautamente aiutandola a mettersi seduta. Si accorse quindi che Vera stava ridacchiando.

- No, ho solo sbattuto il gomito. Tu, invece? – mormorò poggiando le mani sulle cosce della crucca e sporgendosi per baciarla sulle labbra.

- Mm, io bene -, Amaryllis portò entrambe le mani alla nuca di Vera e si fece strada fra le sua labbra con forza. Vera mugugnò compiaciuta e si lasciò atterrare, mentre Amaryllis chiudeva la porta con un calcio.

Amaryllis si tolse il giubbotto senza interrompere il contatto fra le loro labbra, lasciandolo cadere sul tappeto nell’ingresso, imitata da Vera. Non appena le loro labbra si allontanavano, subito l’una tornava a cercare l’altra con veemenza, ansiose di non perdere quel legame. Nonostante la foga, i baci erano dolci, profondi e avidi, come se le due non avessero avuto alcun incontro amoroso per mesi.

Non appena si liberarono dell’impaccio, Amaryllis si lanciò su Vera stringendola bramosamente fra le braccia e rialzandosi in piedi, aiutandola. Poi la sollevò senza tanti complimenti, facendola miagolare compiaciuta e sorreggendola senza fatica a causa dell’esile peso della compagna.

Amaryllis si diresse decisa verso la porta chiusa della stanza degli ospiti. Con alcune difficoltà, tentando di non far cadere Vera e, soprattutto, continuando a baciarla, abbassò la maniglia e aprì la porta di legno.

- Pensa... – ansimò Vera separandosi da Amaryllis per prendere una generosa boccata d’aria – Pensa quando saremo sposate e passeremo le serate guardando vecchie glorie cinematografiche mangiando pistacchi –

Amaryllis rise lasciandola cadere sul letto matrimoniale, per poi coricarsi accanto a lei.

- Altro che pistacchi, ho voglia di mangiare te... – sussurrò Amaryllis con tono seducente, carezzando l’interno coscia di Vera.

- Mm, come posso rifiutare? – miagolò Vera, carezzando i capelli ad Amaryllis e rotolando sopra di lei.

- Non rifiutare – gemette la rossa avvertendo la mano di Vera sfiorarla intimamente.

Amaryllis si abbandonò al seducente gioco di Vera lasciando che la piccola italiana desse sfogo a tutta la sua creatività. Si stava appunto crogiolando in tutte quelle gentili attenzioni, quando Vera si fermò e si sedette al fondo del letto, le gambe intrecciate come una meditatrice, le mani sui piedi nascosti nelle calze colorate. Amaryllis le lanciò un’occhiata obliqua, indecisa su come interpretare lo spostamento strategico della fidanzata.

- Che cosa c’è? – domandò Vera con aria innocente.
- Mi chiedevo se non stessi aspettando che i vestiti si tolgano da soli – replicò Amaryllis senza scomporsi.

- Mm, credo che se aspettiamo abbastanza a lungo possano decomporsi. E’ fibra naturale, no? –

Amaryllis strabuzzò gli occhi di fronte all’ennesima manifestazione di quella giocosità che tanto adorava: la sua compagna se ne usciva spesso con le frasi più strampalate e inopportune nei momenti peggiori. Vera, dal canto suo, osservava la rossa con orgoglio, fiera di avere accanto quell’insicura, aggressiva e nasuta tedesca. Dopo essersi fatta scrocchiare tutte le dita dei piedi (scatenando l’odio di Amaryllis), tornò fra le sua braccia.

I vestiti vennero rapidamente ammucchiati sul pavimento, formando una storta montagnola colorata impregnata dall’odore di cibo e spumante.

- Sai, amore, mi è piaciuto stare con la tua famiglia – confessò Amaryllis, sistemandole i capelli dietro le orecchie e osservando i suoi grandi occhi scuri che la sovrastavano. Vera era ancora coricata sopra di lei.

- Hai visto che non è stato poi così terribile? – la sbeffeggiò la primogenita Baudino baciandola con tenerezza. L’invitante tepore che proveniva da sotto le coperte attirava entrambe verso una piacevole dormita, nude, abbracciate l’una all’altra. Vera premette la punta del suo naso contro quella di Amaryllis, sorridendo dolcemente, mentre con i polpastrelli le carezzava le spalle.

- Sì, avevi ragione. Ammetto che tua sorella non mi piace molto e nemmeno le tue zie Marisa e Renata: non sembrano aver preso molto bene la notizia del nostro matrimonio... Invece tua zia Vita è la fine del mondo, la adoro! Non capisco una parola di quello che dice, ma la adoro! –

- Sono felice che tu ti sia trovata bene – sussurrò Vera baciandole la guancia con dolcezza, gli occhi chiusi.

- Sai, potrei anche prendere in considerazione l’idea di venire a vivere in Italia – buttò lì Amaryllis con noncuranza, facendo trasalire la sua compagna.

- Oh no, ti prego! Io sono fuggita dall’Italia e non ho intenzione di tornarci – sentenziò Vera sicura della sua decisione, che si era rafforzata nel corso degli anni trascorsi in Germania.

- Allora potremmo comprare una casa in cui trascorrere le vacanze – suggerì la crucca, sbattendo le ciglia con fare civettuolo decisamente atipico per lei e che infatti provocò un divertito risolino a Vera.

- In tal caso potrei anche accettare... –

- Bene! Immagina una bella casa in Toscana, vicina alla costa: spaziosa, con grandi vetrate e un invitante letto matrimoniale in cui fare l’amore... – sussurrò Amaryllis con tono sensuale, portando le mani sui glutei di Vera e toccandola in quel modo che faceva impazzire la compagna.

- Non avevo dubbi che saresti andata a parare lì – ansimò Vera, la cui gola si era improvvisamente prosciugata. Amaryllis le rivolse un seducente sorriso, poi la baciò.

- Grazie, Mya – mormorò improvvisamente Vera.

- E di cosa? Che ti sto toccando? Guarda che è normale, tutte le coppie sessualmente mature lo fanno – ridacchiò Amaryllis stringendole il labbro inferiore fra i denti.

- Grazie che sei venuta, che hai parlato con la mia famiglia, con i miei genitori... –

- Andiamo, mica è stata una tortura. Grazie a te per avermi costretta a venire fin qui! Se non ci fossi stata tu, cara Vera, non so dove sarei finita. Quindi l’unica che può e deve ringraziare sono io – disse Amaryllis con un tono così serio e con occhi così pieni di amore e rispetto per quella piccola italiana, che quella non poté fare a meno di sussurrarle prima il suo amore all’orecchio e poi dimostrarglielo concretamente trascinandola sotto le coperte.

 

 

FINE



[1] “Allora, sei ancora nervosa?”

[2] “Ora mi sento peggio di prima! Perché non mi hai detto che ci sarebbero state tutte quelle persone?!”

[3] “Oh, andiamo! L’ho solo scordato: credimi, non intendevo mentire, soprattutto a te...”

[4] “Taci”

[5] “Mya, lei è zia Renata e lui zio Piero”

[6] “I miei bei bambini”                                                                                                                                                                                

[7] “Cos’ha detto mia sorella?”

[8] “Io sono l’uomo”

[9] “Amore, tesoro”, usato come vezzeggiativo.

[10] “La ragazza con i capelli rossi? Sì, ci ha detto che è tua amica” – è un misto fra il dialetto siciliano e l’italiano e sarà così anche nelle battute seguenti.

[11] “Lo parli bene il tedesco, Vera, brava! Cosa significa quello che vi stavate dicendo?”

[12] “Oh, che bella ragazza! Come hai detto che si chiama?”

[13] “E lei capisce l’italiano?”

[14] “Nessuno che abbia visto nulla!”

[15] “Bene, ci siamo tutti! Possiamo sederci e cominciare”

[16] “Non sei divertente”

[17] “Cos’è?”

[18] “Coniglio!”

[19] “Sembra una brava ragazza l’amica di tua famiglia. Come si sono conosciute?”

[20] “Andiamo Maria, tu hai il tuo poeta!”

[21] Tipici della Langa, sono simili agli spaghetti, ma ricordano di più delle tagliatelle molto sottili; sono ricchi di uova.

[22] “Non vivete ancora assieme?!”

[23] “Insomma, diciamo che sono piuttosto... particolari, sì, particolari e liberamente interpretabili”

[24] “E poi cos’è successo?!”

[25] “E’... questo è...”

[26] “Sì”

[27] “che cosa avevi da dirci?”

[28] “Oh tesoro, sono proprio contenta!”

[29] “Ma è possibile questa cosa?”

[30] “Insomma, cos’è tutto questo silenzio?! Vera, tesoro, sei felice con Amaryllis?”

[31] “E la tua vita sessuale ti soddisfa?”

[32] “E che problema c’è? Fai del buon sesso? Bene!”

[33] “Allora, cosa succede?”

[34] “Certo! E’ solo contenta, non vedi?”

[35] “tu l’abbia detto e sono contenta che ti voglia sposare”

[36] “sono d’accordo!”

[37] “Dobbiamo baciarci”

[38] “Tu vuoi?”

[39] “Grazie”

[40] “Ti amo”

[41] “Anch’io”

[42] “Merda”

   
 
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