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Autore: Blacket    21/04/2011    4 recensioni
Grazie per aver aperto la lettera, spero tu legga.
Ti sarei grato se tu, cara nazione, venissi a passare un po' di tempo qui, a casa mia.
Sarai accolta con tutti gli onori. Non sarai sola, credo ritroverai delle persone che conosci.
Potrai ignorare il tutto, se ciò non ti importa o non ti è gradito. Nel caso tu voglia accettare, c'è l'indirizzo dietro e un grazie da parte mia.
Forse questa è l'unica maniera. Venire ti farà bene in ogni caso.
Mi scuso per il disturbo.
Firmato: Mondo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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firmato il mondo 7 [Matthew]

Era la pioggia scrosciante quella su cui scivolava a tratti. Cadeva scomposta sulla ghiaia ticchettanto ritmicamente, frammentando il suo concerto piovano sotto i passi svelti di due persone.
Ed era sicuro, Matthew, di non volerlo rivedere mai più. Le sue parole nei tuoi confronti erano assai più affilate di lame, e il suo cuore non sembrava ceder passo all'amore fraterno. Aveva lasciato perdere oramai quelle stupide allusioni che gli faceva quando si accorgeva a stenti della sua presenza, oppure quando dimenticava di fargli semplicemente gli auguri al suo compleanno, magari una telefonata ogni tanto, per sapere se stava bene. Macchè.
Il fratello di America è la sua stessa immagine, ecco tutto. Il suo egocentrismo a volte lo spiazzava, ma non poteva farci nulla ormai. Era sempre stato così, non c'era alcun motivo di sperare in qualcosa di diverso.
Poi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come poteva, data la situazione abbastanza allarmante, Credere che non fosse nemmeno venuto in Svizzera? Come, maledizione?! E sperò che l'altro lo ascoltasse mentre aveva il coraggio di dire cosa pensava di lui. Si, l'aveva ascoltato eccome. Infatti era andato su tutte le furie.
Perchè voleva pieno appoggio da lui, USA era l'eroe incontrastato della situazione, e non ammeteva che qualcuno svicolasse nei suoi difetti, soprattutto se suo fratello.  E da quando si accorgeva di averne uno? Solo quando gli faceva comodo?
Ed erano parole così  semplicemente brutte, ingiuste, che poteva pensare un fratello dell'altro.
Quindi, dopo la sfuriata chegli aveva fatto, senza dargli la minima opportunità di controbattere o di difendersi, non lo voleva rivedere. Camminava veloce nel vialetto, circondato da pioggia e alberi, che salici quali erano, pareva si inchinassero a lui piegando le fronde sotto il peso dell'acqua.  Rallentò, quando finalmente giunse davanti all'enorme cancellata di ferro battuto. Il cielo era diventato scuro, la notte aveva già fatto suo schiavo la volta che lo ricopriva.
Canada fissò quell'uscita, combattuto tra il desiderio di andarsene, oppure quello di fare sempre la sua parte, invisibile a tutti. Appoggiò le mani al cancello, freddo e umido.
Dopo un attimo di decisione, spinse più che potè, piegando i propri capelli sulla faccia, tirando i muscoli  e stringendo le palpebre.
Nulla.
Non successe nulla. Il cancello era fermo immobile, imponente come l'aveva visto poco prima, anche sotto le sue spinte e nonostante non ci fosse alcun lucchetto o serratura a bloccarlo. Fissò i cardini, leggermente tremante -un po' per la pioggia, un po' per la consapevolezza che di lì non poteva andarsene. Fece per allontanarsi, indietreggiando lentamente; poi, però, avvertì una presa sulla sua spalla. Era ferrea, non gli faceva male, ed era soprattutto calda.  Anche se le ultime informazioni su quel contatto erano positive, non fece a meno di agitarsi. Erano successe molte cose in quei due giorni che erano lì, e gli pareva di avere dietro di sè un serial killer, magari armato di un machete sanguinante.
Senza emettere alcun suono, trattenendo il fiato, si girò di scatto, spaventato.  -Sono io, calmati.- Fece una voce che conosceva in froppo bene, anche se dati gli occhiali bagnati e appannati non aveva ancora visualizzato bene il volto.
-F-Francis?- Chiese timidamente, sperando in una risposta affermativa. L'uomo scosse la testa in segno di assenso, mentre con l'ombrello che aveva in mano -se ne era accorto solo ora di questo particolare- gli offriva riparo dalla pioggia. Ora che vedeva un po' meglio riusciva a scorgere con sollievo i capelli biondi e i suoi occhi blu. Quindi non era davvero un assassino. Meglio così, in ogni caso.
Si rimise a posto gli occhiali, stringendosi nel suo maglione fradicio, senza dire una parola. Aveva sempre avuto paura del giudizio degli altri, di quello che pensassero di lui e ciò che potevano fargli di conseguenza; anche se accadeva di rado, dato che nessuno si accorgeva mai di lui.
Però una persona sembrava notarlo più degli altri, almeno in quel caso.
A dispetto di ciò che stava pensando, Francis non gli chese "cosa ci fai qui?" oppure "perchè te ne volevi andare?" tempestandolo di domande, ma disse semplicemente "Vieni". Non gli disse altro, nemmeno una parola di rimprovero. Gli mise però una mano sulla spalla, che prima l'aveva fatto sussultare, e che ora non poteva farlo stare meglio, dopo quello che era successo col fratello. D'un tratto, timido com'era arrossì di botto fissando insistentemente il selciato su cui camminava.
Non si accorse che il francese rivolse un'occhiata di sfida a quella maledetta cancellata, mista a preoccupazione. Ci avrebbe pensato lui a dire agli altri che erano in trappola.

Dentro casa, invece, sostava a braccia conserte un Arthur irritato e scocciato.  Fissava con un broncio la finestra aperta, bagnata a volte da gocce d'acqua.  Ma non era il tempo, quello che lo incupiva. Si era stupito di quanta vita ci potesse essere fra i corridoi di un'ipotetica casa dormiente. Aveva visto Romano -molto arrabbiato, e preferiva non sapere il perchè-  fare irruzzione nella camera di Antonio e gli altri tre, con un grido di giubilo da parte del primo e insulti vari che si urlarono l'italiano e un certo tedesco.
Si era preso 3 infarti tutti assieme trovandosi davanti Berwald che chiedeva dove fosse la cucina, e ignorava totalmente di quanto fosse terrorizzato in quel momento Inghilterra vedendolo.
Per ultimo, vide Francis vestito di tutto punto afferrare con nonchalance l'ombrello e tuffarsi coraggiosamente sotto la pioggia, fuori di casa. Non gli disse nulla, anche perchè non aveva nemmeno fatto in tempo a chiedergli dove andasse, ma si limitò a raggiungere Berwald in cucina, fissando fuori dalla finestra.
Imbronciato, molto imbronciato.
E adesso perchè diavolo quella rana vonifila va a fare compagnia a Matthew? Ah, no.....adesso stanno ritornando in dietro....E quella mano cosa sta a significare?! EH?! E chissà cosa dice quello stupido francese! Eh, ma io lo sapevo che era un maniaco. Quel povero...Matthew è in grave pericolo.
Ma non gli bastò rosicare mentalmente, così espose le sue preoccupazioni al povero Svezia, che cercava solamente qualcosa da mettere sotto i denti. Possiamo dire che lo svedese cercò di scappare, ma non brillava di certo per la sua furtività.
-Ma ti pare?! Non è normale fare una cosa del genere! Guarda che idiota! Che idee sono queste, di andare sotto la pioggia di notte? Ah, ma sai, io ho sempre saputo dell'infermità mentale di quel francese...-
Berwald, nel frattempo, aveva raggiunto con coraggio la porta, addentando una fetta di pane, quando l'inglese si girò verso di lui per sentire un suo parere, alla faccia della paura che aveva prima degli svedesi.
-Secondo me ti preoccupi troppo.- Disse flebilmente.
Svezia non seppe che quella semplice frase gli avrebbe implicato altre due ore di blaterazione sul perchè in realtà Arthur non si preoccupava, ma semplicemente constatava l'idiozia della Sua Rana.

[Ludwig]
Lo odiava. Lo detestava.
Non credeva di aborrire una parsona in tale modo. Aveva arricciato il naso solamente quando Gilbert l'aveva presentato a tutte le altre nazioni, quella mattina, abbracciandolo e piangendo felice. Suo fratello urlava al miracolo, mentre lui era di tutt'altro avviso. Gli era parso insopportabile appena aveva masso piede in quella casa, o almeno finchè non era uscito allo scoperto. Gilbert gli era praticamente saltato addosso, scopiando in lacrime e stringendolo fino a strozzarlo.
Lui invece era rimasto impassibile, immobile. Gli aveva praticamente rubato il fratello.
La altre nazioni lo fissavano incredule, mentre Ungheria e Austria gli correvano in conro come se si conoscessero da una vita.  E gli aveva fatto male, più di quanto si aspettasse.
Si era ritrovato catapultato in un'era di nazioni secolari, che conoscevano ciò che era stato, avevano visto cose che lui non poteva immaginare, e avevano combattuto fianco a fianco fino alla fine. Lui, invece, era nato dall'esigenza. C'era un buco, e l'aveva occupato. Aveva fatto il suo ingresso nel mondo solamente quando tutti già c'erano -più o meno- e si sentiva estraniato perfino dalle loro parole, che riguardavano qualcosa che lui non poeva comprendere. Perchè semplicemente non c'era stato.
Ora si ritrovava nella sala grande, corcondato da nazioni che per lui potevano fungere da ombre, mentre focalizzava chi gli era sempre stato a fianco attaccato a....Quello. Inoltre, gli somigliava fin troppo. Ludwig setsso era fiunto alla conclusione che la Germania, solamente per aspetto, era la brutta copia del Sacro Romano Impero. Era praticamente un bambino, ma aveva una regalità che lo spiazzava completamente, notava di come gli si imporporavano le guance quando Gilbert lo abbracciava per l'ennesima volta.
E non faceva a meno di odiarlo.
Poi, accadde ciò che gli dilaniò il cuore, ciò che non avrebbe dovuto vedere.
Vide Feliciano entrare, scortato da Elizaveta. E scorse un'espressione che mai avrebbe rivolto a lui, e che da sola era capace di raccontare tutta una vita. Non sarebbe riuscito a descrivere il suo stupore, che cresceva sempe di più, le lacrime che gli bagnavano gli occhi e quella tremarella che vedeva per la prima volta.
Poi, oh, sorrise.
Un sorriso che sarebbe stato capace di mozzargli il fiato, di farlo mandare in tilt. Avrebbe fatto commuovere chiunque.
Perchè quella che sprizzava dal suo viso era la vera felicità, un muto ringraziamento verso il cielo per quello che gli aveva concesso. Si sarebbe stampato quell'immagine nlla memoria, solamente per ricordare cosa volesse dire vivere davvero, veder esaudire i propri desideri...per poi tornare a soffrire. Perchè niente di tutto quello era per lui. Niente, se non l'indifferenza.
Pareva un bambino, Feliciano, che non riusciva a contenere i suoi sentimenti, che camminava a stenti raggiungendolo.
Una pugnalata al cuore. Quello significava per lui l'abbraccio che aveva appena regalato a Sacro Romano Impero. Il fuoco, che continuava a corroderlo, erano le lacrime che stava persando, e un dolore immane il sorriso che non si spegneva sul suo bellissimo viso. E era come una malattia, l'odio che cresceva inesorabile. Non volle vedere la reazione della sua "copia". Anzi, non lo voleva vedere affatto.  
Fissava quella scena come in trance, sperando a tratti che non fosse davvero la realtà quella che si presentava ai suoi occhi.
Forse, in un certo senso, aveva fatto bene a non dire nulla  a Feliciano. Aveva fatto bene a non dirgli che lo amava, che lo desiderava da tempo, e non sarebbe riuscito a stare senza di lui. Aveva fatto bene, pur negando sempre a sè stesso l'affetto che provava. Perchè lui probabilmente era saltato in mezzo alla vita dell'italiano non conoscendo ciò che era venuto prima, ignorando che L'Italia c'era sempre stata, mentre lui no.
Si era illuso, e aveva fatto male. Faceva, male.
Si ripetè che non era gelosia quella che provava, Vargas era semplicemente un alleato e un buon amico, tutto qui. Peccato che i suoi pensieri fossero interrotti da quelle risa, per lui puramente egoistiche da cui era completamente estraniato.
Vide poi Gilbert, posare una mano sulla spalla a quel piccolo -e defunto- impero mentre lo indicava. Si, stava indicando lui. Perfino Feliciano si era fermato per un nanosecondo, ma non si era voltato a guardarlo. Ora Sacro Romano Impero lo fissava, leggermente inbarazzato, con quei suoi occhi blu così accesi. Suo fartello parlava, bisbigliava qualcosa che lui non riusciva a capire, e il volto del piccolo diventava più rosso, mentre si allargava un timido sorriso sulle sue guance. Che Ludwig, prontamente, odiava.
Gli stava parlando di lui? Dopo che era praticamente morto lì, davanti ai loro occhi? Non si erano accorti che desisteva dall'andare dal nuovo arrivato e riconoscerlo come suo discendente?
Il malessere aumentò quando quel bambino si avvicinò a lui, togliendosi il cappello, tendendogli la mano. Un gesto tanto innocuo, che però Germania non riusciva ad identificare come tale.
Stava male.
Malissimo. E ancora aveva in testa quel sorriso dell'italiano, rivolto alla persona così fortunata da averlo ricevuto che ora gli stava davanti.
Sono solo una brutta copia.
Bisbigliò appena, lasciando che quelle parole parlassero per lui come giustifica, mentre voltava loro le spalle e se ne andava verso l'uscita, ignorando i loro volti leggermente stupiti, che potevano leggere la sua espressione ma non la sua anima.


Note Dell'Autrice:
Quanto ritardo....emh....scusate! Beh, magari la storia non interesserà a nessuno, ma io mi scuso ugualmente xD Sto facendo tutto di fretta, quindi gingrazio velocemente i lettori, chi ha messo nelle preferite e seguite! Ah, un'enorme grazie per chi ha recensito e letto la one-shot "Il destino trova sempre il modo per farti sorridere". Grazie ancora!

  
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