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Autore: Trick    21/04/2011    16 recensioni
«Hai davvero detto di aver letto la mia storia?».
Annuisco.
«In un libro» continua imperterrito.
«No, in un opuscolo del mio dentista».

L'eccesso di birra mi trascina a Hogwarts per sette giorni - il che, ammettiamolo, è umiliante.
Scritta per la Sfida fra le Case indetta da HpQuiz l'anno scorso. Chiedo scusa per cotanta idiozia, ma tant'è...
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Titolo: Bionde allucinazioni
Personaggi: Remus Lupin, io (Severus Piton, Olivander e qualche Babbano della mia realtà)
Pairing: Remus/io – no, non è vero. Volevo prendervi in giro.
Conteggio parole: 7000 e qualcosa.
Rating: PG13 per il linguaggio spesso molto volgare della sottoscritta.
Genere: Parodia, commedia, demenziale

ATTENZIONE. Prima che iniziate a leggere questa cosa, ci terrei a sottolineare che il solo motivo per cui l'ho pubblicata è perché erano secoli che non mi facevo viva, e non voglio che qualche simpatico pensi «beh, vabbe', è morta». No, dolcezza, io vivo eccome. :)
Questa fiction era stata scritta l'anno scorso per un concorso indetto da HpQuiz e, confesso, mi sono divertita un sacco a scriverla. Sicuramente, più di quanto avrei dovuto – che vergogna. L'obbligo del concorso era quello di descrivere una settimana in compagnia del proprio personaggio preferito – il che ha generato questo risultato totalmente idiota.
Chiedo scusa a J.K. Rowling, che non si meritava un tale scempio, a Remus Lupin, poveraccio, e a tutti voi che state per leggere. E chiedo scusa anche alla mia dignità di fan-writer, così, per par condicio.
P.s. Se qualcuno dovesse chiederselo, "polleggio" significa "calma" nel gergo delle mie parti. O così credo, almeno.




Prologo
«Dell'inizio in cui credetti d'essere Alice»

Non è che io abbia costantemente la testa fra le nuvole: è che la mia testa ci trascorre un lasso di tempo così ampio che la gente ha finito per convincersi che io sia una sorta di moderna versione da taverna di Alice.
Io sono pronta a smentire tutte queste subdole accuse, dalla prima, all'ultima e di nuovo alla prima. Così, per sicurezza.
Alice – quella Alice, nel caso qualcuno mi stesse fissando con sguardo perso – non indossava dei jeans da quindici euro comprati con i saldi al mercato del venerdì. E, se l'avesse fatto, di certo non li avrebbe portati usurati, sdruciti e strappati. I suoi jeans sarebbero stati griffati, non sporchi di vernice.
Alice – quella Alice che inseguiva il Bianconiglio, sì! - non indossava T-shirt di tre taglie più grandi di lei. Inoltre, sono piuttosto certa di poter affermare che mai si sarebbe infilata una maglietta semi-distrutta degli ACDC.
È temporalmente impossibile.
Sarebbe come chiedere a Babbo Natale di scartare un uovo di Pasqua il giorno di martedì grasso. Il tempo è permaloso; bisogna trattarlo con riguardo.
In più, sono sicura al per cento e al per mille che Alice avesse dei bei capelli. Forse biondi. Forse mori. Forse aveva anche le meches, le extensions, il frisée e il decoupage. Sta di fatto, che quasi certamente non andava in giro per il Paese delle Meraviglie con degli ispidi e intrattabili capelli puntuti.
In più, Alice non è il tipo di ragazzina che impreca ogni dieci secondi. Non credo nemmeno che beva birra, per quanto io sospetti che il Brucaliffo abbia avuto una pessima influenza su di lei. Alice non si immette contromano per strada senza nemmeno rendersene conto: non ha mica la patente, lei! E non rischia di uccidere pedoni e ciclisti solo per andare a fare una partita a biliardo in città: nel Paese delle Meraviglie non ci sono mica pub fumosi e nonnine con la Graziella in mezzo alle palle.
Chiarita questa deplorevole incomprensione, qualunque balordo potrebbe facilmente arguire che io non sono Alice nel Paese delle Meraviglie. E lei, poverina, aveva il cervello completamente flippato.
Un eterno black-out dell'Enel, in pratica.
Io, invece, non sono affatto flippata.
Sono sana quanto voi.
Mi si possa arricciare la lingua se dico una bugia!
Bene, abbiamo chiarito questo drammatico mistero edipico.
Come la Sfinge, non come il complesso di Edipo.
Sono sanissima, certo. Ho solo una domanda piuttosto complessa, a riguardo.
Se io non sono totalmente flippata, (eventualità che avevo già scientificamente smentito), perché cavolo Remus J. Lupin mi sta fissando come se fossi una pazza squilibrata?

Capitolo uno
«Del lunedì in cui credetti d'esser fusa»

«Detesto apparire scortese, ma... chi sei?».
Ritiro in tronco tutto ciò che ho detto: io sono pazza.
Faccio lo sforzo di aprire la bocca per rispondere. Giusto per mostrargli che mi sto sforzando di reagire allo shock.
«Ehm... io?».
Ok.
Non era decisamente il modo migliore per mostrare il mio impegno.
Sembra vagamente preoccupato.
Non mi stupirei se stesse schiacciando uno di quei pulsanti nascosti sotto alla scrivania, come quelli che si vedono sempre nei polizieschi da quattro soldi. Sono quei pulsanti che non funzionano quasi mai come il povero impiegato della banca vorrebbe.
E finisce che gli sparano per aver tentato di fare il furbo.
Sempre.
È da un po' di tempo che non guardo una puntata di Dottor House, ora che ci penso.
No, aspettate.
Dottor House non andava mica in giro a rapinare le banche.
Però, mi pare che una volta si sia beccato un proiettile da qualche parte.
Non deve essere una cosa piacevole.
Ehi, ma che sto dicendo?
«Perdonami» riprende con un gentile sorriso tirato Remus (perché, ormai è appurato, l'affascinante uomo davanti al quale sto boccheggiando non può essere che quel Remus). «Non credo di aver capito chi tu sia. Né per quale motivo tu sia improvvisamente comparsa nel mio ufficio. Né per quale motivo sulla tua T-shirt ci sia scritto...» inarca concentrato il sopracciglio destro. Mi chiedo se qualcuno gli abbia mai fatto notare quanto sia dannatamente sexy. «...“Maiàl, iet ad Frara, belo?”».
Ora è visibilmente spaventato.
Lo capisco.
Lo sarei anch'io se qualcuno come me fosse comparso improvvisamente nel mio ufficio.
Lo sarei stata anche se non possiedo un ufficio.
Puràz.
È così confuso che non posso non intervenire.
Io so cos'è accaduto e c'è una sola cosa che posso fare.
Mi alzo in piedi con la disinvoltura di una sardina e gli sorrido, sperando che non creda che sia sociopatica. A giudicare dal suo sguardo, lo crede eccome, ma tant'è... non posso avere tutto dalla vita.
È il momento di chiamare i rinforzi.
«Ohi, Rollo! Mi sa che la quarta bionda dovevo lasciarla al bancone!» strillo al soffitto.
Remus sobbalza e salta in piedi. Credo sia il momento di spiegargli cautamente la situazione.
«Sorry. È che Rollo dopo il secondo giro al bar tende a diventare un po' tocco. Problemi di genetica, lui dice... anyway, mi chiamo Trick. Cioè, in realtà, non mi chiamo Trick. Ma chissenefrega. Tu sei solo un'allucinazione prodotta da un disdicevole abuso di alcol, perciò sei moralmente obbligato a credere a tutto ciò che ti dico. Sono ubriaca e devi assecondarmi, o rischio di diventare violenta».
«...violenta?».
Ora sembra divertito.
Annuisco teatralmente.
È un gesto che fa sempre un grande effetto sul pubblico.
«Già. Ma stai in polleggio, Remus. Ora Rollo mi prenderà per le spalle, inizierà a scuotermi ed io trascorrerò la prossima mezz'ora con la testa infilata in un cesso. Comune routine».
Assottiglia gli occhi con espressione sinceramente interessata e si gratta pensieroso il mento.
Ehi, perché non gli ho ancora detto che sono completamente pazza di lui?
«Come fai a conoscere il mio nome?» mi chiede.

«Stai scherzando».
«No».
«Sì».
«No».
«Sì».
«Testa o croce, Remus?».
Sbatte un paio di volte le palpebre, allucinato.
Mi sento in colpa per avergli causato tutto questo sconvolgimento.
«Hai davvero detto di aver letto la mia storia?».
Annuisco.
«In un libro» continua imperterrito.
«No, in un opuscolo del mio dentista».
Scuote la testa.
Mi fa sempre più compassione.
«Questo non è possibile» afferma con estrema decisione.
Mi chiedo se stia cercando di convincere me o se stesso.
«Tu non puoi aver letto un libro che parla di me».
«Ehi, prima donna! Non ho mai detto che il libro parla di te!».
Lo avrei preferito, naturalmente, ma tant'è che così J.K. ha deciso.
«Il libro parla di Harry. Hai presente il tipo, no? Completamente idiota e incredibilmente iettatore. Una pessima combinazione per il protagonista di un best-seller mondiale, a mio parere».
«Harry? Il mio Harry? Harry Potter?».
«No. Harry Truman, il Presidente degli Stati Uniti».
Scuote ancora la testa.
Di questo passo, finirà per sfilarsela di netto.
«Com'è possibile che questa donna abbia scritto un libro su di noi?».
Lo fisso sbigottita.
«Non dire stronzate. È lei che ti ha creato».
Mi sembra estremamente combattuto fra lanciarmi una fattura e scappare o scappare e lanciarmi una fattura da lontano. In entrambi i casi, avrei qualche problema a reagire.
«Supponiamo che io voglia credere a questa storia incredibile» mi dice con tono discreto. «E, per ipotesi, che io voglia delle prove di quanto affermi. Cosa risponderesti se ti chiedessi – così, per assurdo – qual'è il mio secondo nome di battesimo?».
«John, come tuo padre».
Troppo facile, bello.
Non sai con chi stai parlando.
«Quando sono nato?».
«10 marzo 1960».
«Qual'è stata la mia Casa?».
«Grifondoro. Eri nello stesso dormitorio di James Potter, Sirius Black e Peter Minus».
I muscoli del suo viso si contraggono appena, ma pare accusare il colpo con estrema disinvoltura.
Bravo, Remus.
«Come si chiamava la mia prima fidanzata?».
Maiala vacca!
«Questo non lo so».
Ed è ingiusto che io sappia chi sia Cho Chang e non chi sia stata la sua prima ragazza!
Lui è l'uomo della mia vita, in fondo.
«Bel bluff, Trick» ridacchia divertito. «Per un attimo, ho temuto davvero che non fosse uno scherzo».
«Sei un licantropo e i tuoi migliori amici diventarono illegalmente Animagus per alleggerire il peso delle tue trasformazioni».
Ora è sconvolto.
Chiamatemi infame, ma lui se l'è cercato.
Detesto quando le mie allucinazioni da sbornia sono restie a collaborare.
«Oh, merda» impreca.

«Voldemort farà cosa!?».
Perché non me ne sto mai zitta?
Mamma me lo ripete sempre.
«Dannazione, non è possibile, non è possibile!».
Si alza di scatto dalla sedia e inizia a muoversi nervosamente, gesticolando in continuazione e fissando il vuoto con espressione stravolta.
Dov'è che lo già visto fare questo?
Ah, già.
«Senti, Remus. Polleggiati. Andrà tutto bene, alla fine».
Peccato che muoia.
Oh, porca--!
Remus muore!
«Merdissima!» strillo. «Dobbiamo evitarlo a tutti i costi!».
Mi guarda con sguardo ardente.
Appena abbassa la guardia, gli salto addosso.
«Tu conosci il futuro. Sei l'unica che può aiutarci» mi mormora con serietà funerea.
Annuisco con drammatica risolutezza.
Ehi, aspettate un attimo... quand'è che ho perso il controllo della situazione?
Oh, giusto: alla quarta birra.
«Dobbiamo parlare con Silente» continua.
«No!» strillo di nuovo. «No, no, no, no! Stra-no, arci-no, iper-no! Silente non deve sapere niente del genere!».
Mi guarda come se fosse completamente uscita di senno.
«Silente deve sapere».
«Silente lo sa già e continuerà a tirare la nonna al suo mulino!».
No, ho sbagliato.
C'era qualcuno che ballava con la nonna di qualcun altro in mezzo all'acqua.
Oh, fottute locuzioni popolari!
«Remus, devi fidarti di me. Sono la tua unica speranza».
«La mia...?» ripete confuso. «A me interessa che la comunità magica sia pronta ad affrontare quanto accadrà dopo il ritorno di Voldemort. Il resto non ha importanza».
«Non dire stronzate!».
Mi fa incazzare quando fa l'eroico paladino della giustizia.
«Tu uscirai vivo da questa cosa. E anche tua moglie. E pure Malocchio. E poi Sirius, Ted, Severus, Scrimgeour, Fred, Colin, Cedric, Dobby e... ehi, sei più bianco dell'omino della Michelin!».
Trema.
Oh-oh.
Credo che mi darò al no-comment, per un po'.
«...m-mia m-moglie?» balbetta terrorizzato.
Cazzo. Ho anticipato la sua crisi esistenziale di almeno un migliaio di pagine.
Sono un'idiota.
No, non è vero.
Sono solo completamente ubriaca e questa è solo un'allucinazione.
Non sussiste problema alcuno, quindi.
«Quando intendi m-moglie... intendi che... che...».
«No».
«No?».
«No» ribadisco. «Hai capito male».
«Temo di aver capito benissimo».
«Senti, io ti adoro, Remus, ok?» butto lì. «Se tu e tua moglie, che è anche la cugina di secondo grado di Sirius, pace all'anima sua, che in realtà non è affatto un criminale, perché è tutta colpa di Peter Minus se James e Lily sono morti, mi segui? Ecco, dicevo: se tu e lei doveste morire e lasciare orfano il vostro unico figlio, Ted, che è lo stesso nome del padre di Tonks, che non è proprio il suo nome, che quindi è tuo suocero, insomma, ma lui è morto, poveraccio. Cioè... te lo direi con calma, ok? Non posso certo spiattellarti tutto ciò che ti resta da fare prima di morire senza alcun pudore!».
Mi fissa inorridito.
Oh, merda.

«Remus...?».
Centosettantesimo tentativo fallito.
«Remus! A gh'è un cald da sgrazià chi dentar! Verzi st'armari!».
Scusate.
Volevo dire: Remus! C'è un caldo da disgraziati qui dentro! Apri questo armadio!”, ma dopo centosettantun tentativi di convincere Remus a farmi uscire da questo fottuto e claustrofobico mobile, dovete capire che sono piuttosto nervosa.
Nevrotica.
Incazzata.
Tanto.
«Oh, e va bene! Va bene! Morirò dentro il tuo armadio, fra le tue camicie e le tue cravatte!».
Be', in fondo, poteva anche andarmi peggio.
Pensate se finivo fra i mutandoni di Hagrid.
«Mi hai sentito!? Ho detto che morirò qui! E sarai tu a dover spiegare a Silente che cavolo ci fa una psicotica maniaca soffocata fra i tuoi indumenti».
Clack.
Non ci credo.
Mi sta aprendo.
Oddio, che brutta faccia.
Non è più così tanto sexy, adesso.
Balle.
È ugualmente sexy.
«D'accordo» mormora stancamente. «Puoi dormire nel mio letto».
Questo è il giorno più bello della mia vita!
Più bello di quando ho piantato il mio ex e ho battuto il record al punji-ball nella stessa sera.
«Io dormirò sulla poltrona».
E che cazzo, non vale...!

Capitolo due
«Del martedì in cui decidemmo cosa fare»

«Lupin, mi auguro che il motivo sia di--».
«Ehilà, Severus!».
Lo saluto. È educazione, no?
E poi mi piace un po' pure lui.
Perché la gente si impietrisce sempre quando si accorge di me?
Non si rendono conto di quanto sia deprimente?
«Lei è il motivo» spiega con un sorriso tirato Remus.
Perché deve fare quelle smorfie di disappunto anche lui?
Io sono la donna della sua vita, dopotutto.
Be', lo sono sotto alcuni punti di vista, perlomeno.
«E chi è lei?».
«Trick» rispondo con entusiasmo.
Troppo entusiasmo.
Mi sono ricordata che è con Severus Piton che sto parlando.
Temo si stia trattenendo dall'impulso di uccidermi.

«Tu credi davvero che questa ragazzina di dubbia intelligenza venga da una sorta di universo parallelo nel quale noi non... esistiamo?».
«No» lo corregge pacato Remus.
Non è adorabile quando lo fa?
«Pare che venga da una sorta di universo parallelo nel quale noi non esistiamo se non in forma puramente letteraria».
«Per l'appunto» annuisco io.
Severus mi guarda come se fossi una Big-Babol appiccicata sotto al suo banco e su cui ha appena appoggiato inavvertitamente la mano.
«È da settembre che ripeto al Preside quanto tu sia innegabilmente pazzo» sibila leziosamente. «Ora, per mio sommo gaudio, ne ho la prova definitiva».
«Remus non è pazzo» mi sento in dovere di replicare. «Un po' difficile da gestire, magari, ma certo non è lui il pazzo, qui in mezzo».
Severus assottiglia pericolosamente gli occhi.
«Ehi, bello, frena. Sto parlando di me. Sono io quella che si è imbottita di birra e ora ha le allucinazioni».
Storce il naso.
Ora ho la certezza di fargli schifo.
Fantastico.
«Cosa credi dovremmo fare? Non possiamo permetterle di vagare indisturbata per Hogwarts» dice Remus. «Merlino solo sa i danni che potrebbe causare».
Grazie per la fiducia, tesoro.
Severus lo fissa stranito.
«Lupin, questa ragazzina non può--».
«Il tuo nome è Severus Piton e sei nato il 9 gennaio del 1960» recito a memoria, con un che di estremamente professionale nella voce.
Fregato, Severus.
«Tua madre si chiamava Eileen e sei cresciuto a Spinner's End. James Potter e Sirius Black ti affibbiarono il nomignolo di “Mocciosus” prima ancora di arrivare ad Hogwarts».
Storco un po' il labbro e alzo le spalle.
Non costringermi a continuare, bello: so che te la stai facendo sotto.
Da come mi fissa, ho idea che non abbia mai avuto altro desiderio se non quello di sbriciolarmi e spargere i miei resti nelle acque del Lago Nero.
Lancio un'eloquente occhiata con Remus.
Oh, Romeo, salvami dal drago, per l'amor del cielo!
No, un attimo.
Quello non era Orlando?
E da chi cazzo è stata salvata Giulietta, allora?
Oh, be'...
«Ed ora che abbiamo appurato che sta dicendo la verità, hai qualche idea?».
«Portala via da qua, Lupin».
Lui sgrana perplesso gli occhi.
«Non posso portarla in giro per il mondo magico. Riesci a immaginare cosa potrebbe accadere se le scappasse detto con qualcuno che Cornelius Caramell verrà divorato da un'Acromantula, per esempio? Mi arresterebbero per terrorismo e coercizione, come minimo».
Severus fa una smorfia divertita.
«Quale piacevole eventualità» scandisce.
Ok, ve lo confesso: dal vivo fa molta più impressione che non nei libri.
Ma io, questa volta, sono estremamente avvantaggiata.
Un po' come avere il professore che ti suggerisce le risposte dell'esame di spagnolo nell'orecchio.
Extraòrdinario, chica! Me gusta, me gusta!
«Niente del genere, in realtà. Caramell gestirà male la situazione sull'orlo della guerra e verrà sostituito da Rufus Scrimgeour. Mi piace una cifra Scrimgeour. Peccato che i Mangiamorte lo ammazzino».
Remus e Severus si scambiano un'occhiata inquieta.
Temo che siano più sconvolti all'idea che “mi piaccia una cifra Scrimgeour” che non per la scoperta della sua tragica e prematura dipartita.
«Portala via, Lupin. Non mi interessa dove e non mi interessa come. Mi interessa solo quando. Adesso».
Ho come l'impressione che in questo universo le mie doti da veggente non vengano apprezzate come dovrebbero.

«Non ho idea di dove potrei portarti».
«Qui mi piace».
«Qui non puoi restare».
Ma che palle...!
Questa è l'ultima volta che mi innamoro di un personaggio immaginario che di mestiere fa il professore.
Il prossimo me lo cerco fra i giullari di Artù.
«Dove stiamo andando?».
«Alla stazione di Hogsmeade».
«Oh. Prendiamo il treno?».
«No» risponde. «Nel tempo libero, sono addetto alle ferrovie del Ministero».
Cos'è che fa...!?
Inarco un sopracciglio e faccio un mezzo sorriso.
«Ehi, non puoi rubare l'altrui ironia snervante!».
Mi fa un sorriso un po' storto ed io mi accorgo di avere le gambe della stessa consistenza della gelatina.
Spero che il treno sia in ritardo.

«Dove siamo?».
«Dalle parti di Galashiels. È famosa per i tornei di danza in tutta la Gran Bretagna».
«Oh».
Dieci minuti.
«Dove siamo?».
«Vicino ad Hawick. Le sue commemorazioni per le vittorie degli scozzesi sugli inglesi sono spettacolari».
«Oh».
Quindici minuti.
«E adesso dove siamo?».
«A poche miglia da Langholm. Fra poco, saremo in Inghilterra».
«Oh».
Un attimo.
Ma che cazzo me ne dovrebbe fregare di dove siamo?
Sono seduta nello stesso scompartimento dell'Hogwarts Express con nientepopodimeno di Remus Lupin e non faccio altro che domandare dove siamo.
Fanculo alla geografia.
«Ehi, Remus».
«Mmh?» solleva lo sguardo dalla copia di Anna Karenina che sta leggendo.
Lo sapevo che gli piaceva la letteratura Babbana.
Dieci punti a me.
«Dove sei nato?».
Mi sembra stupito.
«Non lo sai?».
Scuoto la testa.
«Coventry».
«Oh, incredibile!» esclamo stupita. «E dov'è che si trova, questa Coventry?».
Ride.
È adorabile.
«Dalle parti di Birmingham».
Birmingham?
Cazzo.
«Mi sembri delusa. Coventry è una bella cittadina».
«Non lo metto in dubbio. Ma preferisco l'Irlanda».
«Pensavi fossi irlandese?» mi domanda divertito. «Non ho nemmeno la barba da irlandese».
Alzo le spalle.
Non voglio immaginare Remus con la barba da irlandese.
Non so nemmeno come sia, una barba da irlandese.
«Il nome di tua madre?».
«Harriet».
«Il tuo numero di scarpe?».
«Quarantatré».
«Quanto pesi?».
«Poco».
«Colore preferito?».
«Blu».
«Musica preferita?».
«James Brown, Ray Charles, Aretha Franklin... musica soul, principalmente ».
Immaginavo anche tutto questo.
Non per niente rasento la perfezione.
«Che forma assume il tuo Patronus?».
Mi guarda con un mezzo sorriso.
«Non vuoi provare a indovinarlo?».
Sfida accettata, dolcezza.
«Lupo».
Mi rivolge un'occhiata scettica.
«Tutto qui?».
Scuoto la testa.
«Falco».
«No».
«Volpe».
«No, mi spiace».
«Gufo».
«Riprovaci».
Il bastardo si diverte dei miei affanni.
«Leone. Fenice. Tigre».
«Decisamente no».
«Unicorno. Tartaruga».
«Tartaruga?».
Sollevo di nuovo le spalle.
Mi ha fregato.
«Ok, uno a zero per te e palla al centro».
Appoggia il viso al dorso della mano e mi guarda con un sopracciglio inarcato.
«Il mio Patronus non ha mai avuto una forma definita».
...cazzo.
Questa è una notizia forte.
Ci scriverò qualcosa sopra, non appena mi riprenderò dalla sbronza.

Capitolo tre
«Del mercoledì in cui mi persi da Olivander»

Ho scoperto una grandissima verità sulla comunità magica.
Credo che qualcuno dovrebbe studiarne un corrispettivo Babbano.
I materassi del Paiolo Magico non sono comodi.
Sono divini.
Per un attimo, mi sono sentita parte del materasso.
Mi sono appena svegliata e non ho una sola occhiaia.
La mia faccia non è verde pistacchio.
I miei capelli non sono aggrovigliati.
Non c'è alcun segno del cuscino sulla mia guancia.
Non sono avviluppata dalle lenzuola.
Soccia, quanto mi piace la magia.

«Un caffè, per piacere».
Remus solleva lo sguardo dalla Gazzetta del Profeta e muove con scioltezza la bacchetta.
Scruto con evidente stupore i due piccoli bricchi di ceramica che ha Evocato davanti a me. C'è una tazza vuota. C'è della preoccupante polvere marroncina. C'è dello zucchero. E c'è un cucchiaio.
Mi domando cosa pretenda che io ci faccia con tutta questa roba.
«Cos'è?».
Ha la faccia di uno che si sta trattenendo dal ridere.
Se lo fa, giuro solennemente sull'amore che provo per lui che lo sgozzo.
Nessuno mi prende in giro prima del caffè.
«È caffè».
«No. Questa è un tazza vuota».
«Devi versarci dentro l'acqua, il latte e lo zucchero» mi spiega gentilmente. «Poi, devi mescolare».
«Che cazzo stai blaterando?».
Non è il momento di essere educata.
Non è nemmeno l'orario.
Vacca d'un cane lercio.
«Caffè, Remus. Non brodaglia inglese».
«Mi dispiace».
Mi sembra sincero.
Ok, deponiamo l'ascia di guerra.
«Benvenuta a Londra, Trick» ridacchia.
Adesso lo ammazzo.

Non credevo che Diagon Alley sarebbe stata così... normale.
Sì, be'... non normale nel senso che sia normale vedere oggetti che galleggiano a mezz'aria senza fili trasparenti o gente stramba con assurde vesti variopinte che saltella per strada.
Normale nel senso che potrei anche abituarmici.
Dopotutto, se mi sono abituata agli esercizi di tromba del mio vicino, posso sopravvivere a qualunque cambiamento atmosferico.
«Trick?».
Alzo lo sguardo dalla vetrina di Madama McClan – ma come fa una strega a girare con una gonna del genere? - e lo guardo curiosa.
Mi sembra serio.
Poverino.
Credo che non si riprenderà più da quest'incontro.
Forse, dovrei sentirmi in colpa.
No, aspettate.
Perché continuo a dimenticare che sono totalmente ubriaca e che questa non è altro che l'ennesima allucinazione da quarta bionda media?
«Sei sicura che mi sposerò?».
Non devo ridere.
Non devo ridere.
Non devo ridere.
Sto ridendo.
È fatta.
Si è offeso.
«Scusa» dico in fretta. «È una domanda allucinante».
Non mi pare della stessa idea.
«Al contrario. Se tu avessi la possibilità di sapere con chi trascorrerai il resto dei tuoi giorni, non vorresti sapere con chi, esattamente?».
No, mi piacciono le sorprese.
Oh, al diavolo! Certo che vorrei saperlo.
E vorrei anche l'indirizzo, il codice fiscale e i dati del conto in banca.
In fin dei conti, Remus se lo merita.
No, scaliamo una marcia.
La coscienza sta parlando.
È il momento di ascoltarla.
Poi farò l'opposto di quanto suggerisce, come al solito, ma nessun di voi potrà dire che non ci ho provato.
E se alterassi il corso della storia?, dice la coscienza.
Ciao, coscienza. Grazie, coscienza. Alla prossima, coscienza.
Sono ubriaca e sto immaginando ogni cosa, ricordate?
«Tonks».
«Cosa?».
«Tonks. È il suo nome».
Se doveva fare quell'espressione persa da Sampei il pescatore, tanto valeva non chiedermelo affatto.
«Tonks?».
«Ninfadora».
«Ninfadora o Tonks?».
«Ninfadora Tonks».
Dai che ci arrivi, Remus.
«Perché questo nome mi è fami--? Stai scherzando!?».
Oddio, ci risiamo.
«No».
«Non ha nemmeno vent'anni!».
«Ehi, ehi, ehi! Frena, bello. Fra tre anni, ne avrà ventitré».
È sconvolto.
Benedetto d'un uomo, ma perché non riesce a cogliere la filosofia del polleggio?
«È la cugina di Black!».
Cos'è tutto questo disgusto per-- oh, giusto.
«Sirius è a posto».
Se davvero uno sguardo potesse uccidere, Remus mi avrebbe già liquefatto.
«Polleggiati, porca vacca! Ti ho detto che Sirius è a posto».
Quando parla, faccio quasi fatica a cogliere il suo sussurro.
«Non prendermi in giro. Non potrei sopportarlo».
Ho improvvisamente voglia di essere seria.
«Non lo sto facendo. Offrimi un gelato da Florian e ti anticipo una delle rivelazioni più scioccanti dell'intera saga potteriana».

«Pensi di parlare, adesso, o hai intenzione di fare la pantomima di un pesce rosso ancora per molto?».
Cazzo, ma che mi è saltato in mente di raccontargli tutto ciò che succede nel corso di “Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban”? Vacca boia, se questa è la sua sopportazione a certe chicche, che cavolo mi combina quando gli racconto gli altri quattro libri?
Io non so mica far ripigliare gente svenuta.
In genere, sono gli altri che cercano di far ripigliare me.
In effetti, credo che qualcuno, da qualche parte della realtà reale, stia disperatamente cercando di farlo.
Merda, magari sono morta!
Merda, ma immaginate la figata di vivere per sempre qui?
No, un attimo.
Si può vivere se si è tecnicamente morti?
Oppure è il contrario?
Merda, mi sono di nuovo distratta.
Dove diavolo è andato Remus?

Avrei dovuto capirlo che mi avrebbe piantato da sola a Diagon Alley e sarebbe scappato.
Bastardissimo bastardo.
Non mi ha lasciato neanche uno zellino per quella disgustosa brodaglia caffeinosa di questa mattina.
Sono in astinenza da caffé e potrei diventare scorbutica.
Più di così, in effetti.
«Tu non dovresti essere qui».
E che caz--!
«Vacca boia, tra un po' non mi viene un infarto!».
Dov'è che ho già visto 'sto vecchietto?
Ah!
«Olivander!».

«Non c'è alcuna magia, in te».
Va' a cagare, nonno.
«Ehi, sono piuttosto suscettibile a certi commenti maligni».
«Sei più vuota di una teiera dopo le cinque e mezza del pomeriggio».
Ma che cazzo di paragone è?
Sul serio, dovrebbero aggiungere l'umorismo britannico alla lista delle armi di distruzioni di massa.
Immagino il massacro.
«Mmh. Se mi colpisci, sbuffo pure vapore».
Nonno, defilati.
Mi stai già sulle palle.
Però... aspetta, aspetta.
«Signor Olivander, di cos'è fatta la bacchetta di Remus Lupin?».
«Frassino e crine di unicorno. Dodici pollici. Discretamente flessibile».
«Che ragazzino era?».
«Perché sei tanto interessata a lui?».
Perché lo amo follemente, ma non ha più importanza dal momento che mi ha bidonata prima ancora di innamorarsi perdutamente di me.
Tipico.
«Curiosità professionale».
Annuisce.
Bravo, nonno.
«Molto educato, ma di poche parole».
Dimmi qualcosa che non posso immaginare anche da sola.
«E di Ninfadora Tonks che ricordi?».
«Biancospino e corde di cuore di drago. Dieci pollici. Rigida».
«E Alastor Moody?».
«Vite e piuma di fenice. Tredici pollici. Molto rigida».
Sei un fenomeno, nonno.
Mi verrebbe voglia di portarti a casa come souvenir.
«Neville Paciock?».
«Non ha mai acquistato una propria bacchetta. Suppongo abbia ereditato quella del padre, Frank. Un'ottima scelta. Quercia, corde di cuore di drago. Dodici pollici. Estremamente flessibile».
Ehi, questo vecchietto è meglio di Wikipedia e Google messi insieme.
Chissà se riesco a farlo entrare nel mio hard-disk.
È piuttosto piccolo, dopotutto.
«E Fenrir Greyback?».
«Prego?».
È cauto.
Pessimo segno.
«Fenrir Greyback. Lui ce l'ha, una bacchetta?».
Mi fissa intensamente.
Ci manca poco che si sentano gli ingranaggi del suo cervello fare cic-ciac.
«Remus Lupin è unico nel suo genere».

«Non dovresti andare in giro da sola».
Ma guarda un po' chi è tornato!
«Professor prodigo, non dovresti lasciare una pericolosissima maniaca in giro da sola».
Sorride pacato.
Merda, quanto è sexy.
«Scusa. Avevo bisogno di stare da solo».
«È una pessima abitudine, la tua».
È perplesso.
«Fidati di una che sa. Potrebbe pesarti sulla schiena 'sto vizio di tenerti tutto dentro. Decompressati, ogni tanto».

Capitolo quarto
«Del giovedì in cui guidai il Nottetempo»

«Posso?»
«No».
«Posso?».
«No».
«Posso?».
«No».
«Posso?».
«No».
«Che palle, Remus!».
Ride.
Sta iniziando a diventare snervante.
Fortuna per lui che io sia così dannatamente succube del suo fascino da intellettuale trasandato.
«Ho la patente».
«Ti hanno insegnato a guidare dal lato sbagliato della strada».
«Ehi, non dire cazzate. Siete voi, quelli che vogliono sempre fare i diversi. Tutto il mondo gira a destra, tranne la Santa Inghilterra».
«Guidano a sinistra anche in Irlanda, in Sudafrica, in Oceania, nelle Filippine, in Giappone, nella penisola indiana, in Guyana e in Suriname».
Ma quanto è irresistibilmente bastardo?

«Ern, la frizione è quella a sinistra?».
«Uhm».
«Visto, Remus? So guidare».
Mi osserva con un sopracciglio inarcato.
«Sapere la posizione di un pedale non significa saper guidare un autobus».
Perché è così tanto preoccupato?

«Curva!» mi grida nelle orecchie Stan.
Ehi, l'ho vista.
Polleggio, ragazzi.
«Cos'è questa leva?».
«Frena, per l'amor di Godric, frena!» mi supplica da qualche parte Remus.
Non credo che ucciderlo sia il modo migliore per conquistare il suo cuore.
Ma, oh, che ci posso fare se 'sto autobus è così fotonico?
«Il freno a mano, piccola terrorista della strada!» strilla la testolina rattrappita. «Se provi a tirarlo, ti stacco le dita a morsi!».
Carina.
Potrei sostituirla al mio Arbre Magic ai frutti di bosco.
Freno a mano, ha detto?
Forte.
«Trick, credo di non poter reggere altre emozioni per oggi» mi scongiura di nuovo Remus. «Ti prego di parcheggia--».
«No!» strilla Ern preoccupato. «Non permetterò a questa vandala di parcheggiare il mio dannatissimo Nottetempo!».
Perché nessuno dà mai credito al mio stile di guida?
«Fermati, fermati, fermati!».
«Attenta al cartello!».
Stock!
Ops.
Questo non l'ho proprio visto.
«Assassina!».
Eh, che esagerati...!
Rollo dice che sono un fenomeno nel fare i testacoda nel parcheggio del-- oh, bello spiazzo!
Shriiiiiiiiiiiiiiiiiiiek!
Stump.
Vacca boia, che figata!
Cosa sono 'ste facce?
«Ehi, dolcezze, se urlate si distrae il conducente».

«Che nervi saldi, professore».
Il minimo che posso fare è prenderlo in giro.
Dai, cazzo, è o non è un Grifondoro?
«Non è il momento».
«Avevo la situazione totalmente sotto controllo».
«Così non sembrava».
«Be', l'avevo. Peccato non sia inverno».
È allucinato.
Ma perché non riesce a guardarmi con un'espressione tranquilla?
Così, per una volta.
Giusto per provare il brivido di vederlo sereno.
«Con la neve è più facile, tutto qui».
Oh, avanti!
È un Grifondoro!
Non può davvero aver avuto paura di una cosa simile!
«Stai lontana da me».
Ok.
Forse può.

«Conosci un modo per tornare a casa tua?».
Alzo lo sguardo dalla mia Burrobirra (non c'è stato verso di convincere Remus a prendermi del Whisky Incendiario) e lo osservo con aria annoiata.
Nei libri sembrava molto più acuto.
«Remus, io sono ubriaca».
Sacrosanta verità.
«E tu non esisti».
Purtroppo.
Mi rivolge un sorrise un po' forzato.
«Mi è piuttosto difficile credere una cosa simile».
Faccio un segno di resa con le mani.
Sei ripetitivo, bello.
«Senti, non posso farci niente. Io sono una fan-writer che ha letto di te in un libro. Tu sei il personaggio del libro che ho letto sui cui, in genere, scrivo. Ogni cosa, qui, fa parte di un libro. E ti vedo e ti parlo perché sei un'allucinazione».
«E se, invece, fossi tu ad essere una mia allucinazione?».
Lo fisso intensamente.
Non può dire sul serio.
Oh, non è possibile.
Lo pensa sul serio.
«Vuoi che ti prenda a calci? Così, giusto per convincerti che non stai dormendo».
Sorride.
Di nuovo.
Se non la pianta, gli salto addosso.
«Ti ringrazio, ma non posso accettare il tuo aiuto».
Non è mica scemo.

Capitolo quinto
«Del venerdì in cui mi infilai al Ministero»

Avete presente quando siete in macchina su un cavalcavia, fate la discesa di colpo e lo stomaco vi schizza in orbita?
Moltiplicate il fastidio per cento e capirete cosa significhi usare la Metropolvere.
«Hai giurato che non avresti aperto bocca» mi ricorda con voce preoccupata.
Wow.
Questo posto è davvero una figata pazzesca!
Peccato per la fontana.
Mi sta sulle palle.
«Mi stai ascoltando?».
Che roba, 'sti soffitti!
Oh, le finestre cambiano paesaggi!
Cazzo, lo voglio installare in camera mia.
«Trick, mi stai ascoltando?».
«No. Non lo faccio mai».
Sospira rassegnato.
È davvero adorabile.

«Il prossimo Ministro sarà realmente Scrimgeour?».
«No, sarà la signora Figg».
Detesto ripetermi.
«Si è sempre dimostrato migliore come burocrate, che non come Auror».
«Non è una cosa intelligente da dire al bar del Ministero, professore».
A proposito...
«Da quando c'è un bar, al Ministero della Magia?».
Soffia il vapore bollente dalla sua tazza di cioccolata calda e mi guarda con aria divertita.
«Nel libro non c'era?».
Certo che no.
O sì?
«No».
Scuote il capo con espressione indecifrabile.
«In realtà, c'è sempre stato».
Realtà?
Ehi, mi è venuta un'idea.
«Se ti dico 1861, che mi rispondi?».
È la prova del nove.
Mi lancia un'occhiata perplessa.
«Scoppio della guerra civile americana. Nascita dell'impero Austroungarico» si gratta pensieroso il mento. «E mi sento abbastanza sicuro da aggiungere anche l'unificazione del Regno d'Italia».
«1789?».
«Presa della Bastiglia. Scoppio della rivoluzione francese».
«1945?».
«Fine della Seconda Guerra Mondiale».
«1492».
«Cristoforo Colombo scopre l'America, mentre il governo spagnolo decretava l'espulsione dal paese di tutti gli ebrei e il regno di Granada cedeva alle armate della Spagna, l'ultima forza islamica presente sulla penisola».
Cazzo.
Quest'uomo è la Treccani con la cravatta.
«Perché mi chiedi queste cose?».
Non riesco a spiegarmi quest'assurdità.
Se non, ovviamente, con l'ipotesi che io sia ancora totalmente ubriaca.
Il che spiegherebbe come può Remus sapere tutte le cose che sa.
Sa cos'è accaduto nel 1492, perché io so cos'è accaduto.
È la mia cultura subconscia a parlare, non io.
Oh, porca troia...
Sono davvero una secchiona.
Che vergogna.
«Ti senti bene?».
Che dolce, si preoccupa.
Adesso mi frego da sola.
«Quanti abitanti ci sono a Londra?».
Ecco una cosa che non posso sapere.
Non so neanche quanti siano i ferraresi, figurarsi i londinesi!
«È una città molto popolosa» mi risponde. «Non so la cifra esatta, ma credo si parli di diversi milioni».
Lo sapevo.
Non ha risposto con chiarezza e ha rigirato la domanda con fare colto, in modo da lasciar intendere che la sapesse.
Questa è una mia peculiarità.
Un'eccezionale arte che ho raffinato in tredici anni di interrogazioni e verifiche.
Ciò significa che sono ubriaca, che Remus è il riflesso del mio inconscio e che io sono intelligentissima.
«In che anno è stata dipinta la Monnalisa?».
«Attorno ai primi anni del Cinquecento».
«Che mestiere faceva Mirò prima di entrare nel mondo dell'arte?».
«Ragioniere».
«Qual'è la capitale del Burkina Faso?».
«Ougadougou».
«Dove si trova Uusikaupunki?».
«Sulla costa occidentale finlandese».
«Dov'è nato Beethoven?».
«A Bonn».
«Se ti dico 1976?».
«I Ramones pubblicano il loro primo album».
Lo sapevo.
Solo una versione di Remus prodotta dal mio cervello avrebbe potuto saperlo.
Il vero Remus avrebbe risposto qualcosa circa l'indipendenza delle Seychelles dal Regno Unito.
In pratica, sto parlando con il mio io interiore, quello che delle Seychelles se ne sbatte e si spara a palla Blitzkrieg Bop già alle sei di mattina.
Solo che così è molto più carino da vedere.

«Questo non può essere vero, Trick».
Promemoria per me: smetterla di rivelare impunemente particolari della saga a Remus.
«Stai scherzando».
«No».
«Non lo farei mai».
«Lo credevamo tutti».
«Com'è possibile?».
«Magia?».
Se dicessi che è sconvolto, non renderei appieno l'idea.
«Buon Dio...» mormora con sguardo perso. «Sarò padre».

«Dov'è l'ufficio della Umbridge?».
Mi guarda perplesso.
«Non ho intenzione di portartici».
«Non le farò del male» lo rassicuro.
Non se ci sono troppi testimoni.
Ridacchia.
«È per questo che non ti ci porto».

«Malocchio è già in pensione?».
«Sì».
Che palle.
Ci sono solo un centinaio di uffici in cui non possiamo entrare, qui dentro.
Ehi, aspettate un secondo...
«Andiamo a sbirciare il Quartier Generale degli Auror!».
Ti prego, ti prego, ti prego...
È incerto.
«Non è altro che un ufficio come tanti altri» mi spiega.
Lo so, tesoro.
«Non vuoi vedere tua moglie?».

«È quella magra».
«Quella con il vestito verde?» mi domanda con aria inquieta.
«Ma no!».
Quella è proprio un cesso, poverina.
È proprio vero che la magia non fa miracoli.
«Quella con gli anfibi di pelle. Laggiù, vicino a quell'uomo alto con i capelli lunghi».
«La bionda?».
«Si può sapere dove stai guardando?».
Pietà del cielo, ora so per certo che i licantropi non hanno una vista più sviluppata della norma.
«È la ragazza con la maglietta a righe, Remus. Quella con i capelli corti».
«Quella alta?».
Ma sta guardando il pavimento o cos'altro?
«Laggiù, porca miseria. È l'unica che se ne va in giro con i capelli fucsia. Come cavolo fai a non vederla?».
«Oh».
Ne deduco che l'ha vista.

«Trick chiama Remus, Trick chiama Remus! Ti si è attorcigliata la lingua?».
Mi guarda come se si fosse accorto solo adesso della mia presenza.
Buongiorno, Remus.
«Scusa».
Sorride.
È troppo bello quando lo fa.
«Stavo pensando».
«A cosa?».
«A... be', è davvero carina».
Gli rivolgo un'occhiata in tralice e faccio uno sbuffo divertito.
Così si infransero le mie speranze di sposarlo.
Stranamente, la cosa non mi dispiace così tanto.

Capitolo sesto
«Del sabato in cui cercai di diventar strega»

«I Magonò vanno a scuola?».
«Alcuni» mi risponde con tono sapiente.
È proprio un professore, non c'è niente da fare.
«La maggior parte di loro, tuttavia, preferisce frequentare scuole Babbane».
«E poi trovano lavoro nel mondo Babbano?».
«Nessuno li obbliga».
Questo è interessante.
«Posso restare qui e fingere di essere una Maganò?».
Sorseggia un po' di caffè dal bicchiere di carta e mi guarda con un cipiglio pensieroso.
Pessimo, pessimo segno.
«Sai se nel tuo albero genealogico ci sono maghi o streghe?».
Bella domanda.
«Mia nonna è una strega in cucina. Vale?».
«Temo di no».
Che sfiga.

«Posso provare a fare una magia?».
Ora è visibilmente agitato.
«Qui?».
Che ha il parco della cattedrale di Saint Paul che non va bene?
Oh, giusto.
La gente.
«Andiamo, Remus, che sarà mai? Non sono una strega. Sarà come vedere una pirla che agita per aria una bacchetta del ristorante cinese!».
Non mi sembra molto convinto.
Peccato per lui che io sia incredibilmente estenuante.

«Wingardium Leviosa!».
Be', non è che io pretendessi di riuscirsi subito.
Certo, speravo almeno di vedere qualche miglioramento dopo il ventisettesimo tentativo.
«Muovi con più delicatezza il polso».
È bravo.
Davvero.
Solo, sta cercando di insegnare la magia a una perfetta Babbana.
Non ho nemmeno fatto esplodere qualcosa.
Ora capisco perché quella bastarda di una civetta non è mai passata per casa mia, quando avevo undici anni.
Ma è bastarda lo stesso.
«Wingardium Leviosa!».
Fottuta fogliolina, sollevati!
È giunto il momento di rassegnarsi al mio triste destino di non-strega.
«Peccato» mi dice.
Wow, com'è abile a sembrare sinceramente dispiaciuto.
Mi fa un sorriso un po' storto e mi porge il bicchiere di caffè che si era offerto di reggermi.
«Saresti stata un'ottima Corvonero».
Come no.
Io sarei una perfetta Scimmiarosa.

Capitolo settimo
«Della domenica in cui caddi nel Lago Nero»

«Non voglio farlo».
«Non puoi fare altrimenti».
«No!».
«Non essere ridicola. Non possiamo continuare a vagare senza meta per la Gran Bretagna senza motivo».
No?
Che sfiga.
«Ho i miei diritti, bello. Strega o non strega».
Rotea drammaticamente gli occhi e sospira.
Ha una minima idea di quanto io adori quando lo fa?
«Sono certo che Silente conosce un modo per riportarti a casa».
«Silente ci va peso di birra?».
Inarca un sopracciglio.
«Non credo».
«Allora non può sapere niente di sbronza e derivate varie».
Altri dieci punti a me.
Di questo passo, faccio pure i tre punti della cricca.
«Senti, Rollo troverà il modo per svegliarmi. Sono sicura che stia già facendo del suo meglio. Probabilmente mi sta già prendendo a schiaffi, solo che ho bevuto troppo per rendermene conto. È normale, dico sul serio. Prima o poi, mi sveglierò, vomiterò e mi dimenticherò tutto».
Cazzo, è vero.
Se sono ubriaca, col piffero che mi ricorderò di aver guidato il Nottetempo o di aver bevuto un caffè in un bicchiere di carta con Remus.
Porca vacca.
«Non hai nessuna prova che i tuoi amici stiano cercando di salvarti. Lascia che ti aiutiamo».
«Mi piace il Lago Nero».
Lo sento sbuffare appena.
«Lo so. È sempre uno spettacolo incredibile a quest'ora della sera».
«Mmh. Ci sono delle nutrie, da qualche parte?».
È sconvolto.
Di nuovo.
Non dovrebbe averci fatto l'abitudine, ormai?
«Nutrie?».
Come non detto.
«Fa niente. Chiedevo così, giusto per sapere. Mia nonna dice che tutto il mondo è paese, ma qui ve le sognate le pantegane che ci sono da noi. Quando ero più piccola, cercavo di prenderle sotto con il motorino. Era piuttosto divertente».
Ora è inorridito.
«Sei una sterminatrice di roditori?».
Alzo le spalle e faccio un ghigno divertito.
«È il mio secondo nome».
«E il primo?».
«Non te lo direi nemmeno sotto tortura, dolcezza».
«Aurora?».
«Ho la faccia da Aurora?».
«Amaranta?».
«Ma che razza di nome è?».
«Morgana?».
È impazzito.
«Remus, mio padre è un barbiere. Non un Obliviatore».
«Sabrina?».
«Stai tornando in carreggiata, ma... assolutamente no».
«Caterina? Linda? Margherita?».
Bleah.
Che gusti.
«Cecilia?».
Oh, Gesù...!
Sapete cosa mi ricorda questa cosa dell'Indovina Chi?
La Sirenetta e il suo bel principe pieno di soldi che galleggiano sul lago, circondati da rane che cantano e tartarughe che suonano il trombone.
Be', non è che proprio galleggiassero... cioè, erano in barca, no?
Ecco.
Uguale.
Solo che io non ho la pinna e Remus non è un principe.
E non è nemmeno pieno di soldi.
Non è nemmeno il mio, ora che ci penso.
Che triste considerazione.
«Stai attenta al bordo, è scivoloso».
Quale bor--?
Waaaaaaaaaah!

Epilogo
«Della fine in cui credetti d'esser Attila».

Oddio.
Dormivo.
Un attimo di pausa per riprendere il controllo.
Respiriamo una volta.
Respiriamo due volte.
Sono estremamente lieta di sapere che i miei polmoni mi stanno seguendo.
Ok.
Ci sono.
Non è così strano che mi addormenti mentre-- cos'è che stavo facendo?
Merda, avrei dovuto immaginarlo.
''Lupin inciampò sulla soglia. Era pallido, avvolto in un mantello da viaggio, i capelli grigi spettinati''.
Tipico che faccia sogni strani dopo aver letto un libro che mi prende.
Come questo, poi.
Voglio dire... chi di voi non ha rischiato di morire nell'attesa dell'ultimo libro di J.K.?
Per l'appunto.
Credo sia già la nona volta che lo rileggo.
Certo, non mi era capitato di finirci dentro, ma tant'è...
''Sirius gli sorrideva con gioia. Non poteva credere che fosse tutto finito. Si guardò attorno, improvvisamente più leggero. La guerra era finita. Erano salvi e avrebbero vissuto tutti quanti felici e contenti. Fine''.
Fine.
Fine?
Ma che cazzo...?
No, sono ancora mezza addormentata.
''«Grazie, professor Piton. Sarei morto, senza il suo aiuto» gli disse Harry.
«Lo so, Potter» gli sorrise l'altro. «È tutto finito».''
Cos'è sta roba?
''Sirius gli sorrideva con gioia''.
Perché cazzo Sirius dovrebbe essere vivo?
E perché diavolo Piton è vivo e sorridente!?
Ho il vomito.
''«Tonks aspetta un bambino».
«Ancora?»''.
Ma come ancora!?
Che ca--!
...
Oh-mio-Dio.
Ho distrutto la saga di Harry Potter!
E come si aggiusta una saga, miseria!?
Non posso mica lasciarla alle ortiche!
Fa cagare, adesso!
Sono tutti vivi, felici e contenti!
Dov'è il dramma!?
Dov'è il phatos!?
Dov'è il made in J.K.!?

«Vi! Vi, ripigliati!».
Oh.
Ci sono.
Che cazzo urli?
«Vi, dì qualcosa. Mi va bene qualunque stronzata».
«Oh, merda! Che cazzo gli dico al 118?».
«Ma che cazzo chiami il 118!? Idiota, prendi dell'altro ghiaccio!».
«Eh, non ce ne abbiamo mica più! È tutto nel mojito, ora».
Vedo una luce...
Mi sento una medusa.
«Voglio del fottuto ghiaccio!».
Che cazzo ha Rollo da urlare?
Cippo, sei tu quest'ombra sopra la mia testa?
Va' che avete proprio delle facce da culo, visti al contrario.
«...-ulo».
«Ha parlato! Cazzo, ha parlato! Parla, parla!».
«...merda, Cippo, stai zitto o ti giro il collo meglio che lo Svitol».
Che mal di testa.
Ehi, perché sono stesa per terra?
Che cazzo ci fa tutta 'sta gente, qua attorno?
«Sono alla fiera dei cazzi miei o cosa?».
Rollo fa un respiro di sollievo.
«Bella, Vi. Pensavo che saresti rimasta secca fino a Pasqua».
«Sì, ma la prossima Pasqua!».
Voglio ammazzare Cippo.
«Cippo, tu e il tuo umorismo da accattone potreste togliervi dalle palle?».
Bravo, Rollo.
«Vi, ci sei?».
Questa è la Manu.
Si riconosce dalla voce intrisa di istinto materno.
«Batti un colpo in testa a Cippo, se ci sei».
«Fanculo, Cippo».
«Sta benissimo. Ha già mandato Cippo a cagare almeno un paio di volte».
Cazzo, sono al bar.
Non a quello del Ministero, però.
Ehi, chi mi ci ha portato, al bar?
E perché sono seduta per terra?
«Manu, perché sono--?».
«Cippo ha lanciato in aria la boccia numero otto del biliardo. Pensava di riuscire a riprenderla al volo dopo aver fatto un paio di giri su se stesso. Invece, ti ha preso nel pieno della zucca».
Idiota di un inutile Cippo.
«Ehi, ci sei?».
Chi, io?
«No, sono in Malesia con Sandokan».
«Vuoi una birra?».
Birra?
«Quattro».
«Quattro?».
«Quattro bionde, tesoro».
«Perché vuoi--?».
«Ho scoperto che con quattro bionde c'è la possibilità che io incontri l'uomo della mia vita».
Mi guarda come se fossi pazza.
E mi va bene così, in fin dei conti.
«Vi, sicura che--?».
«Manu, niente domande».
In questa storia, non c'è una sola risposta logica.
E anche questo, in fin dei conti, mi va bene così.

   
 
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