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Autore: Sacu    21/04/2011    7 recensioni
"Si tratta di una chiave per aprire un Portale per il luogo da cui vengo."
"Se i Drow avessero la chiave non esisterebbero un attimo ad inviare il loro esercito per tentare di conquistarlo."
“Se la tua amica dovesse fallire, presto il nord entrerebbe in guerra."
Ispirato a D&D.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Avevano litigato la sera prima e non era riuscito a chiudere occhio: sua figlia si era decisa a lasciare la Radura dei druidi per intraprendere una missione inutile e pericolosa.
Non riusciva proprio a capirla. L'aveva trovata quasi cento anni prima mentre era inseguita dai Drow, l'aveva messa al sicuro, l'aveva presa come sua figlia e insegnato ad essere una druida. Ma no, a lei non bastava tutto questo! Voleva tornare indietro.
Perché voleva andare in un luogo da dove era stata cacciata, quando lui l'aveva accolta e voluto bene? Non era forse sufficiente tutto l'amore che provava per lei? Non era forse più degno lui di fargli da genitore piuttosto che quella madre insensibile che l'aveva abbandonata quando era ancora una neonata?
Mancavano pochi minuto all'alba e osservò col cuore a pezzi sua figlia mentre recuperava le ultime cose. Forse era l'ultima volta che la vedeva. Volle metterla alla prova ancora una volta, magari avrebbe capito che non era in grado di cavarsela da sola e avrebbe rinunciato. Non ci sperava, aveva la testa dura quella, ma non aveva niente da perdere. Bevve un lungo sorso dalla sua boccetta, poi le si avvicinò da dietro per sorprenderla alle spalle; lei non si accorse della sua presenza.
"Pensavo di averti insegnato a percepire se hai qualcuno intorno, evidentemente mi sbagliavo, non ne sei ancora all'altezza." Disse mettendole una mano sulla spalla.
L'Elfa sussultò. Si voltò cercando di far finta di niente, ma il sorrisetto sul volto del Satiro le fece capire che era inutile. Sì, se fosse stato un nemico a quest'ora sarebbe morta. Suo padre riusciva sempre ad umiliarla con quelle sue frasi ironiche, soprattutto perché aveva sempre ragione e questo la feriva. Cercò di sviare l'argomento per evitare il rimprovero.
"Ketojan! Non è un po' presto per bere? Di solito aspetti dopo l'alba. Cos'è, senti già la mia mancanza?"
Forse aveva detto la frase sbagliata, perché invece di rispondere il Satiro alzò la mano sinistra ad accarezzarsi il corno nero come la pece. Conosceva quel gesto inconscio, da abilissimo arciere qual era lo faceva per afferrare l'arco mentre con la destra estraeva una freccia e “bam”, il bersaglio era colpito. Solo che quel movimento era lento: voleva dire un'unica cosa, suo padre era arrabbiato. Cercò di mantenere la calma e riprese a parlare.
"Oh, scusa, volevi uccidermi? Se cerchi l'arco, mi sa che l'hai scordato nella tenda. Se vuoi ti aspetto!" disse sfoggiando uno dei suoi sorrisi ammaliatori.
Il Satiro la squadrò, sembrava ci stesse pensando seriamente.
"E perché no? Forse dovrei, compiendo un atto misericordioso e risparmiandoti le torture delle Sacerdotesse di Lolth. Ma in fondo, io sono solo tuo padre, che diritto ho di volerti proteggere?"
Gli occhi lo tradivano, ma il tono era quello scherzoso di sempre. Isilrill si impauriva ogni volta quando lui voleva mascherare la sua rabbia; sapeva di cosa era capace, Ketojan era il suo maestro, ma anche il Capo Druido del Circolo della foresta di Baldur's Gate. Nonostante ora si occupasse solo della gestione del Circolo, i bardi cantavano ancora le sue gesta di quando era più giovane. Doveva farlo ragionare prima che perdesse il controllo.
"Ketojan, andiamo, ieri notte ne abbiamo parlato fino a tardi e ti ho spiegato le mie..."
Ma lui non la lasciò finire. "Sei mia figlia! E sei la mia unica allieva! Ti ho addestrata, ti ho insegnato tutto quello che sai. Non essere arrogante, sei poco più che una novizia, non sai ancora badare a te stessa. Se te ne vai, non potrò fare niente per aiutarti. Non ti ordino di rimanere, ti chiedo solo di restare almeno fin quando non avrai imparato ciò che ti serve!"
Perché suo padre non capiva? "Io voglio solo tornare a casa!"
"Non è forse questa la tua casa ora? Non ti abbiamo forse accolta tra noi, non ti abbiamo insegnato..."
"Basta, ne abbiamo già parlato! So tutto quello che tu e gli altri avete fatto per me, e vi ringrazio, ma non basta tingermi i capelli per scordare chi sono! E tu non hai il diritto di chiedermi di farlo!"
Ketojan non riuscì più a trattenersi.
"Stupida creatura! Loro non ti hanno mai voluta! Il passato ormai è sepolto e lontano! Pensi che non ti abbia mai vista mentre ti specchi nel torrente a guardarti le orecchie? Accetta la realtà e guarda chi sei realmente! Sei un'Elfa! Per Silvanus, tu sei Isilrill! Come puoi voler gettare al vento tutto ciò che hai fatto e che sei? Di là non c'è niente che tu non possa avere in questo posto!"
"Io non appartengo a questo luogo, lo sai bene!"
"Ti sbagli! E la cosa grave è che non te ne rendi conto..." Senza pensare, guidato solo dalla rabbia, Ketojan prese il flauto che portava appeso alla cintura in vita, dove finiva la sua folta peluria rossa di Satiro. La ragazza fece un passo indietro.
"Brava, vedo che hai paura. E perché non dovresti, l'ultima volta non ti ho fatto ballare per quasi una notte intera, ricordi?"
Ricordava anche troppo bene, non riusciva più a tenersi in piedi e suo padre dovette prenderla sulle spalle e riportarla alla Radura. Se avesse cominciato a suonare, non sarebbe potuta partire; come minimo avrebbe dovuto aspettare il giorno dopo e forse non avrebbe più trovato la persona che cercava. Sapeva che Ketojan non scherzava, glielo leggeva negli occhi mentre si avvicinava il flauto ala bocca.
"Dimmi perché non dovrei trattenerti con la forza!"
Ma mentre sembrava stesse per cominciare, da un cespuglio uscì un umano, facendo un grosso sbadiglio. Ketojan abbassò il flauto, ricomponendosi. Tirò fuori il suo solito tono allegro come se tutto fosse normale e la discussione con sua figlia non fosse avvenuta e si rivolse all'Uomo.
"Com'è andato il giro di perlustrazione, Roger?"
"Tutto tranquillo, Capo" rispose l'umano, troppo stanco per rendersi conto di cosa aveva interrotto. "Troppo tranquillo, mi sa che non ne verremo mai a capo, di questo passo. Forse dovremmo impiegare più persone." Poi si accorse dello zaino dell'Elfa. "Oh, Isilrill, vai in città?"
"Isilrill ha deciso di andarsene" tagliò corto Ketojan, poi si voltò verso la sua tenda. L'Elfa ebbe l'impulso di seguirlo, ma poi ci ripensò. Non voleva che il Satiro cambiasse idea e si mettesse a suonare. Meglio aspettare che si sbollisse.
"Quindi te ne vai davvero?" continuò Roger senza considerare il Capo che si allontanava. "Sinceramente, non pensavo che l'avresti fatto. Nessuno di noi lo pensava. Certo che questo sarà un duro colpo per il Capo."
TI SENTO!”
"Scusa Capo! Certo che quel suo udito... a volte vorrei essere un Satiro pure io. Senti..." le si avvicinò per poter abbassare la voce. "Qualunque cosa tu possa pensare, ricordati che avrai sempre un posto dove tornare. E non mi riferisco a quello, ma a questa radura. Il Capo darebbe la vita se servisse a tenerti qui, è molto protettivo nei tuoi confronti. E lo stesso vale per noi, sei un po' come la nostra sorellina"
"Sorellina? Uomo, io ho 91 anni più di te!"
"Come? Uomo?!"
"Non lo sei forse?"
"Sì, come tu sei un'Elfa."
Isilrill abbassò lo sguardo, arrossendo. "Be', non proprio. Chissà, se potessi dirlo sarebbe tutto molto più semplice. E non avrei creato tutti questi problemi. Ma io so la verità..."
Roger le diede una pacca sulla spalla. "Su con la vita! Pensa, quando tornerai ruberemo il liquore di malto del Capo e faremo una bella festicciola! Vedrai, non se ne accorgerà, basterà aspettare che esca per cercare qualche Ninfa..."
"Ti sento!" disse Ketojan sbucandogli alle spalle. Sembrava più rilassato adesso.
"Silvanus! Capo, non dicevo proprio sul serio... Giuro di non averti mai rubato neanche un goccio!"
Certo che non l'hai fatto, visto che ti lasci sorprendere in questo modo. Vedo che sei stanco, vai a riposarti." E dopo aver fatto cenno a Roger di lasciarli soli, allungò la mano verso Isilrill.
"Prendi questo."
Non credeva ai propri occhi! Le stava porgendo il flauto! Quello che suo padre gli aveva regalato quando gli erano spuntate le corna, quello che custodiva come un tesoro. Il suo flauto!
"Non capisco... Vuoi burlarti di me fino alla fine?"
"Questa non è la fine. Prendilo. No, non te lo regalo, se è questo che ti preoccupa. Te lo affido. Me lo renderai quando torni. So che non ne hai intenzione, ma... voglio l'ultima occasione per convincerti a restare qui con me."
Gli era costato molto dire quell'ultima frase, non gli piaceva lasciar trasparire i propri sentimenti, ma sapeva che così lei si sarebbe sentita in colpa e avrebbe accettato. Non poteva impedire di partire; sì, poteva ritardare la sua partenza, ma prima o poi lei sarebbe scappata. Almeno con quel piccolo stratagemma aveva la certezza che l'avrebbe rivista ancora e chissà, magari nel frattempo avrebbe trovato un modo per trattenerla per sempre.
"Io non voglio prenderlo."
"Oh, in questo caso posso farti ascoltare la canzone segreta di mio padre, cadresti in trance prima di renderti conto che sto suonando e finalmente riuscirei a farmi obbedire da te, Elfa!"
"Tu non oseresti... E poi che soddisfazione pensi di trovare nel costringermi ad obbedirti?"
"Non saprei, mi piace l'idea di una bella Elfa come schiava."
"Dai, speri di convincermi che sono un'Elfa dicendo che sono bella?" disse sorridendo. Sì, era riuscito a calmarlo, finalmente. Risero insieme.
"Eh, sappiamo entrambi che le lusinghe funzionano con te!"
"Va bene, va bene, Satiro! Sei stato convincente. Farò del mio meglio per riportarti il flauto così come me l'hai dato."
"Brava. E stai attenta! Potrai rifugiarti anche in capo al mondo, ma se mi rompi il flauto giuro che ti troverò ovunque tu sia!"
Era emozionatissima, finalmente poteva prendere in mano quel tesoro che suo padre custodiva gelosamente. Era molto liscio, e col fatto che era emozionata quasi le cadde di mano, così lo mise al sicuro nello zaino. Poi guardò commossa il Satiro e con sorpresa di lui lo abbracciò.
"A presto, Capo."
"Guai a te se mi richiami ancora così! Te l'ho già detto, devi chiamarmi Padre!"
"Non lo farò mai, Ketojan! Ti voglio bene, ma presto raggiungerò la mia vera famiglia."
"Figlia mia, quanto sei ingenua! Ma ti adoro anche per questo."
"E tu? Mi chiamerai mai col mio vero nome?"
"Il tuo nome è Isilrill. Ora vai."
"Prima vorrei prima salutare tutti e ringraziarli per quello che hanno fatto per me."
"Assolutamente no, te lo proibisco. Se vuoi farlo, dovrai tornare."
Le diede un bacio sulla fronte, poi con un immenso sacrificio la lasciò andare. Volendo ritardare di ancora di qualche attimo la sua partenza, le offrì la sua bottiglia col liquore al malto. Lei bevve un lungo sorso e gliela resa. Poi bevve anche lui, ma finendo tutto il contenuto.
Il sole stava sorgendo, così l'Elfa recuperò le sue cose e fischiò.
"Vieni Ziwa, è ora di andare!" Una lupa color grigio argento la seguì trotterellando.
Arrivata alla fine della Radura si voltò. Ketojan era solito suonarle una canzone quando partiva per una missione, ma stavolta non aveva il flauto e non avrebbe potuto farlo. E forse non l'avrebbe fatto comunque. Lui non era lì a salutarla, non c'era nessuno. Ebbe voglia di lasciar perdere e correre ad abbracciare il padre, ma non lo fece.
Si sentì tirare i vestiti. "Ci sono, Ziwa. Partiamo". Non si voltò più indietro.

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Baldur's Gate. Mezzogiorno. Le strade erano piene di gente. Le carrozze sfrecciavano dalla zona centrale verso la zona nobiliare, riportando a casa i nobili dopo aver assistito alla cerimonia. La Sacerdotessa aveva investito dei nuovi chierici ed erano accorse molte persone, credenti di Tyr e non. A Isilrill non andava tanto a genio quella Mezzadrow, ma in fondo lei era diversa da quelli che aveva conosciuto. Parnis Umarth era una brava persona.
Fece fatica in mezzo a quella folla, ma alla fine riuscì ad oltrepassare il Tempio e andò verso la Grande Quercia, a metà strada con la Torre dei maghi. La Sacerdotessa di Tyr, i maghi di Mystra... Ripensò all'immagine della divinità adorata da sua zia, ma provò una stretta alla pancia. Cercò di scacciare i pensieri preparandosi mentalmente all'incontro col Custode della Grande Quercia.
Nyatar era un Elfo, il druido responsabile della città. Non usciva mai dal recinto della Grande Quercia, dove solo i druidi e i guardiaboschi avevano il diritto di entrare. Via via che si avvicinavano, il suo richiamo diveniva più forte e Ziwa era ansiosa di arrivare.
Il prato dentro il recinto era pieno di animali sparsi, come al solito. Lupi, leopardi, volpi, di tutto insomma; erano calmi grazie all'influenza della Grande Quercia e al druido, il cui richiamo riusciva a placarli.
Lo trovarono mentre era ad occhi chiusi, preparandosi evidentemente per un qualche rituale. Isilrill non volendolo disturbare si tenne a distanza, ma un'ombra le oscurò il volto: era un falco che le sorvolava la testa. Senza interrompersi, Nyatar allungò il braccio destro e il falcò si diresse verso di lui, atterrando con grazia sulla sua pelle nuda.
Dopo qualche attimo fermò la sua litania, ma non si voltò. “Il guardiaboschi che corrisponde alla descrizione che mi hai dato ha aiutato il gruppo che avevo ingaggiato; gli ha procurato gli agganci per entrare al servizio dei mercanti, li hanno uccisi e hanno liberato gli animali che usavano nei combattimenti all'ultimo sangue. Puoi riferire al Circolo che non ci sono prove del coinvolgimento dei druidi in questa storia e che gli animali sono tornati nel loro territorio sani e salvi, così forse la smetteranno di lamentarsi!”
Andiamo, sai bene che non si lamentano di te ma i tuoi metodi seppur efficaci sono... diciamo aggressivi. Non ti piace proprio collaborare con le Guardie, vero?”
Nyatar sputò a terra. “Se quella ragazzina facesse il suo dovere invece di gingillarsi, non dovrei occuparmene io! Se avessi aspettato il suo intervento, a quest'ora gli animali sarebbero tutti morti!”
Isilrill cercò di calmarlo. “Hai ragione, ma Misao è una samurai, lei prende la legge e la burocrazia alla lettera. E' brava nel suo lavoro, ma è piccola, le serve solo un po' di tempo per maturare. Secondo me dovresti provare a darle fiducia, sono sicura che...”
Ma Nyatar la interruppe. “Pensi di venire qui ad insegnarmi come comportarmi? Tu non sai sotto il peso di quali responsabilità io agisca! Tornatene al sicuro da tuo padre, ragazzina!”
Avrebbe voluto rispondere, ma non voleva gettare olio sul fuoco. “Per favore, dimmi solo dove si trova Danarr e non mi rivedrai mai più.”
Mai più, che parole impegnative!”
Esatto, se le informazioni che riceverò dal guardiaboschi saranno buone, non rimetterò più piede in città!”
Solo dopo aver finito di parlare si accorse di aver rivelato troppo. Nyatar era il migliore quando si trattava di trovare informazioni e lei era stata costretta a rivolgersi a lui, ma Ketojan era convinto che certe circostanze strane in cui si era trovata in passato fossero dei suoi tentativi per toglierla di mezzo.
Dopo quelle parole, l'Elfo finalmente si voltò per squadrarla. Fu allora che si accorse di una dettaglio non indifferente; oltre alla spada lunga e all'arco sulla schiena, l'Elfa portava una strana spada appesa al fianco tramite una cordicella che partiva dalla fascetta in metallo al centro del fodero. Anche la parte inferiore e quella superiore erano rivestite da metallo, ma erano incise e il fabbro aveva curato soprattutto l'elsa, lasciando poca immaginazione su dove fosse stata forgiata: Menzoberranzan.
"Cos'è quella strana arma che ti porti dietro? E' così sottile. E cos'è quella cosa attaccata all'elsa? A che serve?”
Oh, questa!" disse appoggiandoci sopra la mano sinistra, quasi a volerla nascondere. "Non è da usare, è un'arma da parata dell'Irraggiungibile Est, e questo pendaglio è puramente estetico. Praticamente solo un giocattolo. Me l'ha regalata Misao.”
Aveva cercato di nascondere l'incisione, ma Nyatar l'aveva riconosciuta come il simbolo di un nobile casato Drow. Che ci faceva nelle mani di un'Elfa?
Posso vederla?”
Ziwa ringhiò. Nonostante l'effetto calmante della Quercia, percepiva e condivideva i sentimenti della padrona.
E' tardi e ho urgenza di vedere Danarr.”
Il druido non insistette. “Il guardiaboschi alloggia alla Mela Marcia. Nel quartiere residenziale. Ah, prima di andare: non so quali siano le tue intenzioni, ma non ti conviene farti vedere in compagnia di una persona invischiata in cose poco legali. Potrebbe nuocere alla tua reputazione.”
Ho forse qualche scelta?”
Quel tuo amico mago, Deneb, lo conosce. Hanno collaborato nella storia degli animali. Potresti rivolgerti a lui.”
Ti ringrazio.” Senza aggiungere altro, uscì dal recinto e chiuse il cancello.

Nyatar la guardò allontanarsi. “Seguila!”

   
 
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