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Autore: Sumiya Sakamoto    23/04/2011    4 recensioni
“Non ho voglia di sedare ulteriori ribellioni dopo la fatica che ho fatto per prendere ciò che mi spetta.”
“Ciò che ti spetta?” sibilò Heracles, fuori di sé, gli occhi brillavano di odio verso l’altra Nazione “Ciò che ti spetta? Atene è mia! Atene è greca! Non è mai stata e mai sarà una città ottomana, megalomane di un turco!”
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Grecia/Heracles Karpusi, Turchia/Sadiq Adnan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Altra fic su Grecia e Turchia, mi piace un sacco questa coppia. C’è un po’ di violenza ogni tanto, ma non mi sembra così tanto da mettere l’avvertimento “non per stomaci delicati”. Tratta della presa di Atene nel 1456 da parte dell’Impero ottomano. Spero vi piaccia, buona lettura.
 
 
 
 
 
 
 
“No! No, no, no!”
Stringeva i pugni così forte che le unghie gli si erano conficcate nei palmi. Mordeva il labbro inferiore con tanta violenza da sentire ormai il sapore del sangue in bocca. Avrebbe voluto muovere qualche passo in direzione della figura avvolta nel lungo caffettano* ricamato, il grande turbante lo riparava dal sole cocente di quella disgraziata giornata, ma i muscoli non rispondevano ai comandi. Non era riuscito a far altro che a ripetere “no” parecchie volte, con rabbia, frustrazione, angoscia. Nel pugno destro stringeva ancora la sua croce di legno, lunga ma sottile. Non riusciva a staccare gli occhi da quell’odiosa figura che si allontanava tranquilla, dandogli le spalle, come se nulla fosse successo. Strinse i denti, un brivido feroce lo assalì. Fu accecato dalla sua stessa rabbia e in un raptus cominciò a correre in direzione del turco, approfittando del fatto che era di schiena, alzando contemporaneamente la croce in aria, usandola come arma. Con un grido disperato la calò su Turchia, ma inaspettatamente questi si voltò di scatto e riuscì a bloccare con una sola mano il legno che stava per toccarlo. Grecia si immobilizzò fissandolo, scrutando quegli occhi scuri attraverso la maschera bianca che gli copriva parte del volto fino al naso, mentre poco più in giù, le labbra carnose e scure si piegavano in un leggero sorriso di scherno. “Heracles…” disse Sadiq con lo stesso tono che avrebbe usato per ammonire un bambino che aveva appena fatto una birbonata “Non lo sai che non si deve giocare con oggetti che potrebbero ferire qualcuno?”
Aveva appena finito di dire la frase che il greco sentì un sonoro crack e abbassando gli occhi vide che il turco, muovendo bruscamente la mano con la quale teneva la croce, sfruttando il fatto che Heracles ne stava tenendo l’altra estremità, l’aveva spezzata esattamente a metà. Grecia smise di pensare. Guardò la croce rotta, spostò il suo sguardo su Sadiq senza espressione. Aprì la mano destra, lasciando cadere il pezzo di legno e come se fosse stato il gesto più facile del mondo si scagliò direttamente sul turco, usando unghie e denti per ferirlo in qualsiasi modo. In realtà Heracles sapeva di non avere speranze contro Sadiq, non dopo l’evento di quel giorno, la caduta della sua adorata Atene nelle mani di Turchia. Pareva che le forze l’avessero abbandonato e per il turco fu facile immobilizzare i polsi a Grecia, tenendoli assieme con una sola mano, mentre con l’altra l’aveva preso per i capelli, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Stammi a sentire, greco.” cominciò, sottolineando la parola “greco” con la voce, in un tono di puro disprezzo “Non ho voglia di sedare ulteriori ribellioni dopo la fatica che ho fatto per prendere ciò che mi spetta.”
“Ciò che ti spetta?” sibilò Heracles, fuori di sé, gli occhi brillavano di odio verso l’altra Nazione “Ciò che ti spetta? Atene è mia! Atene è greca! Non è mai stata e mai sarà una città ottomana, megalomane di un turco!”
Si sentì ancora più ferito quando Sadiq proruppe in una risata cattiva “Atene è tua, ma tu sei mio. Per proprietà transitiva, Atene è mia.”
Il greco, non sopportando oltre l’ascolto di quelle frasi terribili, tirò un calcio più forte che poté in direzione delle gambe del turco, che, preso alla sprovvista, lo lasciò andare. Heracles si voltò e fece per cominciare a correre quando sentì la mano guantata di Turchia afferrarlo per un braccio e trascinarlo di nuovo verso di lui. Sadiq portò una mano alla testa del greco e prendendolo per i capelli cominciò a strattonare violentemente “Finiscila di farneticare Heracles e guarda la realtà! Ormai ho vinto! Atene è mia! Lo è persino Costantinopoli! Guardami. Guardami, Heracles!”
Il greco aveva portato le mani al polso della mano che gli stava artigliando i capelli, tentando di allontanarla da sé, mentre lacrime di dolore andavano a formarsi agli angoli degli occhi, pizzicando fastidiosamente per uscire. Non voleva guardarlo, non voleva guardare colui che l’aveva distrutto, colui che aveva vinto la Grecia. La Grecia! Una delle civiltà e delle nazioni più antiche mai conosciute al mondo. Come aveva potuto farsi vincere da un turco? Dall’Impero ottomano? Non era giusto, perché si era così indebolito? Gli aveva portato via tutto, tutto quello che con fatica sua madre e successivamente lui avevano costruito. Sadiq lo prese per il mento con la mano libera e lo obbligò ad alzare il capo “Guardami.” ripeté. Il greco dovette alzare gli occhi e incontrare quelli di Turchia, cerchiati del bianco della maschera che gli copriva la parte superiore del volto. “Tu sei mio.” disse lentamente Sadiq, scandendo le parole per farle comprendere pienamente alla Grecia. Questi chiuse gli occhi, per sottrarsi a quello sguardo crudele e soddisfatto e come ebbe chiuso le palpebre sentì le lacrime cominciare a sfuggirgli dagli occhi. Lacrime di rabbia, di disperazione, di dolore. Sentì la risata sadica di Turchia “Oh, il bambino piange ora? Vuoi la mamma?”
Heracles strinse i denti fino a sentirli scricchiolare, ancora con gli occhi chiusi, affondò le unghie sottili nel polso del turco ancora dietro il suo capo e abbassò il mento per serrare ferocemente fra i denti una nocca di Sadiq. Non sentì alcun gemito da parte sua, né alcun gesto di ritrarsi, ma il greco percepì la mano che lo teneva per i capelli fare un violento movimento verso il basso e si ritrovò con il viso rivolto verso il cielo. “Molla.” disse in tono calmo Turchia. Grecia non accennò a diminuire la presa né sul polso della Nazione né sulla mano di questa. Il turco tirò ancora verso il basso “Molla o ti spezzo il collo.” continuò tranquillo. Heracles sentiva il sangue di Sadiq nella sua bocca. Se gli fosse andato in gola sarebbe morto soffocato lo stesso. Sferrò di nuovo un calcio a Turchia, mentre contemporaneamente lasciava andare il suo polso e la sua mano e fortunatamente riuscì ad allontanarsi qualche passo da lui. Osservò le reazioni dell’altro, temendo che venisse di nuovo a prenderlo, ma questi non si mosse, si limitò a portarsi la mano ferita alla bocca e a leccare via il sangue senza distogliere lo sguardo dal greco. Sadiq sorrise “Grecia, è inutile che tu continui a ribellarti. Sei troppo debole e io troppo forte per te. Quindi dammi retta, vieni con me di tua volontà, non costringermi ad essere di nuovo violento. Ricordi? Sei mio. Non puoi fare più nulla ormai.”
Heracles lo fissò. Respirò a fondo, si asciugò le lacrime con un rapido gesto e con la voce più decisa e ferma che riuscì a trovare, cominciò “Non verrò con te di mia volontà, Sadiq. Se mi vuoi dovrai prendermi con la forza, perché io non smetterò di combattere per la mia libertà, non mi farò sottomettere dall’Impero ottomano, né abbandonerò le mie città nelle tue mani. Non mi avrai mai, per quanto tu ti illuda. Lotterò, per il mio popolo, per mia madre e per me. Atene non sarà mai ottomana, la Grecia non sarà mai turca! Ti giuro che non smetterò di combattere fino a che non sarò di nuovo libero, fino a che non avrò ottenuto di nuovo la mia indipendenza. Per sempre.”
 
 
 
 
 
 
 
*caffettano:  tunica da uomo di cotone o seta, fornita di bottoni sul davanti, lunga fino alle ginocchia e con maniche lunghe. Indossata spesso dai sultani ottomani. 

  
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