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Autore: roro    23/04/2011    7 recensioni
Peccato per la sua schiena, insomma, e per la consapevolezza che, se avessero fatto troppo rumore, avrebbero attirato l’attenzione del custode – e se il custode li avesse beccati, la carriera di Arthur sarebbe stata troncata sul nascere.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Happy birthday to you, happy birthday to you, happy birthday, my dear ArthurO: happy birthday to you! <3 <3 <3
...insomma, se non si fosse capito, questa è una fic di auguri per la mia ArthurA. X°°°D Insomma, sì. *Rotolamuoreschiatta*

Allora: qualcosa sulla fic, sì. Arthur è un prof di Inglese. °A° Dato che nella fic non lo dice, ho pensato di chiarirlo. *Muore di nuovo* Poi... boh, non so. La nota OOC l'ho messa, ma ci terrei a chiarire che, a conti fatti, non so se ce ne sia bisogno o no: chi l'ha letta sino ad ora - tre persone, in verità X°D, la mia ArthurA, RucchaakaTamakidegliocchimieiorbi e La MessiaH, cioè HikkiakaFuransu - non ha avuto da ridere sull'argomento, ma dato il contesto AU, la mancanza di passato!Angst e via discorrendo, ecco, immagino che... Boh. °A°
D'accordo, l'ho messa perché, quando scrivo una AU, solitamente l'inserisco. X°D Se poi i pg dovessero risultare IC sappiate che ne sono felice, perché il mio scopo era quello. °A°"
*Discorso puramente Nonsense*

C'è da dire che solitamente a me le Shot non esaltano - specie se AU -, perché è difficile costruire un background credibile, e in un contesto come questo... buh. Ho tentato di farne uscire una cosa sensata, ma dubito che lo sia. X°°°°°°°D *Muore di nuovo*

Boh. °A° L'unica cosa a piacermi di questa fic è il titolo, lo ammetto. *Rotola* E... E niente. °A° E' una fic parecchio UsUk, quindi se siete fan della FrUk o di altra roba, credo sarebbe meglio se chiudeste la finestra. >///< Poi, se volete leggere, a me fa piacere. X°D <3

Spero vi piaccia, baci. <3 <3 <3 *Saltella via*

{Anche se non si direbbe, Alfred nella fic è maggiorenne. A-Ah, frequenta l'ultimo anno. .///." Tanto per chiarire - e Arthur si è laureato da poco e la cattedra ce l'ha da pochissimo, quindi non hanno molta differenza d'età. *Coff*}

...e ancora auguri, ArthurO! *A*

PS: Il rating è, in verità, una via di mezzo tra il giallo e l'arancione. °A° Non sapendomi decidere, ho optato per il secondo, ché comunque prevenire è meglio che curare. X°D



























La cattedra non era di certo il luogo ideale per far sesso: troppo scomoda, troppo rigida. Poggiarci la schiena – o qualsiasi altra parte del corpo – poteva risultare logorante, a lungo andare, e persino nei manuali per aspiranti “Re del sesso” solevano sconsigliarla.

«Troppo fastidiosa», scriveva uno. «Piuttosto, conficcatevi un puntaspilli tra le scapole, sarà certamente più eccitante», aggiungeva un altro.
Peccato che né Arthur Kirkland né Alfred Jones avessero mai comprato riviste di quel tipo – e peccato che Alfred, troppo eccitato per ragionare lucidamente, avesse inchiodato Arthur contro il duro legno della cattedra, e gli stesse ripetutamente baciando il collo.
Per carità. Era piacevole, eh, e molto, e Arthur a fatica riusciva a trattenersi dal gemere.
Peccato per la sua schiena, insomma, e per la consapevolezza che, se avessero fatto troppo rumore, avrebbero attirato l’attenzione del custode – e se il custode li avesse beccati, la carriera di Arthur sarebbe stata troncata sul nascere.
 
 
 
How to fall in love with your worst student.
[And don’t regret it at all]
 
 
 
Le relazioni tra professori e allievi non dovrebbero superare una certa linea, perché una volta valicata – e basta un bacio, affinché questo punto di non ritorno venga oltrepassato –, nessuno dei due potrà mai tornare a guardare l’altro col giusto distacco.
Arthur l’aveva capito nel preciso istante in cui aveva incrociato gli occhi azzurri di Jones – Alfred era uno studente, e per di più indisciplinato e poco portato per la lingua, e tecnicamente Arthur avrebbe dovuto trovarlo noioso. Avrebbe dovuto ridergli in faccia, assegnargli esercizi extra, ignorarlo.
E tuttavia, un solo sorriso bastava perché il suo cuore accelerasse i battiti, e se Alfred lo sfiorava – con consapevolezza o per puro caso, era indifferente –, zone del corpo di Arthur che questi neppure sapeva di avere cominciavano a surriscaldarsi, al punto che qualche volta era stato obbligato a lasciare in tutta fretta l’aula per nascondersi nei bagni.
Era una situazione assai deprimente, a conti fatti. E ridicola. E lui, che era inglese sino al midollo, non poteva che sentirsi imbarazzato – e ferito, e irritato – nel constatare quanto ascendente quel marmocchio avesse sui suoi gesti e pensieri.
 
Il primo bacio era arrivato di sorpresa: Alfred, lo sguardo serio e le mani sudate, l’aveva spinto contro la cattedra – erano rimasti solo loro in aula, tutto il resto della classe si era già diretto in palestra.
«Lei mi piace», aveva sbottato, senza smettere di guardarlo. «E tanto».
Arthur aveva provato ad opporre resistenza – e aveva fallito, quando le labbra di Jones si erano abbattute sulle sue, feroci. Dopo le labbra era arrivato il momento della lingua – la lingua aveva dovuto protestare solo un attimo, perché Arthur aprisse la bocca e le permettesse di passare.
C’era mancato poco perché lo facessero lì, contro la parete: un rumore, due, poi Arthur si era allontanato di scatto, il viso in fiamme.
«Io…», aveva balbettato. «Sono il tuo insegnante».
«Non importa», aveva riso Alfred.
 
Si erano baciati altre mille volte, da quel giorno in poi.
 
«Alfred, potrebbe arrivare qualcuno», sbuffò, tentando di allontanarlo – peccato che non ci credesse neppure lui, a quella scusa patetica, e che le mani di Jones non avessero accennato neppure minimamente a scostarsi.
Anzi, ogni ansito di Arthur faceva sì che Alfred lo sfiorasse con maggior veemenza, e ogni suo sobbalzo spingeva l’altro a sorridere e baciarlo più intensamente.
«Dobbiamo andare».
«Solo altri cinque minuti», ribatté Jones, come se gli avessero appena chiesto di svegliarsi per andare a scuola. «Cinque, non di più».
«L’ultima volta», ansimò Arthur, voltando un po’ il capo per poterlo guardare negli occhi, «i tuoi famosi cinque minuti sono diventati quindici».
Alfred rise, divertito – gli capitava anche troppo spesso di ridere, e Arthur questo suo vezzo non lo amava granché. Che gli si chiedesse di tradurre una frase o acquistare del materiale didattico, la risposta di Jones era sempre un ghigno sulle labbra e una risatina compiaciuta.
«Capita», mormorò tra un eccesso di risa e un altro. «Oggi ho avuto una brutta giornata. Oltre alla verifica di matematica, ho dovuto pure sopportare che il mio ragazzo – e cioè tu – parlasse con quel vecchio depravato di Francis, e-».
Arthur lo interruppe: «Dovevo solo dargli delle fotocopie», disse, senza neppure rendersi conto di essere stato definito il suo «ragazzo», né della gelosia ben palese nelle parole di Alfred. Si limitò solo a ripetere: «Fotocopie», e sospirare.
«Voglio solo baciarti per altri cinque minuti. È così strano?».
 
Lo pensava, sì: pensava che fosse strano perché era un professore, lui, e gli insegnanti sono sempre odiati e temuti dagli alunni, e Jones, coi suoi occhi azzurri e il riso perenne, non avrebbe dovuto baciarlo, né abbracciarlo. Né amarlo.
Alfred era un po’ come quelle aquile che si vedono nei documentari, e passano la loro intera esistenza volando libere per il cielo: un animale splendido, magnifico, pericoloso.
Era strano, lo era. Era strano che lo stringesse a sé, che ricercasse la sua compagnia, e allo stesso tempo era tremendamente perfetto, perché i gesti di Alfred erano pieni di una sorta di inquietante tenerezza, e il sorriso che gli rivolgeva avrebbe potuto riscaldare il mondo intero.
Queste cose Arthur non le avrebbe mai ammesse, però – non era il tipo –, quindi imbronciò appena le labbra e fece finta di nulla, consentendo alla bocca di Alfred di posarsi sul suo collo e alle mani dell’idiota di sbottonargli la camicia.
«Ti amo».
Socchiuse gli occhi e sospirò. «Idiota», disse. «Cosa vuoi, una dichiarazione? Effetti speciali random?».
«No, no. Tanto l’ho sentito, il “ti amo” nascosto nelle tue parole».
«Tu…», balbettò, cercando di trovare qualche infamia abbastanza grande – ma le labbra di Jones risalirono e gli sfiorarono le guance. E poi il naso. E poi la bocca, piano, con una delicatezza che non sembrava appartenergli.
E al diavolo la scuola!, al diavolo l’insegnamento!, al diavolo ogni stupida morale!
Arthur chiuse gli occhi e portò una mano tra i capelli di Alfred – li tirò, quei capelli, obbligando l’altro a curvarsi maggiormente e baciarlo più in profondità, e si godé la sensazione benefica che quel contatto gli stava dando.
Si beò della lingua di Jones, che lentamente gli solleticava il palato, e delle sue mani che gli sbottonavano la camicia, e dei libri che cadevano a terra – ah, Alfred l’aveva spinto completamente sulla cattedra. Ecco perché erano caduti, quei cosi.
Bah, poi l’avrebbe raccolti, si disse, indietreggiando un po’ perché Alfred potesse salire a sua volta su quella sottospecie di precario tavolino.
«Pensavo avessimo concordato», annaspò all’improvviso, mentre insinuava le dita nei jeans del ragazzo, «che… che sarebbero stati altri cinque minuti e basta».
Alfred ridacchiò. «Non sembra ti dispiaccia, questo cambio di programma».
In risposta, la mano di Arthur cominciò a sbottonarglieli, i jeans – erano parecchie taglie più grandi di quanto effettivamente fosse necessario, e non dové fare particolari sforzi, affinché scivolassero lungo i fianchi di Jones e lo lasciassero in mutande.
«Vedo che siamo della stessa idea», fu la risposta compiaciuta di Alfred. Poi anche i pantaloni – quelli di sartoria, fatti su misura – di Arthur furono tolti, e anche la camicia, la cravatta e tutto il resto.
Arthur si mosse leggermente, per sfilare la maglia di Alfred, e allargò il più possibile le gambe. «Idiota, vedi di non fare troppo rumore. Sono pur sempre un tuo docente, io».
«Se ci beccheranno, dirò che mi stavi dando ripetizioni di anatomia», rise l’altro, scuotendo il capo.
«Non se la berrà nessuno, Alfred», rispose piccato Arthur, ma a stento riuscì a trattenersi dal sorridere – diamine, la gioia di quella sottospecie di alunno incosciente era contagiosa, tremendamente contagiosa!
Probabilmente, se avesse voluto, sarebbe riuscito a far risplendere tutte le stelle del cielo solo guardandole, e ad illuminare un tunnel buio col solo potere della sua felicità.
Sospirò. «Non sarebbe stato più sensato se ci fossimo dati appuntamento fuori scuola?», chiese con tono casuale. Non che desiderasse un appuntamento con Alfred, sia mai!, solo che, ecco, sarebbe stato più sicuro. Forse.
Sino all’arrivo di Jones, Arthur non aveva mai trasgredito alle regole del suo istituto, né si era interessato ad un alunno: aveva sempre biasimato quanti si invaghivano dei propri studenti, e riteneva sciocco – prima dell’arrivo di Alfred – che qualcuno potesse provare un simile desiderio per un ragazzino in via di sviluppo.
Invece quello lì – che, comunque, in via di sviluppo non lo era più da un pezzo, vista la stazza e l’altezza da adulto – l’aveva spiazzato. E gli era saltato addosso.
Dannazione.
«Ma, Arthur», sibilò Alfred ad una manciata di millimetri dal suo orecchio, «sono abbastanza eroico per difendere entrambi, se dovessero scoprirci».
Arthur ne dubitava, ma decise di far finta di nulla e godersi i baci che Jones aveva cominciato a posargli sul ventre – e gemere, quando le labbra di Alfred giunsero ai suoi capezzoli e cominciarono languidamente a succhiarli.
«Potresti sbrigarti?», mormorò tra un sospiro e un ansito, guardandolo male. «Io…».
«Oh, tranquillo: non ho alcuna intenzione di farti venire prima».
Colpo basso, colpo basso, pensò Arthur, chiedendosi dove mai Alfred avesse imparato simili espressioni – e perché le usasse come se fossero normali, sorridendo con fare entusiasta. «Idiota», lo apostrofò, «cerca di fare la persona seria, di quando in quando!».
«Ma io sono serio».
«Nei tuoi sogni, certo. Sbrigati!», sbuffò. «Sai che… che il sorvegliante passa-».
Oh, merda.
Il rumore dei passi era perfettamente udibile, e persino Alfred, che solitamente prestava poca attenzione a ciò che gli viveva intorno, non poté fingere di non averlo sentito: doveva esserci qualcuno, nel corridoio. Qualcuno a decisamente pochi metri da loro.
Qualcuno che, se avesse aperto la porta dell’aula in quel preciso istante, avrebbe potuto scoprirli.
Senza rifletterci poi molto Arthur spinse Alfred, allontanandolo il tanto necessario per indossare nuovamente i propri vestiti, e si affrettò a raccattare i libri. «Continuiamo da un’altra parte. Veloce», aggiunse, quando gli fu chiaro che Jones non aveva alcuna intenzione di alzarsi. «Vuoi che ti aiuti io o fai da solo, idiota?».
«Continueremo davvero, una volta usciti?», domandò invece Alfred, gli occhi azzurri che risplendevano – sembrava stesse sorridendo, anche se Arthur si augurò vivamente di aver frainteso.
Non era possibile che, a un passo dall’essere scoperti, quell’idiota riuscisse ad essere felice. Proprio no.
«Sì. Ora, mai fai la cortesia di sistemarti quel jeans sformato addosso?».
 
Dalla scuola erano usciti correndo – Alfred rideva, la mano di Arthur stretta tra le dita e l’espressione di chi trova qualcosa di esaltante anche nel fuggire, e Arthur, dopo i primi secondi di sbigottimento, non riuscì ad impedirsi di sorridere a sua volta.
«Abbiamo rischiato grosso!», gongolò Jones, annuendo. «Beh, però eri accompagnato da un eroe come me, era ovvio che ci saremmo salvati!».
«Idiota-».
Alfred non gli permise di terminare la frase: «Ora dove andiamo? Se vuoi i miei genitori non sono in casa, quindi possiamo andare da me!».
«Penso sia sconveniente, idiota, potrebbero vederci e-».
«Ah, allora andremo in hotel!». E, afferratagli la mano, se lo tirò dietro.
Dopo aver sospirato pesantemente, Arthur chiuse gli occhi. Quel tipo era decisamente un incosciente – e un incosciente era anche lui, perché di quel cretino si era pure innamorato.
«D’accordo», sbuffò. «Idiota».
   
 
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