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Autore: Vitani    23/04/2011    4 recensioni
La prima scossa era giunta di primo pomeriggio, forte come mai ne aveva sentite altre. Prima ancora di veder tremare le case, scuotersi gli alberi, spegnersi le luci, aveva sentito il rumore: un boato profondo, ancestrale, che proveniva dalle viscere della terra e riverberava tutto attorno a loro sempre più forte. Per un attimo gli sembrò che il cielo dovesse cadere, e in quell’attimo si girò e guardò Hiro. Era lì con lui e gli camminava accanto, in quel viale di Shibuya, ed era sbiancato. Si incrociarono i loro sguardi, terrorizzati, e Yuki fece appena in tempo a fare un passo, a poggiargli una mano sul braccio. Tutto tremò. Tutto.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JISHIN

 
 
 
 

La prima scossa era giunta di primo pomeriggio, forte come mai ne aveva sentite altre. Prima ancora di veder tremare le case, scuotersi gli alberi, spegnersi le luci, aveva sentito il rumore: un boato profondo, ancestrale, che proveniva dalle viscere della terra e riverberava tutto attorno a loro sempre più forte. Per un attimo gli sembrò che il cielo dovesse cadere, e in quell’attimo si girò e guardò Hiro. Era lì con lui e gli camminava accanto, in quel viale di Shibuya, ed era sbiancato. Si incrociarono i loro sguardi, terrorizzati, e Yuki fece appena in tempo a fare un passo, a poggiargli una mano sul braccio. Tutto tremò. Tutto.
Per un minuto che sembrò interminabile come l’attimo in cui si muore.
Sentirono il rumore di cornicioni che cadevano, da qualche parte un vetro infranto, e le sirene e poi l’altoparlante che invitava a mantenere la calma. Loro due la mantennero, la calma, stando immobili e vicini l’uno all’altro come pulcini spaventati. Avrebbero dovuto esserci abituati sì, avrebbero dovuto… ma mai una scossa era stata come quella, mai in nessuno dei loro ventinove anni.
Anche quando cessò, restarono fermi nell’irreale silenzio.
« Hiro… »
La voce di Yuki suonò strozzata, flebile in modo quasi irreale.
« Che cos’è stato? »
Se ne erano resi conto, la loro mente aveva registrato quell’evento come “terremoto” nell’istante stesso in cui avevano udito il rombo della terra attorno a loro, e tuttavia era stato qualcosa di innominabile, di incredibilmente diverso. Kazuhiro Murata poté solo sussurrare che non lo sapeva, avvicinarsi e stringere Yuki in un abbraccio: come a dire “siamo vivi, siamo insieme”.
Poco lontano, un cane abbaiò.
« Gli altri come staranno? »
Hiro controllò il cellulare, tirandolo fuori dalla tasca posteriore dei jeans: il campo sembrava disturbato, ma internet prendeva regolarmente. Si collegò.
« C’è stata una scossa al largo della prefettura di Miyagi, 8.9 gradi. Porca puttana! »
Era raro che il batterista imprecasse, e quella semplice constatazione di impotenza turbò Yuki ben più di quanto apparisse. Il vocalist gli strinse la mano, ancora scosso: « Provo a chiamare papà e mamma. »
Ci provò, ben più di una volta, ma le linee erano completamente in tilt e per un istante fu tentato di sbattere a terra il cellulare: a cosa serviva, se durante le emergenze come quella era inutilizzabile? Hiro fu più pragmatico di lui, tempo qualche minuto aveva già scritto sul suo blog che erano entrambi salvi, spaventati ma interi. C’era poco altro da fare, in un momento come quello. Sospirò e si voltò a guardare Yuu, che stava immobile e tremante per il nervoso e l’angoscia; no, decisamente così non andava. Gli diede una pacca sulla spalla, leggera, sperando che bastasse a ricordargli che non era da solo e che la sua paura era la paura di entrambi.
« Avanti, vediamo di capire qualcosa di più su come stanno le cose. »
Venne ricompensato da un sorriso, appena abbozzato ma gentile, e lo ricambiò con tutto il cuore. Se l’erano cavata tutti quanti, sì, certamente stavano tutti bene: solo a quello i rice volevano credere.
In quel momento, in ogni angolo della costa est del Giappone, risuonava l’allarme tsunami.
 
Qualche ora dopo erano ancora bloccati a Tokyo, ed era ormai chiaro che avrebbero dovuto passarci la notte; in quel momento erano fermi nel parcheggio di un hotel, insieme ad altre decine di persone nelle loro stesse condizioni: i treni erano stati fermati e con ogni probabilità non sarebbero ripartiti prima dell’indomani. Da che Hiro ricordasse, non erano mai stati presi provvedimenti del genere prima. La situazione era certamente gravissima, c’era chi parlava di mille morti e migliaia di dispersi. Lui, dal canto suo, poteva fare ben poco oltre che pregare.
Si poggiò al cofano di un automobile, scaldandosi le mani col fiato; la notte faceva ancora freddo, e sia lui che Yuki ne stavano facendo le spese essendo usciti soltanto con una felpa. Gli sfuggì un sorriso mentre guardava Yuu che per resistere al freddo s’era messo a fare ginnastica correndo qua e là per il parcheggio. Hiro sapeva bene che creatura freddolosa fosse quel ragazzo, probabilmente in quel momento stava patendo le pene dell’inferno. Eppure, non si perdeva d’animo. Non s’era mai perso d’animo neanche una volta nella sua vita, nemmeno dopo aver pianto tutte le sue lacrime; anzi aveva spesso dimostrato il coraggio di un leone. Kazuhiro conosceva quel lato di Yuki molto bene, così come ne conosceva il lato fragile. Rise, nel vedere che il ragazzo dai capelli biondi tentava di coinvolgere nelle sue attività ginniche anche due povere studentesse liceali, e si alzò per andare a prendere qualcosa da bere. Poco ma sicuro, al ritorno avrebbe trovato l’intero parcheggio intento a fare stretching.
Tornò qualche minuto dopo con in mano due caffellatte caldi e qualche buona notizia: « Dicono che hanno aperto l’albergo e ci ospiteranno gratuitamente fino a che non potremo tornare nelle nostre case, e che le farmacie stanno distribuendo medicinali per chi ne avesse bisogno. »
Yuki trangugiò in due sorsi il suo caffellatte, con gli occhi scintillanti di gioia per il rinnovato tepore: « E delle linee ferroviarie si sa nulla? »
« Pare che ripartiranno entro domani, ma niente di certo. Sembra che ci siano stati danni alle linee elettriche. »
Era evidente, agli occhi di Hiro, quanto Yuu fosse preoccupato: voleva tornare a casa, parlare coi suoi genitori e suo fratello, e in tutto quello lui non poté che prendergli una mano e tenerla stretta. Sperava di fargli un po’ di coraggio, di lenire quel dolore che somigliava a una supplica e che giaceva nel fondo di uno sguardo limpido come l’acqua.
« Andiamo a farci dare una stanza, avanti. »
 
Avevano preso una matrimoniale, in modo da lasciare libero un letto in più per qualcun altro; del resto, loro due a dormire assieme c’erano ben più che abituati. Quelli dell’albergo avevano messo a loro disposizione vestaglie e asciugamani puliti, e Yuki ne approfittò per farsi un bel bagno caldo; ne aveva disperatamente bisogno, perché i suoi nervi erano decisamente sul punto di crollare.  Il calore, pian piano, lo rilassò: era come se il suo animo si stesse inumidendo assieme alla pelle. Chiamò Hiro, senza neppure rendersene conto, solo perché voleva vederlo e assicurarsi che fosse ancora lì. Il batterista s’affacciò, con sul viso uno sguardo stanco che a Yuki non sfuggì.
« Che c’è? »
« Fatti un bagno anche tu, vedrai che poi ti sentirai meglio. »
Gli uscì di bocca quella banalità, soltanto per stemperare l’ansia e per cercare di rasserenare entrambi. Kazuhiro, per sua fortuna, lo comprese perfettamente e gli sorrise: « Fai pure con calma, io mi riposo un attimo di là. »
E Yuu fece con calma, uscendo dalla vasca soltanto venti minuti più tardi e infilandosi la vestaglia dell’hotel. Dall’altra stanza udiva il vociare della televisione, tenuta a volume molto basso, che trasmetteva un bollettino con gli ultimi aggiornamenti. Sentiva parlare di morti, di feriti, di uno tsunami che aveva devastato le coste e non soltanto. Socchiuse le palpebre e per un singolo istante ebbe paura. Sia lui che Hiro non avevano notizie dei loro parenti e potevano soltanto pregare. Lentamente si frizionò i capelli con un asciugamano, compiendo quel gesto con una solennità che non gli era propria. I suoi capelli biondi non erano bagnati, ma solo un poco umidi, eppure li tenne sotto le dita più di quanto fosse necessario: quelle dita tremavano leggermente, da molte ore.
Quando uscì dalla toilette trovò le luci spente e Hiro seduto sul letto, a fissare il vuoto. Vederlo così era l’ultima cosa che avrebbe desiderato, ma capiva che quella situazione era difficile per tutti.
« Come va? » chiese.
« Non bene… lo tsunami è stato devastante. I dispersi sono migliaia e forse è stata danneggiata una centrale nucleare. »
Yuki corrugò le sopracciglia, poi gli si avvicinò e gli prese entrambe le mani.
« Andrà tutto bene. Sono sicuramente tutti salvi. »
Si chinò appena, per guardare Hiro fin nel fondo dei suoi begli occhi, e gli posò sulla fronte un bacio delicato, tiepido come il vento di primavera. C’era in lui quell’amore sconfinato, sempre.
 
La notte scorreva lentamente, le ore sembravano non passare mai. Quanto tempo era trascorso da quando lui e Hiro s’erano messi sotto le coperte, da quando s’erano abbracciati come due bambini per trovare un riparo dal buio e dall’angoscia? Yuu non riusciva a chiudere occhio, e il respiro di Kazuhiro gli rivelava di non essere il solo. In tutte quelle ore non s’erano detti una parola, semplicemente avevano fatto finta di nulla ed erano restati abbracciati, vinti dalla fatica ma non dal sonno. Ci sarebbero state troppe cose di cui parlare e troppo poco da dire. Yuki contava i battiti del cuore di Hiro, con le dita poggiate sul suo torace, immerso nel calore di quell’uomo come un bambino al seno della madre.
Non avrebbe mai ringraziato Dio abbastanza per averglielo messo accanto.
Poi, di nuovo, giunse improvviso il boato della terra che tremava.
Non seppe quanto durò, non ci fece caso. In quel letto che oscillava, lui non si mosse e non disse una parola; soltanto, trattenne il fiato.
In quel singolo istante di silenzio, le mani di Hiro lo strinsero un poco più forte.
Allora, solo allora, chiuse gli occhi.

 
 
 
 
FINE
   
 
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