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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    24/04/2011    0 recensioni
[KidoBrosCentric][Momizi Matsuri Saga]
"E avrebbe voluto non essere lì da solo, e desiderava avere accanto, in quel momento più che mai, la sua famiglia: ma probabilmente nemmeno sapevano di quel suo viaggio, neppure sapevano che a volte spariva per prendere il treno o la corriera per Kyoto e trascorrere del tempo in quel piccolo santuario che tanta importanza aveva per la loro famiglia."
Jabu è tornato a Nonomiya per il 19 Marzo, cosa succederà di fronte alla tomba che ospita le spoglie mortali di Mitsumasa Kido?
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti, Unicorn Jabu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Momizi Matsuri Saga'
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MOMIZI MATSURI SAGA

PARTE 3

LA TOMBA SOTTO GLI ACERI

 

Kyoto, Arashiyama. Nonomiya Shrine.

Malgrado il vento che soffiava forte, increspando la superficie argentea del fiume, il cielo era sgombro di nubi in quella mattina di metà Marzo.

Le colline attorno si tingevano di un verde via via più brillante tanto più il Sole si alzava nel cielo, proiettando la sua luce tutto attorno, mentre sull’acciottolato che era la riva del fiume una familiare figura di ragazzo camminava a passo rapido verso il ponte metallico che sembrava tagliare di netto a metà il paesaggio.

Stretto nel cappotto, il giovane attraversò, zaino in spalla, la via e s’inerpicò su per il ben conosciuto sentiero che si snodava nel silenzioso bosco di bambù.

Questi sorrise tristemente mentre i suoi piedi affondavano nell’erba e nel terriccio molle, e strinse forte al petto un bouquet di fiori da campo, come se da esso potesse trarre una qualche forza: non ne aveva voglia, ma doveva farlo.

Quantomeno per rispetto.

Ci aveva riflettuto a lungo ed era giunto a quella conclusione: era giusto così.

La strada gli era così familiare che avrebbe potuto farla a occhi chiusi, ogni singolo rumore, per lui, era un po’ come un suono domestico, alla stregua dei passi cui aveva fatto l’abitudine e cui aveva associato uno dei fratelli, ogni flessuoso giunco che sfiorava con la mano era un vecchio amico che salutava il suo ritorno, e il cuore ebbe un vero e proprio sobbalzo non appena i suoi occhi e il suo cervello registrarono la presenza del grande toro d’accesso, nulla di speciale né di troppo elaborato, ma i rami che gentilmente lo sfioravano gli avevano fatto sempre pensare a una carezza della natura nei confronti di un luogo che tanto gli aveva donato e insegnato.

E anche nei propri confronti, di riflesso.

Poi vide il pannello in legno dove venivano affisse le preghiere, e infine la scalinata di pietra con l’edificio principale sullo sfondo.

Una cartolina deliziosa.

Era arrivato.

Ma, con sorpresa e una punta di tristezza, non trovò chi stava cercando ad attenderlo fuori, ma solo un giovane sacerdote, che spazzava il piazzale bisbigliando un mantra a bassa voce.

Con un po’ di timore, Jabu Kido si avvicinò: “Mi scusi…” chiese titubante, facendogli alzare la testa, “Il superiore del tempio dov’è?”. L’altro ragazzo sorrise, doveva avere al massimo un paio d’anni più di lui, era ancora un bambino, “Sei Jabu-kun, vero?” gli domandò quello di rimando.

Poi, senza aspettare la minima risposta da parte sua, lo afferrò per la mano e lo trascinò via: “Satomi-ojiisan mi ha detto di riferirti che tornerà presto, e che intanto dovevo accompagnarti qui.” spiegò lui, fermandosi infine di fronte alla tomba di Mitsumasa Kido; poi si congedò con un inchino, sparendo rapidamente via.

Jabu sospirò, levandosi il cappuccio: era da Novembre che non passava da quelle parti… quasi provava una sorta di rimorso.

Era vero, non lo riconosceva più come padre, eppure non riusciva a odiarlo come forse avrebbe voluto: era stupido, ma era la verità, suo malgrado; era figlio di Mitsumasa Kido, il legame di sangue ruggiva a gran voce e gli veniva da piangere.

E avrebbe voluto non essere lì da solo, e desiderava avere accanto, in quel momento più che mai, la sua famiglia: ma probabilmente nemmeno sapevano di quel suo viaggio, neppure sapevano che a volte spariva per prendere il treno o la corriera per Kyoto e trascorrere del tempo in quel piccolo santuario che tanta importanza aveva per la loro famiglia.

Poggiò con delicatezza il bouquet sul cumulo di terra mentre un vento leggero gli scompigliava i capelli.

“Ciao papà.”

La voce del ragazzino era strana, l’intera situazione sembrava paradossale, ai suoi occhi, quella parola aveva un gusto amaro nella sua bocca.

“Quando Saori-chan ci ha detto tutto, è stata dura. Molto dura.

Seiya era conciato male e sembrava non potesse farcela a sopravvivere e la notizia è stata un’ulteriore mazzata per tutti: non rischiavamo più di perdere solo un amico, ma un fratello.” perché la voce era così roca? Perché gli occhi gli pungevano?

Il ragazzino si fermò, osservando la tomba come se questa potesse in qualche modo rispondergli.

Ma la nuda pietra non ebbe un moto.

“ti ho odiato profondamente, e così credo anche gli altri, hai abbandonato i tuoi figli per un bene superiore, molti di noi fratelli non ci sono più… ma il tempo lenisce ogni cosa…” mormorò faticosamente, asciugandosi una lacrima fuggiasca con la manica: “Quello che voglio dire… è che non ti odio più.” Confessò, liberando il cuore, l’aveva detto!

“Non ti odio più.” ripeté il moro come per convincersi.

Poi cadde in ginocchio, singhiozzando senza controllo, stringendo i radi ciuffi d’erba e ferendosi le mani con le pietre sporgenti dal terreno.

Mentre un abbraccio, improvviso e inaspettato, gli cingeva le spalle, strappandogli un urlo spaventato, prima di riconoscere il familiare e rassicurante odore di pane e dolci… Ma com’era possibile che…?
“Avresti dovuto dircelo.” borbottò Seiya, aggrappato al suo collo: “Non dovevi affrontare tutto questo da solo.” rincarò Shiryu, poggiandogli le mani sulle spalle, “Siamo anche noi figli suoi.” non lo stava rimproverando, il suo tono era gentile e affettuoso, era preoccupato per lui, per le sue lacrime.

Unicorn sentiva la testa girare, erano tutti lì, ne sentiva la rassicurante presenza tutto attorno, anche se non aveva la forza di alzare lo sguardo per guardarli negli occhi: non ne aveva bisogno, in fondo erano le vie del Cosmo a collegarli e basta un attimo per… Eccoli! C’era Ichi, che teneva Nachi per mano… C’erano Hyoga e Shun che stavano alle sue spalle, con Ikki, Geki e Ban erano accanto a Shiryu…

Non era più solo.

“Come avete fatto?” mugolò il quattordicenne, stretto a Seiya.

“Il vecchio sacerdote ha chiamato Saori-neechan, stamattina presto, e le ha chiesto di venire qui con noi, non era giusto che fossi solo tu a portare questo fardello.” Interloquì Nachi, facendogli alzare la testa per poggiargli un bacio sulla fronte, un bacio tenero e affettuoso.

“È questa?” domandò secco Ikki, avvicinandosi al tumulo con sguardo torvo; Jabu annuì: “Si.” rispose semplicemente, senza interrompere il contatto fisico col Saint di Pegaso, che gli stava coscienziosamente accanto.

La Fenice sospirò, e tirò fuori dalla tasca della giacca una scatola di bastoncini di incenso: “Prendetene uno ciascuno e aspettiamo Saori.” concluse il maggiore dei Kido, distribuendo ai più giovani i rametti profumati di cannella e citronella.

E attesero.

§§§

Era una situazione irreale quella in cui Jabu di Unicorn si trovava coinvolto, irreale e meravigliosa, la vicinanza dei suoi fratelli lo rinfrancava e lo faceva stare bene: lì, sotto il vento di Marzo, si sentiva più forte e invincibile che mai.

Con gli occhi chiusi e le mani giunte, i Kido tutti pregavano per l’anima di Mitsumasa, un’anima pur se profondamente contorta, quasi corrotta, ad occhi esterni,  era pur sempre quella di loro padre.

Anche Saori era lì con loro.

Non mancava nessuno.

“Beh, a questo punto direi che non esistono, e non devono più esistere, segreti tra di noi.” affermò Ichi, rompendo il silenzio che li aveva avvolti: “No?” chiese il giovane; “Ovviamente. Saori-chan, torneremo per l’Obon?” domandò Seiya, cercando la sorella con lo sguardo.

Con un dolce sorriso, tenendo Jabu per mano, la Dea annuì: “Verremo ogni volta che vorrete.” dichiarò lei con semplicità.

“Venitemi a trovare quando volete, ragazzi! È bello vedervi!”

La voce dell’anziano sacerdote strappò un sorriso a Jabu, il cui viso si illuminò non appena lo vide sbucare da dietro uno degli alberi che circondavano lo spiazzo; gli corse incontro e lo abbracciò forte, nascondendo il viso sulla spalla coperta dal vestito bianco latte.

I suoi singhiozzi silenziosi vennero uditi solo da lui, così come il suo ringraziamento.

Il tutto, sotto lo sguardo silenzioso della tomba sotto gli aceri.

   
 
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