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Autore: marty_    27/04/2011    0 recensioni
Come ci si sente a dover tornare, come ci dovrebbe sentire anzi quando tutto quello che hai conosciuto è mutato. Alexis e Alice tornano dopo sei lunghi anni. Chissà a volte dicono che le cose cambiano in meglio, sarà il loro caso?!
Genere: Generale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Sorpresa, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alice:
 
Mi stavo scatenando mentre ballavo al ritmo della musica assordante, quando mi accorsi di essermi persa Alexis. Mi guardai intorno, ma le luci colorate m’impedivano di vedere con chiarezza ciò che mi circondava. Decisi dunque di cercarla attentamente, e la vidi a pochi metri da me. Era appoggiata al bancone del bar, e i suoi lunghi capelli castani e la sua pelle chiara erano riflessi nello specchio dietro il barman. Sembrava più pallida del solito, ma pensai che fosse dovuto alle luci psichedeliche. Lasciai stare e mi lanciai in direzione del bar, strisciando tra i corpi sudati e accaldati.
 
Finalmente raggiunsi la mia meta e potei respirare un po’ di aria pulita. Mi guardai nuovamente intorno ma non vidi Alex.
M’incupii; forse era andata a cercarmi in quella bolgia. Decisi di aspettarla seduta cosicché, quando fosse arrivata, ce ne saremmo potute andare a casa, dato che erano le tre passate. Scivolai su uno sgabello scuro, tra una ragazza truccata pesantemente e un giovane – doveva avere circa la mia età – che giocava cupo con la cannuccia del suo mojito. Ordinai una Coca-Cola, cercando di non vergognarmi troppo sotto l’occhiata esasperata del barista.
 
“Ecco a te dolcezza,” disse, porgendomi la bottiglietta di vetro e un bicchiere pieno di ghiaccio. Io gli risposi con un sorriso.
 
Con la coda dell’occhio avvertii un movimento del ragazzo dalle treccine nere seduto accanto a me e, incuriosita, volli girarmi verso di lui per guardare il suo viso. Era annebbiato dall’alcool, gli occhi lucidi vagavano sul mio volto, sulla scollatura, sulle gambe. Sollevai pudicamente il vestito cercando di coprire tutto ciò che era visibile.
 
“Ehi, tu non sei di qui… altrimenti avrei notato una bellezza del genere,” mi disse. Attribuii il suo scadente tentativo di rimorchiare agli effetti dell’alcool.
 
Sorrisi per educazione.
 
“Salve,” mi voltai di nuovo verso il bancone.
 
“Me lo dici come ti chiami, bella?” insistette il tipo, allungando una mano verso la mia coscia. Capii le sue intenzioni e lo scansai dopo averlo fulminato. Probabilmente l’alcool aveva bruciato del tutto i suoi freni inibitori. Osservai bene il suo volto e vidi che giocava con il piercing al labbro; aveva qualcosa di vagamente familiare. Decisi infine di incrociare il suo sguardo.
 
E poi avvenne.
 
Sentii qualcosa salire dal profondo buio dello stomaco al cuore. Uno strano tepore, morbido e vellutato. Caddi nei suoi profondi occhi scuri, bui, e ne fui tirata fuori dalla voce di Alexis dopo quella che mi parve un’eternità.
 
“Alice… Al!” chiamava.
 
Sobbalzai. Lanciai un’occhiata alle mie spalle, guardandola mentre si faceva spazio tra la calca. Mi raggiunse in pochi secondi e guardò il tipo losco accanto a me.
“Che succede? Ti sta dando fastidio?” chiese, già pronta a fare del mio libidinoso conversatore una poltiglia informe. Oh, cara dolce Alexis.
 
“No, noi… Noi stavamo solo parlando,” chiarii, lanciando un ultimo sguardo a quello strano sconosciuto. Mi assalì di nuovo quella particolare sensazione e cercai di definirla. Valutai tra le infinite parole che mi venivano in mente, ma non riuscii a non associarla a qualcosa che in primis somigliava a pietà.
 
“Andiamo Alex,” decisi infine. Prima di tornare tra la folla mi voltai e vidi che lui mi fissava ancora, confuso e interdetto dalla mia espressione preoccupata. La certezza delle mie idee mi colpì come un pugno in pieno stomaco: si sarebbe perso, e se qualcuno non fosse intervenuto non si sarebbe mai salvato.
 
Tom: 
Ma. Che. Palle.
 Riuscivo a stento a credere al fatto che Bill fosse riuscito a trascinarmi con sé a quell’uscita. Cosa me ne fregava se un mio ex compagno di scuola aveva appena superato con 110 e lode il dottorato in microchirurgia celebro-qualcosa? Niente! Ero felice nella mia condizione: facevo musica con il mio gruppo ed eravamo famosi in tutto il mondo, eppure mi trovavo lì a dovermi sorbire qui neo-laureandi con la puzza sotto il naso. Perché sarei dovuto rimanere? Perché ripescare i ricordi della fase “sandali e calzini” con quei dementi?
Decisi quindi di darmela a gambe non appena mi fossi stancato – quindi circa due minuti dopo il nostro arrivo –  per rifugiarmi in un locale a bere in santa pace un mojito come si deve.
 
 
 
  
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