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Autore: Dark Sider    28/04/2011    3 recensioni
Questa storia comincia dalla fine.
[Accenni SasuNaru]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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The time is running out

 

 

 

 

 

 

 

Questa storia comincia dalla fine.

 

 

Naruto strinse i pugni, catturando una manciata di terriccio dalla terra arida sulla quale era seduto. Gli piaceva, quel posto: era il suo luogo segreto, quello dove si recava quando voleva staccarsi dal mondo, quello dove –ne era certo- era al sicuro. Al sicuro persino da se stesso.

Si trattava semplicemente di un campo abbandonato, e forse mai coltivato: la distesa di terra arida si estendeva lungo un pendio scosceso dando l’illusione, da dove il biondo era solito sedersi, che fosse infinita. Naruto era stato colto più e più volte dall’istinto puerile di iniziare a correre a perdifiato lungo il declivio, senza badare al terreno scosceso e sdrucciolevole che spesso lo faceva capitolare a terra, tra le sua risa divertite.

Quel giorno, il ragazzo aveva deciso di rimanersene seduto, raccogliendo terriccio e lasciandolo ricadere a terra, in un gesto meccanico e quasi involontario. I caldi raggi aranciati del tramonto bagnavano il campo, donandogli un aspetto quasi etereo ed ultraterreno che, in quel momento, il biondo non riusciva a cogliere.

Gli occhi di un azzurro troppo intenso per credere che appartenessero ad un mortale, fissavano l’orizzonte senza vederlo davvero. Offuscati dal dolore, si perdevano nei ricordi che, confusi, si ammassavano nella testa del biondo, senza tregua.

Naruto lasciò scivolare distrattamente la mano sporca di terriccio dentro la tasca dei jeans. Le dita tremanti andarono ad incontrare il profilo freddo del cellulare; un dubbio assalì il biondo: chiamare Sasuke Uchiha, o non chiamarlo? Il ragazzo era sempre stato confuso dal carattere complicato ed imperscrutabile del suo migliore amico: non sapeva dire con esattezza se quel tipo dai tratti eleganti incorniciati da delicati capelli corvini tenesse davvero a lui oppure fingesse: alcune volte l’Uchiha sembrava volergli davvero bene –addirittura amarlo-, altre pareva che potesse vivere tranquillamente senza Naruto.

Il biondo, invece, aveva le idee ben chiare riguardo i propri sentimenti: con una certa tranquillità, era giunto alla conclusione di essersi innamorato di Sasuke. E come non avrebbe potuto?

Il ragazzo sospirò, interrompendo il contatto con il cellulare e riportando la mano a stringere convulsamente la terra secca. Non lo avrebbe chiamato: sicuramente l’Uchiha stava facendo qualcosa di più interessante che attendere una chiamata del biondo. Certo: Sasuke non lo stava nemmeno lontanamente pensando, lo sapeva.

Naruto si lasciò cadere pesantemente all’indietro, storcendo il naso all’urto con la dura terra. Chiuse gli occhi: i pensieri sconnessi, interrotti per un breve momento da quella sua fugace indecisione, tornarono a tormentarlo.

Aveva bisogno di sapere che Sasuke stava bene.

 

Questa storia comincia dall’inizio.

 

 

Quel campo ricordava a Naruto tante cose. Forse troppe. Ma ce n’era una in particolare che, in quel momento di beata solitudine, torreggiava su tutte le altre, quasi superba.

Nella mente del biondo, vivido, si materializzò il giorno in cui aveva deciso di portare Sasuke in quel posto. Il suo posto. Il suo campo.

L’Uchiha non aveva fatto particolari commenti a riguardo. Anzi, non aveva commentato affatto. Un po’ offeso da quella mancanza di interesse e dalla scarsa partecipazione, Naruto si era parato davanti a Sasuke, costringendolo ad una brusca frenata sul terriccio franabile, che non era stata gradita dal moro.

Sorridendo allo sguardo truce che l’amico gli aveva inchiodato addosso, Naruto allargò le braccia. «Questo posto mi fa venire voglia di correre e urlare» gridò il biondo, riabbassando le braccia e dando le spalle all’Uchiha, per contemplare la distesa di campo abbandonata.

«Allora corri e urla» gli aveva risposto Sasuke, con voce incolore, riprendendo a camminare sul terreno sconnesso. Naruto s’era imbronciato e, per un breve istante, aveva pensato di inveire violentemente contro l’Uchiha, ma poi, vinto dalla rassegnazione, aveva mosso ancora qualche passo per poi lasciarsi cadere sgraziatamente a terra. Sasuke, al rumore di quel tonfo, si era voltato vero Naruto e, stringendogli nelle spalle con velata apatia, era andato a sederglisi accanto.

Era calato un silenzio che nessuno dei due sembrava intenzionato a rompere. Naruto abbassò lo sguardo e smosse nervosamente la terra con un piede; si schiarì la gola, nel tentativo di attirare l’attenzione di Sasuke. Invano. Esasperato, il biondo afferrò una manciata di terriccio e, con il sorriso furbo di chi sa di aver già vinto, lo lanciò contro il moro con una certa soddisfazione: ora non avrebbe più potuto ignorarlo.

«Dobe…» ringhiò l’Uchiha, indispettito; Naruto sorrise al suo indirizzo, crogiolandosi nella soddisfazione di aver raggiunto il suo scopo. «Dobe» ripeté Sasuke, stringendo convulsamente nel pugno un’abbondante manciata di terra. «Perché mi costringi ad essere violento?!»

Il sorriso del biondo si allargò ancora di più. «Violento?» domandò, con finta innocenza e piegando leggermente la testa di lato, come un cagnolino che cerca di decifrare un suono per lui nuovo.

«Violento» sibilò Sasuke, assottigliando lo sguardo. Naruto spalancò la bocca, forse nel tentativo di dire qualcosa, ma Sasuke non glielo lasciò mai fare, imitando il gesto che l’amico aveva compiuto poco prima.

Naruto si coprì istintivamente il viso con un braccio, per evitare la pioggia di terriccio che il moro gli aveva scagliato addosso. Sentì una mano affusolata afferrargli il polso, scostandogli il braccio dal viso.

All’improvviso, Naruto si trovò a terra, schiacciato dal corpo di Sasuke e con entrambe le braccia bloccate nella presa ferrea ma non violenta dell’amico.

«Che volevi fare, tu, Uzumaki?!» lo canzonò l’Uchiha, con un sorrisetto beffardo che, a poco a poco, si stava allargando sul suo viso.

Naruto provò a divincolarsi, fingendosi offeso a quelle parole; Sasuke rinsaldò la presa, facendo ancora più pressione sul corpo dell’altro.

«Teme!» si lamentò il biondo, imbronciandosi, poiché non riusciva a liberarsi dalla presa del moro. Eppure, il viso maledettamente perfetto che ghignava a pochi centimetri dal suo, gli fece pensare che avrebbe sopportato quella ed altre sconfitte, pur di vedere l’altro al suo fianco, e magari trionfante e gongolante come in quel momento. Come si vorrebbe sempre vedere la persona amata, del resto.

E quelle labbra, tese in un sorrisetto vittorioso, fecero venire al biondo una voglia malsana di modellarci sopra le proprie, fino a sentirle doloranti e stanche per quella assidua e continua caparbietà nel possederle. Naruto allungò il collo, ancora pochi centimetri, solo pochi centimetri e poi magari…

Sasuke si staccò dal corpo inerte dell’amico pochi attimi prima che questo riuscisse a realizzare la propria fantasia.

«Mi annoio, dobe. Non c’è gusto a gareggiare con te, tanto vinco sempre io».

Naruto si voltò a guardare l’Uchiha, di scatto, come se qualcuno l’avesse costretto a voltare la testa. Si rizzò a sedere così velocemente che, per un attimo, il campo divenne un vortice confuso e danzante di colori: aveva colto dell’ironia nella voce del moro, mentre pronunciava quella frase, ne era sicuro, eppure il viso serio dell’amico, che scrutava in lontananza, gli fece pensare che, in quelle parole, c’era qualcosa di molto vero ed autentico.

Questo gli aveva fatto male.

 

 

Questa storia comincia nel mezzo.

 

 

Naruto sospirò; i pezzi di terra rinsecchiti ed induriti gli pungevano dietro la schiena, ma il biondo ancora non si decideva ad alzarsi. Sarebbe voluto rimanere così per sempre e l’avrebbe anche fatto, se il per sempre fosse una caratteristica dei mortali.

Il biondo scosse la testa, come se quel gesto gli avrebbe permesso di scacciare via per sempre quel ricordo tristemente dolce che gli aleggiava in testa. Ancora una volta, il ragazzo lasciò scivolare una mano nella tasca dei jeans e, di nuovo, le dita si scontrarono con il cellulare.

“Magari”, pensò il ragazzo, illuminandosi appena. “Magari se lo chiamo sarà contento di sentirmi; magari…”

Le sue fantasie si spensero come la fiammella di una candela troppo consumata quando il biondo ritrasse la mano. “No, non lo sarà” constatò, frustrato.

Per contro, un altro ricordò andò a sopraffare e a sostituire il precedente; un ricordo che fece sorridere Naruto, suo malgrado, perché forse era il più bello che avesse di Sasuke.

Chiuse gli occhi e, improvvisamente, si ritrovò davanti al proprio computer, con la faccia annoiata e stanca di chi non ha nulla di importante da fare. La sera, fuori dalla finestra, aveva ormai ceduto posto alla notte da un po’; la sveglia digitale sul comodino segnava le 23 e qualche minuto.

D’un tratto, il cellulare abbandonato sulla scrivania, accanto al computer, si illuminò. Naruto vi buttò un’occhiata fugace, ma dovette tornarvi a guardare con molta attenzione, e di certo grandemente stupito, quando lesse sul display che la chiamata proveniva da Sasuke Uchiha. Perché Sasuke non lo chiamava mai.

Il biondo rimase interdetto per qualche secondo, poi afferrò il cellulare, sorridente, affrettandosi a premere il tasto di risposta. Ma, portandosi l’oggetto all’orecchio, si accorse che il moro aveva già riattaccato. Il ragazzo rimase basito per qualche attimo, realizzando poi che Sasuke era solito farsi richiamare dagli altri, per non spendere i soldi. Molto parsimonioso; quasi, se si può azzardare, tirchio.

Recitando un breve Requiem per i suoi soldi che di lì a poco sarebbero violentemente deceduti, trafitti dal trascorrere del tempo, il biondo richiamò Sasuke. Uno, due, tre squilli. E il moro rispose.

«Ciao, teme. Che ti serve?» cinguettò il biondo, alzandosi dalla sedia e iniziando a percorrere a grandi passi la sua stanza.

«Niente» fu la risposta lapidaria che giunse dall’altra parte della cornetta.

«Allora?» domandò Naruto, con una certa esitazione, trovandosi spaesato e confuso.

«Mi senti bene?» volle sapere Sasuke. Il biondo trovò bizzarra quella domanda e, considerando che l’Uchiha non diceva mai niente per caso o per sbaglio, priva di un qualche senso logico.

«Sì» sussurrò Naruto, cominciando a sospettare che il moro gli stesse per tirare qualche stupido scherzo.

«Allora aspetta. E sta zitto».

E Naruto aspettò e stette zitto, basito. Sentì il rumore del cellulare di Sasuke che veniva posato da una qualche parte, ed il biondo capì che era in vivavoce. Ci fu un attimo di silenzio, ma non fu sufficiente per permettere al biondo di formulare ipotesi su ciò che Sasuke stesse facendo, perché, d’un tratto, il suo cervello fu spento da una nota, un’unica nota, nata da quello che, il biondo lo riconobbe subito, era un pianoforte.

A quella nota ne seguì un’altra e poi un’altra ancora, finché alle orecchie del biondo non giunse un perfetto e pulito flusso di una qualche melodia di cui lui non conosceva l’autore.

Istantaneamente, gli occhi del biondo si riempirono di lacrime. Sapeva da molto tempo che Sasuke suonava il pianoforte e, da chi aveva avuto il piacere di ascoltarlo, aveva saputo che era molto bravo. Da allora, al biondo era capitato un paio di volte di chiedere all’amico di fargli sentire come suonasse e le uniche risposte che aveva ricevuto erano state una stretta di spalle ed un: «Forse, un giorno…»

Ed, ora, Sasuke era lì, che suonava il piano. Che suonava il piano per Naruto. Calde lacrime di gioia continuavano a sgorgare dagli occhi del biondo e a rotolargli lungo le guance, pigre. Piccoli brividi cominciarono a scuotere il ragazzo, in contemporanea alla gentile invasione che quella dolce melodia stava facendo nelle sue orecchie, nella sua mente. Nella sua anima.

Sasuke stava suonando il piano. Questo era un plausibile dato di fatto. Sasuke aveva chiamato Naruto per fargli sentire come suonava il piano. Anche questo era un dato di fatto ma, al contrario del primo, era alquanto inverosimile ed incredibile.

Naruto strinse gli occhi, ancora incredulo; s’immaginava le dita dell’Uchiha correre elegantemente sui tasti bianchi, pigiandoli dolcemente; immaginava l’espressione concentrata e, nello stesso tempo, distesa che il moro aveva mentre seguiva il suo operato. E sorrise. Avrebbe voluto urlare a Sasuke che lo amava e che lui, stupido ragazzo fragile, non meritava quel gesto così affettuoso che l’amico gli aveva appena usato. Ma non riusciva più a parlare.

Solo quando la musica andò rallentando e si fece meno intensa, fino a spegnersi in un’ultima, trillante nota, Naruto riuscì a deglutire a fatica e a balbettare: «G-Grazie… Sasuke…». La sua voce, in quel momento, suonava molto simile a quella di un isterico e le lacrime ancora sgorgavano capricciose dagli occhi azzurro cielo.

«Di cosa?» la domanda retorica di Sasuke gli giunse irrisoria.

Il biondo tirò un sospiro, nel tentativo di impedire alla propria voce di tremare di emozione. «Una volta ti avevo chiesto se un giorno mi avresti fatto sentire come suonavi il piano e… E tu l’hai fatto». Quella frase fu pronunciata con l’incertezza di un bambino che sta imparando a camminare.

«Eh, vedi che ogni tanto mi ricordo?»

Naruto avrebbe scommesso qualunque cosa in suo possesso che, in quel momento, Sasuke stesse sorridendo.

«Grazie» ripeté il biondo, pervaso dalla gioia più grande che avesse mai provato in quei suoi diciotto anni di vita.

«Lo sai a chi appartiene la composizione che ho appena suonato?» gli chiese Sasuke, come se non avesse sentito il ringraziamento di Naruto.

L’Uzumaki, preso in contropiede, si riscosse e, concentrandosi, cercò di ricordare il nome di qualche compositore.

«Mozart?»

«No, idiota».

«Beethoven?»

«Riprova… Tsk, quanto sei ignorante!»

«Chopin?»

Silenzio. «… La tua solita fortuna, dobe» aveva sbuffato Sasuke, irritato che il biondo avesse indovinato al solo terzo tentativo.

Naruto aveva sorriso.

E sorrideva anche adesso che, abbandonato finalmente il suo amato campo, stava percorrendo l’ampia via che l’avrebbe ricondotto a casa. Sorrideva ripensando a quell’episodio che non si sarebbe ripetuto mai più.

Sorrideva e, al contempo, soffriva terribilmente. Soffriva perché avrebbe dovuto continuare a chiamare amico una persona che, per lui, era molto di più. Soffriva perché ogni gesto che avrebbe fatto per Sasuke, avrebbe dovuto compierlo come suo amico, e non come suo ragazzo.

Soffriva perché quella sua condizione non sarebbe cambiata. Mai.

La mano andò di nuovo a sfiorare il cellulare nella tasca dei jeans. Il biondo sospirò: non avrebbe chiamato l’Uchiha, benché lo desiderasse.

Il sorriso si spense. Il dolore invase ogni anfratto di quel giovane corpo.

“Sasuke… Deciderai mai di suonare di nuovo per me? Mai, prima che il nostro tempo finisca?”

 

 

Questa storia non comincia.

 

 

 

 

 

***

Il titolo di questa ff banale, noiosa, scontata è preso dall’omonima canzone dei Muse. Scritta in un momento di rabbia e confusione, per sfogo. Probabilmente molto nonsense, anzi, sicuramente. Il significato è troppo contorto, ci vorrebbero pagine e pagine per spiegarlo, e non penso sia il caso XD È una sorta di autobiografia, in parte, una parte forse ampia, forse minima. Non è una delle migliori che abbia scritto, né una delle più sensate. Spero comunque sia di vostro gradimento.

 

 

Konbanwa :)



  
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